1. L’evoluzione di un’idea
Come in tutte le cose, c'è un prima e c'è un dopo. L’inizio della lunga marcia verso la piena consapevolezza sull’importanza del fattore organizzativo nella dimensione giudiziaria si può collocare a novembre del 1987, oltre trent’anni fa e sulla scia della polemica referendaria, con il convegno torinese “La giustizia tra diritto e organizzazione” promosso da Magistratura Democratica e patrocinato dal Consiglio Regionale del Piemonte, in una stagione in cui anche le amministrazioni locali sembravano più interessate al buon funzionamento della giustizia civile[1].
Ma lo Jahr Null, il vero “anno zero” della cultura organizzativa nella giurisdizione, probabilmente coincide con il convegno “Processo e organizzazione” tenutosi a Roma nel dicembre 2003, promosso dagli Osservatori sulla giustizia civile e dall’Associazione Nazionale Magistrati[2].
Prima di tali capisaldi convegnistici, la questione organizzativa si confondeva e si esauriva esclusivamente nella dimensione ordinamentale di tutte le riforme processuali. Si riteneva cioè che le lungaggini processuali fossero colpa esclusivamente del rito e si pensava perciò di rimediare alla denegata giustizia in Italia con le sole riforme processuali, spesso senza che esistesse contestualità tra risistemazione del rito e riassetto ordinamentale.
Qualche virtuoso esempio di sinergia tra processo e apparato organizzativo si era registrato qua e là: per esempio, nella riforma del processo del lavoro nel 1973 (legge 533/1973), che era stata accompagnata dalla contestuale creazione di sezioni specializzate “a ingresso chiuso” in modo da determinare una forte motivazione dei giudicanti, il che ha sicuramente favorito il decollo di tale rito. Ma anche la riscrittura completa della giustizia onoraria, attuata con la novella sul giudice di pace nel 1991 (legge 374), aveva comportato una rivisitazione significativa dell'assetto ordinamentale precedente, anche se non immediatamente accompagnata dalla revisione dell’articolazione territoriale della giustizia onoraria, in larga parte rimandata ad epoca a noi più vicina.
I tempi sono stati molto più lungi per quello che riguarda la miniriforma del processo civile che, licenziata formalmente nel 1990 (legge 353), ha dovuto attendere fino al 1995 per l’effettiva entrata in vigore; ma solo nel 1998 la novella del rito è stata accompagnata dall’introduzione del giudice unico di primo grado, che ne costituisce l'indispensabile presupposto logico (D.Lgs. 51). E si è dovuto attendere fin quasi ai giorni nostri per arrivare ad una ridefinizione delle circoscrizioni giudiziarie, sia dei circondari di tribunale che degli uffici del giudice di pace, la quale alla fine ha prodotto un risultato molto più parziale rispetto alle ambizioni iniziali, ma che era comunque necessaria in un’ottica di razionalizzazione delle risorse disponibili (L. 148 del 2011 e decreti delegati 155, 156 del 2012; 14 del 2014; 133 del 2015).
Nello stacco cronologico tra i due convegni citati in esordio, un fondamentale impulso per la crescita di una cultura organizzativa all'interno dell'organizzazione giudiziaria nasce da due esperienze condotte su due piani completamente diversi e con responsabilità distinte.
Per un primo verso, la progressiva informatizzazione dei registri di cancelleria ha comportato un forte ripensamento delle modalità organizzative degli uffici amministrativi ed un loro svecchiamento, con la necessaria creazione di tecnostrutture per un governo più razionale delle molte generose iniziative anticipatorie di automazione dei processi lavorativi fiorite negli anni ’90 del secolo scorso; per un altro profilo, l'esperienza dell'archivio informatico della Cassazione, il noto Italgiure[3], ha reso manifesta nel tempo la necessità di fornire ai magistrati strumenti di lavoro in grado di annullare la distanza tra il tempo della decisione e quello della sua conoscibilità; oltre che per disporre di strumenti immediati e diretti per la selezione e ricerca delle informazioni richieste.
Le possibilità offerte dall'informatica di trasmissione a distanza delle informazioni, grazie alla messa a punto e diffusione di Internet alla fine del secolo scorso, hanno fornito l’infrastruttura materiale e lo spunto per cominciare a parlare di un processo telematico con il quale poter tagliare i tempi di attraversamento del processo, cioè i passaggi comunicativi tra i protagonisti della giurisdizione (in particolare, saltare il nodo delle notifiche) e nello stesso tempo poter fornire un materiale conoscitivo immediatamente fruibile per tutti i soggetti della triade processuale.
Un ulteriore catalizzatore nella direzione indicata è stato rappresentato dal progressivo ricorso della struttura ministeriale a organismi e consulenze esterne, in primo luogo quelle di matrice universitaria ubicate presso appositi poli e dipartimenti in cui si iniziava a studiare sistematicamente l’organizzazione giudiziaria. Questi centri di elaborazione sono state incaricati dell’importante lavoro di analisi preparatoria rispetto al progetto del processo telematico, il quale richiedeva necessariamente un'analisi organizzativa dell'esistente e di quant'altro necessario per il salto nell'iperspazio telematico a beneficio di un'organizzazione che, al di là delle solite apprezzabili eccezioni, era ancora profondamente indietro rispetto ad altre amministrazioni pubbliche, come quella tributaria, quanto all'utilizzazione di questi nuovi strumenti di lavoro[4].
Sarebbe poi ingeneroso dimenticare, nella sommaria catalogazione dei fattori predisponenti, l'esperienza degli stage formativi presso gli uffici giudiziari introdotti con le leggi Bassanini del 1997-1999, che per la prima volta hanno portato ad un'apertura del comparto giudiziario a contributi e apporti esterni, inaugurando una lunga stagione formativo/produttiva che ha avuto i suoi alti e bassi, ma che è ancora oggi di segno saldamente positivo.
Dicevamo che sull’onda di queste spinte magmatiche si arriva un po' alla volta al convegno romano del dicembre 2003, i cui atti sono raccolti nel volume collettaneo curato da Gianfranco Gilardi.
Non è certo il primo testo che tratta di organizzazione giudiziaria, perché è stato preceduto e seguito da diversi contributi di accademici, tra i quali non si possono non menzionare gli studi di Carlo Guarnieri, Daniela Marchesi, Stefano Zan[5]; ma è forse la prima occasione in cui gli operatori pratici e l’accademia si sono confrontati in modo consapevole e approfondito sull’insufficienza di strategie riformatrici che facessero leva esclusivamente sullo strumento processuale.
Il titolo del convegno è emblematico ma anche parziale, perché in realtà in quell'occasione non si parlò solo di rito o di organizzazione, ma venne messa a punto quella che fu definita “la strategia del p.o.p.,” la quale non annetteva valenza taumaturgica ad alcuna singola medicina, come era stato in passato e come sarebbe stato ancora in futuro nell’ infelice stagione delle riforme “a costo zero” imperniate sulle sole modifiche del rito civile.
Piuttosto, si voleva imbastire un progetto riformatore che non negava la necessità di interventi anche sul rito, ma li collocava nel contesto di una strategia che aveva per ulteriori e necessari puntelli sia il momento organizzativo, che quello integrativo delle regole dei Protocolli processuali man mano introdotte a livello locale[6]. Quindi “p.o.p.”, inteso come triade “processo, organizzazione, protocolli”, sembrava in quel momento la giusta medicina per una Giustizia endemicamente malata e in ritardo.
Nel corso del dibattito si assiste però ad un mutamento di prospettiva proprio per quello che riguarda la questione organizzativa. Si arrivava al convegno con una visione esclusivamente magistratocentrica delle necessità di supporto per la giurisdizione - la prospettiva dell'ufficio del giudice[7] - e se ne uscì con una visione più organica che riguardava l'ufficio giudiziario nel suo complesso, nelle sue varie componenti lavorative e nella sinergia che queste ultime possono esprimere all’interno delle unità produttive di base, vale a dire le sezioni giudicanti; intese, queste ultime, nella loro dimensione organizzativa comprendente non solo la magistratura togata, ma anche quella onoraria; il personale amministrativo articolato nella sua dirigenza, funzionari e impiegati; le prime parziali esperienze di collaborazione esterna con gli stage formativi di matrice universitaria e, last but not least, il pilastro tecnologico del processo telematico.
