Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Il Tribunale Permanente dei Popoli si pronuncia sulle accuse di violenza di Stato e ambientale in Papua Occidentale a carico dell'Indonesia *

a cura di Redazione

La sintesi della sentenza resa dal Tribunale Permanente dei Popoli nella sessione sulla violenza di Stato e ambientale svoltasi a Londra nei giorni 27-29 giugno 2024. Di seguito al testo italiano della sintesi, la versione originale in inglese. In allegato, il testo integrale della sentenza. 

Procedura e quadro di riferimento

Il TPP è un tribunale internazionale d’opinione con sede a Roma, Italia, ed istituito nel 1979 per rendere sentenze indipendenti sulle gravi violazioni dei diritti umani e dei diritti dei popoli che non trovino un proprio spazio nelle esistenti corti di diritto internazionale[1]

La richiesta che ha condotto alle udienze pubbliche svoltesi presso la Queen Mary University di Londra fra il 27 e il 29 giugno 2024 è stata avanzata dal Centre for Climate Crime and Climate Justice (CCCCJ) e da una rete di organizzazioni e associazioni per i diritti umani e ambientali internazionali e indonesiane. Secondo le procedure delineate dagli statuti del TPP, il rinvio a giudizio è stato preceduto da un’attenta fase istruttoria, ritenuta coerente con le competenze e la giurisprudenza consolidata del TPP[2].

Il governo dell’Indonesia è stato debitamente informato dell’imputazione e del proprio diritto di difesa con notifica certificata del 22 maggio 2024, confermata con notifica a mani presso l’Ambasciata di Roma del 17 giugno 2024. 

Le testimonianze e le relazioni sono state presentate e discusse, in persona e da remoto, nel corso di due giorni e mezzo di udienze pubbliche, di fronte a un panel di giudici composto da (in ordine alfabetico): Teresa Almeida Cravo (Portogallo), Donna Andrews (Sudafrica), Daniel Feierstein (Argentina), Marina Forti (Italia), Larry Lohmann (Regno Unito), Nello Rossi (Italia) e  Solomon Yeo (Isole Salomone).

Il ruolo di pubblico ministero è stato assunto da Silvia Csevar (Paesi Bassi), Leo Lijie (Indonesia), Yohanis Mambrasar (Indonesia), Fadjar Schouten-Korwa (Paesi Bassi) and David Whyte (Regno Unito). 

In mancanza di risposta, e secondo lo Statuto del TPP, è stata presentata in udienza una difesa d’ufficio fondata sull’attento esame delle dichiarazioni ufficiali del governo indonesiano sugli argomenti oggetto dell’imputazione. 

Il compito di questo Tribunale era stabilire la verità sugli eventi delittuosi verificatisi in Papua Occidentale e sulla repressione che qui ha luogo, ma anche chiarire e riaffermare i diritti inalienabili delle popolazioni indigene relativi alla terra e all’ambiente. La documentazione presentata a questo Tribunale, ed in particolare le testimonianze rese nelle udienze pubbliche, tracciano un quadro di attacchi devastanti alla vita e ai mezzi di sostentamento degli abitanti della regione. Il caso della Papua Occidentale[3] rappresenta un esempio di negazione contemporanea del diritto all’autodeterminazione, un principio riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli che ha dato luogo all’istituzione di questo Tribunale nel 1979. 

Al Tribunale è stato chiesto di decidere su quattro capi d’imputazione formulati nei confronti del governo indonesiano e di soggetti stranieri. Della sentenza[4], che consta di otto sezioni, si riportano in questo documento solo alcuni passi: una sintesi delle pronunce sui quattro capi d’imputazione e la sezione contenente la decisione e le raccomandazioni. 

 

 

Sintesi delle pronunce sui capi di imputazione

Primo capo d’imputazione: accaparramento di terre (land grabbing)

Nel primo capo d’imputazione, lo Stato dell’Indonesia è accusato di «sottrarre la terra ancestrale degli indigeni Papua contro la loro volontà». Lo Stato dell’Indonesia si difende sostenendo di aver introdotto nel proprio sistema giuridico il diritto agrario consuetudinario, ma allo stesso tempo sostiene di avere sovranità illimitata sull’intero proprio territorio, inclusa la Papua Occidentale. 

Come solennemente riconosciuto e riaffermato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella sessione plenaria n. 107 del 13 settembre 2007, «i popoli indigeni possiedono diritti collettivi indispensabili per la loro esistenza, il loro benessere e lo sviluppo integrale del loro popolo». 

Nel caso dei popoli della Papua Occidentale, questi diritti sono stati in vario modo violati dalla colonizzazione e dallo spossessamento delle terre, da parte degli olandesi prima e da parte del governo indonesiano poi. 

In particolare, oggetto di violazione è stato il principio – consacrato nell’art. 19 della summenzionata dichiarazione n. 107 delle Nazioni Unite – secondo la quale gli Stati hanno l’obbligo di consultare i popoli indigeni interessati e di cooperare con essi «in buona fede» per il tramite delle loro istituzioni rappresentative «al fine di ottenere il loro previo ed informato consenso prima di adottare e dare attuazione a misure legislative o amministrative che possano avere impatto su di loro». 

