Julien Benda nel 1942 scrive: «Dal punto di vista spirituale, la caratteristica della democrazia è di ritenere sovrani certi valori assoluti, vale a dire concepiti come indipendenti da qualsiasi situazione di tempo o di luogo, e superiori a qualsiasi interesse individuale e collettivo; valori le cui declinazioni principali sono la giustizia, la verità, la ragione»[1].
Ma già per Alexis de Tocqueville «la democrazia non può raggiungere la verità che con l’esperienza, e molti popoli non possono attendere, senza perire prima, i risultati dei loro errori»[2]. Siamo più ottimisti rispetto all’autore de La democrazia in America e speriamo di poter raggiungere la verità prima di perire, pur nella consapevolezza che nulla va mai dato per scontato riguardo alla democrazia, né i suoi punti di forza, né le sue debolezze.
Ciò implica, necessariamente, che occorre rimanere fedeli ai valori declinati da Julien Benda riflettendo in particolare sul ruolo delle pratiche politiche e delle istituzioni – soprattutto del “potere giudiziario” – senza trascurare il campo sociale, ove si formano e si deformano i fattori delle dinamiche democratiche.
Tutti questi campi sono in crisi.
Per quanto riguarda le pratiche politiche, al cuore della crisi si trova la questione della rappresentanza della diversità politica e sociale.
Una parte della popolazione, specialmente la meno avvantaggiata, ritiene che il problema degli interessi che le sono propri, quelli collegati ai suoi bisogni vitali quotidiani, non sia preso in adeguata considerazione negli atti governativi, che invece sono guidati dagli interessi dei grandi attori economici e delle classi più agiate.
Al di là di tale impressione, l’aspettativa sociale nei confronti della democrazia non è più fondata sull’espressione unicamente maggioritaria della “volontà generale”. «Un potere, pertanto, non è più da considerarsi pienamente democratico se non allorché sia sottoposto a dei sistemi di controllo e di validazione al contempo concorrenti e complementari rispetto all’espressione maggioritaria», e ancora «Ci aspettiamo che si conformi ad un triplice imperativo: di distanziamento dalle posizioni di parte e dagli interessi particolari (légitimité d’impartialité), di considerazione delle espressioni plurali del bene comune (légitimité de réflexivité), di riconoscimento di tutte le singolarità (légitimité de proximité)». Queste analisi di Pierre Rosanvallon[3] rimescolano le carte delle valutazioni sul funzionamento democratico di una società, troppo spesso esclusivamente incentrate sul processo elettorale, ponendo particolare accento da un lato sulla necessità di controlli e validazioni di natura non politica, dall’altro sulla triade delle legittimità: imparzialità, riflessività e prossimità.
Tutte esigenze, queste, che mettono in discussione il ruolo delle istituzioni. E una società democratica si può concepire soltanto con il consenso pubblico nei confronti delle istituzioni. Tale consenso presuppone in particolare che le persone che popolano un paese possano contare su un sistema giudiziario atto a garantire e proteggere le loro libertà.
In effetti il “potere giudiziario”, secondo i principi riconosciuti dalle istanze internazionali, e specialmente europee, deve assicurare ai cittadini una tutela effettiva in caso di violazione delle libertà, ed essere in grado di fornire protezione dei diritti fondamentali specialmente ai soggetti più vulnerabili. E qualsiasi potere politico, anche forte di una lunga tradizione democratica, può essere tentato di violare le libertà fondamentali, donde la necessità di funzioni di controllo e di validazione, evidenziate da Pierre Rosanvallon, le quali passano necessariamente attraverso il “potere giudiziario”.
Pur collocandosi in una lunga tradizione democratica che si richiama agli ideali della Rivoluzione del 1789, la situazione della Francia non è sufficientemente in linea con le esigenze che si sono appena richiamate, in ragione di deficienze proprie tanto della pratica del potere politico quanto delle istanze di controllo, e di una generale configurazione del suo sistema istituzionale, specialmente giudiziario. Se le linee che seguono si concentrano sui sistemi politici e giudiziari, rimane ferma l’importanza di richiamare entro quale quadro storico e sociale essi siano collocati ed attualmente vivano.
Il peso della storia, l'impatto dell'attualità
Il contesto storico
Un legicentrismo suprematista
L’instaurazione della nostra democrazia, in epoca rivoluzionaria, trovò la propria fonte esclusivamente nella sovranità popolare, senza per di più far ricorso, contrariamente a quanto avvenne negli Stati Uniti, al concetto di checks and balances; la giustizia, senza un briciolo di potere proprio, divenne così servitrice della legge, unico esito della volontà generale.
Non riconoscendo alcun potere proprio alla giustizia, i rivoluzionari negarono ogni legittimità democratica ai tribunali, nell’auspicio di creare, rendendo il potere al popolo, un diritto «semplice come natura». È per questo motivo che Adrien Duport, in occasione dei dibattiti in Assemblea Costituente, ebbe a chiarire: «il potere giudiziario, ciò che noi impropriamente chiamiamo “potere giudiziario”, è l’applicazione della legge o volontà generale ad un fatto particolare, non è dunque in ultima analisi che l’esecuzione della legge»[4].
La stessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 evocava unicamente il potere legislativo e il potere esecutivo nel suo Preambolo, e nell’enunciato del suo articolo 16 («Ogni società in cui non sia assicurata la garanzia dei diritti, né determinata la separazione dei poteri, non ha Costituzione») si guardò bene dal citare quel terzo potere. Così, questa proclamazione della separazione dei poteri ha dovuto convivere, nel corso della nostra storia, con l’incubo, spinto fino all’ossessione, del “governo dei giudici”.
Un legicentrismo senza controllo
Secondo tale concezione rousseauiana della legge, questa, in quanto espressione della volontà generale e della sovranità nazionale, non poteva essere limitata neanche dai diritti e dalle libertà dell’individuo. Così le Costituzioni francesi, pur riaffermando la loro fedeltà alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, non previdero alcun meccanismo giurisdizionale atto ad assicurarne la protezione; un meccanismo come il controllo di costituzionalità sarebbe stato contrario alla sovranità nazionale, dal momento che avrebbe consentito di opporsi alla legge. La garanzia della libertà risiedeva interamente nella legittimità dell’autorità sovrana incaricata di creare il diritto: la legge stessa, cui spettava di mettere in discussione una cattiva legge.
Un legicentrismo al cuore del regime rappresentativo
Ricordiamo che i padri fondatori delle nostre prime Costituzioni riconobbero il sistema parlamentare rappresentativo come fondato su due princìpi: il primato della legge e l’introduzione di un popolo legislatore, il “popolo sovrano”. La legge era dunque espressione della volontà generale[5] e i rivoluzionari francesi credevano al «efficace dono della volontà generale»[6]. In effetti «la finalità dell’elezione non è di formare quest’ultima attraverso il censimento delle preesistenti volontà individuali, bensì di designare i rappresentanti incaricati in nome della Nazione di pronunciare la volontà generale»[7]. Gli interessi particolari vennero radicalmente esclusi dalla sfera pubblica, ostacolando così qualsiasi formazione potesse rappresentare interessi collettivi come quelli degli operai o dei contadini[8], impedendo in questo modo di esprimere le loro rivendicazioni entro un quadro legale.
Il contesto politico e sociale
Crisi di fiducia politica
In molti Paesi occidentali la democrazia rappresentativa è in crisi. I principali partiti di governo sono in grande difficoltà, mentre alcuni partiti populisti si formano e prosperano denigrando la classe politica, “i professionisti della politica” (e coinvolgendo nella loro vendetta, insieme a tutti gli altri, i giudici, accusati di tradire la volontà del popolo).
Emmanuel Macron, pur presentandosi come un baluardo contro il populismo, ha preteso di stravolgere il panorama politico con un programma “ni droite ni gauche” e con l’avvento di una nuova categoria di eletti “non professionisti della politica”. Di certo ha determinato il crollo dei partiti politici tradizionali, ma l’orientamento delle sue scelte di governo a favore della classe sociale più agiata ha accentuato la rottura del politico con qualsiasi base popolare; rottura ancor più aggravata dal misconoscimento, da parte di molti tra i “nuovi eletti”, delle attese sociali.
Emmanuel Macron, inoltre, sin dal suo arrivo all’Eliseo ha intrattenuto una relazione piuttosto tesa con quelle istituzioni “dell’interazione”[9] che sono i corpi intermedi. Ora, questi gruppi sociali – sindacati, partiti politici, associazioni, movimenti vari, formali o informali che siano – svolgono il ruolo di ammortizzatori nei confronti della storica tendenza alla centralizzazione (monarchica e in seguito repubblicana) dello Stato francese.
