Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

Nuovamente alla Corte il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici

di Rita Sanlorenzo
consigliere della Sezione Lavoro della Corte d'Appello di Torino
Nota a Tribunale di Ravenna, 28 febbraio 2014
Nuovamente alla Corte il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici

Dopo quella romana del Novembre 2013, una seconda ordinanza del giudice del lavoro, questa volta di Ravenna, rimette al giudizio della Corte costituzionale il cd. “blocco degli stipendi” dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni che percepiscono ad oggi, e che percepiranno per tutto il 2014, la retribuzione corrisposta nel 2010, a seguito dell’intervento legislativo operato con l’art. 9, d.l. n.78/2010, conv. in l. n.122/2010, e successivamente con l’art. 16 del d.l. n.98/2011, conv. in l. n.111/12 (con cui appunto è stata autorizzata la proroga del blocco per tutto l’anno attualmente in corso, poi attuata con il DPR . 4 settembre 2013, n.122).

Nello stesso senso aveva precedentemente disposto il giudice del lavoro di Roma, con l’ordinanza del 27.11.2013, sollevando la questione in relazione alla ritenuta violazione degli artt. 35 e 36 Cost., in quanto la stessa inibizione prolungata della contrattazione collettiva circa l’adeguamento dei trattamenti retributivi solleva il legittimo dubbio della violazione del principio costituzionale di proporzionalità tra il lavoro svolto, e la sua retribuzione, la cui attuazione è affidata proprio allo strumento negoziale collettivo (tanto più nel sistema del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, in cui anzi si afferma l’espressa riserva di contratto per l’attribuzione di trattamenti economici, v. artt. 2, 45 d. lgs.vo n.165/2001); ; nonché dell’art. 3, anche in relazione all’art. 2 Cost., laddove, pur a fronte delle enunciate esigenze di contenimento della spesa pubblica e di rilancio della competitività economica, le misure di risanamento sono state poste in essere soltanto nei confronti dei dipendenti pubblici, ciò che è stato ritenuto violare contemporaneamente il principio di eguaglianza e il dovere di solidarietà politica, sociale ed economica.

Il tribunale di Ravenna ribadisce, e rafforza, la denuncia della violazione del principio di uguaglianza, rimarcando che la discriminazione è resa più evidente dal dato per cui il blocco delle retribuzioni ha riguardato solo una parte dei dipendenti pubblici, “essendone espressamente esclusi gli appartenenti al comparto scuola pur privatizzati , le forze armate,  i prefetti, gli ambasciatori, ecc.”,  a cui si aggiunge la violazione dei principi costituzionali di gradualità dei sacrifici imposti ex art.53 ed al principio di solidarietà ex art. 2, in quanto il blocco colpisce “proprio i dipendenti pubblici con stipendi più bassi  … a scapito di soggetti con più elevato reddito”, quali ad esempio i dirigenti degli uffici giudiziari dove lavorano gli stessi  ricorrenti.

D’altronde, non dimentica il remittente che i magistrati hanno visto rimosso il blocco retributivo disposto dalla medesima normativa, in virtù della sentenza della Corte Cost. n.223 del 2012: con ciò venendosi a creare altra vistosa disparità.

Segnala ancora il giudice di Ravenna che la violazione dell’art.36 discende non solo dalla minor capacità di acquisto delle retribuzioni “congelate”, ma anche dall’accresciuto carico di lavoro determinato negli anni dal disposto blocco del turn-over, che ha comportato – anche a fronte del crescente aumento delle iscrizioni dei processi – un automatico incremento del carico di lavoro gravante sul personale dipendente dell’amministrazione giudiziaria.

Entrambi i giudici remittenti danno atto di conoscere quella giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la legittimità costituzionale di normative siffatte, determinate in passato dall’emergenza costituita dalla necessità di “realizzare, con  immediatezza, un contenimento della spesa pubblica», a condizione però che tali misure risultino eccezionali, e che il blocco esaurisca “i suoi effetti nell’anno considerato, limitandosi a impedire erogazioni per esigenze di riequilibrio del bilancio» (v. in partic. Corte Cost. sentenza  18 luglio 1997 n.  245).  Entrambi i giudici colgono però che proprio nell’estensione temporale a loro attribuita dal legislatore del 2009, e del 2011, le norme denunciate non rispettano tale presupposto, così da determinare a carico dei lavoratori colpiti, sacrifici arbitrari ed irragionevoli.

Spetta ora alla Corte intervenire su una materia di così spiccato rilievo, e non solo economico: la questione dei lavoratori pubblici – ci sia consentito, nello specifico quelli del settore giustizia – non può essere elusa se veramente si vuole perseguire l’obbiettivo politico di un rilancio dell’attività della pubblica amministrazione, nel senso del suo ammodernamento e della sua migliore efficienza.  Al di là del contingente risparmio ottenuto, lo strumento del blocco prolungato dell’adeguamento degli stipendi non può che creare impoverimento, e non solo sul piano del reddito dei singoli lavoratori.

 

 

04/03/2014
Altri articoli di Rita Sanlorenzo
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.