Come rappresentato in numerosi scritti di studiosi e osservatori indipendenti, fin dal controverso referendum per l’annessione del 1969, chiamato Atto di Libera Scelta (Act of Free Choice), il diritto degli abitanti della Papua Occidentale a non essere soggetti a misure di ricollocamento o spossessamento forzato è stato sistematicamente ignorato. 

Tutti i testimoni ascoltati dal Tribunale hanno denunciato che le loro comunità hanno subito dolorosi espropri e che loro stessi, in quanto membri della comunità, sono stati privati di libertà essenziali, quali quella di movimento, e dei diritti economici, primo fra tutti quello alla casa. In particolare, il Tribunale ha ascoltato le testimonianze di un numero crescente di casi di accaparramento di terre riferiti dai territori delle reggenze di Meraure, Mimika, Deiyai e Sorong nel periodo aprile-giugno 2024.

Come suggerito dagli studi sul campo e confermato dalle testimonianze rese davanti al Tribunale, il sistema di consultazione preventiva delle popolazioni interessate, l'acquisizione e la verifica del loro consenso informato è attualmente manipolato dallo Stato indonesiano per raggiungere i propri scopi e non garantisce alcun rispetto per la speciale relazione, economica ma anche spirituale, tra le popolazioni della Papua Occidentale e il loro ambiente.

Pertanto, il Tribunale, in risposta al primo capo d'imputazione, riconosce che lo Stato indonesiano ha compromesso in modo violento il rapporto dei popoli indigeni con la loro terra, sia espropriandoli e allontanandoli dai loro territori per consentirne lo sfruttamento - minerario, industriale, agricolo - sia sconvolgendo l'ambiente naturale in cui sono nati e vivono, in nome di uno sviluppo economico ecologicamente insostenibile.

 

Secondo capo d’imputazione: l’ombra della paura

Nel secondo capo d’imputazione, lo Stato indonesiano è accusato di «repressione violenta […] come mezzo per promuovere lo sviluppo industriale».

In svariate occasioni, lo Stato indonesiano ha dichiarato di trattare appropriatamente tutte le accuse di violazioni dei diritti umani. Lo Stato ha anche dichiarato che le operazioni militari sono proporzionate e fanno parte di operazioni allargate per sradicare l'OPM[5] e proteggere la popolazione civile. Tuttavia, questo Tribunale ha ritenuto che le operazioni sostenute per «proteggere le popolazioni civili» producano solo altre vittime.

Una sintesi migliore della situazione attuale in Papua Occidentale con riferimento alle violazioni dei diritti umani è offerta dalla frase di un testimone: «Viviamo nell’ombra della paura». La condizione di paura è stata costruita nel tempo per mezzo di crimini di Stato e dell’impunità garantita agli autori di tali delitti. 

Solo con riferimento agli ultimi pochi anni, la maggior parte dei rapporti inviati al TPP offrono un quadro chiaro della ripetuta e sistematica repressione attuata nei confronti della popolazione della Papua Occidentale, incluse le detenzioni illegittime, le esecuzioni capitali extragiudiziali e il ricollocamento della popolazione. In particolare: 

- Human Rights Monitor ha documentato che, al 16 giugno 2024, un totale di 79.319 persone, per lo più indigeni papuani, rimangono sfollati all'interno della regione, senza accesso ai servizi di base, come quelli sanitari, e all’istruzione.

- Amnesty International (rapporto pubblicato nel mese di maggio 2024) ha documentato almeno 131 vittime di uccisioni illegali solo tra gennaio 2018 e marzo 2024. 

- Amnesty, inoltre, rileva la continua repressione dell'espressione politica pacifica. TAPOL[6] ha documentato 245 nuovi prigionieri politici solo dall'inizio del 2019 a settembre 2020. Nello stesso rapporto si legge che il 72% di questi arresti è avvenuto solo per aver innalzato o esposto la bandiera con la Stella del mattino[7].

- Human Rights Monitor conclude che l’uso della tortura e di altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti rimangono pratiche diffuse tra la polizia e i militari in Papua Occidentale.

Il sistema giudiziario non è in grado di garantire indagini incisive e indipendenti sulla maggior parte dei gravi crimini commessi contro la popolazione e in Papua Occidentale dilaga l’impunità.

È evidente che i diversi rapporti e le varie testimonianze presentati davanti a questo Tribunale costituiscono solo la punta visibile dell'iceberg dei crimini di Stato commessi nella regione come mezzo per favorire lo sviluppo industriale. Questa situazione merita chiaramente indagini ulteriori da parte di diversi organismi nazionali e internazionali e interventi urgenti per porre fine alle sofferenze della popolazione e portare giustizia nella regione.

 

Terzo capo d’imputazione: un sistema di degrado ecologico come modalità di cancellazione dei popoli

Per il terzo capo d’accusa, lo Stato indonesiano ha organizzato il degrado ambientale come risultato dello sviluppo industriale e degli investimenti di aziende nazionali e straniere.

