1. Neppure tre settimane dopo l’insediamento del Presidente Trump, sulle riviste e sui siti statunitensi che si occupano di politica e giustizia ha cominciato a circolare la domanda se il Paese si trovasse in una condizione di “crisi costituzionale”. Una domanda che trovava ragione nel numero abnorme, nei contenuti e nella pluralità di tipologie degli ordini esecutivi sottoscritti dal Presidente a partire dal primo giorno del suo mandato.
Naturalmente le risposte fornite dai costituzionalisti e dagli esperti non sono state univoche.
Il giorno 10 febbraio il prof. Erwin Chemerinsky, Preside della Facoltà di legge a Berkeley, affermava che «siamo già nel pieno di una crisi costituzionale» visti gli «atti sistematici» della presidenza in contrasto con la Costituzione e considerato che, per la prima volta nella storia del Paese, un giudice federale aveva dovuto dichiarare pubblicamente che la Casa Bianca rifiutava di dare esecuzione a un ordine giudiziale[1].
A tale proposito non va dimenticato che il giorno precedente sui social media il vice-Presidente J.D. Vance aveva scritto che «I giudici non sono autorizzati a mettere sotto controllo i legittimi poteri dell’esecutivo». Concetto in seguito ribadito dal Presidente Trump nell’intervista radiofonica con Mark Levin, ove ha affermato che «chi salva il suo Paese non viola nessuna legge».
Un segnale della gravità della situazione è stato rinvenuto negli stessi giorni da Kate Shaw, professoressa della facoltà di Legge dell’Università della Pennsylvania, nella circostanza che la Casa Bianca ha rifiutato di dare esecuzione alla legge approvata dal Congresso in materia di operatività della piattaforma TikTok, maggiormente dopo che un ricorso presentato dai responsabili della piattaforma alla Corte Suprema era stato respinto, con conferma della validità della legge.
Non coincidente il parere espresso l’11 febbraio da Amanda Frost, docente di Legge presso l’Università della Virginia, secondo la quale una vera “crisi costituzionale” non discende automaticamente dalla pluralità di ordini esecutivi illegittimi”, ma richiede due requisiti: a) atti di eccesso di potere «intenzionali, flagranti e costanti»; b) la circostanza che gli altri poteri dello Stato non siano in grado o non vogliano fermare le violazioni. Secondo la professoressa, la prima condizione risultava già integrata dalle condotte presidenziali, ma non lo era ancora la circostanza che le corti fossero non in condizione di dare esecuzione ai provvedimenti giudiziali.
Nel corso di un confronto tra docenti avvenuto il 25 febbraio alla Harvard Kennedy School, Alex Keyssar ha sostenuto che era troppo presto per parlare di “crisi”, ma che questa sembra prossima in quanto si è in presenza dell’attacco «più severo» al sistema costituzionale. Più forti le parole di Maya Se, che ha ricordato come sulle decisioni in tema di aiuti esteri e di controllo della piattaforma TikTok la condotta del Presidente Trump integri una «usurpazione dei poteri del Congresso».
L’idea che il livello di “crisi costituzionale” non fosse ancora raggiunto è emersa nel corso di un panel di discussione fra i docenti di diritto della Università di Harvard, tenutosi il 27 febbraio[2], e ciò sebbene la Prof. Gersen abbia parlato della necessità di reagire alla «morte della Rule of Law». La discussione ha messo in luce un altro aspetto del problema non affrontato nei precedenti interventi: le aggressioni alle agenzie indipendenti[3]. Non è questa la sede per affrontare le ragioni della creazione del DOGE e dell’irruente violenza della sua azione. E’ vero che i responsabili di dipartimenti ministeriali e agenzie stanno opponendo resistenza all’azione di Musk e creando problemi anche all’interno del Governo, ma non va dimenticato che l’America “profonda” nutre disistima e perfino un vero astio, verso “i federali” e la burocrazia centrale: un sentimento che Trump ben conosce e sa utilizzare in maniera spregiudicata.
