Magistratura democratica
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In memoria del Foreign Corrupt Practices Act (1977-2025)

Con l’Ordine Esecutivo del 10 febbraio 2025 il Presidente Trump ha messo “in pausa” la legge americana sulla corruzione internazionale in vigore da quasi cinquant’anni.

Era il 1977 quando l’amministrazione Carter, sull’onda di scandali corruttivi che a livello mondiale avevano destato allarme e sdegno nell’opinione pubblica, aveva varato la prima legge al mondo che prevedeva la responsabilità anche di cittadini americani per fatti di corruzione internazionale, ovvero per le condotte di aziende ed individui che si procuravano o mantenevano attività economiche all’estero mediante pagamenti corruttivi a pubblici ufficiali stranieri.

All’epoca oltre 400 aziende americane, secondo la Commissione esteri della House of Representatives, avevano ammesso di avere pagato tangenti a governi stranieri, pubblici ufficiali o partiti politici, per oltre 300 milioni di dollari, allo scopo di ottenere un trattamento di favore in operazioni economiche nel settore farmaceutico, sanitario, petrolifero, alimentare, aerospaziale e chimico. Tra queste la più nota fu la Lockheed Corporation, i cui pagamenti a governi stranieri, una volta divenuti pubblici, ebbero forti ricadute politiche in molteplici giurisdizioni, dal Giappone, ai Paesi Bassi, all’Italia.

Soli nella comunità internazionale, gli Stati Uniti decisero allora di contrastare il fenomeno della corruzione di pubblici ufficiali stranieri che era diventato pratica costante e non più tollerabile negli affari delle imprese americane all’estero.

I legislatori americani respingevano come infondato il paventato pregiudizio in termini di competitività per le imprese nazionali rispetto alle omologhe di altri paesi dove tale pratica era consentita; spiegavano che tale pratica non era semplicemente contraria all’etica, ma era anche un pessimo affare («bad business»), poiché, indebolendo la fiducia dei cittadini nella correttezza del libero mercato, indirizzava il business verso aziende troppo poco efficienti in termini di prezzo, qualità o servizio, premiando la corruzione invece dell'efficienza e spingendo le aziende oneste ad abbassare i loro standard; inoltre, creava seri problemi politici e imbarazzi agli Stati Uniti nei rapporti con gli altri paesi.

Con il Foreign Corrupt Practice Act (FCPA) gli Stati Uniti divennero così il punto di riferimento mondiale per la lotta alla corruzione internazionale e quella legge fu il paradigma di ogni successiva iniziativa a livello nazionale o convenzionale: senza l’FCPA la lotta alla corruzione internazionale che abbiamo conosciuto anche in Europa negli scorsi decenni sarebbe stata molto diversa e molto meno efficace.

Dalla sua introduzione l’FCPA è stato concretamente applicato secondo un trend sempre crescente di casi, ulteriormente accelerato a seguito della firma della Convenzione OCSE sulla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, sottoscritta a Parigi nel 1997, e della Convenzione ONU contro la corruzione (UNCAC), sottoscritta a Merida nel 2003. Proprio gli USA furono tra i più convinti promotori di tali convenzioni, che finalmente portavano a un livello internazionale collettivo, tendenzialmente universale, quella necessità di enforcement che fino ad allora avevano sostenuto singolarmente. 

Secondo le statistiche della Stanford Law School, il Dipartimento di Giustizia degli USA ha istruito complessivamente 497 casi e la SEC ulteriori 276, arrivando ad accertare responsabilità e a concludere settlement agreements con gli indagati nella grande maggioranza dei casi (rispettivamente 74% e 91%), accertando pagamenti illeciti che avrebbero generato affari per svariate decine di miliardi di dollari. È interessante notare come in una percentuale molto rilevante dei casi, il 41%, i procedimenti siano stati aperti a seguito di denuncia spontanea della stessa società i cui funzionari avevano pagato le tangenti.