Nasce così l'idea di relazioni interprofessionali e di una macchina organizzativa che opera in funzione di obiettivi condivisi e si compone di contributi molteplici convergenti verso l'unico obiettivo di dare pratica attuazione all'articolo 111 della Costituzione, all'epoca da poco riformato. Da qui, la formulazione di una nuova etichetta proposta per tale visione organizzativa che ebbe subito notevole fortuna: l’ufficio per il processo, appunto.
Possiamo leggere un primo tentativo di sistematizzare tale formula in un saggio pubblicato su Questione Giustizia del 2003 che, pur presentato a firma singola, è in realtà il frutto di un intenso dibattito epistolare a distanza, come seguito convegnistico, condotto tra un docente universitario, un dirigente amministrativo ed un magistrato. Una costruzione progressiva, nella quale due idee di fondo assumono rapidamente una connotazione stabile: le sezioni giudicanti come perno organizzativo della giustizia civile e la necessaria sinergia tra i pilastri dell’edificio della giurisdizione[8].
Tale formula definitoria ha conosciuto tanto vasta popolarità, quanto inefficace riscontro pratico per un lungo arco di tempo. Infatti per oltre un decennio, fino al 2014, l'ufficio per il processo era la foglia di fico che veniva squadernata ogni qualvolta fosse necessario deplorare le lacrimevoli condizioni della giurisdizione civile e prospettare le panacee del caso, soprattutto quando nelle sedi internazionali si correva il rischio di essere sanzionati per la durata irragionevole del processo nel nostro Paese.
Un timido passo in avanti verso una dimensione di maggiore concretezza si realizza con la presentazione del disegno di legge A.C. 2873 ad iniziativa del ministro Mastella, che ottiene l'approvazione di un ramo del Parlamento nel 2007 ma che tradisce nel suo impianto la sua caratterizzazione esclusivamente amministrativa, essendo stato concepito fondamentalmente per risolvere il problema della riqualificazione del personale amministrativo; pur se con interessanti spunti quanto a obiettivi e risorse messe a disposizione, che saranno in parte ripresi quando l’ufficio per il processo arriverà alla dimensione de jure condito[9].
2. Dalla teoria al diritto positivo
La definitiva ragione per il passaggio dalla teoria alla pratica, nella progressiva costruzione dell’ufficio per il processo, avviene nei primi anni dello scorso decennio per effetto di esigenze molteplici. Senza pretesa di esaustività, possiamo indicare: la necessità di rispondere alla condanna del nostro Paese nelle sedi internazionali per la durata del processo nostrano; quella di procedere agli adeguamenti imposti dalla contrattazione collettiva, in particolare il nodo della riqualificazione del personale amministrativo della giustizia; l’esigenza di uscire dal regime delle proroghe per i magistrati onorari di tribunale, da tempo in un limbo professionale, in quanto la previsione quinquennale di loro impiego negli uffici giudiziari era già da tempo stata abbondantemente superata (né ancora oggi risulta completata la fuoriuscita dall’insoddisfacente regime precedente).
Sono anche gli anni in cui si sta elaborando un nuovo ordinamento giudiziario (L. 150 del 2005 e relativi decreti attuativi; L. 111 del 2007) attraverso un percorso genetico piuttosto dialettico e accidentato che propone, più che nuovi modelli organizzativi, nuove figure di dirigenti[10] e attua un primo decentramento funzionale del Ministero. La fase di avvio e passaggio al nuovo regime non è stata indolore ma, almeno sul versante dei rapporti tra la componente togata e quella amministrativa (si veda nello specifico il d.lgs. 240 del 2006), si può apprezzare un tentativo di maggiore demarcazione delle competenze reciproche in modo da prevenire e sterilizzare conflitti e incomprensioni; ciò si propone, in particolare, l’art. 4.2 di tale decreto per il caso di inerzia sul programma delle attività annuali degli uffici, evoluzione del “lodo La Greca” sui conflitti tra le due dirigenze.
C’è, insomma, il tentativo di trasferire sul terreno organizzativo l’indicazione di fondo che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 379 del 1992 aveva enucleato – trattando del concerto ministeriale nella designazione dei capi degli uffici - come espressione dell’art. 110 Costituzione e momento di sintesi tra amministrazione e giurisdizione. Quel principio di “leale cooperazione” che venne individuato nell’occasione come giustificazione del concerto ministeriale, con parole di estrema attualità che sembrano andare oltre la specifica vicenda contenziosa per riferirsi all’intera gamma dei rapporti collaborativi dentro gli uffici, perché vi si parla di “un vincolo che obbliga le parti a una leale cooperazione, finalizzata alla ricerca della maggiore convergenza possibile attraverso una discussione effettiva e costruttiva… posto che l'attività di concertazione deve essere effettuata in modo adeguato, nel senso sopra precisato, e posto che le parti non debbono tenere comportamenti ostruzionistici e sleali, ne' usare espedienti dilatori o pretestuosi”
Impossibile poi non mettere nel conto delle spinte verso un nuovo modello organizzativo anche il progressivo passaggio dalla dimensione cartacea al processo civile telematico. Introdotto con l’art. 16 bis del dl 179 del 2012, reso possibile dalla messa a punto già dal 2007- 2008 degli applicativi di cancelleria Sicid-Siecic, che avrebbero fornito la base necessaria per lo sviluppo della Consolle del magistrato (il primo applicativo ministeriale realmente pensato per il lavoro del giudice civile), il PCT richiede per il suo sviluppo un’integrazione sinergica tra il giudiziario e il presidio amministrativo[11].
La prima risposta che venne così al coacervo di domande di risorse e strumenti più appropriati per il pieno supporto alla giurisdizione civile puntava a valorizzare la componente esterna fino a quel momento più promettente e dinamica. Si trova scritta nell’art. 37 della l. 111/2011 sugli stage formativi negli uffici giudiziari, ripresa e perfezionata nell’art. 73 del dl. n. 69 del 2013 (convertito nella l. 98/2013), che disciplina in modo organico gli stage formativi dei neolaureati in giurisprudenza negli uffici giudiziari[12].
La pluralità delle esperienze formative sviluppate con i precedenti tirocini “in convenzione” presso le singole realtà giudiziarie rendeva necessaria una razionalizzazione dell'esistente, ma indubbiamente nell’art. 73 ci si muoveva ancora in un'ottica magistratocentrica e più esattamente individualista, perché queste risorse aggiuntive vengono concepite come appannaggio del singolo magistrato affidatario, chiamato a sostenere un costo formativo iniziale, ma titolare dei successivi “diritti di utilizzo” sugli stagisti assegnati.
Alla base dell’art. 73 sta l'idea di uno scambio sinallagmatico formazione-lavoro che riconosca immediate utilità allo stagista, date dal conseguimento di un titolo abilitativo per l'accesso all’esame di secondo grado per l'ingresso in magistratura a costo zero e anzi con la prospettiva, che poi ha trovato solo incompleta applicazione, del riconoscimento di una borsa di studio di 400 euro mensili; senza considerare il valore aggiunto di un periodo di 18 mesi trascorso all’interno di un ufficio giudiziario per conseguire una più precisa cognizione del lavoro che vi si svolge.
A fronte del quale momento formativo, sta la possibilità per gli affidatari – dopo appropriato periodo – di poter contare su un supporto valido per le molte attività che il magistrato singolo non riesce a completare in un tempo limitato: compilazione di schede processuali riassuntive, ricerche dottrinal-giurisprudenziali, monitoraggio dei fascicoli.
Non è ovviamente questa l'occasione e la sede per esaminare in dettaglio luci ed ombre di questa esperienza di utilizzazione di risorse aggiuntive nell'ambito della magistratura[13], però ad avviso dello scrivente si è quasi sempre trattato di acquisizioni positive, perché hanno consentito a molti neolaureati di completare o integrare il loro percorso formativo acquisendo una chiara visione del lavoro giudiziario dall’interno. Prova ne sia che quasi sempre gli “stagisti lunghi” dell’art. 73, che sono poi entrati in magistratura attraverso il normale concorso, possiedono una marcia in più rispetto ai colleghi neoassunti, non titolari di precedenti esperienze lavorative nel giudiziario, perché entrano nelle funzioni con un prezioso bagaglio informativo sul lavoro che saranno chiamati ad affrontare negli anni successivi [14].