Non senza importanza l’annotazione della Prof. Jessica Silbey, Facoltà di diritto della Università di Boston, sulla gravità della decisione del Presidente Trump contraria all’applicazione dello ius soli (birthright citizenship), principio fissato a livello costituzionale[4].
Concluderei questa breve e parziale rassegna sul dibattito in corso nelle scorse settimane ricordando la articolata posizione espressa da un costituzionalista, il Prof. Jeffrey Schmitt, in una lunga intervista a The Conversation resa il 28 febbraio. In sintesi:
· l’espansione del potere esecutivo in forme e misure mai viste prima può arrivare al punto di minacciare la struttura di governo basata sulla separazione dei poteri;
· in questo momento l’azione dell’Esecutivo sta invadendo spazi essenziali dell’azione del Congresso (ad esempio in materia di tasse, bilancio e spese). Alcuni esempi vengono dalle decisioni di: a) congelare i fondi già stanziati per spese che il Presidente “politicamente non gradisce”; b) bloccare aiuti internazionali già deliberati; c) bloccare i fondi federali destinate alle scuole qualora queste non abbandonino i programmi DEI[5]; d) licenziare i vertici, e non solo, di agenzie indipendenti a dispetto del fatto che sia leggi federali sia la Corte Suprema abbiano chiarito che tale potere non rientra fra quelli presidenziali; e) smantellare di fatto USAID, agenzia creata dal Congresso[6];
· a differenza dei suoi predecessori, quali Lincoln e Roosevelt, Trump non sta dialogando e cooperando con il Congresso, ma agendo unilateralmente anche in materiale proprie del potere legislativo;
· infine, rispetto al numero e alla gravità delle violazioni di legge, le corti federali possono dare risposte solo parziali, anzi assai limitate, senza dimenticare che gli ordini giudiziali non sono facilmente eseguibili in materie come quelle che interessano[7].
2. Come si vede, un dibattito articolato e segnato in ogni caso da accenti di forte preoccupazione. Per comprendere alcuni passaggi delle azioni del Pres. Trump e delle reazioni che queste conoscono, è bene ricordare due elementi. Intanto la circostanza che la maggioranza repubblicana alla Camera è davvero risicatissima, il che può spiegare perché Trump abbia scelto di adottare ordini esecutivi anche in materie che avrebbero richiesto il dialogo con il Congresso. In secondo luogo, la natura politica e nei fatti politicizzata del sistema giudiziario statale e federale degli Usa, dove non solo i procuratori, ma anche i giudici vengono selezionati o per nomina politica o mediante elezioni, e dove la natura politica della selezione di giudici costituzionali eletti a vita ha le implicazioni che abbiamo compreso.
Se questo è vero, tuttavia la Corte Suprema ha negato, seppure a strettissima maggioranza, la legittimità dell’ordine esecutivo con cui il Presidente bloccava i fondi destinati agli aiuti esteri e va dato atto che un numero consistente di ordini esecutivi è stato bloccato dai giudici ordinari. Queste forzature da parte dell’Amministrazione sembrano far parte di una strategia complessiva che alza molto il tiro e poi, come avviene anche con le minacce di dazi o con le trattative sui conflitti, vede quali sono le reazioni e quindi “tratta” con le controparti, mettendo in ogni caso in cascina passi che diventano precedenti istituzionali e potranno venire utili.
