Torna alla “ribalta” la questione relativa al diritto del figlio adottato di accedere alle informazioni relative alle proprie origini.
Tale diritto, come più volte affermato, costituisce espressione essenziale del diritto all’identità personale, in quanto, la ricostruzione della propria discendenza biologica e delle proprie radici permette all’individuo di avere uno sviluppo più equilibrato e sereno sia con sé stesso che nelle relazioni con gli altri.
La materia trova fondamento nell’art 28 della legge n. 184/1983, la quale riconosce al comma 5 il diritto potestativo dell’adottato ad avere accesso alle informazioni relative ai genitori biologici una volta compiuto il venticinquesimo anno di età, salvo il limite posto dal comma 7, ossia quando la madre abbia dichiarato al momento del parto di rimanere anonima.
In particolare quest’ultima disposizione è stata oggetto, negli anni, di vari interventi giurisprudenziali sia a livello sovranazionale che nazionale, al fine di temperare tale divieto assoluto, stabilendo un equilibrio tra i due diritti contrapposti: quello del figlio adottato che vuole conoscere le proprie origini biologiche e quello della madre biologica che ha esercitato al momento del parto il diritto a rimanere anonima [1].
È d’obbligo richiamare, in materia, la sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013 con la quale venne dichiarata illegittimo, nella sua assolutezza, il divieto previsto dall’articolo in esame, suggerendo al contempo al legislatore il modello procedimentale da seguire per rendere effettivo il bilanciamento delle posizioni giuridiche soggettive confliggenti.
La tecnica di bilanciamento prescelta dalla Corte costituzionale non fu quella di rimettere al giudice la valutazione in concreto delle due esigenze contrapposte, ma di verificare, attraverso un procedimento preventivo di interpello, la volontà attuale e la disponibilità della madre a rimuovere il segreto sulla propria identità, in modo da permettere al figlio di esercitare il proprio diritto.
Sulla scia di tale intervento si sono pronunciate le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 1946 del 2017 [2], le quali hanno confermato, anche in assenza di un intervento legislativo in merito, la possibilità per l’adottato di procedere all’interpello materno all’interno di un procedimento che garantisca la massima riservatezza per la madre biologica.
Vi è da chiedersi, a questo punto, se il diritto ai legami familiari debba essere considerato limitatamente all’identità dei genitori biologici oppure possa essere apprezzato anche con riferimento alla conoscenza delle generalità delle sorelle e fratelli biologici.
Il caso
La questione posta al vaglio della Corte di cassazione concerne proprio il diritto da parte dell’adottato a conoscere le generalità relative alle proprie sorelle, le quali al momento dell’adozione furono affidate a famiglie diverse.
In particolare il ricorrente, a seguito del rigetto della propria istanza nei primi due gradi di giudizio, denuncia, oltre che una violazione degli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (20 ottobre 1989) oltre che una violazione degli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (20 ottobre 1989) − i quali impongono la tutela dell’identità del minore da intendersi come ricerca delle proprie origini e quindi delle proprie radici e legami biologici − e dell’art 30 della convenzione de L'Aja (29 maggio 1993), l’errata interpretazione dei commi 4 e 5 dell’art 28, legge n. 184/1983, ritenendo che si possano ricomprendere nei legami famigliari anche i fratelli.
La tematica riguarda la lettura del comma 5 dell’art. 28 legge n. 184/1983 ponendosi una questione puramente interpretativa circa l’ampiezza delle informazioni cui può accedere l’adottato.
L'articolo così recita:
«L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici».
Due sono le opzioni interpretative prospettate dalla Corte di cassazione:
- secondo la prima il riferimento normativo «accesso all’origine e identità dei propri genitori biologici» deve considerarsi come una specifica dell’ambito delle informazioni che l’adottato ha il diritto di conoscere, e pertanto «tale informazione soddisfa l’esigenza conoscitiva relativa alle origini»;
- in base alla seconda, invece, la formula normativa non ha carattere esaustivo delle informazioni cui può accedere l’adottato, volendo il legislatore far riferimento all’intero nucleo familiare originario.
Il Collegio, accogliendo quest’ultima opzione ermeneutica, afferma tuttavia che «l’esercizio del diritto nei confronti dei genitori biologici e nei confronti degli altri componenti non può realizzarsi con modalità identiche».
Ed invero, con riferimento alla conoscenza dell’identità dei genitori biologici il legislatore riconosce all’adottato un vero e proprio diritto potestativo a conoscere le proprie origini, svolgendo una valutazione ex ante della preminenza del diritto dell’adottato rispetto a quello dei genitori ed escludendo un bilanciamento ex post.
Soluzione che, secondo la Corte, non può essere automaticamente applicata nel caso in esame in considerazione della diversa posizione che i fratelli, rispetto ai genitori, assumono nello sviluppo della personalità di un individuo.
Ed infatti, «l’interesse dei fratelli alla riservatezza e quello dell’adottato a conoscere l’identità biologica degli stessi sono posizioni giuridiche di pari rango e di contenuto omogeneo sulle quali non sussiste alcuna predeterminazione legislativa circa la graduazione gerarchica dei diritti e degli interessi da comporre, come invece previsto nei commi 5 e 6 dell’art 28, con riferimento all’adottato maggiorenne che voglia conoscere l’identità dei genitori biologici».
Pertanto, nel caso in esame, «è necessario operare un bilanciamento tra le due posizioni in conflitto attraverso il procedimento d’interpello preventivo individuato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 278 del 2013».
Il diritto in questione, quindi, non può qualificarsi come diritto potestativo al pari di quello previsto dal comma 5 dell’art. 28 nel caso di richiesta di accesso all’identità dei genitori biologici.
[1] Per maggiori approfondimenti, vds. il commento, A. Giurlanda, Il diritto alla conoscenza delle proprie origini, in questa Rivista on-line, 15 maggio 2015, http://www.questionegiustizia.it/articolo/il-diritto-alla-conoscenza-delle-proprie-origini_15-05-2015.php
[2] Per maggiori delucidazioni, vds.: A. Giurlanda, Accesso alle origini, intervengono le Sezioni unite, in questa Rivista on-line, 17 febbraio 2017, http://questionegiustizia.it/articolo/accesso-alle-origini_intervengono-le-sezioni-unite_17-02-2017.php