Rivendicazione sociale forte: quando l’indignazione sociale si esprime
Perché tanto malcontento all’interno di un Paese caratterizzato da forte mobilità sociale e redistribuzione finanziaria, elementi dei quali gli studi teorici evidenziano il contributo alla riduzione del tasso di povertà[10]? Certamente i governi hanno mostrato una certa tendenza a diminuire tale redistribuzione[11], tendenza che ha avuto come culmine una riforma pensionistica mal preparata, senza una vera e propria concertazione, oscura ed avvertita dalla maggior parte della popolazione come iniqua (con ciò regalando nuova vita proprio a quei sindacati di cui si voleva l’indebolimento).
Ma si aggiunge un’altra spiegazione. Le disuguaglianze, in Francia, si sono ad un tempo moltiplicate e individualizzate. Nonostante i ricchi siano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri[12], non si può dire, propriamente parlando, che il livello delle disuguaglianze sia esploso; tuttavia l’esperienza delle persone è cambiata, in quanto, ridotte alla loro individualità e come intrappolate in essa, devono far fronte a una tale situazione[13]. In assenza di una presa in carico politica e della capacità di esprimersi efficacemente attraverso i corpi intermedi messi a tacere da Emmanuel Macron, le indignazioni indotte da questi declassamenti e disagi del vivere – la somma dei quali non può costituire, da sola, una rivendicazione politica – aprono la strada ad un’ampia contestazione. E l’assenza di qualsiasi intermediazione istituzionale offre libero spazio, nell’ambito della manifestazione di protesta, ad uno scontro tra l’indignazione degli individui e le forze dell’ordine; una indignazione individuale, questa, che rifiuta qualsiasi leadership o gruppo strutturato.
Questa è una delle prospettive (probabilmente quella determinante) in cui è possibile leggere il movimento dei “gilets gialli”, attraversato peraltro da rivendicazioni ed espressioni diversificate, e frammentato quanto ai criteri tradizionali di analisi politica (praticamente dall’estrema destra all’estrema sinistra) da cui i vari esponenti intendono decisamente allontanarsi. Essi, in ogni caso, non sono riusciti a costituire un movimento politico.
Al di là del movimento dei “gilets gialli”, la popolazione è animata da una insofferenza per il politico, i fattori di costruzione del consenso al potere, indispensabile al sereno funzionamento di uno Stato di diritto democratico, si incrinano. A fronte di un così diffuso disincanto, i governanti si irrigidiscono e rischiano di cedere alla tentazione di contrarsi in una reazione sproporzionata, basata sulla forza.
Gli elementi produttivi di indignazione e una tale contrazione da parte dei governanti possono essere considerati banchi di prova per i poteri pubblici quanto al rispetto delle libertà fondamentali.
Il potere esecutivo
La costruzione di un regime forte
La Quinta Repubblica è succeduta al sistema politico della Quarta Repubblica, considerato come caratterizzato da instabilità a causa della difficoltà nel costituire governi e nel mantenerli al potere – ventiquattro governi dal 1947 al 1958, di durata assai diversa (da un solo giorno a sedici mesi). Nessun partito disponeva della maggioranza in Assemblea, mentre fragili coalizioni erano fatte e disfatte a seconda delle circostanze. E, soprattutto, quel regime fallì nel risolvere la questione coloniale.
Nondimeno, occorre non dimenticarlo, quella Repubblica assicurò la ricostruzione della Francia dopo il sisma umano, politico ed economico generato dalla Seconda guerra mondiale e ciò, senza dubbio, grazie ad un personale di Stato reclutato in parte tra i nuovi strati sociali, e/o uscito dalla Resistenza.
Come è noto, il generale De Gaulle fu chiamato al potere in occasione di un movimento semi-insurrezionale, nato il 13 maggio 1958 in una Algeria in piena guerra di decolonizzazione. Eroe della resistenza all’occupazione nazista e della vittoria nel 1944-45, il generale De Gaulle venne acclamato come l’uomo giusto per salvare una situazione ritenuta deleteria per la Francia.
Nella nuova Costituzione, elaborata dietro sua insistenza, fu data priorità alla “efficacia”, puntando su un potere forte nelle mani di un esecutivo bicefalo ma sbilanciato, con un Presidente della Repubblica predominante rispetto al Primo Ministro, essendo quest’ultimo quasi un suo mero esecutore.
Per giunta, il sistema di funzionamento del parlamento affida la direzione delle assemblee al potere esecutivo: a quest’ultimo viene data priorità nel fissare l’ordine del giorno delle assemblee, le quali hanno un limitato potere d’iniziativa (anzi non ne hanno alcuno, nel caso si tratti di proporre testi che impongono nuove spese pubbliche).
Per l’adozione di un testo, si svolge la “spola” (navette) tra le due assemblee, l’Assemblea nazionale – composta di deputati eletti a suffragio diretto, e dunque ritenuta essere la principale detentrice della sovranità popolare – e il Senato – composto da senatori eletti a suffragio indiretto e, per la parte essenziale, da rappresentanti dei poteri locali (Comuni, regioni, dipartimenti).
Possono tenersi al massimo, per ciascuna assemblea, due letture dei testi sottoposti a votazione. In caso di divergenze fra le posizioni delle due assemblee – storicamente sono stati rari i periodi in cui le maggioranze parlamentari erano identiche nelle due assemblee – a prevalere è l’Assemblea nazionale unica detentrice diretta della sovranità popolare.
Storicamente, inoltre, c’è stata identità di maggioranza politica tra il Presidente della Repubblica e l’Assemblea nazionale, ad eccezione dei – rari – periodi detti di “coabitazione”. Dal 1958, solo tre periodi di coabitazione hanno avuto luogo: 1986-1988; 1993-1995; 1997-2002.
Proprio per evitare le coabitazioni, che da alcuni erano considerate dannose per il funzionamento dello Stato in quanto avrebbero impedito riforme importanti, in occasione di una riforma costituzionale del 2 ottobre 2000 è stato previsto un mandato presidenziale di cinque anni, rinnovabile una sola volta.
E da allora (ossia dal 2002, seconda elezione di Jacques Chirac) le elezioni presidenziali e parlamentari si susseguono in modo che ci sia, tra le due, identità di maggioranza, rendendo evidente come, nel complesso, una maggioranza parlamentare possa spesso esprimersi, e la ricerca di una coalizione possa dirsi non appartenere al funzionamento attuale del nostro sistema politico.
In questo modo, il potere esecutivo detiene di fatto le redini del potere, se si considera inoltre che esso dispone, in base alla Costituzione, del monopolio del potere regolamentare, nel quale il potere legislativo non può intromettersi[14].
Il controllo Costituzionale
Come si è visto precedentemente, lungo tutto il corso della nostra storia si è manifestata una volontà di dominazione del potere esecutivo sul “potere giudiziario”.
E la Costituzione del 1958 non ha menzionato che due poteri: quello legislativo e quello esecutivo (per l’appunto fortemente accresciuto), qualificando la giustizia “autorità giudiziaria”.
I costituenti del 1958 hanno così inteso designare la giustizia, in ragione della loro concezione dello Stato. Jean Foyer[15] (professore di diritto e uno degli ispiratori della Costituzione del 1958) indicò il motivo della scelta dell’espressione “autorità giudiziaria” nella valenza di un “potere rifiutato” alla giustizia.
Il Conseil constitutionnel non fa parte, nel testo della Costituzione, della “autorità giudiziaria”, e la sua natura costituisce l’oggetto di numerosi dibattiti dottrinali.
Il Conseil Constitutionnel
Non è necessario ricordare il profondo cambiamento introdotto, dopo il Secondo conflitto mondiale dal successo, in Europa occidentale, delle giurisdizioni costituzionali, a seguito dell’esperienza delle profonde negazioni dei diritti umani ad opera dei regimi fascisti e nazista; esse furono create in Paesi come la Germania, l’Austria, l’Italia, il Portogallo e la Spagna. La Francia, che aveva introdotto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948, non poteva sottrarsi al dinamismo di quel processo e, malgrado la sua tradizionale riluttanza, optò nel 1958 per un controllo di costituzionalità.
Funzioni e composizione
Tuttavia, il costituente del 1958 non ha creato il Conseil constitutionnel come una istituzione incaricata di controllare la costituzionalità delle leggi, bensì, di fatto, soprattutto come guardiana del confine tra leggi e regolamenti.
Ciononostante, nel corso del tempo l’istituzione si è riconosciuta competente a censurare una legge contraria ai diritti e alle libertà; la sua prima decisione a questo riguardo è intervenuta il 16 luglio 1971, ed ha considerato contraria alla Costituzione la disposizione di un testo che minacciava la libertà d’associazione.