La prospettiva individualistico - proprietaria dell’art. 73 cambia radicalmente in un provvedimento di poco successivo, quello che formalmente istituisce l'ufficio per il processo (art. 50 d.l. 90 del 2014 convertito nella L. 114/2014, che introduce l’art. 16 octies nel D.l. 179/2012). Infatti in tale contesto, per prima cosa, il legislatore rivede proprio le regole di utilizzazione degli stagisti, che non sono più concepiti come propaggine dominicale del singolo affidatario, ma come risorse a disposizione anche delle sezioni o del pool: questo diverso punto di vista è poi ripreso e sottolineato con anche maggiore incisività nel decreto attuativo del 1 ottobre 2015[15].
3. L’ufficio per il processo, ma cos’è in pratica?
Non c’è dubbio che la legge istitutiva dell'ufficio del processo non corrisponda al semplice modello relazionale, non brevettato, uscito dagli studi un po' velleitari dell'inizio degli anni 2000, perché tale istituto nella sua dimensione di diritto positivo prevista dall’art. 50 del dl 69 si presenta come una struttura burocratica abbastanza rigida dell'amministrazione giudiziaria che si affianca alla classica organizzazione degli uffici.
La dimensione “strutturata” pare evidente nella testuale definizione normativa che precisa: “Al fine di garantire la ragionevole durata del processo, attraverso l'innovazione dei modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono costituite, presso le corti di appello e i tribunali ordinari, strutture organizzative denominate 'ufficio per il processo', mediante l'impiego del personale di cancelleria e di coloro che svolgono, presso i predetti uffici, il tirocinio formativo … o la formazione professionale dei laureati… Fanno altresì parte dell'ufficio per il processo costituito presso le corti di appello i giudici ausiliari… e dell'ufficio per il processo costituito presso i tribunali, i giudici onorari di i giudici onorari di tribunale di cui agli articoli 42 ter e seguenti del regio decreto 30 gennaio 1941, n.12”.
Insomma, esaminando la norma istitutiva, da un lato ci sono gli uffici giudiziari con la loro tradizionale struttura tabellare. Questi ultimi sempre di più, anche per effetto delle revisioni e accorpamenti territoriali, trovano il loro perno organizzativo nelle sezioni giudicanti, la cui mission si trova esposta nell’art. 47 quater dell'ordinamento giudiziario e nella disciplina ordinamentale e consiliare che riguarda il ruolo del presidente di sezione, concepito come co-garante dell'esistenza e del funzionamento dei mezzi a supporto dell'attività dei colleghi magistrati. Ma l’art. 50 non si comprenderebbe senza un giudiziario che, già da qualche anno, ha iniziato a ragionare in termini di domanda di giustizia, capacità di lavoro, risultati e mezzi: un nuovo approccio con cui tutti i magistrati (e non solo i dirigenti) sono costretti a confrontarsi dai programmi attività di cui al d.lgs. 240/06 e dai programmi di gestione e relazioni annuali di cui all’art. 37 della l. 111 del 2011; oltre che, con più dilatata cadenza, dalle tabelle organizzative del nuovo art. 7bis dell’Ordinamento giudiziario.
Su di un altro piano, ci sono le risorse delle cancellerie che possono essere organizzate non solo nella classica dimensione di struttura servente delle singole sezioni, che possono essere adattate come organizzazioni di pool per la realizzazione di obiettivi comuni a più sezioni (si pensi all’innovazione tecnologica, alla statistica, ai servizi di copisteria, al “front office” per gli accessi, all’u.r.p., ecc.); senza dimenticare la funzione a servizio di progetti particolari propri di sezioni o di magistrati singoli: tipico il ricorso all’ufficio per il processo in supporto di progetti di smaltimento dell’arretrato.
Nell'ultimo quadriennio si assiste ad un’evoluzione ulteriore, perché il fuoco dell’attenzione viene portato dalla struttura amministrativa ad un altro pilastro dell’organizzazione giudiziaria, la magistratura onoraria che opera all’interno dei tribunali (e delle procure).
L’ufficio per il processo viene piegato ad un’altra esigenza sorta nel frattempo, quella di arrivare ad un completo riassetto della magistratura onoraria[16], un obiettivo mancato già da molti anni. Per questo la formula magica dell’ufficio per il processo diventa la scatola magica chiamata a contenere le risorse indispensabili per far funzionare la macchina giudiziaria: al punto che, per capirci, non vi è possibilità di ricorrere al supporto della magistratura onoraria nei tribunali, se non mediante percorsi normati, strutturati e tabellarizzati dentro l’ufficio per il processo.
Con quella che è stata definita una “felice forzatura”, le più avvedute strutture ministeriali hanno quindi colto l'occasione della riforma della magistratura onoraria realizzata con la legge di delega n. 57 del 2016, e perfezionata (sulla carta) con il decreto delegato n. 116 del 2017, per introdurre un'assoluta novità che si faceva carico di una doppia esigenza[17].
Veniva per un verso considerata la necessità di un momento formativo dei nuovi magistrati onorari sufficientemente lungo e strutturato, nella previsione di munire le nuove articolazioni dei giudici di pace di magistrati con un apprezzabile background professionale acquisito sul campo; per altro verso, ci si rendeva conto che la positiva esperienza degli stage formativi incontrava un preciso limite, dato dalla natura transitoria di queste risorse aggiuntive che, nel momento in cui risultavano pronte per una effettiva possibilità di supporto al magistrato singolo, alla sezione giudicante e all’intero ufficio, poco dopo uscivano definitivamente dal circuito del lavoro giudiziario. Senza che nel frattempo si fosse mai messo mano alla lungimirante, ma purtroppo inattuata, previsione contenuta nel protocollo di intesa del 1998, ribadito nel C.C.N.L. 4 aprile 2000 per il personale del comparto Giustizia, quanto alle 1200 posizioni organizzative di assistenza al giudice, che avrebbero dovuto supportare stabilmente il magistrato in tanta parte dell'attività di ricerca di materiali e sintesi di atti più o meno “appaltate” in questi anni agli stagisti: un’esigenza che non è mai venuta meno nel tempo[18].
Gli art. 9.4, 10 e 11 del decreto legislativo 116/17 sono così al momento le fondamentali norme di riferimento per comprendere quali saranno le possibilità di utilizzo dei nuovi magistrati onorari all’interno dei tribunali, dentro gli uffici per il processo (o per i processi?), una volta esauritosi il regime transitorio previsto dalla riforma, che dovrebbe concludersi nell’agosto 2021. Fase transitoria, peraltro, che consiste in pratica nel prolungamento dell’attuale assetto, anche indennitario, con tutte le assurde discriminazioni economiche che esso comporta, se si pensa che nell’ultima rilevazione ministeriale disponibile le indennità medie percepite dai giudici di pace ammontavano a 48 mila euro annui; quelle del v.p.o. a 14 mila e quelle dei got a soli 7 mila, con un costo totale per l’intera magistratura onoraria di 160 milioni di euro (circa il 15% delle retribuzioni dei togati).
Le nuove regole di ingaggio, che dovrebbero andare a regime il prossimo anno, muovono dall’inserimento dei neo-giudici onorari per un biennio in una dimensione mista formativo-lavorativa nei tribunali con possibilità di (problematica) delega da parte dei magistrati togati per la gestione del contenzioso minore, via via fino alla gestione autonoma di ruoli contenziosi ma, in questo caso, con una serie molto stringente di limiti per oggetto e presupposti di scopertura degli organici togati per poter accedere a tale risorsa[19].
4. UPP, qualche istruzione per l’uso
Naturalmente la tentazione di utilizzare da subito, come da artt. 9 e 10, del d.lgs. 116/17 i magistrati onorari in tirocinio per compiti meno teorici e più bassamente operativi, fa capolino tra le righe e i commi di queste disposizioni, nelle quali si prevede la possibilità di delegare immediatamente ai magistrati onorari la definizione di procedimenti di minor impegno. I commi 13-15 dell’art. 10 sulla delega dei procedimenti hanno per parte loro destato molte perplessità sulla compatibilità costituzionale perché, perfettamente concepibili un ufficio inquirente, sono fonte di sicuro imbarazzo in un contesto di funzioni giudicanti civili o penali.