3. In questo contesto è avvenuto un fatto nuovo, che ci appare senza precedenti per dimensioni e significato: il 4 marzo è stata resa pubblica una dichiarazione sottoscritta da circa 900 costituzionalisti e professori statunitensi in materie legali in cui si afferma: «Ci troviamo in una crisi costituzionale». In un’unica pagina vengono elencate le ragioni che sostengono un’affermazione tanto perentoria e drammatica e che trovano il supporto di docenti che operano presso università e istituzioni sparse in quasi tutti gli Stati dell’Unione[8], a partire dalle accademie più note e prestigiose (Columbia, Harvard, Yale, Fordham, Berkeley, NYU, Stanford, UCLA…). Nel testo troviamo un passaggio a questo proposito importante: non si tratta di una raccolta di firme chiuse all’interno del mondo liberale e democratico. Si legge, infatti, che i firmatari hanno idee diverse sulle politiche del Governo (quanto a obiettivi e contenuti), ma condividono una comune preoccupazione per la tenuta dello stato di diritto[9]. Mi sembra, questa, una circostanza che accresce l’importanza del documento.
4. Il testo, coordinato dal prof. Kent Greenfield (autore principale), Professor of Law and Dean’s Distinguished Scholar, Boston College, non ha bisogno di ulteriori commenti e può essere tradotto come segue (in calce la versione originale):
"Ci troviamo in una Crisi (del sistema) Costituzionale"
Dichiarazione di Professori e Insegnanti di Diritto
I sottoscrittori sono professori e docenti in materie giuridiche, impegnati per lo stato di diritto. Siamo convinti che sia in atto una crisi (del sistema) costituzionale.
Il Presidente ha firmato numerosi ordini esecutivi che si pongono al di fuori delle sue attribuzioni costituzionali e legali. Il Presidente non può modificare le regole sulla cittadinanza. Egli non ha una illimitata autorità legale di bloccare fondi già allocati dal Congresso, né può imporre unilateralmente nuove, politicamente motivate, limitazioni ai benefici governamentali che violano i diritti costituzionali delle persone, delle imprese e delle istituzioni che ne sono destinatarie. Egli non ha il potere di smantellare agenzie e dipartimenti legittimamente creati, sostenuti e finanziati dal Congresso. Egli non ha la facoltà di attribuire la supervisione e il controllo su attività governative a soggetti privati non sottomessi ai limiti della legge.
Il governo e le leggi degli Stati Uniti non sono soggetti ai capricci presidenziali. Al contrario, il Presidente è incaricato di «prendersi cura che le leggi sia fedelmente applicate». Ed è obbligato sotto giuramento a «eseguire fedelmente» il mandato presidenziale e a «preservare, proteggere e difendere la Costituzione degli Stati Uniti».
I firmatari hanno visioni diverse sulle politiche sottese a questi fatti. Ma siamo tutti concordi sul fatto che il Presidente abbia agito in modo illegale e incostituzionale.
L’illegalità di tali azioni, perfino quando tale è stata giudicata da corti federali, non sembra essere un deterrente alle azioni presidenziali. Al contrario, il Presidente e la sua amministrazione sembrano compiacersi della disobbedienza alle decisioni giudiziali emesse contro di lui. Egli ha, infatti, affermato: «Colui che salva il proprio Paese non viola alcuna Legge».
Con tristezza ci troviamo costretti a spiegare al Presidente questo basilare principio democratico, ma lo facciamo: un presidente ha l’obbligo di obbedire alla Costituzione così come agli ordini giudiziali che limitano le sue azioni illegali e incostituzionali. La legge non è quello che il sig. Trump decide sia. Egli non è un sovrano.
Secondo il Presidente John F. Kennedy, «Gli Americani sono liberi…di essere in disaccordo con la legge, ma non di disobbedirle. In un governo fatto di leggi e non di uomini, nessun uomo, per quanto importante o potente…ha il diritto di sfidare una corte di giustizia».
Noi sosteniamo la democrazia e lo stato di diritto. Noi siamo a fianco delle persone e delle istituzioni destinatarie di coercizione illegale e incostituzionale. La nostra democrazia può sopravvivere, ma non senza la legge.
