1. La sentenza del Tribunale permanente dei popoli sul caso Messico.
Nei giorni dal 12 al 15 novembre 2014 ho avuto il privilegio di partecipare a Città del Messico, come “giurato” del Tribunale permanente dei popoli, alla Udienza finale che ha concluso un ciclo di Udienze durato tre anni sul “caso Messico”.
Ho quindi concorso ad elaborare la sentenza emessa dal Tribunale sul tema “Libre commercio, violencia, impunidad y derechos de los pueblos en México “.
La lettura della sentenza, al momento disponibile solo in lingua spagnola (LEGGI), è naturalmente insostituibile per chi voglia comprendere la situazione di quel paese e comprendere la genesi e gli effetti della tragica e sanguinosa condizione in cui i deboli e gli onesti vivono in Messico.
Così come è insostituibile la lettura dei documenti redatti a conclusione delle numerose udienze parziali e preparatorie tenutesi in diverse città messicane dal 2011 al 2014 che si possono consultare sul sito del Tribunale permanente dei popoli.
Per parte mia mi limito a svolgere qui, anche sulla scorta delle testimonianze ascoltate, brevissime riflessioni su due temi strettamente connessi, che a mio avviso possono essere di particolare interesse per magistrati , giuristi ed osservatori italiani.
Il primo tema è quello dell’intreccio perverso realizzatosi in Messico tra economia criminale e criminalità economica, che ha consegnato quel paese ad una illegalità pervasiva e sistematica ed ha assoggettato al controllo delle organizzazioni di narcotrafficanti intere regioni.
Il secondo è l’impunità, altrettanto sistematica, per orrendi crimini, l’impotenza del sistema giudiziario a perseguirli con qualche efficacia e la sensazione di generalizzata sfiducia nei confronti della giustizia che si è diffusa in Messico.
2. Il versante criminale della economia messicana. La coesistenza e l’intreccio tra economia criminale e criminalità economica
Uno dei tratti peculiari e devastanti del caso Messico è rappresentato dall’esistenza di un incontrastato “versante criminale” dell’economia che ha ormai raggiunto dimensioni tali da condizionare e stravolgere ogni aspetto della vita economica, sociale e politica del paese.
Nel Messico, infatti, coesistono e si intrecciano una “economia criminale” di proporzioni gigantesche ed una diffusa e pervasiva “criminalità economica” che, sommandosi tra di loro, concorrono a rendere più gravi e incontrollabili tutti gli effetti negativi delle politiche di stampo integralmente liberista adottate nel paese.
L’“economia criminale” ha ormai assunto una incidenza straordinaria, che non sembra avere eguali in nessun altro Stato del mondo tanto che il suo peso è valutato, secondo stime attendibili, pari al 40% del prodotto interno lordo.
Il settore, ampio e ramificato, della economia criminale messicana ricava i suoi profitti da un largo spettro di attività illecite: il lucroso traffico di droga messo in atto dai diversi cartelli di narcotrafficanti operanti nel paese; il contrabbando di armi da fuoco; lo sfruttamento dei migranti attuato attraverso sequestri, estorsioni e ricatti; il riciclaggio dei proventi della droga e delle altre attività illecite, principalmente in direzione degli Stati Uniti e che di fatto non è contrastato efficacemente dai servizi finanziari degli Usa e del Messico.
I metodi di azione dei soggetti operanti nel settore dell’economia criminale sono l’uso sistematico della violenza nei conflitti interni e per vincere ogni forma di resistenza della popolazione ed il costante ricorso alla corruzione di esponenti politici e di funzionari pubblici.
Le sparizioni, le uccisioni, le stragi - che con frequenza si registrano nel paese e che solo nei casi più orribili e drammatici giungono alla attenzione della opinione pubblica internazionale - sembrano costituire solo la punta emergente di una realtà quotidiana fatta di intimidazioni, abusi, estorsioni ed indicibili violenze ai danni della intera popolazione delle aree più direttamente controllate dalla economia criminale.
Il tragico bilancio della persistente offensiva criminale in atto, che ha conosciuto una impressionante escalation a partire dagli anni 80, è rappresentato dalla lunga catena delle vittime innocenti e dalla eliminazione fisica di ogni oppositore ma anche dalla perdita del controllo di ampie zone di territorio da parte delle istituzioni pubbliche “ante el incontenible avance del narcotrafico” (Raoul Garcia Barrios) e dalla esistenza di una sostanziale impunità perfino dei crimini più orrendi.
Il risultato di questo stato di cose è che oggi il Messico “cuenta con les organizaciones criminales mas poderosas y sanguinarias del mundo” (Fernandez Navarro) e che, per un complesso di ragioni di cui si dirà più avanti, non sembra in grado di dar vita ad una adeguata risposta né sul piano della repressione per via giudiziaria né sul terreno politico, economico e sociale.
Come si è già detto, il settore della vera e propria “economia criminale”, con le sue inusitate dimensioni e con l’orribile crudeltà dei suoi metodi, coesiste e convive con una diffusa “criminalità economica”, la c.d. criminalità dei colletti bianchi.