È dunque stata la giurisprudenza del Conseil constitutionnel a consentire questo controllo, successivamente favorito da diverse riforme costituzionali che vi hanno facilitato l’accesso. Si è trattato, anzitutto, di rendere possibile l’avvio del controllo su istanza di parlamentari (legge del 29 ottobre 1974), e in seguito su istanza di parti di un processo già in corso – con il filtro della Cour de cassation o del Conseil d’État a seconda che si tratti di giudizio amministrativo o ordinario – (legge del 23 luglio 2008). Si tratta della Question Prioritaire de Constitutionnalité (QPC).
La composizione dell’organo è la seguente:
Membri di diritto: ex Presidenti della Repubblica membri a vita (solo due Presidenti hanno occupato questa posizione).
I membri vengono designati per nove anni (non rinnovabili), tre dal Presidente della Repubblica, tre dal Presidente del Sénat, tre dal Presidente dell’Assemblée nationale. Il Presidente del Conseil constitutionnel è nominato dal Presidente della Repubblica.
A seguito di una recente riforma costituzionale, le nomine dei membri designati dal Presidente della Repubblica sono sottoposte al parere delle commissioni incaricate delle leggi costituzionali all’interno di ciascuna assemblea, le quali detengono una sorta di diritto di veto a maggioranza qualificata[16]. Le nomine da parte dei Presidenti di ciascuna assemblea sono sottoposte al solo parere – pure con potere di veto – della commissione incaricata delle leggi costituzionali all’interno della relativa assemblea.
Attualmente il Presidente del Conseil è un ex primo ministro, e nella composizione dell’organo figura una consistente presenza di personalità politiche che non sono necessariamente giuristi[17] – e raramente giuristi di lungo corso– e che in tal sede trovano una posizione di fine carriera. Vi siedono due magistrati, ma tale presenza non è obbligatoria.
Una manifestazione di questo carattere più politico che giurisdizionale: il nostro attuale Ministro della giustizia è stato fino alla vigilia della sua nomina membro del Conseil constitutionnel, e il suo “licenziamento” è stato risolto, pare, in ventiquattr’ore.
Esistono due tipi di controllo:
- Il controllo a priori (obbligatorio per le leggi organiche)
Le leggi, prima della loro promulgazione, possono essere deferite al Conseil constitutionnel dal Presidente della Repubblica, dal Primo ministro, dal Presidente dell’Assemblée nationale, dal Presidente del Sénat o da sessanta deputati o sessanta senatori.
- Il controllo a posteriori: QPC
Una volta che la legge sia già entrata in vigore, questo controllo è in prima battuta nelle mani di una parte di un processo di primo grado, di appello, o dinanzi alla Cour de cassation; la parte fa valere che una disposizione legislativa applicabile nel giudizio in corso è contraria ai diritti e alle libertà garantiti dalla Costituzione. Il giudice non può sollevare lui stesso, d’ufficio, una simile questione. E ciò contrariamente a quanto accade per il controllo di convenzionalità di un testo, specialmente riguardo alla sua compatibilità con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, o con qualsiasi altro trattato internazionale direttamente applicabile in Francia; in tal caso, effettivamente, il giudice (di prima istanza, appello o Cassazione), nelle cui mani è affidato questo controllo, può agire d’ufficio; ugualmente avviene per quanto riguarda il diritto dell’Unione europea: il giudice può porre direttamente e d’ufficio una questione pregiudiziale alla CGUE.
Successivamente, il giudice (ordinario o amministrativo) verifica l’ammissibilità della questione. In caso di esito positivo egli la rimette, a seconda dei casi, alla Cour de cassation o al Conseil d'État. Solamente queste supreme giurisdizioni possono decidere riguardo alla rimessione della suddetta questione al Conseil constitutionnel. Per questo, essa dev’essere nouvelle et sérieuse.
Se il Conseil constitutionnel ritiene che non vi sia conformità alla Costituzione, annulla la legge in questione direttamente a decorrere dalla sua decisione, oppure con effetto differito nel tempo, onde consentire al legislatore di approvare una nuova legge.
Il Conseil constitutionnel può altresì ritenere che la legge sia conforme alla Costituzione, a condizione che sia interpretata in tale o tal altro senso. Si tratta della cosiddetta riserva di interpretazione (di creazione pretoria).
Senza ombra di dubbio, il Conseil constitutionnel offre una salvaguardia contro gli sconfinamenti sempre possibili dei poteri esecutivo e legislativo (l’uno agente su proposta dell’altro), specialmente in tempi di crisi (lotta contro il terrorismo, involuzione identitaria, risposte ai flussi migratori, ricorrenti tentazioni securitarie…).
Sono state rese decisioni importanti da questa istituzione, che non può, come sottolinea un professore di diritto pubblico, rappresentare una “Corte costituzionale di riferimento”, per ragioni che attengono soprattutto alla sua composizione e al suo funzionamento[18].
Qualche altra decisione invece è stata deludente (si vedano infra alcuni esempi).
Si può affermare che il Conseil constitutionnel svolga il ruolo di istituzione di misura democratica[19] e, in ogni caso, di baluardo contro ogni tentazione di dismisura antidemocratica.
L'istituzione giudiziaria
Il “potere giudiziario”, la “autorità giudiziaria” dopo la Costituzione del 1958, consta implicitamente[20] di due ordini di giurisdizioni: quella ordinaria e quella amministrativa[21].
Al vertice della giurisdizione amministrativa si situa il Conseil d’État, figura assai importante nel sistema francese. La giustizia amministrativa[22] gode di un suo proprio statuto, che non verrà richiamato nelle righe che seguono se non, ove occorra, per cenni.
Indipendenza ed imparzialità della giustizia sono virtù cardinali a cui l’istituzione giudiziaria deve rispondere per adempiere la propria missione costituzionale, così definita: «Articolo 66. Nessuno può essere detenuto arbitrariamente. L’autorità giudiziaria, garante della libertà individuale, assicura il rispetto di questo principio alle condizioni previste dalla legge».
Le garanzie di indipendenza della giurisdizione francese sono insufficienti
La “autorità giudiziaria” gode certamente di maggiori garanzie di indipendenza che nel 1958, specialmente grazie a evoluzioni statutarie positive ma anche grazie al sindacalismo giudiziario, ed in particolar modo per via del posizionamento critico ed attivo del Sindacato della Magistratura. La creazione del Sindacato nel 1968, è il caso di ricordare, provocò un salutare choc in una magistratura abituata al silenzio e all’obbedienza politica.
Ciononostante, la “autorità giudiziaria” non gode di una piena indipendenza; l’articolo 64 della Costituzione riflette questa specificità francese: «Il Presidente della Repubblica è garante dell’indipendenza dell’autorità giudiziaria. Egli è assistito dal Consiglio Superiore della Magistratura». La garanzia di indipendenza del “potere giudiziario” nelle mani del capo del potere esecutivo: che eresia!
Beninteso, il potere giudiziario non è al soldo del potere politico: diversi casi giudiziari a carico di personalità politiche – Nicolas Sarkozy, i coniugi Balkany, François Fillon ed altri – dimostrano il contrario. Ugualmente la Procura, la cui mancanza di indipendenza verrà evidenziata infra, non è associata ad un “cabinet noir”.
La giustizia francese sa prendere delle decisioni importanti e significative, e questo occorre sottolinearlo.
Tuttavia, in periodi delicati, la giustizia ha le mani legate, o addirittura se le lascia legare, bloccata in una tormenta che non le permette di prendere le distanze dagli eventi che agitano simili momenti. Ed è allora che la giustizia non appare sufficientemente garantista né all’altezza dell’indipendenza che potremmo a buon diritto aspettarci da essa.
Ne sono esempi, tra gli altri, la repressione mal gestita contro i “gilets gialli” e il troppo timido contrasto alle violenze commesse dalle forze dell’ordine (si veda infra) in occasione delle manifestazioni.
Ugualmente la giustizia si è lasciata intrappolare nei discorsi securitari dei regimi politici successivi[23] e i magistrati hanno contribuito così a far galoppare il sovraffollamento carcerario[24].
Allo stesso modo, essa si è lasciata sottomettere ad una logica manageriale e produttivista, a scapito del tempo necessario a rendere una giustizia rispettosa delle esigenze di un equo processo.
Questi esempi, insieme ad altri, giustificherebbero degli sviluppi.
Il potere limitato del CSM (Conseil Supérieur de la Magistrature)
Come in Italia e in Belgio, l’ordinamento giudiziario è composto da un solo corpo di magistrati. Il Conseil constitutionnel ritiene[25] che «L’autorità giudiziaria comprende sia i magistrati giudicanti (magistrats du siège) sia i pubblici ministeri (magistrats du parquet)». Tuttavia il CSM non gode degli stessi poteri relativamente ai magistrati du siège e ai magistrati du parquet, i quali ultimi sono gerarchicamente legati al Ministro della giustizia.
