Magistratura democratica
Magistratura e società

Salute, lavoro e coronavirus, nella ricorrenza del 1 maggio

di Roberto Riverso
consigliere Corte cassazione
Articolo 41 della Costituzione: “Non può svolgersi in contrasto…”. Quello che la Costituzione dice a proposito dell'iniziativa economica privata, e della libertà ad esercitarla

 

1. Mai nella storia del nostro Paese il dilemma del rapporto tra salute, lavoro ed economia si è posto in termini così drammatici come in questo momento di crisi per la pandemia da Covid-19. Un virus sconosciuto, cattivo e velocissimo che sta seminando morte e panico in tutto il pianeta. Nelle prossime ore, mentre ancora si contano i decessi a centinaia ogni giorno, come in una guerra, il nostro Governo dovrà decidere quale soluzione offrire per uscire dal confinamento (il cd. lockdown) e passare alla c.d. Fase 2. Modi e tempi per uscire dal lockdown.  È la questione cruciale che si agita in questi giorni, alla quale guarda con incertezza ogni cittadino, ogni famiglia; e che ogni lavoratore ed operatore economico sente bruciare sulla propria pelle. Come passare dalla chiusura alla riapertura. Le associazioni di categoria premono in un senso ed i sindacati nell’altro. Ed a molti pare non si possa più aspettare. L’imperativo è oramai ripartire. Ma come?

La domanda ripropone il tema del rapporto tra salute, economia e lavoro. Cosa significa, oggi, parlare di rispetto della vita, di tutela della salute, di eguaglianza, di lavoro. Siamo da sempre afflitti da tremendi dubbi su questo tema che si presenta ogni giorno sotto mille facce; ma la realtà di oggi ci offre l’occasione, forse unica, per uscire dalla retorica e di misurare in concreto il significato e la portata di queste parole.

 

2. Ma siamo veramente al buio, ciechi e smarriti, nave senza cocchiere in gran tempesta? O possiamo fare affidamento su una guida sicura? È in momenti come questi che, come ci ha insegnato in mille occasioni Stefano Rodotà, la nostra Costituzione – troppo spesso ritenuta antiquata - si conferma invece «presbite» ossia capace di guardare lontano, secondo la felice definizione di Piero Calamandrei, ed in grado di offrirci risposte ed indicazioni anche su come uscire dai problemi posti dalla situazione eccezionale in cui ci troviamo. E ciò sia sul piano operativo, abilitando il Governo a poteri necessitati e temporanei per la formulazione di regole proporzionate alla situazione di fatto nel rispetto del principio di legalità (art. 77). Sia sul piano sostanziale: e qui lo fa con la forza dei valori in essa consacrati negli artt. 32 e 41, smentendo così la tesi di una società svuotata di riferimenti forti e prigioniera di una deriva ”relativistica”.

 

3. L’art. 41 della Costituzione coniuga il principio di libertà economica privata con il necessario rispetto dell’utilità sociale e della sicurezza, della libertà e dignità umana. La norma accoglie il modello di economia sociale di mercato e costituisce il cuore della nostra Costituzione. Non si può però dimenticare in proposito che, solo qualche anno fa (nel 2011), un potere di governo sulla via del disfacimento (governo Berlusconi IV), ha provato a più riprese manovre diversive e proposto di riformare proprio l’art.41 della Cost. Per cambiarne i contenuti, eliminando ogni vincolo o limite all’attività d’impresa. Venendo così ad alterare profondamente il modello costituzionale nel segno di un’ulteriore subordinazione degli interessi sociali e collettivi alla logica dei rapporti di forza e del dominio dell’impresa.

Gli stessi dilemmi sollecitati dallo shock del coronavirus confermano invece l’attualità e l’essenzialità dei vincoli delineati nella norma. L’ineliminabilità del riferimento alla sicurezza, come vedremo, e dello stesso limite rappresentato dal rispetto della dignità: segno ulteriore della lungimiranza della Costituzione, in un momento in cui stanno venendo alla luce anche situazioni in cui questo limite viene messo in discussione. Sia nel momento in cui il sovraccarico sulle strutture di terapia intensiva costringe i medici ad abdicare al principio di parità ed a contrapporre, tragicamente, una vita ad un’altra vita. Sia con riferimento alle migliaia di anziani morti nelle case di riposo ed alle quali prima o poi dovrà essere resa anche una parola di giustizia.