Anche la criminalità dei colletti bianchi incontra in Messico ben pochi ostacoli per la quasi totale assenza di norme regolatrici dei monopoli (R.G. Barrios), di efficaci regole sull’operato delle banche e sulla trasparenza finanziaria, di strumenti di incisivo contrasto del riciclaggio di denaro sporco e di forme di manipolazione del mercato finanziario.
E’ vero che in nessuna parte del mondo gli strumenti di controllo e di repressione della criminalità dei colletti bianchi funzionano con l’efficacia che sarebbe desiderabile ma la loro presenza e la esistenza, in molti Stati, di autorità indipendenti dal potere esecutivo che hanno il compito di farle rispettare, rappresentano almeno una prima barriera ed un deterrente per i criminali economici.
In Messico, questa prima linea di contrasto dei delitti economici ed amministrativi più frequenti (la corruzione, gli abusi dei funzionari pubblici, i c.d. tax crimes, il riciclaggio) sembra inesistente o inefficace mentre il bilancio della vera e propria repressione penale è assolutamente negativo e fa registrare un altissimo tasso di impunità.
Come è stato efficacemente detto da Fernandez Navarro nella udienza dinanzi al Tribunale permanente dei popoli “Mexico es como un Estado mas de los Estados Unidos, pero sin sus leyes ni sus regolas”.
Il Messico, dunque, come sorta di appendice coloniale del colosso statunitense, nel quale non trovano applicazione le regole minime sul funzionamento del mercato dei beni economici e dei servizi finanziari operanti negli Stati Uniti, in Europa ed in altre parti del mondo economicamente sviluppato e le imprese multinazionali possono approfittare delle condizioni di estremo favore descritte nel suo intervento dinanzi al Tribunale da R. G. Barrios: amplissime esenzioni fiscali, altrettanto ampia libertà di rimpatriare i profitti delle attività economiche dislocate in Messico, lavoro precario ed a basso costo, pressocchè totale mancanza di una incisiva legislazione antimonopolistica e così via.
In un tale contesto si comprende perché i grandi gruppi economici presenti nel paese non abbiano un effettivo e pressante interesse a sradicare la “economia criminale” messicana, con la quale non sono mai entrati in aperto contrasto, e perché abbiano accettato da decenni di convivere con il narcotraffico ed i suoi crimini, in un rapporto di perversa complementarietà.
Le uniche voci di protesta e gli unici coraggiosi tentativi di reazione sono stati quelli delle collettività taglieggiate ed oppresse e, come è a tutti noto, questi tentativi sono stati sempre soffocati nel sangue.
Nell’atteggiamento dei poteri economici va individuata “una” delle cause che hanno concorso a determinare lo stato di depressione della giurisdizione penale nel paese, ridotta ad una condizione di sostanziale impotenza, ed a delegare impropriamente ai militari l’opera di repressione del (solo) narcotraffico con la lunga sequenza di abusi , violenze e crimini che l’hanno caratterizzata.
3. L’impunità, l’impotenza del giudiziario e la sfiducia verso la giurisdizione.
Nelle molte testimonianze e nelle relazioni ascoltate dal Tribunale è costantemente risuonata una invocazione di giustizia ed è stata espressa la sensazione di impotenza dei cittadini di fronte alla generalizzata impunità di cui possono godere criminali responsabili di delitti orrendi e di veri e propri crimini contro l’umanità.
Vi sono, in Messico - è stato più volte ribadito - molti giudici onesti e coraggiosi che fanno fino in fondo il loro dovere, incuranti dei pericoli personali che corrono e degli svantaggi di carriera che possono derivare dalla pronuncia di sentenze giuste ma sgradite ai potentati politici ed economici.
E però nel suo complesso il sistema giudiziario del paese offre uno dei profili più inquietanti e drammatici del caso Messico ed è oggetto nell’opinione pubblica di una sfiducia generalizzata quando non di aperte accuse di “inesistenza”, di complicità e di corruzione.
Sono state aspramente denunciate omissioni, compiacenze, forme di acquiescenza dei giudici al potere politico ed economico e la mancanza di accesso alla giustizia è stata indicata come uno degli aspetti più gravi e disperanti della situazione messicana.
Denunce ancora più gravi hanno investito l’operato dei procuratori ai quali si imputano casi di complicità con la delinquenza organizzata e, soprattutto, gravi e generalizzate omissioni e carenze nelle investigazioni e nella raccolta di prove su efferati omicidi e sui reati commessi ai danni delle donne.
Del resto le testimonianze rese nelle numerose udienze del processo trovano un pieno riscontro nei report dei relatori speciali inviati in Messico dalle Nazioni Unite.
Nella relazione conclusiva della Mision a Mexico dell’aprile 2013, l’incaricato delle Nazioni Unire Christof Heyns ha dedicato un ampio capitolo a “La necesidad de fortalecer el ordeniamento juridico y el sistema e aplicacion de la ley” riportando casi di corruzione ed intimidazione del potere giudiziario, descrivendo rilevanti omissioni nelle indagini su casi di omicidio, esponendo la complessiva arretratezza delle tecniche investigative adottate nelle indagini e denunciando l’esistenza di sentenze di condanna di persone innocenti, frutto di accuse arbitrarie e di confessioni estorte.