I giudici ritengono che lo Stato indonesiano, con il supporto di svariati Stati esteri come Stati Uniti, Australia, Regno Unito, Paesi Bassi e Danimarca, abbia organizzato quello che viene chiamato “degrado ambientale”. Questa organizzazione passa attraverso un regime di terrore, militarizzazione, accaparramento di terre, foreste ed acque, impunità giuridica, sorveglianza ed altre restrizioni che incidono sulla vita e sul sostentamento delle popolazioni interessate, nonché sulla libera circolazione del pensiero e dell’informazione. Il degrado ambientale è perpetrato attraverso tre meccanismi: 

1. L’estrazione mineraria orientata al profitto di oro e rame ed estrazione e liquefazione di gas naturale (in particolare, il TPP ha ascoltato testimonianze sul caso dell’impresa Freeport McMoRan relativo alle attività condotte nella miniera di Grasberg, e su quello dell’impresa British Petroleum e dei suoi 5 partner nazionali e internazionali per il giacimento di gas di Tangguh); 

2. La deliberata deforestazione finalizzata alla costituzione di piantagioni di palme da olio e di altre operazioni di agribusiness (il TPP ha ascoltato casi di 11 compagnie nazionali e internazionali del settore); 

3. Progetti recenti di sfruttamento di terreni per finalità alimentari.

Come rivelato dalle testimonianze rese a questo Tribunale, gli effetti sulle terre, sulle acque e sulle foreste sono stati gravi. I progetti di estrazione mineraria, di sfruttamento del legname e di agribusiness, nonché le infrastrutture ad essi correlate, largamente orientati all’esportazione, hanno avuto tra le varie conseguenze, la deforestazione, la perdita di acqua potabile di colture di sussistenza, di ambienti di montagna, di risorse ittiche e l’avvelenamento di bacini idrografici oltre che delle persone. Questi effetti si sono prodotti, fra le altre zone, nelle reggenze di Mimika, Merauke, Intan Jaya, Maybrat, Jayapura, Soron e Paniai.

Le operazioni minerarie sono state indicate come causa di contaminazione su vasta scala delle acque e dell'accumulo di materiali sterili tossici e di altri rifiuti, con conseguenze per la pesca, l’agricoltura e la salute umana. Le piantagioni di palma da olio sono associate alla perdita di foreste - che coprono ancora circa il 78% della superficie totale della Papua Occidentale, nonostante il rapido aumento dei tassi di disboscamento dal 2002 - nonché all'inquinamento delle acque, alla perdita di agricoltura mista e di biodiversità. Gli effetti non sono stati solo locali. L'attività delle industrie aggrava infatti il riscaldamento globale e destabilizza il clima mondiale.

I testimoni di Papua rivelano che il “degrado ambientale” non può essere ritenuto disgiunto dai progetti dello Stato e delle grandi imprese finalizzati alla cancellazione di un popolo, o a quello che è stato definito da più di un testimone un “lento genocidio”. L'organizzazione del degrado ecologico al quale si riferisce il terzo capo d'imputazione è indistinguibile dall'organizzazione di un progetto razzista che ovunque cerca di escludere dalla proprietà dei loro territori i papuani occidentali intesi come gruppo.

La quotidiana caratterizzazione pubblica o ufficiale dei papuani come “primitivi”, “scimmie”, “cani” o “maiali” non può essere disgiunta da ugualmente diffusi atti denigratori compiuti in termini formalmente simili nei confronti della loro agricoltura e delle loro terre comuni.

Non vi è accaparramento di terre nella regione che non sia anche un accaparramento di un popolo e dei suoi antenati e discendenti, della sua conoscenza, della sua lingua, delle sue opportunità di lavoro dignitoso, della sua libertà e identità e del suo spirito. Una razzializzazione sempre più divisiva è una delle forme assunte dallo sviluppo industriale in Papua Occidentale. 

I legami fondamentali con il territorio hanno un'implicazione politica per le multinazionali del settore estrattivo che intendono trarre profitto dalla Papua Occidentale, insieme allo Stato indonesiano che sostiene i loro interessi. Ciò significa che le multinazionali e lo Stato non hanno altra scelta che separare i papuani occidentali dalla loro terra se vogliono perseguire i loro attuali progetti di estrazione, disboscamento e costituzione di piantagioni.

I testimoni papuani hanno spiegato le implicazioni del nesso fra imprese, Stato e esercito che caratterizza l’attività industriale nella regione:

- La repressione militare e la brutalità nei confronti dei papuani occidentali, che spesso implica massacri effettivi o minacciati ai danni degli stessi, sono spesso collegate a quelli che convenzionalmente sono classificati come conflitti “ambientali”.

- Numerose testimonianze rese di fronte a questo Tribunale hanno affermato che lo Stato diffama i tentativi di difendere gli ecosistemi, di combattere il razzismo, o persino di protestare contro qualunque forma di ingiustizia, etichettandoli come “separatismo”, o li minaccia come casi di “insurrezione” o “terrorismo”.

- La strategia ambientale-militare dello Stato, consistente nell’utilizzare la forza per separare i papuani occidentali dalla propria terra, e la terra dai papuani occidentali, assume una forma particolarmente rigida e violenta nel fenomeno delle “persone sfollate all’interno del Paese”.

