Magistratura democratica
cinema e letteratura

La regola dell'equilibrio

di Linda D'Ancona
Consigliere sezione Lavoro Corte di Appello di Roma
Il ritorno dell'avvocato Guerrieri nell'ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio
La regola dell'equilibrio

Per la prima volta nella sua vita professionale, l’avvocato Guido Guerrieri si trova a dover difendere un giudice, suo ex compagno di scuola, dall’accusa di corruzione in atti giudiziari. Il giudice, molto esperto e preparato, al punto da tenere dotte lezioni di diritto processuale, è spaventato ed arrabbiato, e si rivolge all’avvocato Guerrieri perché lo stima e sa che svolgerà bene il suo ruolo di difensore, nell’interesse dell’assistito, con competenza, professionalità e con quella fedeltà al mandato ricevuto che il codice deontologico richiede. Sennonché l’evolversi della vicenda mette a dura prova l’avvocato Guerrieri, e lo conduce ad un’amara constatazione: la mancanza di rigore e onestà intellettuale possono produrre bizantine costruzioni mentali, in cui si finisce per giustificare tutto e per convincersi delle proprie menzogne.

Processo penale, regole formali (o sostanziali? La forma è anche sostanza delle cose?);  ricerca della verità piuttosto che assoggettamento ad un esito processuale corretto ma incompatibile con la realtà; etica delle due professioni contrapposte, quella di giudice e quella di avvocato; analisi delle tecniche investigative del pubblico ministero e delle regole che anche quest’ultimo deve rispettare; ideali passati alla cartina di tornasole della realtà quotidiana, del tempo che passa e delle disillusioni personali: sono questi gli ingredienti usati ne “La regola dell’equilibrio” per raccontare una storia del tutto verosimile secondo il parametro aristotelico, così che realtà ed immaginazione corrono in parallelo, e nessuna delle due supera l’altra.

Il tutto condito da una forte tensione morale che mette in luce il contrasto tra gli obbiettivi professionali ed i principi a cui l’individuo si ispira per vivere.

Gianrico Carofiglio è bravo nel creare situazioni – limite, per poi far danzare i suoi personaggi sull’orlo del baratro; poi, accada quel che deve accadere: a ciascuno il suo. Atmosfere tese, ansiogene, capaci di far perdere lucidità a chiunque, ma lentamente sciolte da un personaggio che prende a pugni, oltre al suo sacco, le sue stesse convinzioni, per poi rimetterle saldamente al loro posto, avendo nel frattempo maturato una dose di esperienza, e quindi di vecchiaia, in più.

I temi che fanno da sfondo alla vicenda capitata all’avvocato Guerrieri sono parecchi, intrecciati tra loro ed ulteriormente complicati dalle interconnessioni esistenti tra “il dentro ed il fuori” del processo, tra le questioni tecnico-giuridiche su cui si discute da sempre (verità processuale, garanzie nel processo, presunzione di innocenza, terzietà del giudice, ruolo del pubblico ministero, deontologia dell’avvocato), e le istanze morali dell’essere umano (lealtà, coerenza, onestà intellettuale, desiderio di dare un senso alla professione, ambizioni personali, obbiettivi esistenziali, bisogno di relazioni affettive) che non hanno mai una soluzione univoca e definitiva.

La storia offre l’occasione per ricordare l’esistenzadi una serie di temi che hanno visto fior di giuristi discutere, controbattere, elaborare teorie, contrastarsi ed a volte anche contraddirsi. Nella mente del lettore, via via che la storia scorre tra le pagine, affiorano una serie di parole – chiave:

Verità processuale: il processo è ricerca della verità, ma secondo regole legalmente stabilite. Il rispetto di quelle regole è fondamentale per la validità dell’esito della serie concatenata di atti in cui si snoda il processo; tuttavia la soluzione cui si perviene può non combaciare con il reale svolgimento dei fatti, ed è qui che la questione si complica.