Certo il CSM non è più, come in passato, presieduto dal Presidente della Repubblica, poiché ormai, a seguito della riforma costituzionale del 23 luglio 2008, il “CSM siège” è presieduto dal Primo Presidente della Cour de cassation e il “CSM parquet” dal Procuratore Generale presso la stessa Corte. Quando il CSM si riunisce in formazione plenaria, è presieduto dal Primo Presidente della Cour de cassation, mentre il Procuratore Generale svolge funzione di vice-presidente.
In termini generali, il CSM ha un potere assai limitato.
Non viene consultato in occasione della redazione del bilancio della giustizia, e di conseguenza non emette alcun parere né sul suo ammontare né sugli stanziamenti e indirizzi finanziari.
Non dispone di un ispettorato, dal momento che il potere d’ispezione dei servizi giudiziari appartiene al Ministero della giustizia. Non viene consultato sulle riforme giudiziarie, né in generale sulle leggi che potrebbero, in un modo o nell’altro, produrre un impatto sul funzionamento della giustizia. In Francia è il Conseil d’État (che storicamente discende dal Consiglio del Re) che, obbligatoriamente, fornisce pareri sulle leggi e sui decreti.
Esso è ad un tempo organo disciplinare ed organo di nomina dei magistrati.
Tali poteri tanto di nomina quanto disciplinari vengono esercitati sotto il controllo diretto o indiretto del Conseil d’État.
In ambito disciplinare, il CSM ha pieni poteri per quanto riguarda i magistrati du siège e un semplice potere di proposta per i magistrati du parquet, in quanto la decisione finale spetta al Ministro della giustizia (che non può stabilire una sanzione maggiore rispetto a quella prospettata dal CSM, potendo tutt’al più richiedere una nuova deliberazione qualora ne ritenga necessaria una più severa).
In materia di nomine, il CSM gode di un potere molto limitato di proposta, se si pensa che i decreti di nomina dei magistrati sono firmati dal Presidente della Repubblica.
In effetti, per quanto riguarda la magistratura giudicante, il CSM propone unicamente le nomine dei magistrati della Cour de cassation, dei primi presidenti di Corte d’appello e dei presidenti dei tribunali, dovendosi limitare per gli altri a dare o meno il proprio assenso alle proposte di nomina presentate dal potere esecutivo, che possono essere scavalcate solo per le nomine dei pubblici ministeri.
Una riforma costituzionale sul punto è stata ipotizzata a più riprese, tuttavia per il momento resta accantonata. Non si tratta di un progetto molto ambizioso; viene solamente previsto che il parere del CSM vincoli il Presidente per i magistrati della Procura, senza prospettare, malgrado la rivendicazione del Sindacato della Magistratura al riguardo, che il CSM possa anche proporre, parallelamente a quanto già accade per la magistratura giudicante, le nomine dei Procuratori generali, dei Procuratori della Repubblica e dei pubblici ministeri della Cour de cassation.
Lo Statuto della magistratura requirente, un assillo per la democrazia
Il legame storico tra magistratura inquirente e potere esecutivo
La questione dello statuto della magistratura du parquet e del suo legame col potere esecutivo è, in Francia, materia di interesse su cui periodicamente si discute in funzione dell’attualità[26].
Un’esemplificazione particolarmente eloquente della volontà di non cambiare nulla a tal riguardo è stata, nel 2018, la nomina del Procuratore della Repubblica di Parigi, dal momento che, con ogni probabilità, su di essa è intervenuto personalmente l’attuale Presidente della Repubblica. In ogni caso, il Primo ministro Édouard Philippe ha dichiarato «Mi assumo completamente la responsabilità di incontrare [i candidati], e di assicurare che colui che sarà proposto alla nomina e al parere del Conseil Supérieur de la Magistrature sarà perfettamente in linea e che mi troverò perfettamente a mio agio con questo procuratore».
Emmanuel Macron, nel gennaio 2018, in occasione della solenne udienza di ripresa dei lavori della Cour de cassation aveva dichiarato: «Sono profondamente convinto che la procura alla francese debba essere ricollegata all’autorità del Guardasigilli, ma che spetti a noi vigilare sulla sua indipendenza». Missione impossibile!
Quest’aporia è condivisa dal Conseil constitutionnel. In effetti, per effetto di una decisione dell’8 dicembre 2017, resa su una QPC riguardante il testo statutario che aveva istituito un rapporto di subordinazione tra il Ministro della giustizia e la Procura[27], esso ha ritenuto che le disposizioni di quel testo «assicurano un compromesso equilibrato tra il principio di indipendenza dell’autorità giudiziaria e le prerogative che il Governo trae dall’articolo 20 della Costituzione» e che esse «non contrastano neanche con la separazione dei poteri»[28]. Il Conseil constitutionnel ha basato la propria decisione sul seguente motivo: «Del resto, in applicazione del secondo comma dell’articolo 30 del Codice di procedura penale, il Ministro della giustizia può rivolgere ai magistrati della Procura istruzioni generali di politica penale, specialmente con riguardo alla necessità di assicurare su tutto il territorio della Repubblica l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge». Ha inoltre proclamato «che la Costituzione sancisce l’indipendenza dei magistrati du parquet, da cui deriva il libero esercizio della loro azione davanti alle giurisdizioni, che tale indipendenza dev’essere conciliata con le prerogative del Governo», ammettendo tuttavia «che essa non è assicurata tramite le stesse garanzie che si applicano ai magistrati du siége». Conformemente a una lunga tradizione storica, risalente nientemeno all’antico regime[29], la Procura rimane così subordinata al Ministro della giustizia.
Pertanto una differenza tra livelli di garanzia, pur in seno ad un corpo unitario e costituzionalmente indipendente senza alcuna distinzione in base alla funzione, viene considerata dal Conseil constitutionnel come un compromesso ragionevole!
Viene così a manifestarsi una vera e propria contraddizione fra subordinazione del parquet e indipendenza della giustizia. Alcune pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo insistono su questa imperfezione francese. A più riprese, infatti, la Corte EDU[30] ha messo in rilievo l’assenza di indipendenza dei “magistrati” requirenti francesi.
Ma quali sono le prerogative che il Governo trae dall’articolo 20 della Costituzione
Articolo 20 della Costituzione: «Il Governo determina e dirige la politica nazionale. Dispone dell’amministrazione e delle forze armate […]».
Una legge del 9 marzo 2004 ha stabilito che «Il Ministro della giustizia dirige la politica penale determinata dal governo. A tal fine, rivolge ai magistrati della Procura istruzioni generali di azione pubblica. Vigila sulla coerenza della sua applicazione sul territorio della Repubblica». La disposizione figura nell’articolo 30 del Codice di procedura penale.
Prima della promulgazione di questo testo, il Conseil constitutionnel, investito della questione dall’allora opposizione (vale a dire la “Sinistra” che era stata al potere dal 1981 al 1986, dal 1988 al 1995, e dal 1998 al 2002), ha ritenuto (decisione del 2 marzo 2004) che «lo statuto della magistratura, posizionando i magistrati du parquet sotto l’autorità del Ministro della giustizia, non viola né la concezione francese della separazione dei poteri, né il principio secondo cui l’autorità giudiziaria comprende ugualmente i magistrati du siége e quelli du parquet, né alcun altro principio o regola di valore costituzionale». Per giungere a tale conclusione, il Conseil, che si era già in precedenza basato sull’articolo 20 della Costituzione, citato in questi termini: «Il Governo determina e dirige le politica della nazione, specialmente nell’ambito dell’azione pubblica», fa riferimento all’articolo 5 dell’ordinanza del 22 dicembre 1958, che pone i magistrati du parquet sotto l’autorità del Ministro della Giustizia.
Ora, l’articolo 20 non parla esplicitamente dell’azione pubblica. Personalmente, ritengo che la «politica penale», altro nome della «azione pubblica», non sia la politica della nazione ma il funzionamento della giustizia penale, il quale dev’essere esercitato all’insegna del rispetto della separazione dei poteri. Essa deriva automaticamente dall’applicazione, da parte di tutti i magistrati d’accusa, della procedura penale, delle leggi e dei regolamenti rilevanti in ambito penale. I procuratori non sono dei prefetti giudiziari e la giustizia, se può esser considerata un servizio pubblico, è un servizio pubblico sovrano, non assimilabile ad un’amministrazione. Così, indicando «soprattutto nell’ambito dell’azione pubblica» con riguardo all’articolo 20 della Costituzione, il Conseil constitutionnel ha operato un’aggiunta al testo senza tener conto della specificità della giustizia[31]. Il Conseil ha tralasciato inoltre il secondo comma dell’articolo 20, il quale prevede che, per condurre la politica della Nazione, il Governo «dispon[ga] dell’amministrazione e delle forze armate» e non de «l’autorità giudiziaria», che è l’unico termine con cui la Costituzione si riferisce alla giustizia.