 

4. Sull’art. 32 Cost. - che prevede il diritto alla salute come “diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività” - la Corte costituzionale ha insegnato, in molte sentenze, che esso deve essere ritenuto come “diritto primario” ossia che viene prima (Corte cost., n. 365/1983); un diritto che “comporta un dovere di astensione” anche di altre attività lecite e comportamenti pur solo rischiosi (Corte cost., n. 399/1996, a proposito della libertà del fumo e dei danni da fumo passivo); alla stregua di un diritto “incomprimibile” (Corte cost., n. 309/1999), che non può subire condizionamenti neanche per mancanza di risorse finanziarie.

Certo vi è stata anche la sentenza costituzionale n. 85 del 2013, sul caso Ilva, in cui il conflitto tra lavoro e salute era posto in maniera più diretta; e dove - dinanzi alle censure di costituzionalità promosse contro la legge 24 dicembre 2012 n. 23 (di conv. del dl. n. 207/2012), che aveva dissequestrato d’imperio gli impianti e restituito l’azienda all’Ilva definita per legge stabilimento industriale di interesse strategico nazionale - la Corte cost. ha fatto mostra di realismo politico ed, utilizzando un lessico diverso, ha affermato che “non esiste tirannia dei diritti”; che nella Costituzione non c’è una gerarchia di valori; che neppure la salute è in testa ad altri diritti; che la Costituzione richiede un continuo e vicendevole bilanciamento che, senza portare al sacrificio di alcun interesse “nel suo nucleo essenziale”, è affidato al legislatore; e ciò, attraverso la ricerca del punto di equilibrio (per sua natura mutevole e dinamico) e secondo criteri di ragionevolezza.

La sentenza sotto il profilo teorico ha suscitato e suscita più di una riserva, posto che la Consulta sarebbe potuta arrivare allo stesso risultato (di salvare l’intervento del legislatore) semplicemente affermando che la situazione normativa non avesse peggiorato la tutela della salute, né avrebbe potuto farlo. Sul piano dei principi non si può infatti sostenere che tra la salute e il lavoro occorra realizzare un contemperamento ove per contemperamento s’intendesse ammettere (come la stessa parola dice) anche un cedimento del primo diritto verso il secondo. O del secondo verso il primo. Perché la salute deve essere tutelata in toto e non è suscettibile secondo la Costituzione di nessun sacrificio, neppure minimo, neppure per poter essere contemperata con altri valori. Se così non fosse non di bilanciamento si tratterebbe, ma soltanto di un modo per consegnare nelle mani del potere politico la possibilità di esprimere un giudizio di soccombenza o di prevalenza di un diritto rispetto ad un altro.

 

5. Ma non è questa la strada per tutelare neppure il lavoro: abbassare la soglia di tutela della salute e cercare contemperamenti. Tra salute e lavoro più che un contemperamento va ricercata e garantita un’osmosi, una corrispondenza, un completamento vicendevole. Tra salute, lavoro ed attività economica non ci può essere sul piano dei principi bilanciamento perché l’art. 41 prevede una precisa gerarchia. Ed i diritti sono posti dalle fonti e vanno interpretati per quel che sono e devono essere. Questo significa che un diritto può benissimo avere preminenza su un altro senza che questa preminenza debba essere qualificata come “tirannica”: è l’ordinamento giuridico che assegna a ciascun diritto il suo posto nel sistema, che disegna per esso una certa struttura, che prevede per esso certi limiti o “vantaggi”. Il giudizio di prevalenza, che, per restare al linguaggio della Corte, renderebbe “tiranno” un diritto rispetto all’altro, è in molti casi già risolto dalla Carta costituzionale. Ed infatti, quando la Costituzione dice che l’iniziativa economica privata è libera, ma che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana non ci sta forse dicendo che la sicurezza o la dignità umana hanno preminenza sul diritto alla prosecuzione dell’attività produttiva?