- Come hanno sottolineato diversi testimoni, i programmi di migrazione sponsorizzati dallo Stato hanno indebolito il potere politico dei Papuasi occidentali che cercano di conservare la terra, l'acqua e le foreste locali, mentre hanno aumentato quello dello Stato indonesiano, che strutturalmente ha molto meno interesse a difendere l'ambiente non umano.

- Le modifiche unilaterali adottate nel 2022 alla legge del 2001 sull’autonomia speciale papuana non solo escludono l’Assemblea del popolo papuano dalle discussioni in merito, ma accelerano lo sfruttamento delle risorse naturali e la militarizzazione in aree remote del territorio.

Il governo indonesiano ha rifiutato di rispondere a questo Tribunale in merito al terzo capo d’accusa. Tuttavia, è intervenuta in altre sedi per difendere le proprie azioni nei confronti dei territori e delle popolazioni della Papua Occidentale. Queste dichiarazioni sono state messe agli atti, ma i giudici le hanno ritenute inadeguate a fronte delle prove valutate da questo Tribunale. 

Per quanto riguarda l'ambiente, come tradizionalmente concepito dagli Stati, il governo indonesiano ha richiamato l'attenzione sul proprio sistema normativo, evidenziando che sono in vigore leggi - che controllano l'inquinamento industriale, la deforestazione e così via - e sostenendo, ad esempio, che le violazioni della qualità delle emissioni comporteranno per le imprese responsabili sanzioni amministrative o penali.

Ancora una volta, tuttavia, sottolineare l’esistenza di queste leggi non è di per sé una risposta agli interrogativi sorti in conseguenza di quelle numerose gravi violazioni dei diritti umani e delle comunità dei papuani occidentali, che le prove presentate al Tribunale hanno dimostrato essere messe in atto oggi in tutta la Papua Occidentale a servizio delle politiche estrattive statali. 

 

Quarto capo d’imputazione: collusione

Con il quarto ed ultimo capo d’imputazione, lo Stato dell’Indonesia è accusato di collusione con le compagnie nazionali e straniere, cagionando così degrado ambientale, ricollocamento della popolazione e continua repressione violenta in Papua Occidentale. 

Sulla base delle testimonianze acquisite dal Tribunale, si può concludere che lo Stato dell’Indonesia e le compagnie nazionali e straniere – fra le quali Unilever, British Petroleum (BP), Niche Jungle, Jardine, Freeport McMoRan, Mitsubishi Corporation and CNOOC – condividano con l’esercito indonesiano un forte interesse nelle risorse naturali e nel potenziale agricolo delle terre ancestrali della Papua Occidentale. 

Il Tribunale ha appreso che in particolare il TNI[8] ha forti interessi economici nelle imprese estrattive e agricole. Il TNI è diventato uno strumento al servizio della protezione degli interessi statali e imprenditoriali tanto da implicare la repressione nei confronti di coloro che si oppongono alla logica del “business as usual”.

Secondo lo Stato indonesiano, in Papua Occidentale, l’estrazione di risorse e l’utilizzo della terra da parte delle imprese è condotta nell’intento di perseguire il progressivo sviluppo economico e miglioramento degli standard di vita complessivi dei cittadini indonesiani, specialmente di coloro che vivono in Papua Occidentale. 

Inoltre, secondo le testimonianze, lo Stato ha promulgato diverse leggi e diversi regolamenti con l’obiettivo di mantenere l’equilibrio ambientale, prevenire la discriminazione e proteggere i diritti tradizionali delle comunità governate dal diritto consuetudinario. Tali leggi includono, fra le altre, la legge agraria fondamentale n. 5/1960, il decreto de parlamento indonesiano (MPR[9]) sulla riforma agraria n. X/2000, la legge sulla gestione della zona costiera e delle piccole isole n. 27/2007, la legge sull’ambiente n. 32/2010 e il regolamento governativo n. 23/2021. Lo Stato inoltre ha sottoscritto la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli Indigeni, e la Corte costituzionale dell’Indonesia ha pronunciato tre sentenze fondamentali che riconoscono i diritti collettivi delle comunità di diritto consuetudinario alle terre e alle foreste regolate da tale diritto (o adat). 

Tuttavia, il Tribunale ha appreso che le azioni e le attività intraprese dalle imprese  private e dello Stato per perseguire i propri interessi non rispettano adeguatamente i loro obblighi giuridici ed etici nei confronti dei papuani occidentali e del loro ambiente, come stabiliti dalle leggi e dai regolamenti nazionali dello Stato e dagli obblighi nascenti dai trattati internazionali.

Il Tribunale rileva che, in numerose località della Papua Occidentale, per perseguire i propri obiettivi, l’azione dello Stato e del potere delle imprese ripetutamente uno schema molto controverso, che sembra essere composto da tre fasi:

Prima fase: false promesse, come alleviare la povertà e innalzare gli standard di vita complessivi.

Seconda fase: ingresso e controllo, come nel caso dell’intervento e della continuativa presenza del TNI documentati per questo Tribunale, con l’obiettivo di creare un clima di paura, di controllare e sottomettere le popolazioni locali, e di impedire loro di mettere in discussione le attività imprenditoriali o di organizzarsi in difesa dei propri diritti. In queste circostanze, il Tribunale rileva che i papuani occidentali, specialmente le donne e i bambini, corrono un rischio significativo di essere arbitrariamente privati del proprio diritto alla vita, dei propri diritti di vivere liberi dalla violenza sessuale e dalla malnutrizione, e di altri diritti umani fondamentali. 

