Eugenio non si fermava mai, per questo era sempre un passo avanti. Ma sarebbe sbagliato pensare che adesso, che il destino ha dato un alt che nessuno di noi, a dispetto della ragione, immaginava possibile, sia facile o ineluttabile colmare quel divario, raggiungerlo e magari superarlo: quello stare un passo avanti rimane un connotato incancellabile che definisce per sempre la sua relazione con il mondo, la fissazione di un traguardo che, spostandosi sempre in avanti, fa di ogni risultato il punto di partenza per un nuovo impegno.
Questo è il suo insegnamento e se lo cogliamo nel suo significato più profondo lui continuerà sempre a scartarci di un paio di lunghezze.
Conoscevo Eugenio da quando era pretore alla V sezione penale di Roma, quella degli anni della lotta all’abusivismo, e l’ho poi rincontrato al Ministero, alla Procura generale della Cassazione, in tante occasioni di scambio e di discussione, ho letto le sue cose ogni volta che, per la mia attività o il mio lavoro, dovevo confrontarmi con i temi della cooperazione giudiziaria, dei diritti umani, delle corti internazionali; proprio di recente l’ho visto nel mio ufficio per discutere dei temi dell’inaugurazione dell’anno giudiziario vaticano, nella sua ultima veste di promotore aggiunto di giustizia della Città del Vaticano.
Tra di noi un rapporto intermittente, ma assai risalente nel tempo e sempre sotto il segno della disponibilità e della generosità, e dico questo solo per sottolineare come non fosse necessario essere nella cerchia dei suoi amici più stretti per apprezzarne le qualità e percepire l’immediata empatia del suo approccio. Molte chiacchierate e qualche lungo viaggio in aereo aggiungono a questo il rimpianto per un conversatore brillante, un osservatore acuto dei fatti e delle persone, un instancabile fonte di spunti, idee, suggerimenti, punti di vista che improvvisamente rovesciavano la prospettiva dell’osservazione. A volte avevi l’impressione che seguisse un ragionamento che non aveva molto a che fare con le premesse sulle quali tu avevi impostato il discorso, poi scoprivi invece linee di convergenza che ne arricchivano enormemente i contenuti o ne mettevano in crisi passaggi essenziali.
Con questa cifra ha attraversato tutte le sue molteplici esperienze professionali, sempre all’insegna della vocazione per il diritto penale internazionale: dalla partecipazione alla conferenza diplomatica per l’istituzione del Tribunale penale internazionale, all’istituzione del Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nell’ex Iugoslavia, dalla difesa dell’Italia avanti alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, alla partecipazione ai negoziati per la convenzione europea di assistenza giudiziaria e quella per il mandato di arresto europeo, alla costituzione e promozione della rete di assistenza giudiziaria, alla gestione di delicatissime procedure estradizionali e di rapporti con le autorità giudiziarie straniere, da Priebke a Badalamenti, da Öcalan a Baraldini.
E sicuramente sono più le cose che dimentico di quelle che ricordo, molte quelle che ignoro. So che nei rapporti internazionali Eugenio non solo era competente, ma riconosciuto all’estero come interlocutore stabile ed affidabile: andando con lui o in contesti in cui l’Italia era associata al suo nome (e nella miglior tradizione dei fori internazionali di negoziazione operativa tutti lo chiamavano con il nome di battesimo, declinandolo in una plurima gamma di formulazioni fonetiche a seconda della nazionalità del parlante, ma sempre con affetto e cordialità) ogni porta si apriva con un sorriso di benvenuto e tutto era più facile. È stato il biglietto da visita dell’Italia e ha sempre rappresentato la tradizione più progressista, attenta ai diritti, moderna, egualitaria e collaborativa dell’amministrazione della giustizia e della magistratura italiana.
Eugenio era entrato in magistratura nel giugno del 1972, a 26 anni, e nel giugno del 1973, nel conferirgli le funzioni giudiziarie, il magistrato di affidamento, con una prosa che già allora ci sarebbe sembrata superata dal tempo, ne descriveva le caratteristiche. A dispetto del luogo comune secondo il quale i pareri sono tutti uguali, il suo, che non riesco a non pensare se non scritto con una di quelle penne stilografiche d’epoca che Eugenio collezionava con passione, coglie nel segno vedendo una promessa nel giovane magistrato Selvaggi:
«Imponente capacità immaginativa presidiata da penetrante spirito critico, prepotente selettività nel campo della ideazione associativa, di stampo sillogistico, con conseguente marcato potere di razionalizzazione concettuale. Queste doti che sono racchiuse in un incisivo e sano carattere, perspicuo frutto di esemplare educazione familiare e sociale e che testimoniano d’una indubbia elevatezza di ingegno, gli consentono, nell’ambito delle discipline giuridiche o di quelle altre che egli dovesse parallelamente coltivare, di non concedere apprezzabili spazi alle incognite: le quali si può con certezza asserire che saranno agevolmente assorbite dalle sue qualità induttive. Egli ha doviziosa capacità di utilizzazione delle categorie generali e degli istituti basilari, nei quali con estrema intuizione riesce a collocare il dato particolare. Il che nel campo del diritto si risolve nel tranquillante pronostico che saprà sagacemente strumentare le proprie cognizioni giuridiche onde accogliere in esse, con opportune catalogazioni, le innumeri esperienze giudiziarie che lo attendono…»
Eugenio è stato fedele a quelle promesse, noi dobbiamo essere fedeli al suo esempio.