Il seminario si è snodato lungo le aree tematiche individuate nella nota introduttiva del Gruppo Penale:
1) Fisionomia costituzionale delle misure cautelari;
2) Presupposti indiziari e giusto processo cautelare;
3) An e quomodo del trattamento cautelare: esigenze cautelari, proporzionalità ed adeguatezza delle misure;
4) Motivazione del provvedimento cautelare e suo controllo..
Ogni questione è stata affrontata anche alla luce delle prospettive di riforma in materia cautelare, in relazione alle diverse fasi del procedimento.
Il seminario è stato pensato come prima tappa di una riflessione su un tema centrale nella giurisdizione penale.
L'obiettivo era - e sarà per il prosieguo, in vista di una più ampia e allargata iniziativa - quello di verificare la fisionomia delle misure cautelari, in particolar modo quelle detentive, nel sistema normativo e nelle prassi, in cui tale fisionomia mostra il reale volto.
Per questo, si è ritenuto essenziale impostare il ragionamento cercando di verificare previamente 'i numeri', ossia una serie di dati capaci di fornire elementi 'quantitativi' idonei a consentire un ragionamento non meramente 'normativo'.
Non è facile trarre una sintesi 'politica' dei tanti e interessanti interventi che si sono susseguiti (che saranno successivamente pubblicati su questa Rivista).
Crediamo però di poter indicare i seguenti come punti essenziali, largamente condivisi, della riflessione condotta nel seminario .
Il dato statistico è fondamentale per ogni analisi quantitativa e qualitativa dell'intervento cautelare nel processo penale; la difficoltà registrata nella raccolta dei dati - pur dando atto del non molto tempo a disposizione in questa prima fase - mostra la sorprendete sottovalutazione della rilevanza del dato e insieme mette a nudo l'evidente grossolanità di asserzioni - diffuse - circa 'l'abuso' dell'intervento cautelare.
I dati ministeriali - fonte Dap - ci dicono di una forte presenza di detenuti in attesa di giudizio, in una percentuale significativa rispetto ai definitivi (36 % circa all'ultima rilevazione ufficiale nota) ma il dato è indicativo di una emergenza se posto in relazione alla capienza degli istituti: parametro ovviamente rilevante sotto vari profili ma non affatto indicativo ancora di una tendenza ipertrofica del sistema processuale; e, peraltro, se ben letti i dati del nostro paese non indicano affatto una sproporzione tra detenuti definitivi e detenuti in attesa di giudizio, posto che in altri paesi europei numeri apparentemente minori di questi ultimi trovano spiegazione in norme processuali diverse (esempio: esecutività della sentenza di primo grado, che fa ovviamente transitare nella categoria della definitività detenuti che nel nostro sistema sono a titolo provvisorio).
I dati raccolti nei distretti ci rivelano una bassa percentuale di interventi cautelari nel corso delle indagini, con una forte incidenza dei casi di misure applicate all'esito di giudizi di convalida dopo arresti e fermi o all'esito di giudizi direttissimi: il che impone una riflessione molto rigorosa sulla 'genesi' dell'intervento cautelare, la capacità di controllo giurisdizionale - a partire dal Pm, cui giunge la comunicazione degli arrestie dei fermi - e, all'evidenza , sul collegato tema delle 'categorie' di detenuti che si determinano con le diverse tipologie di intervento cautelare.
I dati - tanto nazionali che locali - attestano numeri bassissimi di intervento cautelare in ambiti quali i delitti contro la Pa, reati fiscali e societari, pur a fronte di una incontestata incidenza di tali delitti e altrettanto incontestata gravità della loro incidenza; peraltro, la comparazione a livello europeo indica questa volta davvero rapporti 'rovesciati', paesi che registrano detenuti per violazioni fiscali in numero superiore a quelli per violazione delle norme in materia di stupefacenti.
Se i numeri assoluti e relativi consentono di rigettare analisi apocalittiche sul fenomeno - ovviamente non trascurando affatto il problema umanitario certamente gravissimo, ma che impone analisi di altro genere e su altri piani - non è tuttavia possibile ignorare che l'esperienza - e in qualche modo la stessa lettura ragionata dei singoli dati - ci impone di considerare e valutare prassi applicative che qualche problema certamente denotano e qualche soluzione impongono di trovare.
Il sistema penale - sostanziale e processuale - è tale da aver creato e creare fortissime diseguaglianze, con un diritto penale fortemente orientato negli ultimi anni, sul tipo di autore, non di rado sulla base di emergenze e tendenze 'sicurtarie'; un esempio di tutti, rilevante anche per l'incidenza quantitativa che ha determinato nella popolazione carceraria, la legge 'Fin-Giovanardi ' in materia di stupefacenti.
Le clausole normative non sono mai neutre, e le recenti proposte di modifica lo dimostrano in modo inequivocabile: l'idea di escludere, in sede cautelare, la possibilità di desumere la pericolosità sociale dell'indagato - e dunque fondare il giudizio prognostico proprio di tale valutazione - dalla gravità del fatto è un'ulteriore dimostrazione della tendenza del sistema a scivolare verso distinti sottosistemi, con destini assai diversi per le varie 'categorie di autori'; ciò che indica in modo ancora più rilevante come fondamentale sia il giudizio penetrante del giudice caso per caso, lontano da 'automatismi' - pericolosissime le norme che fondano presunzioni di adeguatezza della sola misura carceraria - lontano da condizionamenti sociali ed aspettative di 'sicurezza', con la motivazione come strumento essenziale di rigorosa verificabilità del giudizio concreto.
Le esperienze dicono anche che la valutazione sulla proporzionalità e adeguatezza del misura è un profilo fondamentale non di rado superficialmente considerato; si che per grandi categorie di detenuti - spesso stranieri, spesso anche per reati non gravissimi - la misura cautelare diventa il modo per espiare l'interezza della pena, con clamorose disparità di trattamento tra detenuti e detenuti.
L'esperienza dice anche che le posizioni più delicate sono quelle investite da indagini e richieste di misura per numerosi soggetti; il rischio e' quello di valutazioni non differenziate sufficientemente, non di rado anche per effetto di tecniche motivazionali grossolane nelle richieste e controlli e valutazioni non adeguate in sede applicativa.
Sul tema, si segnala l'articolo di Giuseppe Cascini e Paolo Ielo sul numero 6/13 di Questione Giustizia su carta, in distribuzione in questi giorni