Sull’onda delle riflessioni critiche innescate dalla riforma Orlando è cominciato a circolare il sospetto che la “felice etichetta” dell’ufficio per il processo sia stata piegata ad altri fini e abbia finito per assecondare l’ennesimo escamotage per aggirare i problemi di natura ordinamentale, di rilevante impatto politico per la giurisdizione, ed economico per le risorse statali, costituito proprio dalle sorti della magistratura onoraria precaria.
Da qualche parte ci si è chiesti quanto davvero il nuovo assetto istituzionale dell'ufficio del processo, concepito come un'articolazione rigida e tabellare, corrisponda alla visione iniziale solo relazionale del concerto sinergico delle risorse disponibili; così si assiste da ultimo a tentativi di accreditare la tesi della non incompatibilità dello schema legale introdotto con l’art. 50 del dl. 90/2014 con un “assetto leggero” dell'ufficio del processo, modellato e personalizzato da ciascun ufficio sulla base delle esigenze delle singole realtà giudiziarie e delle singole sezioni[20].
Prima ancora delle preoccupazioni di taglio teorico, ciò che è realmente decisivo per uscire da quella sensazione di aria fritta che talora ispira i discorsi sull’ufficio per il processo, è proporre alcuni concreti assaggi ed esaminarli in una chiave comparativa, per vedere come nelle esperienze locali siano stati colti gli obiettivi di base da cui è nata l’idea primigenia: determinare un momento di riflessione dentro le sezioni giudicanti, in tutte le loro componenti organizzative, sugli obiettivi conseguibili e sui mezzi necessari, facendo del problema organizzativo una questione comune a tutti i “pilastri” dell’edificio giudiziario[21].
Il Consiglio Superiore della Magistratura, comprendendo che l'ufficio per il processo è una risorsa strategica per il buon funzionamento della giurisdizione e memore delle responsabilità che gli derivano dall’ultimo comma dell’art. 50, si è posto l’interrogativo di come far funzionare l’istituto e nel tempo ha fornito un importante contributo di riflessione e di proposta, rispetto al quale meritano di esser segnalati due importanti momenti.
In un primo momento, per avere un chiaro quadro della risposta organizzativa messa in piedi dai singoli uffici, il Consiglio ha curato un censimento e raccolta delle prassi operative e dei progetti organizzativi predisposti in base all’art.50, con l’evidente fine di mettere in rilievo e promuovere le migliori strategie di impiego delle risorse disponibili, attraverso una ricognizione generale sull’istituzione e sul funzionamento dell’ufficio per il processo negli uffici giudiziari e sul ruolo della magistratura onoraria anche nel diritto transitorio[22].
Una seconda area di intervento consiliare ha riguardato specificamente il pilastro più delicato e problematico dell’ufficio per il processo, quello della magistratura onoraria, con due fondamentali pareri approntati in vista della legge-delega e del decreto attuativo. Disponiamo così di un primo parere approvato nella seduta del 27 gennaio 2016 con l’OdG 1211[23] su proposta della Sesta Commissione e poi, in modo ancora più incisivo, luci ed ombre del percorso riformatore sono stati evidenziate da una seconda delibera-parere del 15 giugno 2017 sullo schema di decreto legislativo recante la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché sulla disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio[24].
Con questa seconda delibera si è fornita una ricostruzione ordinamentale completa sulla magistratura onoraria, sia nella componente operante presso procure e tribunali che per quella che presso il giudice di pace aveva una sua autonoma caratterizzazione organizzativa. Sono stati evidenziati con particolare puntualità i limiti della riforma Orlando, ad oggi non completata, di cui sono state evidenziate le principali criticità rispetto a regime di impiego dei magistrati onorari; limiti settimanali di attività; misura delle indennità riconosciute; regime previdenziale.
Ancora oggi, la cd. “delibera Clivio” del 2017 costituisce un’autentica “stella polare” che dovrebbe orientare il completamento ed i necessari correttivi da apportare alla L.57 e al d.lgs. 116. Purtroppo, si tratta di importanti stimoli a correttivi che la politica ha lasciato cadere nel vuoto, passando dalla roboante proclamazione di rivisitazioni complete della riforma attraverso tavoli tecnici, nella prospettiva di una certa maggioranza politica, all’assordante silenzio odierno della maggioranza successiva.
La rassegnazione e l’inazione rispetto a interventi coraggiosi e necessari in favore dei magistrati onorari, che vadano oltre la cassa integrazione a causa dell’emergenza pandemica per quelli attualmente in servizio, finiranno per assecondare un processo nel quale saranno singole e non coordinate iniziative giudiziarie a determinare l’innesco della miccia per prossime deflagrazioni economiche su questo delicato terreno, proprio quando la stagione del coronavirus ha reso evidente l’insufficienza di un regime di indennità legate esclusivamente alle udienze celebrate, che non tiene conto del lavoro preparatorio di studio e di quello successivo di redazione degli atti richiesto a tali magistrati[25].
L’anno scorso, esaurita la ricognizione delle esperienze sul campo, con delibera 55/VV-81VV/2016 del 15 maggio 2019 sono state approvate dal CSM le linee guida operative relative all’ufficio per il processo[26].
Quanto alla composizione, il provvedimento consigliare evidenzia come all’ufficio per il processo non debbano essere addetti tutti gli operatori destinati a un determinato settore, essendo piuttosto preferibile utilizzare tale strumento per realizzare - in settori/ruoli determinati - obiettivi specifici, che devono essere indicati nel documento organizzativo. Sulla base di questa direttrice di fondo, i dirigenti degli uffici dovranno individuare in maniera specifica e dettagliata le risorse da destinare all’ufficio del processo (magistrati togati e onorari, personale amministrativo, tirocinanti) e le attività che ciascuno dovrà effettuarvi, in funzione del raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Con riferimento ai magistrati onorari, i dirigenti dovranno valutare le funzioni che gli stessi potranno svolgere alla luce dei limiti imposti dal d.lgs. 116 del 2017 alle assegnazioni e destinazioni. Inoltre, i dirigenti dovranno curare che agli stessi venga garantita una adeguata formazione da parte dei magistrati affidatari.
Infine, in riferimento ai tirocinanti e al personale amministrativo, la delibera indica le attività che possono essere loro demandate e raccomanda che per tutti coloro che sono destinati all’ufficio del processo siano messe a disposizione adeguate dotazioni logistiche.
L'ultimo intervento in ordine di tempo del Consiglio Superiore è stata la delibera 81/VV/2016 del 16 ottobre 2019 di semplice posticipazione del precedente provvedimento, in quanto giustamente la costruzione degli uffici per il processo presso le singole sedi giudiziarie è stata strettamente collegata alla nuova edizione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2020-2022. Si sono così progressivamente spostati i termini per il deposito da parte dei capi degli uffici delle misure organizzative sull’ufficio del processo per farli da ultimo coincidere con il deposito delle tabelle.
Naturalmente, l'emergenza pandemica ha costretto ad una rivisitazione di tutti i tempi organizzativi e perciò – in una stagione inclemente, in cui viene rinviato in blocco addirittura l’intero Codice della Crisi - la questione della concreta attuazione degli uffici per il processo (o per i processi, data la varietà dei mestieri del giudice) acquista una valenza secondaria sul piano organizzativo, salvo il profilo emergenziale costituito dalla questione economico-previdenziale della magistratura onoraria.
5. E adesso, quali prospettive?
Che dire, a conclusione di questa carrellata, che abbraccia in modo non esattamente asettico un arco di tempo che sfiora la maggiore età?
Verrebbe da pensare che forse il migliore commento alla panoramica offerta sia questo: l'ufficio per il processo è stato, sotto diversi profili, un'occasione mancata per un reale ripensamento fin dalle fondamenta dell'organizzazione giudiziaria; e questo, perché – fondamentalmente - non sono state immesse nel sistema le risorse umane, materiali e tecnologiche per farlo funzionare.
Certo, non è facile mettere mano ad un riassetto radicale in un sistema organizzativo bicefalo, come quello delineato dall'articolo 110 della Costituzione per la dimensione giudiziaria, vista la scissione di responsabilità e competenze tra magistratura e apparato amministrativo.