5. Questo breve commento era oramai scritto, quando un fatto nuovo e drammatico è sopravvenuto:
a. nel corso di un’udienza davanti al giudice federale James Boasberg ove si discuteva dell’ordine di espulsione di cittadini venezuelani destinati alle prigioni di El Salvador, un avvocato del Dipartimento di Giustizia ha rifiutato di rispondere alle domande del giudice, affermando che il Presidente Trump ha il potere, applicando la legge del 1798 Alien Enemy Act, di espellere cittadini stranieri senza alcun controllo giudiziale. Il giudice ha quindi emesso un ordine che vietava il trasferimento delle persone all’estero e chiesto all’avvocato di comunicare per iscritto che l’ordine era stato rispettato. Così non è stato;
b. indipendentemente dall’applicabilità dell’Alien Enemy Act ai casi di cui ci parla (la legge appare destinata ad azioni intraprese in tempo di guerra o di minaccia esiziale per il Paese), occorre guardare alle parole di Tom Homan, incaricato da Trump di gestire la difesa dei confini, che ci appaiono chiare sulla rottura dello stato di diritto in corso: «Noi non ci fermiamo, a me non interessa cosa i giudici pensano, a me non interessa cosa la sinistra pensa».
Premesso che questo accostamento tra giudici e sinistra appare indicativo del pensiero profondo dell’Amministrazione Trump, la vicenda sembra confermare in pieno la fondatezza dell’esistenza di una crisi costituzionale: un avvocato del Dipartimento della Giustizia che rifiuta di rispondere alle domande di un giudice federale integra tutti gli estremi dell’oltraggio alla Corte e lo fa su istruzioni ricevute che presuppongono l’esistenza di un potere presidenziale in tema di diritti fondamentali non soggetto ad alcun controllo. Il Presidente sarebbe, dunque, un sovrano. Di qui il rifiuto di dare esecuzione all’ordine del giudice.
Le parole di Tom Homan, poi, certificano, con quell’«a me non importa di cosa pensino i giudici» l’esistenza di una frattura che appare nei fatti non sanabile con gli strumenti ordinari. Anche ammesso che l’espulsione venga un domani dichiarata illegittima (appello? Corte Suprema?), le conseguenze non sarebbero nei fatti emendabili.
Vedremo se i famosi checks and balances che sorreggono la democrazia Usa resisteranno, almeno fino alle elezioni di midterm.
[1] Il riferimento è alle parole del giudice federale John McCornell Jr., secondo cui vi era il rifiuto della Casa Bianca di dare esecuzione all’ordine giudiziale che imponeva di sbloccare i fondi federali congelati per ordine del Presidente.
[2] Tra gli altri, sono intervenuti i professori Jennie Suk Gersen, Guy-Uriel, Richard Re e Ruth Greenwood.
[3] Nel corso della citata discussione del 25 febbraio Sarah E. Wald aveva ricordato come l’azione del Governo avesse già spinto importanti alti funzionari di Giustizia e Tesoro a lasciare i propri incarichi per non essere complici di scelte contrarie alla legge.
[4] L’ordine esecutivo è stato bloccato da 4 giudici federali. Il giudice John C. Coughenaur ha affermato che si tratta di «un ordine manifestamente incostituzionale».
[5] Si tratta dei programmi intitolati Diversity, Equity, Inclusion.
[6] Il giudice Carl Nichols ha bloccato il licenziamento di 2.200 dipendenti di USAID e il progetto di licenziare tutti i dipendenti che operano all’estero, ordinando anche la riassunzione di 500 funzionari.
[7] Nel corso dei dibattiti che hanno avuto luogo è stato anche ricordato che un intervento giudiziale o del Congresso che annulli o superi un ordine esecutivo in tutto o in parte già attuato non è quasi mai in grado di ripristinare la situazione preesistente e di eliminare le conseguenze dannose oramai verificatesi.
[8] Compresi istituti e università collocati a Miami, a Seattle, in Indiana, New Mexico, Tennessee, Illinois, South Carolina, alle Hawai’i …
[9] La American Constitution Society definisce il documento “bipartisan”.