Terza fase: monitoraggio e repressione, con l’obiettivo di evitare interferenze. Se emerge una resistenza, essa è tendenzialmente oggetto di costante repressione fino alla completa neutralizzazione. 

Le imprese considerate nell’imputazione sono direttamente implicate nelle violenze perpetrate nei confronti delle comunità indigene della Papua Occidentale. La loro specifica responsabilità nel danno causato ai popoli, alle loro terre e alle loro risorse deve essere oggetto d’indagine. Il Tribunale ha anche letto e ascoltato testimonianze che implicano la formazione impartita da Stati occidentali alle forze di sicurezza indonesiane responsabili di violazioni dei diritti umani. Il Tribunale pertanto rileva che non solo lo Stato indonesiano, ma anche gli Stati nei quali queste compagnie hanno sede, devono essere sottoposte a controllo internazionale.

 

Decisione e raccomandazioni

Sulla base degli elementi di prova esaminati, lo Stato dell’Indonesia è ritenuto colpevole di tutte le accuse indicate nel rinvio a giudizio, ed in particolare:

§ Della sottrazione, operata con varie modalità, delle terre ancestrali dei popoli indigeni papuani contro la loro volontà, per mezzo di discriminazione razziale che conduce alla perdita di cultura, tradizioni e conoscenza indigena, cancella la loro storia e la ingloba nella narrazione nazionale indonesiana;

§ Della violenta repressione, che include detenzioni illegittime, esecuzioni capitali extragiudiziali e trasferimenti forzati di popolazioni in Papua Occidentale, quale mezzo per promuovere lo sviluppo industriale;

§ Del degrado ambientale organizzato, che include la distruzione di ecosistemi, la contaminazione di terre, l’avvelenamento di fiumi e affluenti e l’emanazione di permessi, concessioni e strumenti giuridici illegittimi che consentono a imprese nazionali e straniere di investire in Papua Occidentale in modo tale da incoraggiare il degrado ambientale;

§ Di collusione con le imprese nazionali e straniere al fine di cagionare in Papua Occidentale degrado ambientale, trasferimento forzato di popolazioni e repressione violenta e persistente.

Per porre fine, ed in ogni caso mitigare, gli effetti illegittimi e dannosi della condotta oggetto di condanna, il Tribunale raccomanda che:

 

A) Il governo dell’Indonesia

Terre ancestrali, ambiente e indigeni papuani

Il governo dell’Indonesia deve onorare gli obblighi assunti in qualità di membro delle Nazioni Unite ed assicurare validamente il libero esercizio del diritto all’autodeterminazione in ossequio alla Dichiarazione del 1960 sulla concessione dell'indipendenza ai Paesi e ai popoli coloniali. 

Il governo indonesiano deve garantire che qualsiasi progetto di sviluppo nelle terre indigene introduca adeguatamente una reale autodeterminazione per i papuani, per garantire loro autonomia e un significativo potere di contrattazione collettiva.

Il governo indonesiano deve dare priorità agli interessi degli indigeni papuani in relazione agli sviluppi industriali nella Papua occidentale.

Il governo dell’Indonesia deve adottare provvedimenti per garantire un'adeguata protezione dell'ambiente, al fine di salvaguardare l'identità delle popolazioni indigene papuane, culturalmente e spiritualmente unite alle loro terre ancestrali, e adeguatamente monitorare e applicare tali misure.

Il governo indonesiano deve riconoscere i diritti sui territori tradizionali, gli ordinamenti fondiari indigeni e i sistemi di occupazione tradizionale, per garantirne il rispetto e la protezione e assicurare che non vengano soppiantati da una proprietà privata semplificata.

Il governo indonesiano deve adottare misure appropriate per salvaguardare il diritto degli indigeni papuani a utilizzare terre non occupate esclusivamente da loro, ma alle quali hanno tradizionalmente avuto accesso per la loro sussistenza e le loro attività tradizionali, come la coltivazione itinerante o le zone di caccia e pesca. 

Il governo indonesiano e il settore privato devono garantire adeguatamente il consenso libero, preventivo e informato dei papuani per tutte le questioni che li riguardano, al fine di raggiungere la pace sociale e proteggere i sistemi indigeni ed ecologici della Papua Occidentale.

Il governo dell’Indonesia deve astenersi dal costringere o forzare gli indigeni papuani a conformarsi alle modalità di autodeterminazione o autogoverno indonesiani con riferimento alle loro terre e risorse. Gli indigeni papuani hanno il diritto a e le risorse per sviluppare le proprie modalità e strutture di autogoverno e sviluppo. 

Il governo dell’Indonesia deve assicurare l’autonomia degli indigeni papuani e coinvolgerli attivamente nelle misure, programmi e attività presenti e future finalizzate alla definizione del loro sviluppo e benessere. 