Inoltre, il Conseil constitutionnel nel 2004 ha fatto leva sulla dipendenza statutaria dei magistrati du parquet dal Ministro della giustizia, al fine di validare il principio della direzione della politica penale da parte di quest’ultimo e l’invio di circolari; successivamente, investito di una QPC sullo stesso statuto di dipendenza, si è basato sul testo che tre anni prima aveva dichiarato legittimo proprio in virtù di quello ora sottoposto a QPC. Il classico serpente che si morde la coda!
Come abbiamo visto, sono le istruzioni generali che connotano la prerogativa funzionale del Governo sui magistrati du parquet, unitamente alle modalità di nomina che, in ultima analisi, rimangono tra le mani del solo Ministro della giustizia.
La fine delle istruzioni individuali non ha segnato la fine del rapporto di dipendenza: dalle istruzioni generali alle remontées d’informations
La legge del 25 luglio 2013 ha disposto che il Ministro della giustizia non possa fornire istruzioni ai procuratori sui singoli procedimenti[32]. Ovviamente, questo divieto non può costituire oggetto di alcun controllo e di fatto non è possibile alcuna trasparenza.
Questa legge ha, di contro, fornito una base legale alla pratica molto antica della comunicazione di informazioni (e dunque di documenti processuali) dal Pubblico Ministero al Guardasigilli in ogni singolo procedimento in corso[33] (normalmente coperto dal segreto di indagine garantito dall’articolo 111 del Codice di procedura penale!).
L’ex Guardasigilli Jean-Jacques Urvoas lo scorso 30 settembre è stato condannato – fatto senza precedenti – dalla Cour de justice de la République per il reato di «violazione del segreto professionale» a un mese di reclusione con sospensione condizionale e a cinquemila euro di ammenda, per aver fornito una nota confidenziale a un deputato che si trovava allora al centro di una inchiesta parlamentare, segnatamente per corruzione, dal momento che l’informazione di cui disponeva il Ministro era il frutto di una “remontée d’informations”.
Per quanto riguarda le circolari di politica penale, questa pratica esiste da lunga data, tuttavia, come già evidenziato, queste circolari non poggiano su alcuna base di validità costituzionale.
Inoltre, le istruzioni generali associate alle remontées d’informations creano una porosità nefasta tra il potere esecutivo e il parquet, e non possono perciò che alimentare un sospetto quanto al rischio di strumentalizzare la magistratura. E come ci ricorda senza sosta la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’apparenza è essenziale nella valutazione del funzionamento della giustizia, e in special modo della garanzia di imparzialità.
Occorre dire che in Francia vige il principio della opportunità dell’azione penale, e la Procura, in applicazione dell’articolo 40-1 del Codice di procedura penale, può «archiviare senza seguito» un «procedimento allorché le circostanze particolari connesse alla commissione dei fatti lo giustifichino», e ciò senza controlli da parte di un magistrato giudicante. Certo, l’archiviazione del fascicolo interviene anche nel caso in cui il reato non sia grave. Per il resto non è più al passo coi tempi l’archiviazione per opportunità “pura”, almeno quando sia da considerarsi come tale (dal momento che una archiviazione per reato non grave potrebbe dissimularne una per opportunità, o per mancanza di volontà d’approfondire talune cause potenzialmente delicate).
E le ingiunzioni dell’autorità, esplicite o meno, riguardano anche la scelta delle modalità con cui procedere, scelta che influisce fortemente sul funzionamento della macchina processuale e sulla pronuncia finale del giudice (ad esempio, la comparizione immediata favorisce la custodia cautelare e l’irrogazione di pene detentive[34]).
Circolari siffatte possono costituire una vera e propria onda sistemica che, tramite la loro applicazione sul campo, è potenzialmente in grado di compromettere il funzionamento di una giurisdizione, come mostra la repressione dei “gilets gialli”. Occorre dire che in Francia la Procura condiziona fortemente l’organizzazione dei procedimenti penali, dal momento che essa dispone del potere di gestire le udienze, e che il numero e le date di queste sono stabiliti per decisione congiunta del Presidente del tribunale ordinario e del Procuratore della Repubblica[35]. Inoltre le decisioni che vertono sull’organizzazione di una giurisdizione non sono suscettibili di alcun ricorso.
Le garanzie in tempo di crisi
La “giudiziarizzazione” del mantenimento dell’ordine, un sintomo delle insufficienze della giustizia francese riguardo la garanzia dei diritti fondamentali
In circostanze come le manifestazioni dei “gilets gialli” che hanno scosso la Francia a partire dalla fine del 2018, il “buon funzionamento” della giustizia deve consistere nella repressione degli atti di violenza compiuti dai manifestanti, e dell’illegittimo uso della forza da parte della polizia, e ciò con il medesimo rigore giuridico tanto sulla valutazione delle prove quanto sulla commisurazione della sanzione, ad esito di un processo «equo», come definito dall’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Già il 22 dicembre 2018, il Ministero della giustizia ha indirizzato una circolare che invitava alla fermezza nel punire le infrazioni commesse a margine del movimento di contestazione detto “dei gilets gialli”.
Alcune citazioni: «Come state già facendo, continuerete a dar prova di reattività nel portare avanti l’azione pubblica contro gli autori di tali infrazioni [commesse in occasione delle manifestazioni e di altri movimenti collettivi] e a fornire una risposta penale sistematica e rapida. I fatti più gravi, in particolare le violenze commesse nei confronti delle forze dell’ordine, dovranno dar luogo a dei rinvii a giudizio nella forma di comparutions immédiates, comparutions par procès-verbal, e comparutions sur reconnaissance préalable de culpabilité. Gli altri strumenti di risposta penale, specialmente quelli alternativi al processo, saranno riservati ai fatti meno gravi ed isolati. Nell’ipotesi di rinvii multipli, l’adattamento del funzionamento della giurisdizione, in ogni stato del procedimento penale, verrà valutata di concerto con i magistrati du siège».
Occorre, a margine, annotare che la quasi totalità delle persone che sono comparse dinanzi alla giustizia non aveva alcun precedente giudiziario.
Emerge che le garanzie giudiziarie non abbiano funzionato a dovere[36]: utilizzo massiccio delle comparutions immédiates, forte eterogeneità delle decisioni non giustificata dalla diversità di circostanze, repressione sproporzionata, utilizzo disinvolto delle alternative al processo (v. infra), inefficienze ricorrenti se non addirittura strutturali.
Fra queste, è possibile citare la nota «trattenimento gilets gialli» indirizzata al parquet il 12 gennaio 2019 dal Procuratore della Repubblica di Parigi[37]. Questi invita i magistrati a non revocare la custodia se non «il sabato sera o la domenica mattina, onde evitare che gli interessati tornino ad ingrossare le fila dei facinorosi». È stata inoltre raccomandata la schedatura delle persone interpellate anche in caso di archiviazione dei fascicoli.
Merita d’essere riportata qualche cifra: al 20 giugno 2019[38] (quando il movimento non si era ancora concluso), erano già state pronunciate 3100 condanne, un vero record per un movimento sociale, 1000 di queste a pene detentive di cui 400 con reclusione immediata; 10000 custodie cautelari (più di 3000 solo a Parigi), 2000 rinvii a giudizio immediati, 2200 archiviazioni e 2400 misure alternative al processo.
Quest’ultima categoria richiede particolare attenzione, poiché entro il quadro di un «richiamo all’ordine» e di una «archiviazione sotto condizione» alcuni manifestanti si sono visti notificare una diffida dal comparire a Parigi per tre mesi; notificata generalmente tramite una “delega del procuratore” su ordine di quest’ultimo, tale misura non è suscettibile di alcun controllo (né di convalida da parte di un giudice) o ricorso; non situandosi in un quadro processuale, essa non è ovviamente preceduta da alcuna udienza in contraddittorio.
Questa misura fa parte di quella numerosa serie di provvedimenti che il procuratore può adottare con la nomenclatura di “alternative al processo”, in applicazione dell’articolo 41-1 del Codice di procedura penale[39]. Ora, la disposizione che assicura una tale possibilità al procuratore è stata introdotta in questo articolo (il 7°) dalla legge del 23 marzo 2019, testo contenente numerose disposizioni che stravolgono il funzionamento della giustizia; la legge (approvata in pieno movimento dei “gilets gialli” ma senza mirare direttamente ad esso) era sfuggita all’attenzione dei tanti che si opponevano a questa riforma di vasta portata (tra cui il SM) – impegnati da una massa di disposizioni – e non è stata, di conseguenza, sottoposta al controllo preventivo del Conseil constitutionnel.