Nessun'altra organizzazione lavorativa di tipo latamente aziendale[27], anche quelle che più frequentemente vengono evocate comparativamente per esemplificare le funzionalità dell'ufficio del processo (gli studi professionali, le aziende ospedaliere), conosce una scissione istituzionale così netta tra dipendenza gerarchica e dipendenza funzionale, come quella che si registra nell'amministrazione della Giustizia a causa della presenza di due organi di vertice con responsabilità diversificate, per cui qualunque passo in avanti nella direzione di una risposta giudiziaria più efficace non può prescindere dalla leale cooperazione tra Consiglio Superiore e Ministero della Giustizia: solo quest’ultimo detiene i cordoni di una borsa, in cui il gruzzolo pare però saldamente collocato presso il MEF.
Il compromesso di cui alla legge istitutiva dell’ufficio per il processo, secondo cui il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministro della Giustizia, nell'ambito delle rispettive competenze, danno attuazione alle disposizioni dell’art. 50 nell’ ”ambito delle risorse disponibili e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, pone assai discutibili limiti di tipo finanziario che condizionano in radice le possibilità di sviluppo di queste esperienze lavorative. La norma istitutiva presuppone di sicuro una cooperazione funzionale tra i due organi di vertice che, fin quando non sarà totalmente operativo il “tavolo tecnico” da non troppo tempo istituito come momento di raccordo e concertazione, non ha fornito sempre brillanti esempi di concertazione organizzativa come si voleva nella previsione legislativa; anzi, si sono registrati anche sovrapposizione di interventi[28].
Ma forse non è un problema solo di ufficio per il processo. La questione delle risorse autonome per la giurisdizione, solo di recente posto all’attenzione generale, è un nodo istituzionale che probabilmente i Costituenti – scrivendo l’art. 110 della nostra Carta - non avevano colto in tutta la sua radicalità; e allora, ben vengano quegli studi specialistici[29] che conferiscono una diversa connotazione al giudiziario evidenziando che il comparto sarebbe completamente autosufficiente dal punto di vista finanziario, se i “frutti raccolti” come gettito del contributo unificato, sanzioni ecc., rimanessero là dove sono percepiti. La Giustizia non è quindi, come talora strumentalmente esposto, un pozzo senza fondo che brucia risorse; è invece una “macchina” che sarebbe in grado di autosostenersi economicamente nel momento stesso in cui fornisce il suo servizio di trasformazione di attese e domande in risposte giudiziarie.
Il nodo della relazione gerarchico/funzionale, che ha sempre sorpreso e sconcertato i teorici dell'organizzazione, ma che risponde ad una condivisibile sensibilità istituzionale, viene al pettine nel momento in cui si passi dalla leale cooperazione all'aperto conflitto tra i due organi di vertice, Consiglio Superiore e Ministero, come in certe passate stagioni che, si spera, non debbano più riproporsi: quando esponenti della compagine di maggioranza proclamavano che quest’ultima non avrebbe messo un soldo in una macchina che remava contro la sua politica giudiziaria.
Un altro capitolo che sembra rimasto fuori dallo schema strutturale dell’ufficio per il processo, in quanto non inserito formalmente nella sua nomenclatura, riguarda le “risorse esterne” che i dirigenti degli uffici giudiziari sono stati progressivamente invitati ad andare a ricercare, man mano che si inaridivano le risorse di bilancio messe a disposizione delle loro sedi. Il discorso sui limiti di ammissibilità di tale reperimento, e le imbarazzanti deviazioni a cui si è assistito in taluni casi, porterebbe molto in là, ma per fortuna c’è stato chi si è preoccupato di mettere in luce tali aspetti nella ricerca di una chiara demarcazione tra lecito, inopportuno e quasi-reato[30].
Tornando ai giorni nostri, e al nostro orticello ancora così poco dissodato, si può dire che l'ufficio per il processo, nella sua dimensione di diritto positivo e nei suoi concreti “assaggi locali”[31], vive una stagione di stallo perché tutti i suoi pilastri sono in sofferenza, a cominciare dall’impressionante vuoto negli organici degli amministrativi e nel ritardo nell'utilizzazione da parte loro degli strumenti informatici: il che pone la questione non solo numerica, ma anche di formazione professionale, del personale reclutato.
È chiaro che qualcuno pensava o si illudeva che la risorsa informatica fosse da sola sufficiente ad alleggerire gli organici amministrativi, mentre fin dai primi anni 2000 si diceva che l'ufficio per il processo presuppone presenze al cubo di operatori qualificati e che gli spazi di lavoro resi superflui dall'introduzione di nuove tecnologie dovevano essere riempiti di nuovi contenuti per consentire che fossero sviluppate presso le cancellerie quelle funzione di assistenza alla giurisdizione, latitanti o appaltate a risorse esterne più o meno caduche.
Gli attuali vuoti di organico del personale amministrativo sono frutto della miopia che è imperversata per un ventennio, nella stagione delle riforme a costo zero, che ha comportato il blocco del turn over del personale; una stasi ventennale, che solo da un triennio ha conosciuto segnali di inversione di tendenza, con uno sforzo titanico delle strutture ministeriali di recuperare terreno rispetto ai concorsi non banditi.
Tale nuovo e deciso impegno, però, sembra da ultimo vanificato dall'esodo incentivato delle personale per effetto della più favorevole normativa pensionistica delle “quote 100” e dintorni, senza neanche dare il tempo per un affiancamento on the job dei nuovi assistenti e cancellieri che entrano nella nuova realtà lavorativa, quasi sempre con un bagaglio teorico di tutto rispetto. Nuove leve, però, che scontano tempi troppo sacrificati per poter sostituire degnamente funzionari e cancellieri con quarant'anni di esperienza alle spalle.
Il secondo capitolo in sofferenza, come platealmente si è visto in questi mesi di coronavirus, riguarda l'informatizzazione giudiziaria, che si è concentrata sulla sola dimensione della magistratura togata (di merito), ottenendo col tempo risultati sicuramente apprezzabili, ma sempre lontani da quelli che si potrebbero realizzare con gli strumenti tecnici che ci sono attualmente a disposizione. Un pilastro, che soffre comunque alla base del formale distacco delle strutture di assistenza tecnica dagli uffici giudiziari, per cui tutte le attività di supporto a magistrati e cancellerie vengono concepite come interventi presso tribunali/procure/corti di un'organizzazione esterna, i Cisia, con un chiaro appesantimento burocratico e ritardo nei tempi di assistenza agli utenti; quando invece gli uffici giudiziari dovrebbero disporre al loro interno delle risorse professionali per fare rapidamente fronte a tutti i problemi informatici posti dall'operatività quotidiana. Questo, senza voler aprire il doloroso capitolo sui limiti dell’ulteriore assistenza tecnica in regime di convenzione, che porterebbe molto lontano e che forse oggi, in questa stagione emergenziale, può iniziare ad essere ridiscusso, perché si sta creando una diversa percezione sull’utilità delle esternalizzazioni. Reinternalizzare nell’amministrazione funzioni di staff, che non sono certamente degli accessori, diventa così un possibile fronte di espansione per l’ufficio del processo.
Pur con tutti questi limiti, comunque, il livello di informatizzazione raggiunto ha consentito a buona parte degli uffici giudiziari di primo e secondo grado di galleggiare nell'emergenza da Covid 19 articolando nuove modalità di lavoro che consentono la prosecuzione degli scambi informativi a distanza, vuoi per gestire le camere di consiglio dei magistrati che per il trasferimento e la conoscenza degli atti processuali.
Ma proprio a questo punto, malgrado tutto questo sforzo di innovazione che ci auguriamo lasci positive acquisizioni post-emergenziali, si è vista l’intrinseca debolezza di impianto di tutta la struttura organizzativa della Giustizia, dato che le cancellerie sono rimaste incatenate a luoghi di lavoro non più facilmente agibili per quanto riguarda il maneggio dei registri di cancelleria e quindi la lavorazione degli atti in arrivo e dei provvedimenti depositati in telematico da remoto, con poche prospettive di “lavoro agile pandemico” .Per non parlare di quelle strutture giudiziarie, di base e di vertice, che l'informatizzazione del processo civile hanno appena assaggiato (vedi la Cassazione) o di cui sono ancora totalmente a digiuno (vedi il giudice di pace).