Solo nel 2024 sono stati aperti dieci nuovi casi.

Non sono noti casi aperti nel 2025. Ma se pure fossero stati aperti, così come tutti quelli ad oggi pendenti, sarebbero destinati a una fine ingloriosa.

Il nuovo Ordine Esecutivo, infatti, oltre a impedire l’apertura di nuovi casi o di ulteriori atti di indagine, stabilisce che l’Attorney General prenda le opportune iniziative per «rivedere» nel dettaglio i casi già in essere in modo da «ripristinare i limiti propri del FCPA e salvaguardare le prerogative presidenziali in materia di politica estera». Si tratta, in altre parole, di una rinuncia a portare avanti le iniziative giudiziarie già in essere o, più rudemente, di un colpo di spugna.

Da oggi in poi i pagamenti corruttivi a pubblici ufficiali stranieri, nella sostanza, non sono più perseguibili, salvo eccezioni approvate caso per caso dall’Attorney General.

Le espressioni utilizzate nell’ordine esecutivo non lasciano spazio a dubbi su quale sia la valutazione dell’attuale amministrazione sull’applicazione del FCPA, che sarebbe stato «sistematicamente, e in misura sempre crescente, esteso oltre limiti appropriati e abusato in modo da danneggiare gli interessi degli Stati Uniti».

In realtà quello che si vuole impedire non è l’abuso, ma la stessa applicazione di una legge che mira a contrastare la corruzione internazionale, sul presupposto, esplicito, che il pagamento di tangenti a funzionari esteri corrisponda a «pratiche commerciali di routine» («routine business practices») e che impedire tali pratiche porterebbe danni commerciali alle imprese americane. L’obiettivo della nuova amministrazione è quello di realizzare affari all’estero e far progredire l’economia nazionale americana eliminando barriere considerate eccessive («it is therefore the policy of my Administration to preserve the Presidential authority to conduct foreign affairs and advance American economic and national security by eliminating excessive barriers to American commerce abroad»). 

Si tratta di argomenti purtroppo ben noti, a volte intimamente condivisi non solo in parte dell’opinione pubblica ma anche in consessi di esperti della materia. Una posizione che riflette, sul piano politico, una china preoccupante nei rapporti internazionali, che molto si avvicina ad una prospettiva neocolonialista, dove agli Stati “forti” sul piano economico e commerciale è consentito fare, a casa degli altri ed approfittando della fragilità istituzionale ed economica altrui, ciò che dovrebbe essere radicalmente vietato.  

Le conseguenze di tale iniziativa, in termini di enforcement e di prevenzione anche al di fuori degli Stati Uniti, sono difficilmente prevedibili, sia per la tendenziale temporaneità dell’ordine, che prevede che la review abbia una durata iniziale di sei mesi, sia e soprattutto per il patente contrasto della nuova disciplina con gli strumenti convenzionali che disciplinano la materia.

Non si può che osservare con grande preoccupazione questa involuzione.

Il tema della lotta alla corruzione è collegato al contrasto al crimine organizzato, come ricorda la Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale, siglata a Palermo nel 2000 (articoli 8 e 9), e l’indebolimento del contrasto a questo tipo di reati si riflette, a catena, in un vantaggio per ogni forma di criminalità organizzata, potenzialmente anche la più pervasiva e cruenta.