 

6. Peraltro, non sarebbe neppure esatto affermare che il lavoro sia subordinato alla salute; tra i due valori si è sviluppato infatti un rapporto osmotico (proprio sul piano normativo del dover essere). Dove vi è lavoro deve esservi salute. Non solo il lavoro non può essere insalubre e non deve danneggiare la salute, ma deve anche tendere a promuovere e migliorare la salute (e viceversa): la deve promuovere nel corso del lavoro ed all’esterno del lavoro. E’ questo il senso della concezione della salute che risulta oramai norma positiva nel nostro ordinamento. Il concetto di salute, un tempo ristretto alla sola mancanza di malattia, fa riferimento oggi anche al benessere dell’individuo, in un’accezione ampia che include la dimensione psichica e sociale. Proprio così si esprime l’art.1, lett. o), del t.u. n. 81/2008 (cd. tu sulla sicurezza del lavoro), mutuando un concetto antico che era espresso negli identici termini già nel 1946, nel preambolo alla costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che definiva la salute quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità”. E non si tratta di una mera definizione, un ideale programmatico. È una norma con ricadute precettive; perché è rivolta ad obbligare il datore di lavoro a prevenire ogni sorta di rischio (art. 16), cioè a valutare e individuare le misure adeguate di prevenzione e protezione per migliorare nel tempo i livelli di salute e sicurezza; anche sotto il profilo psicologico e per combattere lo stress. Il lavoro deve farsi quindi promotore della salute e della dignità della persona; e tanto non potrebbe avvenire se si ammettesse in via di principio che la salute possa essere compromessa per poter lavorare.

 

7. Certo nella drammatica situazione in cui ora ci troviamo il legislatore è chiamato a scongiurare una crisi economica ed occupazionale senza precedenti, e deve agire per garantire la continuità delle attività economiche. La tutela costituzionale del lavoro comporta l'interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso, per promuovere e sostenere il sistema economico. Ma è pure evidente che adesso non manca, come appena un mese fa, la conoscenza e la consapevolezza del rischio a cui è esposto il bene primario della vita e dell’integrità fisica. E non si può quindi pensare di poter passare alla nuova fase 2 senza le necessarie difese, senza cioè aver costruito prima un modello di prevenzione in grado di offrire garanzie per la sicurezza e la salute, rispetto all’inizio della crisi. Anche e prima di tutto nei luoghi di lavoro, dal momento che si ipotizza che molti contagi siano partiti proprio dai luoghi di lavoro (e segnatamente dagli ospedali) per inadeguata protezione ed informazione degli operatori sanitari. Ogni errore o superficialità sarebbe quindi imperdonabile e potrebbe costare caro a tutta la collettività, facendoci ripiombare in una nuova emergenza.

 

8. L’esigenza delle ripartenza non può portare ad alcuna sottovalutazione. Il legislatore deve necessariamente prevedere che le attività economiche possano sì riprendere e proseguire, ma solo se, quando ed in quanto saranno garantite le misure di tutela per la salute. E soltanto sotto stretto monitoraggio e controllo al fine di assicurare il rispetto di tutti i limiti e le prescrizioni necessari per l’immunizzazione (distanze, mascherine, occhiali, tute, calzari, guanti, screening, sanificazione degli ambienti, informazioni precise, tempi di vestizione adeguati) e contenute nelle disposizioni riferibili alla prevenzione del rischio da coronavirus; e senza che venga ostacolata l’attività ispettiva e di indagine atte a garantire nei fatti l’efficacia di quelle prescrizioni.

Salute (art. 32 Cost.) e lavoro (art. 4 Cost.) vanno perciò tutelati insieme anche nel mondo nuovo che si profila. L’integrazione reciproca e la tutela sistemica che a tutti i diritti dovrà essere assicurata non potrà comportare alcun conflitto dichiarato ed alcuna compressione rispetto al diritto alla salute; neppure oggi, e tanto meno oggi.

 

9. Il “non può svolgersi” dell’art. 41 Cost. vuol dire ancora, semplicemente, che esiste un divieto di esercitare un’attività economica che offenda la sicurezza e la dignità dei lavoratori. E significa perciò che la vera tutela della salute è quella primaria. Ossia quella che evita il rischio e che può comportare anche, in caso di incompatibilità, un obbligo di astensione. La vera sicurezza sul lavoro e la vera tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori vanno perciò improntate in termini di prevenzione ex ante e non ex post. La chiave di tutto è la tutela effettiva del bene salute: evitare il rischio, eliminarlo alla fonte; integrare la prevenzione nella concezione stessa della società, del lavoro e dei luoghi di lavoro. Non ci possiamo accontentare di trasferire i rischi dall’ambiente, dai luoghi e dai mezzi di lavoro, ritenuti immodificabili, alle persone dei lavoratori. Neppure oggi, e tanto meno oggi.