Si è spesso detto che il processo è finalizzato alla ricerca della verità, ma a volte si tace il fatto che ricostruire a posteriori la dinamica di un fatto è di per sé operazione complicatissima, forse velleitaria, e spesso non conduce a risultati accettabili, a volte non produce alcun risultato. Il dilemma che vivono i giuristi, magistrati o avvocati che siano, risiede nella necessità di conciliare due tendenze opposte, una consistente nella tensione ideale alla verità sostanziale, l’altra, non meno nobile, rappresentata dall’esigenza di rispettare regole che costituiscono esplicitazione diretta di principi fondamentali della nostra democrazia costituzionale. In altre parole: il fine non giustifica i mezzi, anche se può sollecitare pulsioni personali dei protagonisti del processo e mettere a dura prova la loro coerenza. Il tema della verità processuale si lega a quello successivo, ossia quello delle garanzie.

Garanzie o garantismo: il diritto di difesa e la conseguente necessità di consentirne il pieno esercizio nel processo sono innanzitutto principi di civiltà giuridica e di democrazia, prima ancora che cardini del diritto processuale.

Tuttavia si è profilato anche un problema di eccesso di garantismo, nei casi in cui si “appesantisca” il procedimento con una serie indefinita di adempimenti, che potrebbero non essere effettivamente necessari ad assicurare il diritto di difesa, e costituire solo ostacoli alla ricerca della prova.

Su questi temi la magistratura, ed in particolare Magistratura democratica, si è interrogata a lungo, da oltre trent’anni a questa parte: basti pensare che l’editoriale del primo numero di Questione Giustizia, a firma di Giuseppe Borrè e Livio Pepino, conteneva questo passaggio: “La nuova rivista nasce, invece, nella stagione del riflusso, ha di fronte a sé un’inversione di tendenza legislativa propiziata dal terrorismo e dalla crisi economica, e soprattutto deve fare i conti con emergenti prospettive di riforma istituzionale, la cui novità e ambiguità richiede un aggiornamento delle strategie di risposta. Il compito della nuova rivista è dunque più complesso e di ciò si è voluto dare un segnale anche attraverso il nome che le è stato attribuito……. Qualche esempio può dare la misura della gravità dei problemi che si propongono e delle contraddizioni con cui occorrerà cimentarsi. I recenti attacchi all’indipendenza della magistratura requirente, a parte la loro strumentalità costituisconoun evidente tentativo di vanificare il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, ma ciò non esclude la necessità di domandarsi se dinamiche negative nella professionalità degli organi di accusanon siano state avviate e consolidate dalla costrizione della magistraturaa una supplenza sempre più intensa, da sistemi burocratici di gestione degli uffici e dalla legislazione dell’emergenza di questi ultimi anni; d’altra parte, se la riforma del processo penale in senso accusatorio è tramite per l’attuazione di un processo più garantito, occorre anche chiedersise proprio nel principio della parità delle armi e nella correlativa concezione del pubblico ministero come parte non si annidi la prospettiva di una riduzione della sua indipendenza……. Ma necessità, anche, di non perderedi vista e di professare esplicitamente, fin da questa presentazione, lascelta di fondo che anima la rivista e che si articola in tre punti: l’individuazione del principio di emancipazione e di effettiva eguaglianza fissato dall’art. 3, secondo comma, della Costituzione come parametro fondamentaledi riferimento per gli orientamenti legislativi e giurisprudenziali; l’affermazione dell’indipendenza della magistratura come insostituibile strumento di controllo diffuso della legalità; l’esigenza di un processo garantito, che assicuri il rispetto dei valori della persona”. Temi sempre attuali e complicati, dunque, oggi come allora, che hanno prodotto una vera e propria teoria del garantismo penale: un esempio molto rilevante ne è il corposo testo di Luigi Ferrajoli, Diritto e ragione (ed. Laterza, 1990). Si può dire che la magistratura non abbia mai trascurato l’analisi e l’approfondimento del tema delle garanzie nel processo, come dimostrano i testi di Giovanni Palombarini “Giudici a sinistra (ed. ESI, 2000) e “La variabile indipendente” (ed. Dedalo, 2006).

Deontologia: quella del giudice e quella dell’avvocato. L’Associazione Nazionale Magistrati ha elaborato un codice etico, aggiornato nel 2010, che regola sia gli aspetti della vita sociale del magistrato che la sua condotta nell’esercizio delle funzioni.

“Nella vita sociale il magistrato si comporta con dignità, correttezza, sensibilità all’interesse pubblico. Nello svolgimento delle sue funzioni, nell’esercizio di attività di autogoverno ed in ogni comportamento professionale il magistrato si ispira a valori di disinteresse personale, di indipendenza, anche interna, e di imparzialità.