Vi è da chiedersi cosa accadrà in Europa. Nello spazio giuridico del nostro continente il contrasto alla corruzione resta un caposaldo dello Stato di diritto e ciò attraverso non solo l’adesione alle convenzioni OCSE ed ONU citate, ma anche grazie ad una serie di strumenti interni: è dal 1995, con la Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea (Bruxelles, 26.7.1995), che l’Unione Europea si prefigge di contrastare ogni forma di corruzione; a tale originario intervento hanno fatto seguito la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione Europea (Bruxelles, 26.5.1997), nonché, nell’ambito del Consiglio d’Europa, la Convenzione penale sulla corruzione (Strasburgo, 27.1.1999). Proprio questa ultima convenzione si apre con un preambolo che rimarca la gravità della corruzione, che “rappresenta una minaccia per lo Stato di diritto, la democrazia e i diritti dell’uomo, mina i principi di buon governo, di equità e di giustizia sociale, falsa la concorrenza, ostacola lo sviluppo economico e mette in pericolo la stabilità delle istituzioni democratiche e i fondamenti morali della società”, evidenziando i pericoli di collegamento con la criminalità organizzata e la conseguente necessità di adeguati strumenti di contrasto e di cooperazione internazionale. La convenzione di Strasburgo disciplina le fattispecie che devono essere inserite negli ordinamenti degli Stati membri, tra le quali sono incluse, accanto alle ipotesi di corruzione pubblica e privata (con specifiche indicazioni per la corruzione dei membri delle assemblee pubbliche nazionali e straniere e dei pubblici ufficiali stranieri, dei funzionari internazionali, dei giudici nazionali e delle corti internazionali), i reati di traffico di influenza, riciclaggio, violazioni contabili e societarie: a dimostrazione della consapevolezza di quanto connessi siano i risvolti illeciti che ruotano intorno alla corruzione.

Più di recente, attraverso la direttiva Pif del 2017 e la istituzione della Procura Europea (Regolamento UE 1939/2017), che opera come ufficio unico nelle diverse giurisdizioni degli stati membri, l’Unione Europea ha compiuto importanti passi in avanti nel contrasto alla corruzione, sia pure nella prospettiva della tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea. Implicitamente rimarcando come la corruzione, oltre alle ricadute in termini etici e di credibilità delle istituzioni democratiche, genera alterazioni e pregiudizi economici.

Quanto sta accadendo negli Stati Uniti obbliga ad una considerazione fondamentale: per assicurare l’enforcement nel contrasto ai reati, soprattutto a quelli che più da vicino lambiscono i detentori della leva amministrativa ed economica, occorrono organi indipendenti e sottratti alla influenza del potere politico. Un monito da tenere a mente nei giorni in cui, con varie forme, si mira anche da noi ad indebolire le magistrature, alterare gli equilibri costituzionali, svuotare le forme di controllo.  

 

***

 

Sospensione dell’applicazione del Foreign Corrupt Practices Act per favorire la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti d’America

ORDINE ESECUTIVO

10 febbraio 2025

 

Per l’autorità conferitami in qualità di Presidente dalla Costituzione e dalle leggi degli Stati Uniti d’America, si ordina quanto segue: 

 

Sezione 1. Scopo e finalità politiche. 

Fin dalla sua entrata in vigore nel 1977, l’applicazione del Foreign Corrupt Practices Act (15 U.S.C. 78dd-1 et seq.) (FCPA) è stata sistematicamente, ed in misura costantemente crescente, estesa oltre i limiti appropriati ed oggetto di abusi tali da recare danno agli interessi degli Stati Uniti. L’attuale applicazione del FCPA ostacola gli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti e conseguentemente coinvolge l’autorità del Presidente in materia di affari esteri di cui all’Articolo II.  

L’autorità del Presidente in materia di affari esteri è inscindibilmente legata alla competitività economica globale delle imprese statunitensi. La sicurezza nazionale degli Stati Uniti dipende in misura sostanziale dall’acquisizione di vantaggi commerciali strategici da parte degli Stati Uniti stessi e delle proprie imprese, sia ciò nel settore dei minerali critici, dei porti in acque profonde o in altre infrastrutture o beni chiave. 

L’applicazione imprevedibile ed esorbitante del FCPA da parte del nostro stesso governo contro cittadini e attività imprenditoriali statunitensi per attività commerciali ordinarie condotte in altri Stati non solo costituisce uno spreco delle limitate risorse a disposizione del pubblico ministero, che potrebbero essere impiegate per salvaguardare le libertà statunitensi, ma danneggia attivamente la competitività degli Stati Uniti e, di conseguenza, la sicurezza nazionale. 