 

10. Per fare vera prevenzione sul lavoro occorrono quindi molte condizioni: normative, organizzative ed istituzionali, con una organizzazione eminentemente pubblicistica. Ed i relativi precetti non si realizzano mai da soli perché sono giusti e buoni. Occorrono azioni positive, battaglie politiche, lotte sociali per realizzarli. Perché, il datore di lavoro - debitore della sicurezza – diceva un grande penalista come Federico Stella, è come la capra a cui venga affidato il compito di fare il giardiniere. Sicché non ci si può rassegnare all’ideologia dell’impresa come luogo dell’interesse generale interpretato naturaliter dalla proprietà.

 

11. Non è un caso se una concezione della salute così impegnativa e pregnante, come quella prima richiamata, risulti affermata in un testo che ha riguardo alla sicurezza dei lavoratori. Questo accade perché la salute dei lavoratori è sempre a rischio di essere violata, essendo parte dell’oggetto di un contratto che coinvolge la persona stessa e da cui non può essere separata. Che sia così lo dice l’amara realtà dello stato della salute sul lavoro nel nostro paese e le diverse migliaia di morti all’anno (se ai mille morti circa per infortuni si aggiungono quelli per malattia professionale). Ma anche l’epidemia Covid-19 si è assunta il compito di darcene conferma: non sono forse alcune categorie di lavoratori (medici, infermieri, operatori sanitari) ad essere state colpite con le più alte percentuali di contagio per rischio contratto nei luoghi di lavoro? E non sono queste morti a suscitare più impressione nella opinione pubblica generale? E se tutto questo è accaduto non è forse perché le misure adottate e disponibili non sono state adeguate rispetto al rischio?

 

12. È tutta da scrivere, evidentemente, la storia delle responsabilità (politiche anzitutto, ma anche scientifiche e giudiziarie) - per le conseguenze prodotte nel nostro Paese, ma anche in Europa e nel mondo, dalla pandemia da Covid-19 in termini di perdita di vite umane e di costi economici e sociali.

Una pandemia alla quale, questo si può già dire, almeno in via di prima approssimazione, quasi tutti i Paesi sono arrivati impreparati facendosi cogliere di sorpresa; chi più chi meno. Sotto il profilo dell’apprestamento di mezzi di protezione adeguati, delle informazioni rese a cittadini e lavoratori, dei test da approntare, dei piani pandemici sanitari e delle strutture ospedaliere utilizzate. Evidentemente le carenze erano strutturali e di lungo corso; e non potevano essere sanate con semplici provvedimenti normativi. Che pure sono stati molteplici essendosi susseguiti a raffica almeno nel nostro Paese. La strategia è stata così sperimentata sul campo, giorno dopo giorno; a partire dall’Italia. Da Codogno al lockdown totale che ha confinato in casa circa 60 milioni di italiani.

Occorrerà perciò sottoporre ad esame una per una queste norme e queste misure. Soprattutto sotto il profilo della loro tempestività. Perché la strategia principale rispetto alla pandemia, questo lo abbiamo capito tutti, sta nella scelta dei tempi, e nella velocità della risposta. Non solo se e come, ma soprattutto quando si interviene: nell’individuazione dei casi positivi, dei focolai, per contenerli e impedire la diffusione del contagio e l’impatto sul sistema sanitario nazionale, il terminale contro cui va a cozzare ogni epidemia, rischiando di determinarne il collasso. Sarà necessaria una complessa indagine di ricostruzione storica e normativa; attraverso un metodo rigorosamente diacronico e senza il cd. senno di poi. Per capire in primo luogo come e perché quello che si riteneva da più parti un contagio locale, confinato in Cina a Wuhan, sia potuto divenire un contagio globale che ha riguardato buona parte della popolazione mondiale.