Il magistrato opera con spirito di servizio per garantire la piena effettività dei diritti delle persone; considera le garanzie e le prerogative del magistrato come funzionali al servizio da rendere alla collettività; presta ascolto ai soggetti che in diverse forme concorrono all’esercizio della giurisdizione e ne valorizza il contributo” (art. 1 del  codice etico).  Più in alto delle regole etiche, la cui violazione potrebbe non comportare anche la violazione di una regola cogente (disciplinare o penale) ci sono norme processuali che disciplinano il comportamento delle parti nel processo, come il dovere di astensione in presenza di un rapporto di stretta amicizia; questo caso, a differenza di altre ipotesi di astensione previste dai codici di procedura civile e penale, è rimesso alla valutazione del singolo magistrato, ma non quanto alla sua cogenza (ossia all’esistenza di un vero e proprio obbligo di astensione) bensì soltanto con riferimento alla sussistenza dei presupposti fattuali.

Può non essere facile rispettare queste regole, specie quando si lavora in uffici giudiziari di medie-piccole dimensioni, dove “ci si conosce un po’ tutti” o quando il contesto da cui si proviene (scuole, università, circoli ecc..) ha creato legami di un certo peso nella vita. Ma farlo è un imperativo anche etico oltre che giuridico, come ci ricorda l’avvocato Guerrieri. Parallelamente alla vicenda principale del procedimento a carico del magistrato accusato di corruzione, Gianrico Carofiglio riesce a portare alla luce una serie di problematiche legate anche alla vita quotidiana che si svolge negli uffici giudiziari; a raccontare, con stile asciutto, l’esistenza di possibili frequentazioni – di per sé legittime se non accompagnate da condotte illecite – tra avvocati e magistrati, i cui risvolti professionali devono essere però affrontati e risolti in modo processualmente corretto.

Quanto alla professione forense, il relativo codice deontologico è stato recentemente aggiornato (www.consiglionazionaleforense.it) nel 2014, ed è composto di ben 73 articoli, tra cui spiccano le norme relative ai doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza (art. 9), quella sul dovere di fedeltà (l’avvocato deve adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell’interesse della parte assistita e nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa), e quella sul rapporto di fiducia con la parte assistita. E’ evidente che il codice deontologico forense è piuttosto articolato e complesso, perché numerosi sono gli aspetti dell’attività professionale da disciplinare, compresi i rapporti con gli altri difensori e  con gli organi del Consiglio dell’Ordine; ci sono poi le questioni relativeai possibili conflitti di interesse,  ai doveri di riserbo e segreto professionale, e la disciplina degli aspetti di carattere economico, circa le modalità di quantificazione e riscossione dei compensi professionali.

Al di là del numero degli articoli, la principale domanda di carattere etico dell’avvocato Guerrieri non è scritta da nessuna parte e non trova risposta nel codice deontologico…. E’ una domanda antica, la cui risposta può essere accuratamente predisposta da ciascun difensore e ben “sistemata” nella sua coscienza, ma prima o poi succede qualcosa che fa crollare l’elaborazione, e rimette l’individuo di fronte a se stesso ed all’antico dilemma di chi è l’avvocato e di quale senso dare alla difesa dell’imputato. Gianrico Carofiglio si muove con eleganza su questo terreno, in modo problematico come è giusto che sia, senza pretendere di fornire una verità assoluta o indicare un'unica soluzione. Tuttavia il viatico, quello sì, emerge in modo chiaro, e consiste nella capacità di essere onesti intellettualmente, e di interrogarsi sempre, con chiarezza, su ciò che ci accade.

Sullo sfondo, oltre ad una Bari fatta anche di periferie e luoghi non propriamente ameni, l’amara consapevolezza del tempo che passa, e la necessità di fare i conti con la progressiva perdita dell’entusiasmo e delle speranze di cui si è animati all’inizio di un percorso professionale carico di tensioni ideali.

In conclusione, l’avvocato Guerrieri non è più giovane, ma rimane pur sempre lucido e simpatico, nel senso greco del termine, di pathos condiviso. 

18/01/2015
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