La polizia, una questione democratica forte
L’aumento delle violenze da parte della polizia in Francia è noto[40]. Nel corso dei mesi, il Governo ha minimizzato, quando non addirittura negato, le violenze della polizia – gli osservatori dell’ONU[41] hanno considerato, all’esito di una riunione informale del 22 maggio 2019 a Parigi, che si stava assistendo ad una “negazione della realtà” da parte dello Stato francese. A più riprese il Difensore dei diritti ha sottolineato, da un lato, una «perdita di fiducia della popolazione nei confronti delle forze dell’ordine», collocando un tale sviluppo «all’interno di un contesto più generale di degrado dei rapporti tra la popolazione e le istituzioni detentrici di autorità»; dall’altro lato, ha segnalato un aumento di più del 25% dei ricorsi all’autorità legati alle violenze perpetrate dalle forze di polizia. Il Consiglio d’Europa, allo stesso modo, è stato indotto a richiamare all’ordine il Governo francese. Al di là delle responsabilità personali, questa crisi si spiega in parte con la cultura non sufficientemente democratica della polizia.
Per il momento non pare sia stato avviato un numero significativo di procedimenti, corrispondente alle segnalazioni presentate da molte persone[42]. Senza per questo dare necessariamente per accertate tutte le violenze così denunciate, rimane importante per il futuro democratico del nostro Paese che esse siano fatte oggetto di inchieste giudiziarie approfondite, dal momento che la Inspection générale de la police nationale (IGPN), interpellata dalle procure, ha mostrato manifestamente i propri limiti quanto a capacità di realizzare indagini di qualità, e del resto la stessa composizione di tale corpo di ispezione di polizia non consente di soddisfare i requisiti indispensabili di oggettiva imparzialità.
La lotta contro il terrorismo: il paradigma dell’eccezione continua
La legge del 30 ottobre 2017, intesa a rafforzare la sicurezza interna e la lotta contro il terrorismo (legge “SILT”), entrata in vigore il 1° novembre 2017, ha per scopo di stabilire in via ordinaria una serie di misure di polizia amministrativa ai fini della lotta contro il terrorismo. La legge fa proprie le principali misure messe in atto nel quadro dello stato di emergenza: perimetri di protezione, chiusura di luoghi di culto, misure individuali di controllo amministrativo e di sorveglianza (“MICAS”), visite domiciliari e denunce.
«Non si parla più di perquisizioni né di arresti domiciliari, ma di visite domiciliari e di misure individuali di controllo e sorveglianza da parte dell’amministrazione. L’effetto calmante della novella legislativa non serve a tuttavia trasformare la realtà della violazione dei diritti fondamentali»[43].
In via generale, viene contestato alla legge il fatto di stabilire uno «stato di emergenza permanente»[44] che conferisce in via continuativa all’amministrazione dei poteri estesi e particolarmente pericolosi per i diritti e le libertà. Viene allo stesso modo addebitato a questo testo il fatto di consentire la messa in opera di misure restrittive sul fondamento di semplici sospetti, in assenza di qualsiasi indizio circa la partecipazione alla commissione di un illecito penale, e per motivi definiti in modo eccessivamente vago, in danno al principio di legalità. Oltre a ciò, è stata severamente criticata la portata limitata del controllo preventivo da parte dell’autorità giudiziaria, garante delle libertà individuali. Vero è che durante lo stato di emergenza[45], l’aumento dei poteri del giudice amministrativo è stato accompagnato da una ridefinizione restrittiva dell’articolo 66 della Costituzione sulla protezione contro le privazioni arbitrarie di libertà, a detrimento di una concezione più ampia della libertà della persona, precedentemente riconosciuta e difesa da molti.
Alcune riserve quanto alla compatibilità della legge SILT con le norme internazionali in tema di diritti dell’uomo sono state espresse da più organi internazionali, quali il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, e la Relatrice speciale del Consiglio ONU per i diritti umani sulla promozione e la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nella lotta antiterroristica, in occasione della sua visita in Francia nel maggio 2018. Diverse raccomandazioni formulate dagli Stati in occasione dell’esame periodico universale della Francia hanno ugualmente posto l’accento sulla necessità di rispettare il diritto internazionale nell’applicazione della legislazione antiterroristica.
Ecco in breve le “nuove” competenze: perimetri di protezione: prefetto; chiusura dei luoghi di culto: prefetto; “MICAS”: Ministro dell’Interno; visite domiciliari e denunce: Giudice delle Libertà e della Detenzione (JLD). Di fatto, ad eccezione dell’ultima misura citata, è il prefetto ad essere protagonista di tutte queste decisioni (il Ministro dell’Interno agisce necessariamente su proposta del prefetto), occupando uno spazio d’azione sempre maggiore.
Siamo usciti dal lungo e oscuro tunnel di uno stato d’emergenza[46] continuamente prorogato (quasi due anni), caratterizzato a più riprese da tragici attentati, per trovarci in una notte senza stelle. Oltre al fatto che la legislazione di emergenza ha largamente contaminato il diritto comune, il ricorso sistematico a misure di polizia amministrativa costituisce ormai il fondamento giuridico della prevenzione e della repressione del terrorismo, e il controllo giudiziario viene esercitato a posteriori e non a priori (tranne in un caso). È inoltre ormai avallata l’emersione di un “duopolio giurisdizionale” in materia, che ne determina un riassetto a favore del giudice amministrativo (il che meriterebbe una riflessione con i nostri colleghi amministrativisti i quali, occorre rammentarlo, non fanno parte del SM i cui membri sono solo magistrati ordinari).
Ciò che è particolarmente grave in questa banalizzazione dell’eccezione, come pure dei poteri dei prefetti e del Ministro dell’Interno, è l’abitudine del pubblico, ivi compreso quello che esprime un’opinione consapevole, al fatto che il prefetto sia investito di competenze eccessive per lunghi periodi di tempo nel campo della prevenzione e della repressione del terrorismo.
«La democrazia non può raggiungere la verità che con l’esperienza»; adesso non è proprio più il caso di stare ad attendere la morte!
«Detto in altri termini, lo sviluppo dei diritti e delle libertà fondamentali, fattore di progresso sul piano individuale, lo è altresì sul piano collettivo. È lì che sta una rinnovata concezione dell’interesse generale, la cui definizione chiama al dibattito e dunque all’esercizio democratico della sovranità»[47]. Riprendendo l’approccio della triade di legittimità caro a Pierre Rosanvallon, sarà interesse della Francia rivedere tutti i suoi meccanismi di garanzia.
[1] Julien Benda, La Grande Épreuve des démocraties (1942), Le sagittaire, 1944, p. 50.
[2] Alexis de Tocqueville, De la démocratie en Amérique (1840), tome I, deuxième partie, ch. V, XIV.
[3] Pierre Rosanvallon, Le bon gouvernement, Editions du Seuil, 2015.
[4] Cit. in Jacques Krynen, L’emprise contemporaine des juges, Gallimard, 2012, p. 35.
[5] Art. 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.
[6] Frochot, 31 agosto 1791, Débat sur les assemblées de révision, Archives parlementaires.
[7] Patrice Gueniffey, Le nombre et la raison. La révolution française et les élections, Éditions EHESS, 1993.
[8] La legge Le Chapelier, promulgata in Francia il 14 giugno 1791, vietava le corporazioni di mestiere, le organizzazioni dei lavoratori, i raduni di contadini e operai etc. Fu così necessario attendere il XIX secolo affinché fosse riconosciuto il diritto di costituire sindacati.
[9] Come li qualifica Pierre Rosanvallon in La légitimité démocratique, Le Seuil, 2008.
[10] Nella Francia metropolitana, prima della redistribuzione (ovvero operando il calcolo sul reddito iniziale), il tasso di povertà - al 60% del livello della vita media - nel 2016 si elevava al 22% a seguito di una redistribuzione al 14%,
[11] https://toute-la.veille-acteurs-sante.fr/128427/pauvrete-des-avancees-timides-des-reculs-certains-denonce-le-collectif-alerte-communique/. In una lettera inviata il 7 novembre 2019 al Presidente della Repubblica, il Collectif ALERTE desidera portare l’attenzione sul il peggioramento del tenore di vita delle persone più vulnerabili registrato negli ultimi due anni e sulla necessità di adottare misure tempestive per porvi rimedio,
https://www.atd-quartmonde.fr/lettre-ouverte-au-president-de-la-republique/
[12] Michel Pinçon, Monique Pinçon, Pourquoi les riches sont-ils de plus en plus riches et les pauvres de plus en plus pauvres?, Charlot Editions la ville brûle, 2018.
[13] François Dubet, Le temps des passions tristes. Inégalités et populisme, Le Seuil, 2019.
