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Non è un Paese per (servizi) giovani. Brevi osservazioni sulla vicenda Flixbus

di Giuseppe Morgese
Ricercatore di diritto dell’Unione europea nell’Università degli studi di Bari Aldo Moro
I servizi di autolinee interregionali di competenza statale sono stati riordinati con il d.lgs. 21 novembre 2005, n. 285, che ora – dopo un periodo transitorio di otto anni – prevede la possibilità per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di rilasciare autorizzazioni in luogo delle precedenti concessioni alle imprese, o alle riunioni di imprese, che soddisfano i requisiti dell’art. 3. Ciò ha comportato l’abbandono della prassi dell’esclusività della concessione per ogni singola tratta e ha permesso a nuovi soggetti economici di entrare nel mercato

1. Mesi fa, un collega che viaggia spesso sulla tratta Bari-Napoli mi ha parlato del fenomeno Flixbus, startup tedesca che, dal 2015, offre sul mercato italiano una serie di tratte low-cost su strada con autobus moderni, ben accessoriati e con un sistema di prenotazione mediante app dedicata che non richiede particolari formalità per l’acquisto dei titoli di viaggio e per il cambio delle prenotazioni. Il collega mi ha descritto, con un certo fervore, i miglioramenti che, dal suo punto di vista di pendolare, Flixbus apporta rispetto al passato quando viaggiava con i vettori ex concessionari. Lì per lì ho preso atto della novità senza particolari entusiasmi ma poi, ripensandoci, mi sono rallegrato del fatto che, in un Paese spesso opaco come il nostro, si fosse consumata questa “eresia” consentendo a un vettore straniero di operare senza frapporre ostacoli diretti a proteggere – o non sfavorire eccessivamente – i concorrenti italiani.

Ero stato troppo ottimista.

2. I servizi di autolinee interregionali di competenza statale sono stati riordinati con il d.lgs. 21 novembre 2005, n. 285, che ora – dopo un (lungo) periodo transitorio di otto anni – prevede la possibilità per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di rilasciare autorizzazioni in luogo delle precedenti concessioni alle imprese, o alle riunioni di imprese, che soddisfano i requisiti dell’art. 3. Ciò ha comportato l’abbandono della prassi dell’esclusività della concessione per ogni singola tratta e ha permesso a nuovi soggetti economici di entrare nel mercato.

Il primo operatore non-italiano che ha proposto nuove tariffe quale effetto della liberalizzazione è stata la Megabus, azienda inglese nata nel 2003 dai caratteristici mezzi di colore blu allegro. Il modello commerciale proposto da Flixbus è diverso, perché riserva in capo alla startup la piattaforma logistica, di prenotazione e di marketing, mentre i mezzi e il personale appartengono alle aziende di trasporto locali riunite sotto l’ombrello dell’azienda tedesca. Il modello appena accennato si è rivelato talmente vincente da sbaragliare la concorrenza: Flixbus infatti ha rilevato le tratte prima coperte da Megabus in Europa continentale, facendo rapidamente perdere quote di mercato agli operatori storici dei diversi Paesi europei.

In Germania, per esempio, in pochi mesi ha sottratto l’81% del mercato della ex monopolista Berlinlinienbus. In Italia, la società tedesca è entrata nel 2015, ottenendo l’autorizzazione ministeriale quale capofila di una riunione di imprese ex art. 3 d.lgs. 285/2005 composte da una cinquantina di piccole e medie aziende di noleggio e trasporto; in poco tempo ha rilevato le tratte Megabus e acquisito quote di mercato con le proprie tariffe variabili e convenienti. Così facendo, Flixbus si è attirata accuse di concorrenza sleale da parte dell’Anav, l’associazione nazionale autotrasporto viaggiatori capeggiata dall’amministratore delegato di Sita Sud srl e consigliere delegato della Marozzi srl, due dei principali concorrenti della startup tedesca; accuse alle quali Flixbus ha sempre opposto la regolarità delle autorizzazioni ministeriali.

3. La storia dell’uomo è piena di episodi in cui si oppongono barriere normative all’entrata o alla permanenza su un dato mercato di operatori che, con il loro modello “rivoluzionario” di business, risulterebbero imbattibili sul piano economico-commerciale. Anche in questo caso è andata così, provvedendo con una piccola modifica normativa a mettere “fuori legge” Flixbus in Italia.