Rispetto al pilastro della magistratura onoraria, per completare il quadro informativo sulle attuali fortissime sofferenze, nessuna foglia si è più mossa dalla proroga del termine per il deposito di progetti dell'ufficio per il processo e, semmai, nel frattempo vi sono stati sviluppi solo sul versante delle preoccupazioni manifestate sull’avvio della riforma a regime.
Negli ultimi mesi sono arrivate sempre più intense le doglianze dei dirigenti degli uffici penali che hanno ripetutamente segnalato il rischio di non potere più fare riferimento alle risorse onorarie all'interno dei tribunali per effetto dei limiti delle “regole di ingaggio”, una volta usciti - tra non troppi mesi - dal periodo transitorio del decreto attuativo. Paventano la conseguente elevata probabilità di ritorno a quel quadro di inefficienza, a cui negli ultimi anni si era trovato un parziale rimedio grazie all'impiego sistematico dei magistrati onorari per la trattazione dei reati monocratici.
Un'esigenza e una preoccupazione perfettamente comprensibile, dall'angolo visuale di chi si trovi costretto, come i nostri dirigenti, a barcamenarsi quotidianamente con la coperta troppo stretta, ma che dovrebbe far riflettere anche sulla contraddizione insita in tale richiesta, nel momento in cui la magistratura togata chiede la conferma di una strategia di impiego della risorsa onoraria che è in contrasto con le limitate attribuzioni riconosciute al giudice di pace in ambito penale. Anche se si può facilmente obiettare che affidare la trattazione del monocratico penale ai giudici onorari in tribunale, in una dimensione più raccordata alla quotidiana attività delle sezioni giudicanti e con lo strumento dell’art. 47 quater Ordinam. Giudiziario, fornirebbe la garanzia di una rete protettiva e di un circuito di consulenza e tutoraggio a disposizione dei singoli giudicanti non togati che sarebbe più efficace rispetto a quanto può realizzarsi presso l'ufficio del giudice di pace, il quale – pur con la novità della dirigenza togata di cui all’art. 8 del d.lgs. 116/17 - mantiene una sua distinta caratterizzazione amministrativa e una certa qual “separatezza”.
6. L’attualità di un disegno incompiuto
In conclusione, molti problemi sotto il sole e molto rimesso alle persone di buona volontà, come nella migliore tradizione nazionale.
Dal punto di vista culturale, non c’è dubbio che la teorica dell’ufficio per il processo possa esporre un bilancio positivo per due precise ragioni collegate al contributo dato alla crescita della cultura dell’organizzazione all’interno dell’organizzazione giudiziaria Ha fatto superare l’idea, tanto diffusa quanto infondata, che l’organizzazione fosse un fatto tecnico o neutrale e soprattutto un “affare di altri” (capi degli uffici, semidirettivi, dirigenti amministrativi): ormai è normale che in entrambi i rami del giudiziario si parli quotidianamente, a qualunque livello, di priorità, obiettivi e mezzi.
Da una altro angolo visuale, ha visto la nascita di strutture impegnate a tempo pieno proprio sul versante organizzativo, sia nella componente strettamente giudiziaria che nel comparto amministrativo: si veda l’esperienza della STO (Struttura Tecnica di Organizzazione) costituita presso il Consiglio Superiore in base all’art. 18 del Regolamento interno.
Sul piano delle realizzazioni in concrete, il saldo è un po' più deludente. Pur se l’etichetta è diventata un riferimento obbligatorio per l’impiego della magistratura onoraria nei tribunali/procure, l’ufficio per il processo non è riuscito a scrollarsi di dosso del tutto l’idea di aria fritta che per molti anni lo ha accompagnato: non per inadeguatezza dell’analisi, ma semplicemente per mancata predisposizione dei mezzi necessari per operare.
Davvero emblematico uno dei primi esperimenti messi in piedi quando mancava ancora una regolamentazione di dettaglio: l’ordine di servizio n.111 del 2015 del Tribunale di Genova. La doppia dirigenza di tale sede eseguì una ricognizione approfondita dei bisogni e delle disponibilità, completando un preciso organigramma/funzionigramma dei rapporti nelle sezioni/cancellerie nel tentativo di individuare “chi fa cosa” nello scorrere del flusso processuale, per arrivare alla conclusione che mancavano un sacco di figure di riferimento tra gli amministrativi: le caselle delle mansioni non coperte erano piene di “N.N.”, per cui si parlò di un ufficio per il processo “canzonatorio”, anche se era serissimo sia nel metodo di analisi congiunta, che nei contenuti. Una piccola provocazione all’insegna del “vorremmo tanto fare, ma non abbiamo le persone”…
Per chi, come lo scrivente, si è imbarcato fin dagli esordi in questa avventura culturale sposando senza riserve l'idea della centralità della questione organizzativa per un’efficace risposta giurisdizionale, confidando nella “natura espansiva” dell’ufficio per il processo, le disillusioni di questo ventennio sono stata abbastanza cocenti, ma ancora non sufficienti a far perdere del tutto la voglia di proseguire sulla via della sperimentazione e dei concreti assaggi di ufficio per il processo
L'esperienza quotidiana e, a maggior ragione, la drammatica esperienza di questi ultimi mesi quanto a debolezza di un assetto organizzativo non sinergico tra le risorse a disposizione, hanno dimostrato che l’ufficio per il processo è la strada giusta per un salto di qualità del “servizio giustizia”, per cui il problema delle risorse e “pilastri” a disposizione della giurisdizione – in cui si sintetizza tutta la dialettica attuazione/inattuazione dell’ufficio per il processo - dovrebbe assumere le dimensioni di una grande questione nazionale.
Verrebbe così da dire che l'unico slogan intelligente da adottare in questo momento dovrebbe essere: l'ufficio per il processo, ora, adesso, subito!
A chi volesse obiettare che non si vive di sogni - e quello dell’ufficio per il processo è davvero e purtroppo ancora un grande sogno, una macchina senza benzina – si può replicare con le parole del grande scrittore recentemente scomparso, ennesima vittima del flagello pandemico: “E se è tutto un sogno, che importa? Mi piace e voglio continuare a sognare!”.
Senza dimenticare, per i sognatori più testardi, che gutta cavat lapidem…
[1] vedi gli atti del convegno La giustizia tra diritto e organizzazione, promosso il 13 novembre 1987 dal Consiglio regionale del Piemonte e Magistratura Democratica sezione Piemonte - Torino, 1989.
[2] cfr. il volume collettaneo G. Gilardi (a cura di), Processo e organizzazione. Le riforme possibili per la giustizia civile, in Quaderni di Questione Giustizia, Milano, 2004.
[3] vedi, tra le diverse pubblicazioni dell’Autore sul tema, R. Borruso e L. Mattioli, Computer e documentazione giuridica: teoria e pratica della ricerca, Giuffrè, 2000.
[4] per una ricostruzione storica dell’evoluzione che ha portato al PCT, si veda il sito https://www.csm.it/web/csm-internet/il-processo-civile-telematico/progetto; http://pst.giustizia.it/PST/it/pst_26.wp. Inoltre, v. https://maurizioreale.it/.
[5] C. Guarneri, La giustizia in Italia. Come funziona la nostra macchina giudiziaria, Il Mulino, ottobre 2011; D. Marchesi, Litiganti, avvocati e magistrati. Diritto ed economia del processo civile, Il Mulino, 2003; S. Zan, Fascicoli e tribunali: il processo civile in una prospettiva organizzativa, Il Mulino, 2003.
[6] vedi il volume collettaneo G. Berti Arnoaldi Veli (a cura di), Gli Osservatori sulla giustizia civile e i protocolli di udienza, Il Mulino, Bologna 2011; il sito www.osservatorigiustiziacivile.it, coordinato dalla fondazione Carlo Maria Verardi; il saggio R. Caponi, L'attività degli osservatori sulla giustizia civile nel sistema delle fonti del diritto, in Foro It. Vol. 130, n. 1 (Gennaio 2007).