E’ pertanto politica della mia Amministrazione preservare l’autorità presidenziale di condurre gli affari esteri e promuovere la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti eliminando eccessivi ostacoli al commercio statunitense all’estero. 

 

Sez. 2. Politica di applicazione discrezionale. 

(a) Per un periodo di 180 giorni successivi alla data di quest’ordine, l’Attorney General rivedrà le linee guida e le policies che disciplinano le indagini e le azioni applicative nell’ambito del FCPA. Nel corso del periodo di revisione, l’Attorney General dovrà: 

      (i) Astenersi dall’avviare qualsiasi nuova indagine o azione applicativa del FCPA, salvo che l’Attorney General stabilisca che debba esser fatta una specifica eccezione;

      (ii) Rivedere in dettagli ogni indagine o azione applicativa nell’ambito del FCPA e adottare misure appropriate con riferimento a tali questioni al fine di ripristinare corretti limiti di applicazione del FCPA e salvaguardare le prerogative presidenziali in materia di politica estera; e 

      (iii) Emanare linee guida o policies aggiornate, per come ritenute appropriate, per promuovere adeguatamente l’autorità del Presidente ai sensi dell’Articolo II di condurre gli affari estere e dare priorità agli interessi e alla competitività economica statunitensi nei confronti di altri Stati, e l’uso efficiente delle risorse delle forze dell’ordine federali.

(b) qualora lo ritenga opportuno, l’Attorney General potrà estendere tale periodo di revisione per ulteriori 180 giorni.

(c) le indagini e le azioni applicative del FCPA avviate o proseguite dopo l’emanazione delle linee guida o policies di cui alla sottosezione (a) della presente sezione: 

      (i)  Saranno disciplinate da tali linee guida o policies; e 

      (ii)  Dovranno essere specificamente autorizzate dall’Attorney General.

(d) dopo l’emanazione delle linee guida o policies di cui alla sottosezione (a) della presente sezione, l’Attorney General determinerà se siano necessarie ulteriori azioni, incluse misure correttive relative a precedenti indagini e azioni applicative nell’ambito del FCPA e darà ad esse esecuzione, o le raccomanderà al Presidente qualora sia necessaria un’azione da parte di quest’ultimo. 

 

Sez. 3. Clausola di separabilità. 

Qualora qualsivoglia disposizione del presente ordine, o l’applicazione di qualsivoglia disposizione a qualsiasi persona o circostanza sia ritenuta non valida, ciò non avrà effetto sulla restante parte del presente ordine e l’applicazione delle sue disposizioni ad ogni altra persona o circostanza. 

 

Sez. 4. Disposizioni generali. 

(a) Niente in quest’ordine sarà interpretato in modo tale da compromettere o avere effetto in alcuna maniera:

      (i) l’autorità conferita dalla legge a un dipartimento esecutivo, agenzia o al capo di essi;

      (ii) le funzioni del Direttore dell'Ufficio per la Gestione e il Bilancio relative a proposte di bilancio, amministrative o legislative.

(b) Al presente ordine sarà data esecuzione secondo la legge applicabile e salvo disponibilità di stanziamenti. 

(c) Il presente ordine non intende istituire, né istituisce, alcun diritto né beneficio, sostanziale o procedimentale, eseguibile secondo diritto o equità in alcuna sua parte nei confronti degli Stati Uniti, i suoi dipartimenti, agenzie o enti, i suoi ufficiali, impiegati o agenti, o qualunque altra persona. 

 

LA CASA BIANCA

10 febbraio 2025

 

Il testo originale è disponibile qui: https://www.whitehouse.gov/presidential-actions/2025/02/pausing-foreign-corrupt-practices-act-enforcement-to-further-american-economic-and-national-security/ 

15/02/2025
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