Il governo dell’Indonesia e le autorità interessate devono assicurare che in Papua Occidentale i programmi educativi siano contestualizzati con il fine di un pieno riconoscimento delle identità culturali, delle lingue e delle fedi religiose e spirituali degli indigeni papuani nelle proprie sfere culturali. 

Stanti le profonde preoccupazioni del Tribunale per il tasso di deforestazione - in particolare da palma da olio - nella Papua occidentale, il governo indonesiano deve intensificare gli sforzi per invertire la deforestazione entro il 2030, al fine di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali.

 

Popolazioni sfollate all’interno del Paese

Il governo dell’Indonesia non deve organizzare, favorire o permettere violenza, degrado ambientale o utilizzo di meccanismi di legge o statali per trasferire arbitrariamente e in modo non etico i papuani dalle loro terre. 

Il governo dell’Indonesia deve assicurare protezione e assistenza adeguate ai papuani che sono forzatamente strappati alle loro terre tradizionali a causa di conflitti violenti, manifeste violazioni dei diritti umani ed altri eventi traumatici. 

Il governo dell’Indonesia deve mettere in atto sforzi per offrire ai papuani sfollati interni percorsi sicuri per tornare volontariamente, in sicurezza e con dignità, alle loro case o ai loro luoghi di residenza abituale, o per reinsediarsi volontariamente in altre parti del Paese.

Il governo dell’Indonesia deve incaricare le autorità competenti di garantire che le persone sfollate tornate alle loro case o ai loro luoghi di residenza abituale o reinsediatesi in un'altra parte del Paese non siano discriminate per il fatto di essere state sfollate.

Il governo dell’Indonesia dovrebbe incaricare le autorità interessate di assistere i papuani sfollati interni nel percorso di ritorno e/o reinsediamento, incluso il recupero delle proprietà che essi hanno lasciato o delle quali sono stati spossessati dopo essere stati allontanati. Quando il recupero di tali proprietà non è possibile, le autorità competenti devono offrire a queste persone un risarcimento adeguato o un’altra forma di giusta riparazione, oppure assisterle nel percorso finalizzato ad ottenerli. 

Il governo dell’Indonesia deve assicurare che le autorità, in qualunque circostanza, non conducano o non prevengano attacchi diretti o indiscriminati, o atti di violenza nei confronti dei papuani sfollati interni, inclusi i papuani combattenti che non prendano più parte alle ostilità o che non vi abbiano mai partecipato. 

 

Giustizia e stato di diritto

Il governo dell’Indonesia deve astenersi dall'uso oppressivo delle strutture di potere dello Stato per criminalizzare le attività pacifiche dei papuani occidentali e per giustificare l'ingresso e l'esclusione dall'accesso alla terra al fine di appropriarsi delle risorse e di sfruttarle. 

Il governo dell’Indonesia abroghi o modifichi sostanzialmente gli articoli 106 e 110 del Codice penale indonesiano (KUHP) per renderlo nuovamente rispondente alle limitazioni specificate dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui l'Indonesia è Stato parte.

Il governo dell’Indonesia deve garantire che il sistema giudiziario e lo stato di diritto siano imparziali e accessibili ai papuani, e che le sanzioni e i rimedi adeguati per qualsiasi violazione dei loro diritti siano amministrati in modo giusto, come avverrebbe nei confronti di qualsiasi altro cittadino.

Il governo dell’Indonesia e i suoi apparati non devono autorizzare, sostenere o tollerare alcuna sparizione forzata. Il governo dell’Indonesia deve adottare tutte le misure necessarie e ragionevoli per indagare, prevenire e/o reprimere la perpetrazione di una sparizione forzata, o per sottoporre la questione alle autorità competenti per le indagini e per l’esercizio dell'azione penale.

Il governo dell’Indonesia e i suoi apparati devono garantire che coloro coinvolti in sparizioni forzate ricevano condanne e sanzioni adeguate in base al proprio ordinamento giuridico e che le vittime abbiano il diritto di ottenere riparazioni e risarcimenti rapidi, equi e adeguati.

Il governo dell’Indonesia deve fornire adeguata assistenza alle vittime di sparizione forzata, e alla ricerca, localizzazione e liberazione delle persone scomparse e, in caso di decesso, alla loro riesumazione e identificazione e alla restituzione dei loro resti.

Il governo dell’Indonesia dovrebbe avviare un'inchiesta per valutare i danni, i risarcimenti e le restituzioni alle famiglie delle persone uccise e i risarcimenti a quelle che hanno subito lesioni in eventi passati, tra cui, ma non esclusivamente, i massacri di Biak, Abepura, Manokwari e Wamena.

Il governo dell’Indonesia dovrebbe garantire che qualunque decisione statale relativa alla sospensione delle telecomunicazioni nella regione della Papua Occidentale abbia un chiaro fondamento giuridico che evidenzi lo scopo e le finalità di tale decisione con ragionevole anticipo. 

 

Accesso all’assistenza delle organizzazioni delle Nazioni Unite e all’assistenza umanitaria

Il governo dell’Indonesia deve garantire l’accesso all’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, allo Special rapporteur delle Nazioni Unite e alle altre istituzioni delle Nazioni Unite per i diritti umani, che intendano visitare la Papua Occidentale per indagare appieno sulle violazioni dei diritti umani e per promuovere e proteggere tali diritti. Questa richiesta è oggi sostenuta da oltre 100 Stati membri delle Nazioni Unite. 