[7] Qualcuno trova stucchevole la differenza tra ufficio del giudice e ufficio per il processo, dimenticando che nomina sunt consequentia rerum. L'etichetta “ufficio del giudice” è politicamente pericolosa e operativamente fragile: da un lato, accredita l'idea che tutta la responsabilità del buon funzionamento dell'amministrazione giudiziaria dipenda esclusivamente dal giudice; dall'altra, in termini pratici si sostanzia nella rincorsa dei singoli magistrati ad accaparrarsi l'assistente più bravo, lo stagista più preparato, il giudice onorario più collaborativo. “Ufficio per il processo” evoca un obiettivo comune a tutti gli attori della giurisdizione, rifuggendo da una visione “ancillare” degli apporti e richiama ciascuno di “pilastri” dell’edificio giudiziario alla sua parte di responsabilità. In un contesto sempre necessariamente caratterizzato da risorse limitate, pone il problema di come adattare le risorse disponibili agli obiettivi condivisi. Questo non significa che il singolo magistrato non debba poter contare su presidi e strumenti collaborativi per poter disporre di un “ufficio” organizzato, ma che sia necessario sganciarsi da un'ottica individualista per assecondare con le risorse disponibili gli obiettivi condivisi e dare ad essi una priorità.
[8] v. R. Braccialini, L’ufficio per il processo e i suoi pilastri, in Questione Giustizia n. 6-2004. Il testo riflette un fittissimo scambio di corrispondenza intercorso per alcuni mesi dopo il convegno romano tra i tre ideatori della formula dell’”ufficio per il processo” (Daniela Intravaia, dirigente amministrativo; Stefano Zan, docente universitario e chi scrive), nel quale ognuno ha cercato di uscire dal proprio ruolo lavorativo per cercare di comprendere le ragioni e logiche che gli altri corrispondenti trasferivano.
Tra i primi commenti dopo il convegno del 2003 e prima del progetto Mastella, vedi M. Sciacca, Ufficio per il processo, ovvero dell’art. 111 Cost. in chiave organizzativa: prime riflessioni, in Magistratura, 2006, fasc. 3-4, 86.
[9] vedi di R. Fuzio, nota di commento a delibera CSM 14.2.2007 in Foro Italiano 2007, parte III, col. 333; B. Fabbrini L’Ufficio per il Processo Contributo nel volume a cura di Mariano Sciacca e altri: La Giustizia in Bilico, Aracne Editrice - Roma 2013.
[10] Per una prima panoramica sull’ordinamento giudiziario nella versione 2006, si rimanda al numero monografico de Il Foro It., 2006, parte V, 1, con saggi di: A. Pizzorusso, Considerazioni generali; M. Luciani, Il rinvio presidenziale; F. Sgubbi, Alcuni riflessi della riforma sulla pratica penale; T. Giovannetti, L’accesso alla magistratura; A. Iacoboni, La carriera e la formazione; R. Fuzio, Gli incarichi direttivi; B. Gambineri, La separazione delle carriere e la separazione delle funzioni; G. Scarselli, La riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero; G. Costantino, Il Consiglio superiore della magistratura; Gius. Verde, Il ministro della giustizia; F. Cipriani-G. Impagnatiello, La Corte di cassazione; B. Giangiacomo, I consigli giudiziari ed il consiglio direttivo della Cassazione; F. Dal Canto, La responsabilità disciplinare: aspetti sostanziali; S. Panizza, La responsabilità disciplinare: aspetti processuali; R. Romboli, La nuova disciplina ed il ruolo del giudice oggi.
Dopo la riforma Mastella, v. numero monografico del Foro It. 2008, parte V, col. 87 con saggi di Pizzorusso, Giovannetti, Iacoboni, Fuzio, Verde, Impagnatiello, Giangiacomo, Panizza.
[11] Vedi, S. Zan (a cura di), Tecnologia, organizzazione e giustizia. L’evoluzione del processo civile telematico, con contributi – tra gli altri - di Liccardo, Brescia, Costantino, Carpi, Borsari, Basoli, Viazzi, Xilo; Il Mulino Bologna 2004. Interessanti anche i saggi su PCT, dimensione organizzativa, managerialità giudiziaria nelle pubblicazioni Quaderni di giustizia e Organizzazione pubblicati da COMIUG – centro per l’organizzazione, management e informatizzazione degli uffici giudiziari, Pendragon Bologna.
[12] vedi i commi 4 e 5 dell’art. 37 l. n. 111/2011: https://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2011_0111.htm.
Le principali disposizioni contenute, invece, nell’art. 73 del D.l. 69/2013: www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/08/20/13A07086/sg.
[13] vedi i saggi pubblicati in questa Rivista on line dedicati ai tirocini formativi, di seguito citati con la data di pubblicazione: S. Beccaglia e S. Colombo, Il tirocinio ex art. 73 dl 69/2013. Due tirocinanti raccontano in diretta la propria esperienza, 14 ottobre 2019; M. Ciccarelli, Dal Tirocinio All'accesso Alla Magistratura Onoraria E Togata, 16 Luglio 2019 e 17 Luglio 2019; F. Pastorelli e N. Giangrande, Un’esperienza di stage formativo ex art. 73 del decreto legge 69/2013, 25 febbraio 2015; M.Ciccarelli, Tirocini Formativi E Ufficio Per Il Processo: Un’occasione Da Non Sprecare, 15 Luglio 2014; V. Amato, I Tirocini Formativi Dopo Le Risoluzioni Del Csm E Della Scuola Superiore Della Magistratura. Prime Note, 27 maggio 2014.
[14] a diversi anni dall'inizio degli stage formativi degli uffici giudiziari continua a non convincere, tra i requisiti per l’accesso, l'elevato voto di laurea: non sempre all'eccellenza teorica fanno riscontro doti di maturità, equilibrio e buonsenso, che costituiscono necessario presidio per l'attività magistratuale. Non si è trattato nel testo della possibilità di tirocinio invece da un parallelo canale di accesso per i praticanti avvocati, cioè attraverso la porta d'ingresso dell'articolo 41.6 lett. b) della legge professionale n. 247/2012, che ha previsto tirocini negli uffici giudiziari dei praticanti avvocati. Le chiare resistenze degli ordini professionali a consentire l'equiparazione del tirocinio in uno studio professionale a quello nell'ufficio giudiziario, e le intuibili situazioni di possibile conflitto di interessi, sembrano non aver determinato un consistente ricorso a questo strumento.
[15] V. Decreto Ministeriale 1 ottobre 2015 - Misure organizzative necessarie per il funzionamento dell'ufficio per il processo, nei materiali di consultazione.
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/11/02/15A08141/sg
[16] Le disposizioni che hanno prorogato il quinquennio iniziale di cui all’art. 245 del d.lgs. 51 del 1998, che prevedeva la revisione dell’assetto della magistratura onoraria di tribunale, erano contenute nelle seguenti fonti: d.l. 354/2003; d.l. 273/2005; d.l. 95/2008; d.l. 193/2009; d.l. 225/2010; d.l. 212/2011; L. 228/2012; L. 147/2013; d.l. 150/2013; L. 208/2015; D.Lgs. 116/2017.
[17] Tra i molti contributi sulla riforma Orlando (L.57/2016 e D.Lgs. 116/2017), si veda lo “speciale” pubblicato su Questione Giustizia, n. 3 del 2016, che ospita i seguenti saggi: L. Minniti, La riforma della magistratura onoraria. Introduzione all’obiettivo; C. Castelli, Un progetto organico con molte ombre; C. Viazzi, Il futuro dei giudici onorari di tribunale dopo la legge n. 57, in attesa dei decreti delegati; C. Capano, La riforma della magistratura onoraria nel contesto delle riforme della giustizia civile; I. Pagni, Brevi note sulla riforma della magistratura onoraria; R. Gambini, Dal Got al Gop: cosa cambia con la Legge delega n. 57/2016; P. Bellone, Il magistrato onorario tra equivoci e violazioni; B. Giangiacomo, La responsabilità disciplinare del nuovo magistrato onorario; M. Ciccarelli, I nuovi giudici onorari e l’organizzazione degli uffici per il processo; A. De Nicolo, Quale futuro per i vice procuratori onorari. Riflessioni a margine di un’esperienza concreta.
