Nota a sentenza CGUE, Grande sezione, 29 gennaio 2013, causa C-396/11, Radu
All’udienza dello scorso 29 gennaio 2013 la Corte di Giustizia, investita di una domanda di pronuncia pregiudiziale – avanzata nell’ambito di un procedimento penale avente ad oggetto l’esecuzione in Romania di quattro mandati di arresto europei emessi dalle autorità tedesche – ha emesso la sentenza in commento, cristallizzando il seguente principio di diritto: “La decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretata nel senso che le autorità giudiziarie di esecuzione non possono rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale a motivo del fatto che la persona non è stata sentita nello stato emittente prima dell’emissione di tale mandato di arresto”.
La vicenda all’origine della domanda pregiudiziale riguardava l’emissione, nei confronti di un cittadino rumeno, il sig. Radu, di quattro mandati di arresto europei emessi, tra il 2007 e il 2008, dalle autorità tedesche, ai fini dell’esercizio dell’azione penale.
Nel giugno del 2009 la Corte di Appello di Costanza, considerato anche il rifiuto espresso dal sig. Radu alla propria consegna, disponeva l’esecuzione di tre mandati di arresto. Con riferimento al quarto, invece, ne veniva rifiutata l’attuazione, sulla base della circostanza per cui il cittadino rumeno risultava già sottoposto a procedimento penale, in Romania, per il medesimo fatto per il quale veniva richiesto il suddetto mandato.
La consegna del sig. Radu veniva quindi sospesa sino alla conclusione del procedimento, con mantenimento dello stato di custodia cautelare disposto in precedenza. Avverso tale decisione, il sig. Radu proponeva ricorso dinanzi alla “Alta Corte di Cassazione e di Giustizia” della Romania, che accoglieva le sue ragioni, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Costanza per un nuovo esame della questione. All’esito del procedimento celebrato innanzi alla Suprema Corte, il cittadino rumeno veniva peraltro rilasciato in libertà, con la sola applicazione di alcune misure restrittive del diritto di circolazione, tra cui il divieto di allontanarsi dal comune di residenza in assenza di autorizzazione del Giudice.
La causa veniva così nuovamente celebrata, nel febbraio del 2011, avanti alla Corte di Appello di Costanza, ove il Sig. Radu si opponeva all’esecuzione di tutti i mandati emessi nei suoi confronti e deduceva alcune argomentazioni determinando la sospensione del procedimento e il rinviopregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Le deduzioni formulate nell'ambito del procedimento penale principale dal cittadino rumeno per opporsi alla consegna concernono tutte le disposizioni della decisione quadro istitutiva del mandato di arresto europeo, in particolare in tema di verifica da parte delle autorità dello stato richiesto – nel caso di specie quello romeno – circa il rispetto dei diritti ad un processo equo, alla presunzione di innocenza e alla libertà personale, così come formulati dalla Carta di Nizza e dalla CEDU.
In particolare il sig. Radu osservava che i summenzionati mandati di arresto fossero stati spiccati nei suoi confronti senza che egli fosse stato sentito o citato a comparire per presentare le proprie difese.
La Corte di Giustizia, previo vaglio di ricevibilità, escludendone una soltanto, effettua un esame congiunto, rilevando che esse attengono tutte all'interpretazione della decisione quadro nonché di alcune disposizioni della Carta di Nizza.
Con la prima questione, infatti, il giudice nazionale chiede se le disposizioni di detta Carta, nonché della CEDU, siano parte integrante del diritto primario dell'Unione, mentre con la seconda e la terza, per come riassunte dall'Avvocato Generale Sharpston, se la privazione della libertà e la conseguente consegna coercitiva della persona ricercata, in forza di un mandato di arresto europeo, costituiscano un’ingerenza nel diritto alla libertà e se tale ingerenza, per essere giustificata alla luce dell’art. 5 paragrafo 1 della CEDU, nonché dell’articolo 6 della Carta di Nizza, debba soddisfare la condizione di necessità e proporzionalità. Si precisa che l’Avv. Generale aveva considerato nella propria argomentazione che le disposizioni della CEDU sono state incorporate dal Trattato di Lisbona attraverso l'articolo 6, paragrafo 3, TUE e che quindi la Carta di Nizza costituisce senz'altro diritto primario dell'Unione.
Quanto, poi, alla quarta questione, il giudice nazionale chiede se sia prevista, per uno Stato membro, la possibilità di rifiutare l'esecuzione di un mandato di arresto europeo, laddove ciò possa comportare una violazione dei diritti della persona ricercata come garantiti dalle citate norme.
Infine, con l’ultima questione – considerata irricevibile dall’Avvocato Generale– il giudice nazionale s’interroga circa la compatibilità delle disposizioni nazionali con la CEDU e con la Carta di Nizza e se conseguentemente la decisione quadro sia stata correttamente trasposta nell’ordinamento interno.
La Corte, esclusa la quinta questione, riassume le richieste del giudice nazionale, riconducendole tutte ad un’unica matrice e domandandosi se la decisione quadro 2002/584, letta alla luce del combinato disposto degli artt. 47 e 48 della Carta, nonché dell’articolo 6 della CEDU, debba essere interpretata nel senso che le autorità giudiziarie richieste possano rifiutare l'esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, in considerazione del fatto che le autorità giudiziarie emittenti non abbiano sentito la persona ricercata prima dell’emissione di tale mandato.
Dopo aver premesso che il diritto del ricercato a essere sentito è sancito dall’art. 6 della CEDU e dagli artt. 47 e 48 della Carta di Nizza, i giudici di Lussemburgo richiamano in via preliminare gli obiettivi della decisione quadro 2002/584 evidenziando che essa, istituendo un sistema alternativo all’estradizione, persegue, tra gli altri fini, la semplificazione delle procedure di consegna e la facilitazione della cooperazione giudiziaria nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, costruito sulla base della fiducia fra Stati membri e del reciproco riconoscimento delle decisioni. Tale fiducia costituisce quindi la chiave di volta del mandato di arresto europeo.
Inoltre, dopo aver analizzato le norme della decisione quadro che consentono ad uno Stato membro di rifiutare l'attuazione di un mandato di arresto nei casi di non esecuzione obbligatoria o facoltativa, la Corte, pur dichiarando di aderire al dettato della norma di cui all'art. 4 bis, che fa riferimento alla violazione dei diritti di difesa nel corso di un processo che abbia comportato una pronuncia di condanna in contumacia, statuisce tuttavia che non rientra tra i motivi ostativi all’esecuzione del mandato di arresto, previsti dalle disposizioni della decisione quadro n. 584/2002, il fatto che il mandato sia stato emesso dall’autorità giudiziaria senza sentire la persona destinataria del provvedimento.
Un tale epilogo decisorio risulta assunto sulla base della circostanza che l’eventuale previsione di un obbligo, per le autorità dei diversi Paesi membri, di sentire la persona ricercata prima dell’emissione di un mandato di arresto europeo, vanificherebbe l’intero impianto del sistema di consegna, specialmente considerando l’esigenza primaria di evitare la fuga del ricercato, ponendosi così in contrasto con lo scopo precipuo della stessa decisione quadro ovvero la realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
La pronuncia in commento risulta quindi di particolare rilevanza, in quanto la Corte risolve il dubbio interpretativo, divenendo così illegittimo l’eventuale rifiuto da parte delle autorità giudiziarie di dare esecuzione ad un mandato di arresto europeo sulla base della non preventiva audizione della persona nei cui confronti il mandato è emesso.