Il Tribunale incoraggia le organizzazioni ONU competenti a prendere in considerazione le raccomandazioni contenute ai punti s.9 III-VI del summit dei leader del Melanesian Spearhead Group[10]

Tutte le autorità interessate devono garantire e facilitare il libero passaggio dell'assistenza umanitaria e garantire alle persone impegnate nel prestarla un rapido e non difficoltoso accesso agli sfollati interni. Inoltre, le autorità non devono dirottare gli aiuti umanitari e i soccorsi per scopi politici o militari.

 

B) Settore privato

Il Tribunale mette in guardia le compagnie dell’industria mineraria dal promuove una narrazione secondo la quale le attività da esse svolte sarebbero essenziali per gli obiettivi globali di decarbonizzazione, e che esse avrebbero effetti benefici sulle comunità locali, specialmente considerando che le evidenze collegano tali attività con un diffuso degrado ambientale, con la perdita di vite indigene e di mezzi per il loro sostentamento, nonché con conflitti e forti squilibri. 

Le compagnie industriali del passato e del presente devono essere ritenute responsabili per le violazioni dei diritti umani e per il degrado ambientale connessi alle loro attività. 

 

C) Paesi della regione

Il Tribunale accoglie favorevolmente la decisione del Forum delle isole del Pacifico e del Melanesian Spearhead Group di nominare inviati speciali per avviare colloqui con l'Indonesia sulla questione della Papua Occidentale. Il Tribunale incoraggia gli inviati, nel loro impegno, ad evidenziare le preoccupazioni per i diritti umani e le raccomandazioni di questo Tribunale al governo dell'Indonesia.

Il Tribunale incoraggia i leader del Melanesian Spearhead Group a sostenere costantemente la rappresentanza della Papua Occidentale all'interno dei vari forum nazionali, regionali e internazionali e a supportare costantemente la trasparenza e l’assunzione di responsabilità per la situazione dei diritti umani in Papua Occidentale.

 

D) Comunità internazionale e soggetti privati 

Il Tribunale raccomanda che la collusione critica degli Stati e delle compagnie elencate qui sotto con il governo dell’Indonesia sia urgentemente valutata e adeguatamente affrontata nelle apposite e competenti sedi per assicurare politiche coerenti con un’evoluzione democratica dei popoli della Papua Occidentale. 

Palma da olio: Wilmar International Ltd, Singapore; Golden Agri-Resources Ltd, Singapore; Astra Agro Lestari, Indonesia; Bumitama Agri Ltd, Indonesia; Carson Cumberbatch PLC, Sri Lanka; Grupo Bimbo, Messico; Noble Group, Hong Kong; Salim Ivomas Pratama, Indonesia; Jardine Matheson, Gran Bretagna; Permata Nudri Madiri, Indonesia; Niche Jungle, Gran Bretagna.

Petrolio e gas: BP, Gran Bretagna, è il partner principale dell’impianto di liquefazione di gas di Tangguh. Gli altri partner sono: Mitsubishi Corporation, Giappone; CNOOC, Cina; Nippon Oil Exploration, Giappone; Kanematsu Corporation, Giappone; Indonesia Natural Gas Resources Muturi Inc., Indonesia. 

Settore minerario: Freeport McMoRan Inc, USA (miniera di Grasberg).

 

E) Organizzazioni della società civile nazionali e internazionali 

Il Tribunale riconosce l’instancabile contributo delle organizzazioni della società civile nel promuovere e proteggere i diritti umani in Papua Occidentale. Il Tribunale incoraggia la loro attività di continua vigilanza, segnalazione e assistenza nel mitigare le violazioni dei diritti umani e facilitare l’accesso alla giustizia e a rimedi effettivi per le vittime. 

Il Tribunale chiede agli Stati di apprestare le condizioni necessarie affinché le organizzazioni di base papuane possano condurre il proprio lavoro senza timore di abusi, intimidazioni e stigmatizzazione per le attività che svolgono, e di interrompere la vendita di armi e la cooperazione e la condivisione di informazioni con le forze di sicurezza indonesiane. 

 


 
[1] V. www.permanentpeoplestribunal.org per gli statuti del Tribunale, rigorosamente conformi ai termini di riferimento giuridici del diritto internazionale, e per la documentazione relativa alle sue attività svolte nell’ambito di oltre 50 deliberazioni.

[2] Il rinvio a giudizio è disponibile in inglese (https://ccccjustice.org/wp-content/uploads/2024/07/English-indictment.pdf) e in indonesiano (https://ccccjustice.org/wp-content/uploads/2024/07/Indonesian-indictment.pdf).

[3] Papua Occidentale si riferisce all'ex colonia olandese “Nuova Guinea Occidentale”, che oggi consiste in sei province situate nella parte occidentale dell'isola di Nuova Guinea.

[4] Il testo integrale della sentenza è disponibile in inglese: https://permanentpeoplestribunal.org/wp-content/uploads/2024/10/PPT-JUDGEMENT-WEST-PAPUA_FINAL_3_10_24.pdf e qui in allegato.