Né sono meno allarmanti le “conclusioni preliminari” di un altro report delle Nazioni Unite dell’aprile–maggio 2014 sull’uso della tortura e di altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti nei confronti di persone detenute.
Questo insieme di dati disegna il quadro di un sistema di giustizia penale insieme inefficiente e crudele il cui funzionamento genera sfiducia ed allarme tra i cittadini.
Il primo aspetto fortemente critico del giudiziario è rappresentato dalla mancanza di “reale” indipendenza dei giudici, aspetto che è solo temperato ma non eliminato dalla presenza di giudici federali che hanno un livello di indipendenza superiore rispetto a quello dei giudici dei singoli Stati.
Appare inoltre fattore decisivo il fatto che “la investigacion de los delitos, la persecucion de los presuntos delincuentes y sue puesta a disposicion de los jueces para ser juzgados, es competencia de las procudarias, fiscalias o ministerios publicos, entitades esta que si dipenden del ejecutivo” (Jorge Fernandez Souza). Con la conseguenza che la fase delicatissima delle investigazioni è affidata a funzionari pubblici senza garanzie di indipendenza, che non danno adeguato affidamento in tutti i casi in cui occorra indagare su crimini commessi da esponenti delle forze di governo o da funzionari pubblici di alto livello o laddove vi siano interessi dell’esecutivo a non rendere visibili, attraverso un processo pubblico, crimini che potrebbero destare allarme nell’opinione pubblica interna ed internazionale.
La arretratezza delle tecniche di indagine e la scarsità dei mezzi a disposizioni degli investigatori concorrono poi a comporre il quadro di una giustizia penale che troppo spesso volta la faccia dall’altro lato perfino rispetto agli omicidi, alle sparizioni, ai massacri e rischia di essere del tutto compiacente al potere nei casi di corruzione e di reati economici.
Un impegno diretto a rendere il potere giudiziario effettivamente separato ed indipendente dagli altri poteri ed a dotare l’apparato investigativo di mezzi adeguati ai livelli di pericolosità sociale raggiunti dalla criminalità organizzata e dalla criminalità economico amministrativa rappresenta dunque una condizione indispensabile per restituire ai cittadini accettabili condizioni di sicurezza e di vivibilità.
Vanno inoltre introdotte, sulla scorta di esperienze di molti paesi occidentali, sanzioni economiche incisive (sequestri e confische dei proventi dei reati o dei beni dei criminali per un ammontare corrispondente al profitto dei reati) che dimostrino che “il delitto non paga” e che lo Stato è intenzionato a contrastare efficacemente ogni forma di arricchimento attraverso la commissione di reati.
4. Il Messico come “caso limite” e le indicazioni che possono derivarne.
Non v’è dubbio che, sotto il profilo criminale e giudiziario, il Messico rappresenti un caso limite, assolutamente non paragonabile ai paesi democratici dell’Europa o del Nord-America.
Va comunque ricordato che il paese non è sempre stato nella condizione odierna e che la tragica evoluzione della sua economia criminale, della situazione dell’ordine pubblico e del dissesto giudiziario è maturata in poco più di trent’anni.
Un periodo nel quale i cartelli del narcotraffico sono progressivamente passati da due, a tre, a cinque sino ad arrivare ai nove di oggi; nel quale la corruzione si è diffusa senza apprezzabili contrasti in settori chiave della via pubblica e dello stesso apparato giudiziario; nel quale il liberismo ha accentuato le disuguaglianze mentre la crescita del prodotto interno lordo non si è tradotta in vantaggi per la generalità dei cittadini; nel quale lo Stato, contrastato dall’esterno da sanguinarie organizzazioni criminali e internamente minato da infedeltà e corruzione ha progressivamente perso ogni controllo su intere aree del paese; nel quale le sparizioni e le uccisioni hanno assunto proporzioni gigantesche al punto che la tragica vicenda dei 43 “normalistas”, che ha lasciata sgomenta l’opinione pubblica mondiale, è solo l’ultimo approdo di una interminabile progressione di atti violenti e sanguinosi.
Con l’esemplarità del caso limite, il Messico dimostra dunque a quali tragici approdi un paese possa giungere, in un arco di tempo storico relativamente breve, se si allentano le difese contro l’illegalità politico amministrativa, se si lasciano proliferare le organizzazioni criminali, se si sguarnisce e si asservisce il potere giudiziario condannandolo, nel migliore dei casi, alla marginalità ed alla irrilevanza e, nelle ipotesi peggiori, alla corruzione ed alle infiltrazioni criminali.
Il caso limite è dunque anche un monito per tutti gli altri paesi del mondo e reclama una costante attenzione dell’opinione pubblica internazionale sia per sostenere gli sforzi diretti a contrastare ogni ulteriore involuzione della situazione messicana sia per individuare rischi e pericoli da cui nessuno può ritenersi esente a priori.