[14] Art. 34 della Costituzione [qui e infra, gli articoli della Costituzione Francese sono citati secondo la trad. it. a cura della Direzione della comunicazione e dell’informazione del Ministro degli Esteri, del Consolato Generale di Francia a Milano e del Servizio degli Affari Europei dell’Assemblea nazionale]:
«La legge stabilisce le norme concernenti:
- i diritti civili e le garanzie fondamentali accordate ai cittadini per l’esercizio delle pubbliche libertà; la libertà, il pluralismo e l’indipendenza dei media; gli obblighi imposti dalla Difesa nazionale ai cittadini relativamente alle loro persone ed ai loro beni;
- la cittadinanza, lo stato e la capacità delle persone, il regime matrimoniale, le successioni ed elargizioni;
- la descrizione dei reati nonché delle pene applicabili; la procedura penale; l’amnistia; la creazione di nuovi ordini giurisdizionali e lo stato giuridico dei magistrati;
la base imponibile, l’aliquota e le modalità di riscossione delle impose di ogni tipo; il regime di emissione della moneta.
La legge stabilisce altresì le norme concernenti:
- il sistema elettorale delle assemblee parlamentari, delle assemblee locali e delle istanze rappresentative dei Francesi stabiliti all’estero nonché le condizioni di esercizio dei mandati elettorali e delle funzioni elettive dei membri delle assemblee deliberanti delle collettività territoriali;
- la creazione di categorie di enti pubblici;
- le garanzie fondamentali riconosciute ai funzionari civili e militari dello Stato;
- le nazionalizzazioni di imprese e i trasferimenti di proprietà di imprese del settore pubblico al settore privato.
La legge determina I principi fondamentali:
- dell’organizzazione generale della Difesa nazionale;
- dell’autonomia amministrativa delle collettività territoriali, delle loro competenze e risorse;
- dell’insegnamento;
- del regime della proprietà, dei diritti reali e degli obblighi civili e commerciali;
- del diritto del lavoro, del diritto sindacale e della previdenza sociale;
- della tutela dell’ambiente.
Le leggi finanziarie determinano le entrate e le spese dello Stato alle condizioni e con le riserve previste con legge organica.
Le leggi sul finanziamento della previdenza sociale determinano le condizioni generali del suo equilibrio finanziario e, tenuto conto delle previsioni di entrata, ne stabiliscono gli obiettivi di spesa, alle condizioni e con le riserve previste con legge organica».
Art. 37: «Le materie non riservate alla legge hanno carattere regolamentare».
[15] Jean Foyer, La justice: histoire d’un pouvoir refusé, in Pouvoirs n° 16, La justice, janvier 1981, pp. 17-29.
[16] Impossibilità di procedere ad una nomina allorquando la somma dei voti negativi in ciascuna commissione rappresenti almeno i tre quinti dei suffragi espressi in seno alle due commissioni.
[17]AOC, venerdì 22 febbraio 2019, Donner au Conseil constitutionnel des “yeux juridiques”, di Dominique Rousseau, Costituzionalista, Professore di diritto all’Université Paris 1 Panthéon Sorbonne, Direttore dell’Institut des sciences juridique et philosophique de la Sorbonne, https://aoc.media/opinion/2019/02/22/donner-conseil-constitutionnel-yeux-juridiques/
[18] Et si le Conseil constitutionnel était une “Cour Constitutionnelle de référence”?, in Revue des droits et libertés fondamentaux, 2019, Chron. 32, di Thomas Hochmann, Professore di diritto pubblico nella Université de Reims Champagne-Ardenne,
[19] Dominique Rousseau, De quoi le Conseil constitutionnel est-il le nom?,
http://juspoliticum.com/article/De-quoi-le-Conseil-constitutionnel-est-il-le-nom-446.html
[20] Il solo articolo della Costituzione che evoca la funzione giurisdizionale del Conseil d’Etat deriva dall’introduzione della QPC nel 2018 che ha previsto l’articolo 61-1.
[21] Art. 61-1 della Costituzione: «Qualora, in occasione di un procedimento in corso dinanzi ad una giurisdizione si sostenga che una disposizione di legge porti pregiudizio ai diritti e alle libertà garantiti dalla Costituzione, il Consiglio costituzionale può essere investito di tale questione su rinvio del Consiglio di Stato o della Corte di cassazione, che si pronuncia entro un termine stabilito».
[22] Vedi il mio articolo La Repubblica francese sconvolta. Breve presentazione del sistema giudiziario francese, in
http://www.questionegiustizia.it/speciale/pdf/QG-Speciale_2016-1_22.pdf , p. 320.
[23] Vincent Sizaire, Sortir de l’imposture sécuritaire, Éditions La Dispute, 2016.
[24] Al 1° gennaio 2020, erano detenute presso le carceri francesi 70651 persone, contro i 61080 posti disponibili. La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), il 30 gennaio 2020, ha condannato la Francia per le condizioni detentive nelle carceri sovraffollate, raccomandando alla stessa di adottare delle misure per far fronte ad un simile “problema strutturale”: Corte EDU, 30 gennaio 2020, n° 9671/15, J.M.B e altri c. Francia.
[25] Décision n° 93-326 DC, 11 agosto 1993.
[26] Sulla questione della dipendenza della Procura, vedi Manuela Cadelli, Classement sans suite et opportunité des poursuites: à quand la fin du soupçon?, in Le Journal des Tribunaux, 2019, pp. 818-824 . Vincent Sizaire, Être en sûreté, in La dispute, p. 34: «il [le ministère public] est un acteur déterminant de notre sûreté et c’est pourquoi sa dépendance structurelle à l’égard du gouvernement, en ce qu’elle lui interdit l’exercice désintéressé de son office, pose question dans une société qui se veut démocratique».
[27] Ordonnance n° 58-1270 du 22 décembre 1958 portant loi organique relative au statut de la magistrature.
Art. 5: «Les magistrats du parquet sont placés sous la direction et le contrôle de leurs chefs hiérarchiques et sous l'autorité du garde des sceaux, ministre de la justice. A l'audience, leur parole est libre».
[28] Vedi l’articolo assai critico di Paul Cassia, Professore di diritto costituzionale alla Sorbona, Magistrats du parquet: une indépendance tout en nuance, 12 dicembre 2017: l’8 dicembre 2017, il Conseil constitutionnel ha giudicato che i magistrati della Procura possono, nonostante la loro indipendenza, essere sottoposti all’autorità dell’esecutivo. Le autorità pubbliche si adeguano a questo statuto ibrido e contraddittorio.
[29] Il principio gerarchico appare come «le trait fondamental de l’organisation du ministère public». Esso si esprime, al contempo, in interno ed esterno, in ragione di un collegamento che lega i magistrati della Procura al Ministro della giustizia. L’esistenza di un simile collegamento, intorno ai secoli XIII e XIV, è connaturale alla creazione in Francia di una Procura.
I pubblici ministeri e gli avvocati del Re avevano allora il compito di difendere i diritti del sovrano dinanzi le giurisdizioni reali, ma anche quelli dei più deboli al fine di garantire la pace sociale. Questa funzione di difesa degli interessi dello Stato è stata affidata ai magistrati del Pubblico Ministero nel corso dei diversi regimi politici che la Francia ha conosciuto sino ad oggi. Vedi gli estratti del commento alla décision n° 2017-680 QPC del 8 dicembre 2017 consultabili sul sito del Conseil constitutionnel.
[30] La Corte considera che, in Francia, i componenti l’ufficio del Pubblico Ministero, in ragione del loro statuto, non rispondono a pieno all’esigenza di indipendenza rispetto all’esecutivo; esigenza che, secondo una giurisprudenza consolidata, rientra, come per l’imparzialità, tra le garanzie inerenti alla nozione autonoma di “magistrato” ai sensi dell’articolo 5 § 3. Arrêt de grande chambre, Medvedyev c. France del 29 marzo 2010; arrêt Moulin c. France del 23 novembre 2010, ripresa da arrêt Vassis c. France del 27 giugno 2013.
[31] Vedi al riguardo l’articolo citato supra di Paul Cassia.
[32] L’art. 30 così disponeva: «Il peut dénoncer au procureur général les infractions à la loi pénale dont il a connaissance et lui enjoindre, par instructions écrites et versées au dossier de la procédure, d'engager ou de faire engager des poursuites ou de saisir la juridiction compétente de telles réquisitions écrites que le ministre juge opportunes».
[33] Art. 35 del Codice di procedura penale: «Le procureur général veille à l'application de la loi pénale dans toute l'étendue du ressort de la cour d'appel et au bon fonctionnement des parquets de son ressort.
Il anime et coordonne l'action des procureurs de la République, tant en matière de prévention que de répression des infractions à la loi pénale. Il précise et, le cas échéant, adapte les instructions générales du ministre de la justice au contexte propre au ressort. Il procède à l'évaluation de leur application par les procureurs de la République.
Outre les rapports particuliers qu'il établit soit d'initiative, soit sur demande du ministre de la justice, le procureur général adresse à ce dernier un rapport annuel de politique pénale sur l'application de la loi et des instructions générales ainsi qu'un rapport annuel sur l'activité et la gestion des parquets de son ressort».