Un emendamento del Senato al disegno di legge di conversione del decreto legge c.d. milleproroghe 2017 (d.l. 30 dicembre 2016, n. 244) ha infatti modificato il già ricordato art. 3 d.lgs. 285/2005 inserendo alcune righe in base alle quali, d’ora in poi, una riunione di imprese a carattere verticale (come quella capeggiata da Flixbus) può ottenere l’autorizzazione a esercitare servizi di trasporto di linea interregionali solo a patto che il “mandatario esegu[a] le attività principali di trasporto di passeggeri su strada”. Così non è per Flixbus, che attraverso la sua piattaforma digitale svolge attività di mera intermediazione, di organizzazione del servizio, cioè di incontro tra domanda e offerta di viaggio su tratte interregionali, lasciando agli operatori associati le attività di trasporto.

Il tentativo (riuscito) di proteggere attraverso una modifica normativa i campioni (?) nazionali del trasporto di linea ha provocato le proteste dei consumatori, dell’opinione pubblica in generale e di una parte del mondo politico, spingendo il Governo ad assumersi l’impegno di ripristinare lo status quo ante nel primo provvedimento utile.

4. Al momento in cui si scrive, non sappiamo cosa ci riserverà il futuro. In effetti, il “primo provvedimento utile” è espressione abbastanza generica, che sul piano giuridico non significa poi molto: meglio sarebbe stato l’impegno ad adottare uno specifico decreto legge, per una volta utilizzando lo strumento d’urgenza per i suoi fini propri e non quale modo surrettizio di ovviare alle lentezze del procedimento legislativo bicamerale. Del resto, per produrre i suoi effetti, tale provvedimento dovrebbe entrare in vigore entro 90 giorni in modo da evitare l’avvio delle verifiche da parte del Ministero dei trasporti e il ritiro (inevitabile) delle autorizzazioni prima concesse a Flixbus.

Certo, fa sorridere la dichiarazione di un membro del Governo in difesa dell’emendamento (presentato, merita ricordarlo, da una parte dell’opposizione) sostenendo che esso “segna un altro passo avanti verso la realizzazione di un sistema in linea con i principi e gli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea” e che consentirà “un ulteriore impulso all’attività” di trasporto di linea. Fa sorridere anzitutto perché l’emendamento “anti Flixbus” è stato inserito in un disegno di legge, quale quello di conversione del decreto milleproroghe, che ha l’esclusivo scopo di – per l’appunto – prorogare i termini di provvedimenti precedenti. Ma fa sorridere soprattutto perché l’emendamento rappresenta esattamente il contrario della filosofia che anima le regole sulla promozione della concorrenza dell’Unione europea e dei suoi Stati membri, ivi compresa l’Italia. L’ingresso di Flixbus sul mercato italiano ha prodotto, dal 2013 al 2015, un aumento netto delle tratte servite (+ 33%), della frequenza delle tratte (+ 38%), delle tipologie di offerta e dei segmenti tariffari proposti ai consumatori. Il modello Flixbus ha quindi comportato innegabili vantaggi in termini di qualità e quantità di prodotto nonché di offerta di lavoro soprattutto al Nord, dove il mercato del trasporto di linea su strada era poco sviluppato, ma anche al Sud, via via erodendo quote di mercato agli ex concessionari esclusivi.

Né si può dire che il modello proposto dall’azienda tedesca non sia stato già esaminato alla luce della normativa antitrust, visto che, in un parere del gennaio 2016, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ne ha sancito la conformità in quanto la politica di sconti e di variazioni continue delle offerte rimaneva nel perimetro stabilito dalle regole ministeriali. In altri termini, si è riconosciuto ancora una volta che una pratica di “aggressione” del mercato non è concorrenza sleale solo perché l’azienda che la pone in essere sa sfruttare meglio le tecnologie disponibili, adotta politiche di sconto a vantaggio dei consumatori e non viola le prescrizioni legislative e amministrative. Del resto, come ricorda l’Autorità nel parere citato, “trattandosi di un mercato liberalizzato, ogni eventuale vincolo normativo o regolamentare alla libertà tariffaria delle imprese sarebbe in aperto contrasto con i principi e le norme a tutela della concorrenza”. Resta naturalmente da vedere come si evolverà il mercato, in quanto la strategia di Flixbus potrebbe un giorno essere considerata non conforme alle regole sulla concorrenza in base al fatto che essa sia nel frattempo diventata impresa “in posizione dominante”: con questa espressione si intende una posizione di preminenza sul mercato (non necessariamente un monopolio) che consente all’impresa che la detiene di comportarsi in maniera indipendente dai suoi concorrenti. Oggi Flixbus non è in posizione dominante, di doman non c’è certezza.