Per altri contributi presenti in questa Rivista on line sul percorso della riforma, si veda: P. Bellone, Sulla violazione del limite costituzionale della ragionevolezza nella disciplina delle incompatibilità di sede dei magistrati onorari, ed. 5 dicembre 2018; G. Scarselli, Note critiche sullo schema di decreto legislativo recante la riforma organica della magistratura onoraria, 10 luglio 2017; C.Spada, Prime valutazioni sulle censure del Comitato europeo dei diritti sociali alla normativa italiana sui giudici onorari, 30 gennaio 2017; P. Sommella, La montagna e il topolino , 7 dicembre 2016; C.Spada, L’ingiustizia nata dalla giustizia , 18 marzo 2016; A. Proto Pisani, Che fare della magistratura onoraria?, 30 luglio 2015; P. Bellone – S. Marretta - F. Vicari, Per una magistratura onoraria efficiente e conforme a Costituzione, 10 dicembre 2014; A. Di Florio, La magistratura onoraria in funzione di una giustizia migliore: normativa interna e profili comparati , 27 novembre 2014; P. Bellone, Lo sciopero dei magistrati onorari, 23 ottobre 2014; C. Viazzi, La riforma della magistratura onoraria, 23 ottobre 2014; M. Acagnino, I GOT: dalla supplenza alla collaborazione, 16 giugno 2014; A. Di Florio, Magistratura onoraria: da precariato a presidio della giurisdizione?, 26 luglio 2013; C. Viazzi, La riforma della magistratura onoraria, 23 ottobre 2014; C.Viazzi, Tre questioni per la magistratura onoraria, 12 aprile 2013.
[18] vedi Contratto Collettivo Integrativo Comparto Giustizia del 5 aprile 2000, Protocollo di intesa n. 1, art.1.1:
Possono essere conferiti incarichi di posizione organizzativa a: 1.1 Lavoratori cui sia affidato il compito di provvedere, secondo le indicazioni del magistrato, a raccogliere la pertinente documentazione legislativa, giurisprudenziale e dottrinale per lo studio delle questioni sottoposte al suo esame, ovvero di predisporre, a sua richiesta, schemi di provvedimenti giurisdizionali aventi carattere di semplicità e di ripetitività, da destinare prioritariamente alla giustizia del lavoro, alla volontaria giurisdizione, al settore fallimentare. Il numero di tali posizioni organizzative viene indicato in 1200.
[19] Vedi nel decreto delegato: www.csm.it/documents/21768/112811/Decreto+legislativo+13+luglio+2017+n.+116/94f9f646-df31-6e15-5934-0fbfd005b91b.
[20] sempre dal sito www.questionegiustizia.it, vedi: Roberto Braccialini, Da gusci vuoti a officine dei diritti, 9 gennaio 2018; dello stesso autore, Per un modello leggero (ma non un guscio vuoto!) di ufficio per il processo, ed. on line del 2 maggio 2017.
[21] v. L'ufficio per il processo: un'occasione da cogliere, con interventi di B. Fabbrini, A. Cosentino, C. Castelli, L. Minniti, in Questione giustizia, 5 luglio 2013.
[22] La circolare CSM sul monitoraggio per l’ufficio del processo è la Prat. Num. 55/VV/2016 - 81/VV/2016 - Linee guida per l’Ufficio del Processo ex art. 50 D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 – modalita’ operative (delibera 15 maggio 2019).
[23] Vedi: Parere sullo schema di decreto legislativo recante la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché la disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57 (Delibera consiliare del 15giugno 2017), al seguente link:
[24] Vedi: Parere sullo schema di decreto legislativo recante la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché la disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57 (Delibera consiliare del 15giugno 2017) al seguente link: https://www.csm.it/web/csm-internet/-/parere-sullo-schema-di-decreto-legislativo-recante-la-riforma-organica-della-magistratura-onoraria-e-altre-disposizioni-sui-giudici-di-pace-nonche-la-
[25] Si Veda: Tribunale Di Sassari, Sez. Lavoro Giud. Angioni, R.G. 229/2017 del 24.1.2020 (sentenza che attribuisce natura subordinata al rapporto di impiego per un V.P.O.); Conclusioni dell’Avvocato Generale J. Kokotte nella causa C-658/18 pendente presso la Corte di Giustizia (sul diritto alle ferie dei magistrati onorari); Tribunale di Genova, Sez. I Civile, Giud. Gibelli in causa r.g. 5263/2018, ordinanza 20.3.2020 (rimessione alla Corte Costituzionale per disparità di trattamento economico GOT/VPO); Tribunale di Vicenza, Sez. Lavoro Giud. Campo, ordinanza 29.10.20 (rinvio pregiudiziale sulla natura subordinata o meno del rapporto di impiego), disponibile e commentata su Giustizia Insieme on line del 14 gennaio 2020.
[26] La delibera si può consultare sul sito del CSM con il link: https://www.csm.it/web/csm-internet/-/linee-guida-per-l-ufficio-del-processo.
[27] L’utilizzazione dell'immagine aziendale come paradigma unico dell'efficienza è stato uno dei temi ricorrenti nella dialettica politica-magistratura nell’ultimo quarto di secolo, con particolare virulenza nella stagione delle tensioni collegate al varo del nuovo ordinamento giudiziario Castelli, quando le performance di efficienza venivano misurate da consulenti ministeriali versati più nella produzione automobilistica che nella conoscenza dell'organizzazione giudiziaria; ai quali, comunque, siamo debitori della definizione di "cruscotto" per lo strumentario di controllo delle statistiche, funzione da ultimo inserita anche nella Consolle del magistrato, ma non ancora pienamente efficiente.
Chi scrive non è mai caduto nell'equivoco di confondere l'azienda con l'impresa, dettaglio che è sempre mancato nella prospettiva di chi sbandierava l'organizzazione aziendale come parametro di efficienza e si augurava capi degli uffici come manager: l’impostazione gerarchico piramidale, evocata dalla figura del dirigente/manager che “decide e basta”, in parte presente anche nelle precedenti edizioni dell’ordinamento giudiziario, non aveva davvero nulla di invidiabile.
Proprio perché l’azienda è cosa diversa dall’impresa, vi sono organizzazioni professionali che presentano problemi organizzativi non troppo lontani da quelli propri della struttura giudiziaria ed è per questo che nella dottrina ed in molti contributi degli esperti esterni si è spesso fatto riferimento al modello delle aziende ospedaliere, come paradigma di organizzazione che richiede una diversificazione dei ruoli e che è finalizzata a trattare diritti primari senza logiche di profitto. In questo senso, l'accostamento giustizia/azienda non pare irriguardoso né improponibile e indubbiamente anche lo schema dell’ufficio per il processo definisce per prima cosa “chi fa cosa”, come nei normali circuiti ospedalieri.
Emblematico, per la preliminare analisi e ricognizione di bisogni/risorse simile al classico funzionigramma e organigramma aziendale, in anticipo sui provvedimenti consiliari e ministeriali, il modello di ufficio per il processo del Tribunale di Genova di cui all’Ordine di Servizio 111 del 2015 citato nel testo.
[28] Il doppio monitoraggio eseguito quasi in contemporanea da CSM e Ministero della Giustizia sull’ ufficio per il processo non è uno dei migliori esempi del necessario coordinamento delle iniziative. Per una critica costruttiva al riguardo, vedi R, Braccialini: Per favore, parlatevi!” in Questione Giustizia, 4 aprile 2019.
[29] Si rimanda allo studio Giustizia: ma quanto costa e quanto rende? a cura dell’Associazione CIVICUM, www.civicum.it, presentato nell’ambito del Rendiconto economico del Tribunale di Bologna il 14 novembre 2014.
[30] v. C. Viazzi, Il magistrato nel XXI secolo tra tecnologia, management e servizio al cittadino, 11 novembre 2015. Relazione all' Incontro di studio sul tema: Benessere organizzativo ed attività giudiziaria - SSM Formazione decentrata - Firenze 30 ottobre 2015, pubblicato in questa Rivista on line, 11 novembre 2015.
[31] Per un paio di interessanti “assaggi” di ufficio per il processo, vedi Giovanni Buonomo : L’ufficio per il processo: stadio iniziale e prospettive future – intervento nel Corso Formazione Decentrata Roma in data 10 maggio 2017, su www.giustizia.lazio.it; nonché, di F. Vigorito: Un progetto di ufficio per il processo per la sezione in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, in Questione Giustizia, 3 giugno 2017.
[*] Un caro ringraziamento alla dr.essa Alessia Mistretta, stagista ex art. 73, per il controllo delle bozze e delle note. Una conferma di quanto si diceva nel testo sull’utilità reciproca dei tirocini formativi