 

13.- Andrà perciò analizzata con precisione la lunga, e talvolta contraddittoria, sequela di atti, circolari, decreti legge, Dpcm. Andranno esaminati i provvedimenti che a livello nazionale, regionale, locale, ma anche a livello di unità sanitaria e di dipartimenti ospedalieri sono stati messi in campo. Andrà poi ricostruita la mappa dei comportamenti aziendali; anche per le imprese ammesse alla continuazione dell’attività aziendale per decreto occorrerà verificare il livello delle protezioni apprestate. Solo così si potrà giudicare su ciascun comportamento anche a livello individuale e sui singoli casi. Uno per uno. Ed è questa un’opera necessaria, che andrà effettuata in sede processuale dalla magistratura; non potendo esserci altra istituzione in grado di accertare le eventuali responsabilità penali, civili, contabili. In relazione a ciascun fatto, che non è mai uguale rispetto agli altri fatti.

 

14. In questa fase peraltro è assolutamente necessario garantire condizioni di serenità e continuità nell’esercizio della propria attività a chi si trova esposto in prima linea come gli esercenti la professione sanitaria (medici, farmacisti, infermieri); i quali hanno pagato un tributo di vittime elevatissimo (forse il più elevato tra le categorie dei lavoratori). Sicchè sono pure da stigmatizzare quei professionisti legali che in piena pandemia si sono spinti a pubblicizzare azioni di carattere risarcitorio e penale nei confronti degli operatori sanitari. Tuttavia verrà il momento della verifica, in cui la questione dell’eventuale accertamento di responsabilità non potrà essere elusa. A nessun livello. Data la vastità dei numeri è possibile che, in alcuni casi, si interverrà con appositi fondi; sul genere di quelli che operano per le vittime del dovere o anche per i danni da HIV, trasfusioni, vaccinazioni, ecc.; fondi che erogano una riparazione monetaria che prescinde dall’accertamento di responsabilità civili o penali. Ed è pure possibile che, come già emerso da alcune proposte legislative, si cercherà di operare una delimitazione dei casi di responsabilità all’ipotesi di colpa grave. Ma è difficile pensare che si possa procedere con scudi, lodi ed immunità generalizzate. Anche perché se si pensa di rendere in tal modo un buon servizio a medici ed operatori sanitari occorrerà interrogarsi seriamente non solo sulla conformità dello strumento allo scopo, ma anche sui possibili equivoci che misure del genere potranno ingenerare, anche sotto il profilo del principio di eguaglianza. Una eventuale immunità potrebbe colpire per primi proprio i lavoratori che si intenderebbe proteggere. Salvo che si pensi l’impensabile, ovvero di concepire regole che selezionino la responsabilità in modo da garantire una tutela risarcitoria piena o addirittura agevolata quando l’operatore sanitario figuri come vittima ed invece un’immunità per le ipotesi in cui possa essere sindacato l’esercizio della sua attività.

 

15. La situazione descritta ci conferma comunque, ancora una volta, che i diritti del lavoro, per quanto basilari e previsti nei principi fondamentali della Carta, siano ancora oggi i più deboli tra i diritti sociali; deboli nel rapporto ed oramai anche fuori dal rapporto: nella società e nella politica che la rappresenta. Questa tragica realtà impone perciò, perennemente, di agire per ridurre lo scarto enorme tra regole (di cui abbondiamo) e loro applicazione (in cui invece scarseggiamo). E questo scarto si può ridurre solo in due modi: restituendo dignità al lavoro da una parte e garantendo l’applicazione delle regole dall’altra.

Restituire dignità al lavoro significa anzitutto restituire dignità a chi lo rende, riconoscere che il lavoro è inseparabile dalla persona che lo presta e dal carico dei diritti che essa inevitabilmente pretende e si porta con sé.

Per rendere effettive le tutele proclamate sulla carta occorre invece agire in tante direzioni, sul piano normativo certamente, ma anche nei servizi, negli ospedali, nelle scuole, nelle università, e non da ultimo nelle aule di giustizia.

Serve infatti una giustizia più attenta alle ragioni dei deboli e che intervenga non solo dinanzi alle stragi che fanno notizia, ma soprattutto in via preventiva: sulle modalità del lavoro, sulle catene illecite di appalti, per le condizioni di igiene sul lavoro, per gli orari di lavoro non rispettati che creano rischi. Dare risorse ed efficienza alla Giustizia, come sempre si reclama, è necessario ma da solo non basta se manca poi la necessaria sensibilità e professionalità, purtroppo carenti da sempre ma indispensabili per porre un argine diffuso e adeguato alla gravità del problema. Sulla tutela della salute e sulla sicurezza sul lavoro la magistratura è chiamata a dover fare sempre di più. Anche e soprattutto ora.

01/05/2020
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