5. Vale la pena sottolineare ancora due aspetti. Il primo è che, tra non molto, la Corte di giustizia dell’Unione europea si pronuncerà sull’interpretazione del diritto Ue in merito a una causa tra il sindacato dei tassisti di Barcellona e la piattaforma UberPop (causa C-434/15, Asociación Profesional Elite Taxi). In breve, questa piattaforma consente di mettere in contatto, da un lato, chiunque abbia bisogno di essere trasportato e, dall’altro, chiunque abbia un automezzo (quindi, non professionisti ma automobilisti comuni) e si trovi nelle vicinanze del richiedente: in tal modo si supera la necessità di ricorrere al servizio taxi offerto nelle città interessate. Al di là dei differenti settori di competenza – Flixbus opera in quello del trasporto interregionale di linea, Uber nel trasporto locale non di linea – la domanda posta al giudice sovranazionale interessa sia Uber sia Flixbus: esse sono mere piattaforme digitali o vere e proprie compagnie di trasporti? A tali imprese va dunque applicata la stringente normativa prevista per le seconde oppure no?

Dalla risposta del giudice dell’Unione dipenderà il futuro in Europa di questi innovativi modelli commerciali e, in ultima analisi, del fenomeno della sharing economy. Inoltre, qualora la Corte di giustizia riconosca che si tratta di semplici piattaforme digitali, la Commissione europea potrebbe dare avvio a una procedura di infrazione a carico dell’Italia proprio per la vicenda Flixbus, alla quale – in mancanza del ripristino della situazione precedente all’emendamento “incriminato” – sarebbe impedito di svolgere la propria attività di fornitore di servizio elettronico ai sensi della direttiva c.d. Bolkestein.

La risposta del giudice UE avrà inevitabili ripercussioni anche in Italia, dove la vicenda UberPop è stata decisa dal Tribunale di Milano in senso favorevole alle doglianze dei tassisti di Milano e che potrebbe essere rimessa in discussione. Infine, tale pronuncia non potrà non incidere anche sulla complessiva regolamentazione dell’attività di noleggio taxi e Ncc (noleggio con conducente), che nei giorni scorsi ha visto opporsi i tassisti a un altro emendamento al decreto milleproroghe diretto a spostare al 31 dicembre 2017 il termine per l’adozione del provvedimento ministeriale contro l’esercizio abusivo delle due attività appena ricordate: secondo i tassisti, infatti, la proroga favorirebbe le piattaforme come Uber che utilizzano il servizio Ncc in concorrenza al servizio taxi, senza però sopportare il costo (esorbitante) della licenza taxi e dunque potendo proporre tariffe molto più vantaggiose.

Il secondo aspetto riguarda invece il fatto che la legge di conversione del decreto milleproroghe potrebbe essere considerata non conforme al dettato costituzionale, atteso che simile decreto (e la corrispondente legge di conversione) risponde alla stretta finalità “temporale” di intervenire con rapidità sulla proroga di termini e non, invece, di introdurre modifiche “sostanziali”, come tali oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa (C. Cost., sentenza n. 22 del 2012).

6. La vicenda Flixbus è profondamente diversa da quella Uber. In quest’ultimo caso, infatti, a fronte del positivo sviluppo di una nuova piattaforma digitale è necessario tutelare i diritti di chi, come i tassisti in Italia, hanno pagato a caro prezzo una licenza nella prospettiva di poter esercitare un’attività “protetta” per legge: senza un indennizzo a compensazione dell’esborso effettuato, e al netto di comportamenti scorretti da parte di singoli tassisti o compagnie taxi, mi sembra difficile che l’ingresso di Uber (e ancor più l’utilizzo di UberPop) risponda a criteri di ragionevolezza e di bilanciamento dei diversi interessi in giuoco.

Nel caso Flixbus, invece, si tratta di una questione molto più semplice e, per questo, alquanto deprimente: la finalità neanche troppo nascosta del blitz in sede di conversione del decreto milleproroghe è quella di tutelare dalla concorrenza operatori poco efficienti, ex concessionari esclusivi (praticamente monopolisti nelle rispettive tratte) che hanno avuto ben otto anni per adeguarsi alle nuove regole e che, ciò nonostante, oggi si lamentano della perdita di quote di mercato. A fronte di queste lamentele esclusivamente corporative, che non hanno il minimo aggancio con la necessità del bilanciamento di interessi contrapposti e con la realtà del trasporto del XXI secolo, bisognerebbe essere fermi nell’opporre una cultura della leale concorrenza e del superiore vantaggio per i consumatori. Spiace riconoscere invece come tale fermezza non ci sia stata in questa triste vicenda, dove lo Stato è entrato a gamba tesa cambiando le regole del giuoco in corso d’opera.

Fermo restando l’auspicio che la situazione precedente l’emendamento “anti Flixbus” venga ripristinata, non si può non sottolineare come l’Italia ancor oggi, nel 2017, faccia fatica a sviluppare servizi economici e produttivi in linea con il resto dell’Europa. Non è decisamente un Paese per (servizi) giovani.

03/03/2017
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03/03/2017