Art. 36: «Le procureur général peut enjoindre aux procureurs de la République, par instructions écrites et versées au dossier de la procédure, d'engager ou de faire engager des poursuites ou de saisir la juridiction compétente de telles réquisitions écrites que le procureur général juge opportunes».
Art. 39-1 del Codice di procedura penale: «En tenant compte du contexte propre à son ressort, le procureur de la République met en œuvre la politique pénale définie par les instructions générales du ministre de la justice, précisées et, le cas échéant, adaptées par le procureur général.
Outre les rapports particuliers qu'il établit soit d'initiative, soit sur demande du procureur général, le procureur de la République adresse à ce dernier un rapport annuel de politique pénale sur l'application de la loi et des instructions générales ainsi qu'un rapport annuel sur l'activité et la gestion de son parquet».
[34] Uno studio ha mostrato che, a parità di ogni altra cosa, la comparizione immediata moltiplica di 8,4 la probabilità di pena detentiva rispetto ad una classica udienza in giudizio. V. Gautron, J.-N. Rétière, La justice pénale est-elle discriminatoire? Une étude empirique des pratiques décisionnelles dans cinq tribunaux correctionnels, https://halshs.archives-ouvertes.fr/halshs-01075666/document.
[35] Art. 399 del Codice di procedura penale.
[36] Vedi Anaïs Coignac, Droit de manifester: toujours une liberté?, Dalloz Actualité, le 4 et 7 octobre 2019,
https://www.dalloz-actualite.fr/flash/droit-de-manifester-toujours-une-liberte#.Xlk2vG5FzIU e https://www.dalloz-actualite.fr/flash/droit-de-manifester-toujours-une-liberte-22#.Xlk2Am5FzIU
[37] "Gilets jaunes": une note du procureur de la République de Paris préconise de ne lever les gardes à vue qu'après les manifestations. Le syndicat de la magistrature dénonce "une atteinte à la liberté individuelle" et un "détournement de la garde à vue", https://www.francetvinfo.fr/economie/transports/gilets-jaunes/gilets-jaunes-une-note-du-procureur-de-la-republique-de-paris-preconise-de-ne-lever-les-garde-a-vue-qu-apres-les-manifestations_3207897.html.
[38] “Gilets jaunes”: 10000 gardes à vue, 3100 condamnations… une réponse pénale sans precedent, https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/11/08/gilets-jaunes-plus-de-3-000-condamnations-par-la-justice-entre-novembre-2018-et-juin-2019_6018431_3224.html.
[39] Art. 41-1 del Codice di procedura penale:
«S'il lui apparaît qu'une telle mesure est susceptible d'assurer la réparation du dommage causé à la victime, de mettre fin au trouble résultant de l'infraction ou de contribuer au reclassement de l'auteur des faits, le procureur de la République peut, préalablement à sa décision sur l'action publique, directement ou par l'intermédiaire d'un officier de police judiciaire, d'un délégué ou d'un médiateur du procureur de la République:
1° Procéder au rappel auprès de l'auteur des faits des obligations résultant de la loi;
2° Orienter l'auteur des faits vers une structure sanitaire, sociale ou professionnelle; cette mesure peut consister dans l'accomplissement par l'auteur des faits, à ses frais, d'un stage ou d'une formation dans un service ou un organisme sanitaire, social ou professionnel, et notamment d'un stage de citoyenneté, d'un stage de responsabilité parentale, d'un stage de sensibilisation à la lutte contre l'achat d'actes sexuels, d'un stage de responsabilisation pour la prévention et la lutte contre les violences au sein du couple et sexistes, d'un stage de lutte contre le sexisme et de sensibilisation à l'égalité entre les femmes et les hommes ou d'un stage de sensibilisation aux dangers de l'usage de produits stupéfiants; en cas d'infraction commise à l'occasion de la conduite d'un véhicule terrestre à moteur, cette mesure peut consister dans l'accomplissement, par l'auteur des faits, à ses frais, d'un stage de sensibilisation à la sécurité routière;
3° Demander à l'auteur des faits de régulariser sa situation au regard de la loi ou des règlements;
4° Demander à l'auteur des faits de réparer le dommage résultant de ceux-ci;
5° Faire procéder, à la demande ou avec l'accord de la victime, à une mission de médiation entre l'auteur des faits et la victime. En cas de réussite de la médiation, le procureur de la République ou le médiateur du procureur de la République en dresse procès-verbal, qui est signé par lui-même et par les parties, et dont une copie leur est remise; si l'auteur des faits s'est engagé à verser des dommages et intérêts à la victime, celle-ci peut, au vu de ce procès-verbal, en demander le recouvrement suivant la procédure d'injonction de payer, conformément aux règles prévues par le code de procédure civile. Lorsque des violences ont été commises par le conjoint ou l'ancien conjoint de la victime, son partenaire lié par un pacte civil de solidarité ou son ancien partenaire, son concubin ou son ancien concubin, il n'est procédé à la mission de médiation que si la victime en a fait expressément la demande. Dans cette hypothèse, l'auteur des violences fait également l'objet d'un rappel à la loi en application du 1° du présent article. Lorsque, après le déroulement d'une mission de médiation entre l'auteur des faits et la victime, de nouvelles violences sont commises par le conjoint ou l'ancien conjoint de la victime, son partenaire lié par un pacte civil de solidarité ou son ancien partenaire, son concubin ou son ancien concubin, il ne peut être procédé à une nouvelle mission de médiation. Dans ce cas, sauf circonstances particulières, le procureur de la République met en œuvre une composition pénale ou engage des poursuites;
6° En cas d'infraction commise soit contre son conjoint, son concubin ou son partenaire lié par un pacte civil de solidarité, soit contre ses enfants ou ceux de son conjoint, concubin ou partenaire, demander à l'auteur des faits de résider hors du domicile ou de la résidence du couple et, le cas échéant, de s'abstenir de paraître dans ce domicile ou cette résidence ou aux abords immédiats de celui-ci, ainsi que, si nécessaire, de faire l'objet d'une prise en charge sanitaire, sociale ou psychologique ; les dispositions du présent 6° sont également applicables lorsque l'infraction est commise par l'ancien conjoint ou concubin de la victime, ou par la personne ayant été liée à elle par un pacte civil de solidarité, le domicile concerné étant alors celui de la victime. Pour l'application du présent 6°, le procureur de la République recueille ou fait recueillir, dans les meilleurs délais et par tous moyens l'avis de la victime sur l'opportunité de demander à l'auteur des faits de résider hors du logement du couple. Sauf circonstances particulières, cette mesure est prise lorsque sont en cause des faits de violences susceptibles d'être renouvelés et que la victime la sollicite. Le procureur de la République peut préciser les modalités de prise en charge des frais afférents à ce logement pendant une durée qu'il fixe et qui ne peut excéder six mois;
7° Demander à l'auteur des faits de ne pas paraître, pour une durée qui ne saurait excéder six mois, dans un ou plusieurs lieux déterminés dans lesquels l'infraction a été commise ou dans lesquels réside la victime.
La procédure prévue au présent article suspend la prescription de l'action publique.
En cas de non-exécution de la mesure en raison du comportement de l'auteur des faits, le procureur de la République, sauf élément nouveau, met en œuvre une composition pénale ou engage des poursuites».
[40] Sebastian Roché, Les violences policières en France, in Revue « Esprit », janvier 2020, https://esprit.presse.fr/actualites/sebastian-roche/les-violences-policieres-en-france-42562
[41] Clément Voulé, rapporteur spécial delle Nazioni Unite sulla libertà di manifestazione. Michel Frost, rapporteur spécial delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani. Violenze perpetrate dalle forze di polizia: alcuni esperti dell’ONU auspicano che il governo cessi una “negazione della realtà”. https://www.francebleu.fr/infos/societe/violences-policieres-les-experts-de-l-onu-demande-au-gouvernement-de-sortir-du-deni-de-realite-1558539823
[42]Per esempio David Dufresne, giornalista indipendente, scrittore e documentarista, ha segnalato 860 casi di violenza perpetrata dalle forze di polizia, nel periodo compreso tra dicembre 2018 e giugno 2019, nel corso delle mobilitazioni dei “gilets gialli”.
[43] François Sureau, “Les quatre piliers de la sagesse”: les droits fondamentaux à l’épreuve des circonstances exceptionnelles, in Revue des droits de l’homme, https://doi.org/10.4000/revdh.3626.
[44] Vedi uno studio assai completo: https://antiterrorisme-droits-libertes.org/.
[45] Vedi supra il mio articolo sul tema pubblicato in Questione Giustizia.
[46] Ibid.
[47] François Sureau, Ibid.
[*] Traduzione a cura di Sara Benvenuti e Paolo Corona.