«L’emergenza coronavirus costituisce un elemento valutativo nell’applicazione di tutti gli istituti normativi vigenti e ne rappresenta un presupposto interpretativo necessario».
Sta (quasi) tutto qui, in questa prima osservazione metodologica, il rilievo della nota che il Procuratore generale della Corte di cassazione ha inviato ai Procuratori generali del distretto. Questa premessa, ricorda a tutti gli operatori del diritto (e, dunque, non solo ai pubblici ministeri) che il diritto non è solo una – talora affascinante – speculazione sui massimi sistemi, ma è – forse anzitutto – una scienza pratica i cui orientamenti sono destinati ad incidere sulla vita concreta delle persone e ad innestarsi in un preciso contesto sociale.
E il «qui e ora» da cui non si può prescindere è questo: l’emergenza epidemiologica COVID-19 è ancora in atto; la risposta che il legislatore e le autorità di governo stanno perseguendo per contenere l’ulteriore diffusione del virus è oggi e in parte rilevante rappresentata dalle misure di distanziamento sociale; le carceri sono sovraffollate [l’ultima statistica pubblicata sul sito del ministero della giustizia attesta la presenza – al 29 febbraio 2020 – di 61.230 persone, di cui 18.952 persone non ancora raggiunte da condanna irrevocabile; il tutto a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 detenuti]; il diritto alla salute dei detenuti e – tema certo non secondario – delle persone che si trovano a lavorare nelle carceri deve essere garantito.
Ad oggi, la risposta del legislatore è ancora insufficiente, sia sotto il profilo delle scelte, sia sotto il profilo delle risorse disponibili [del tema, questa Rivista si è già occupata con i contributi di Riccardo De Vito, Michele Passione, Livio Pepino e sul quale è intervenuta anche l’Associazione italiana dei professori di diritto penale].
Con la nota qui pubblicata, il Procuratore generale sembra implicitamente sollecitare l’operatore pratico a non arrendersi di fronte a mancati interventi o di fronte alla povertà di risorse. La nota ripercorre infatti tutti (o quasi) gli snodi processuali e procedimentali in cui non è indifferente prediligere un’opzione interpretativa piuttosto che un’altra. In essa si affronta il tema delle misure pre-cautelari e delle misure cautelari (tanto nella fase genetica, quanto in quella di esecuzione delle misure cautelari, quanto in quella successiva, in cui si può – e talora si deve – ragionare sulla persistenza di esigenze cautelari e sulla opportunità di modificare il regime cautelare facendo rientrare nell’economia della decisione anche l’emergenza epidemiologica); il tema della fase di esecuzione delle pene detentive (quando porre in esecuzione le sentenze divenute irrevocabili? quali sentenze porre in esecuzione ora, ossia in una fase in cui molti termini processuali sono sospesi? Quali priorità stabilire nel porre in esecuzione le sentenze?); il tema della fase penitenziaria (quali spazi per le misure alternative? quali misure alternative? quale incidenza ha la scarsità di risorse – si pensi ai braccialetti elettronici – sulla concreta possibilità di alleggerire la tensione carceraria? quali possibilità interpretative può percorrere l’interprete per ovviare alla scarsità di risorse?).
Non si può ripercorrere in questa breve nota tutta l’analisi compiuta dal Procuratore generale (che non manca di interessanti proposte interpretative). Qui si può solo evidenziare che – con la nota qui pubblicata – il Procuratore generale invita gli operatori a ragionare sul come garantire il raggiungimento di un serio punto di equilibrio tra una serie di interessi che possono talora entrare in frizione: la tutela della salute individuale dei detenuti; la tutela della salute degli operatori; il contemperamento di tali esigenze – oggi drammaticamente attuali – con quelle che, per contro, giustificano la privazione della libertà delle persone detenute.
E – ci ricorda il Procuratore generale – il punto di equilibrio può essere individuato con un atteggiamento interpretativo che tenga conto della realtà: le «ragioni di salute» – quando assumono rilievo sulle decisioni relative alla libertà personale – hanno, in questa particolare contingenza, una valenza non solo «soggettiva», ma anche «oggettiva» e meta-individuale; il distanziamento sociale è l’opzione che, almeno per ora, sembra da perseguire per contenere l’ulteriore diffusione del contagio; l’alleggerimento del sovraffollamento carcerario è funzionale a tale obiettivo; la privazione della libertà personale è l’extrema ratio e tale principio informatore del sistema oggi deve essere preso in considerazione ancor più seriamente che in passato.
Si badi: non è – quello del Procuratore generale – un invito al “liberi tutti”. Tutt’altro. È solo un invito teso ad ottenere un risultato: che, oggi, in carcere siano detenute solo ed esclusivamente persone per cui la privazione della libertà si renda effettivamente indispensabile “qui ed ora”.
Prima di chiudere questa breve introduzione, è però importante segnalare un aspetto di metodo che connota l’intervento del Procuratore generale.
La nota del PG esplicitamente riferisce che l’intervento non ha la pretesa di costituire una linea di orientamento per gli uffici del Paese o l’emanazione di linee guida. Con essa, più semplicemente, il Procuratore generale delinea una serie di questioni e propone una serie di soluzioni operative, offrendole alla riflessione della comunità degli interpreti ed operatori pratici. Nulla più. Inoltre, il PG precisa che la redazione della nota è avvenuta dopo aver operato una ricognizione delle prassi interpretative affermatesi e dei problemi – anche in relazione alla scarsità di risorse – riscontrati presso la giurisdizione di merito e a seguito di interlocuzioni avvenute con tutti i procuratori generali del Paese.
In un’epoca di “uomini soli al comando”, ci sembra un bel modo di interpretare una funzione apicale: deliberare; ma prima ancora: conoscere per deliberare e discutere prima di deliberare.
Buona lettura.