[5] Organasi Papua Merdeka (Movimento Papua Libera), è un movimento secessionista armato che combatte dal 1963 per l'indipendenza della provincia indonesiana di Irian Jaya, parte occidentale dell'isola della Nuova Guinea annessa all’Indonesia in quell'anno dopo un referendum [n.d.t.].

[6] ONG britannica impegnata nell’attività di awareness raising e advocacy a favore della popolazione indonesiana [n.d.t.].

[7] Originariamente utilizzata nel territorio della Nuova Guinea Olandese insieme alla bandiera dei Paesi Bassi tra il 1961 e il 1963, oggi è utilizzata da coloro che sostengono l’istituzione dello Stato indipendente della Papua Occidentale.

[8] Tentara Nasional Indonesia-Angkatan Darat, la “Forza militare terrestre nazionale indonesiana” ovvero la componente terrestre dell’esercito indonesiano [n.d.t.].

[9] Majelis Permusyawaratan Rakyat Republik Indonesia (MPR-RI).

[10] Il Melanesian Spearhead Group (MSG; https://msgsec.info/) è un'organizzazione intergovernativa composta dai quattro Stati melanesiani di Fiji, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone e Vanuatu e dal Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista della Nuova Caledonia. Nel giugno 2015, l'Indonesia è stata riconosciuta come membro associato. Gli obiettivi del MSG sono la promozione e il rafforzamento del commercio tra i membri, lo scambio di culture, tradizioni e valori melanesiani e l'uguaglianza sovrana; la promozione della cooperazione economica e tecnica tra Stati membri; lo sviluppo di politiche comuni e la promozione di crescita economica, sviluppo sostenibile, good governance e sicurezza [n.d.t.]. 

[*]

Versione italiana della sintesi della sentenza a cura di Sara Cocchi

17/10/2024
Altri articoli di Redazione
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Il Tribunale Permanente dei Popoli si pronuncia sulle accuse di violenza di Stato e ambientale in Papua Occidentale a carico dell'Indonesia
a cura di Redazione

La sintesi della sentenza resa dal Tribunale Permanente dei Popoli nella sessione sulla violenza di Stato e ambientale svoltasi a Londra nei giorni 27-29 giugno 2024. Di seguito al testo italiano della sintesi, la versione originale in inglese. In allegato, il testo integrale della sentenza. 

17/10/2024
Il procedimento e la sentenza del Tribunale permanente dei popoli sugli omicidi dei giornalisti in Messico, Sri Lanka e Siria
a cura di Redazione

1. La sessione di apertura - 2. L’istruttoria del Tribunale - 3. I principi guida del giudizio del Tribunale (a cura di Nello Rossi) - 3.1. La libertà di stampa svolge un ruolo decisivo per la qualità della vita delle persone e, in molti casi, per la loro stessa sopravvivenza - 3.2. La libertà di stampa è indispensabile per l’esistenza di una democrazia effettiva - 3.3. La sicurezza e la libertà dei giornalisti sono una garanzia essenziale per tutti i cittadini e devono essere protette in ogni parte del mondo - 3.4. Messico, Sri Lanka, Siria: i tre casi estremi oggetto del giudizio del Tribunale - 4. Summary della sentenza (in lingua inglese)

04/10/2022
Il Tribunale permanente dei popoli condanna l’Italia e l’Unione europea per concorso in crimini contro l’umanità a causa delle politiche sull’immigrazione
Dal Tribunale voluto da Lelio Basso arriva l’ennesima denuncia di illegittimità ed inopportunità etico-politica delle misure apprestate in Europa negli ultimi anni per bloccare il flusso di migranti. Un monito che riguarda tutti.
11/04/2018
La sentenza del Tribunale permanente dei popoli sui crimini in Myanmar*
Il XX secolo è stato definito, a ragione, «il secolo dei genocidi». Nel suo arco si sono infatti susseguiti il genocidio armeno, l’Olocausto, il genocidio cambogiano, la pulizia etnica sfociata nel genocidio nella ex Iugoslavia, il massacro, in Ruanda, dell’80% della popolazione tutsi. Oggi le violenze, gli eccidi e le espulsioni di massa nello Stato del Myanmar ai danni dei Rohingya, dei Kachin e delle minoranze mussulmane prolungano e proiettano nel XXI secolo questa terribile realtà. Si può sperare che le immagini del primo genocidio compiuto nell’epoca di Internet e che la flebile voce di un Tribunale della ragione, come è un tribunale di opinione, valgano a rompere la cortina di silenzio, di oscurità e di apatia che è stata in passato così propizia alla commissione di questo tipo di delitti? L’articolo ripercorre sinteticamente i fatti accertati e le valutazioni giuridiche contenute nella sentenza pronunciata a Kuala Lumpur, nel settembre del 2017, dal Tribunale permanente dei popoli sui crimini in atto in Myanmar ed introduce alla lettura del “giudizio” emesso da un collegio internazionale.
02/03/2018
Riflessioni sul caso Messico
A margine della sentenza del Tribunale permanente dei popoli sul caso Messico
13/01/2015