Sarebbe davvero riduttivo definire Pietro Barcellona [Catania 1936 – San Giovanni La Punta 2013] solo come uno dei più importanti giuristi e filosofi del diritto dell'Italia nella seconda metà del Novecento: componente del Consiglio Superiore della Magistratura dal 1976 al 1979, direttore del Centro per la Riforma dello Stato fondato da Pietro Ingrao, deputato nelle file del Partito Comunista Italiano dal 1979 al 1983 e componente della commissione giustizia della Camera, ma anche pittore e poeta per passione, Barcellona è stato una figura di intellettuale tanto preziosa quanto ormai rara, capace di attraversare i confini dei saperi interrogando l'”umano” in tutte le sue “forme di vita”.
Perché, ed è bene ricordarlo subito, ciò che segna indelebilmente il pensiero di Barcellona è la sua passione per l'uomo, non in quanto concetto astratto o squisitamente filosofico, ma come essere sociale che vive e consuma la propria esistenza in tensione con altri esseri; alla ricerca di un senso che non può che darsi in costante e dialogico rapporto con le norme e le istituzioni, i soggetti sociali e le passioni politiche.
In quest'ottica appare chiaro come anche il diritto divenga soprattutto esperienza di vita - “diritto vivente” lo avrebbe definito un po' di anni più tardi Eligio Resta riscoprendo un'antica definizione di Eugen Ehrlich -, autentico cuore pulsante di ogni società democratica.
Forse conviene partire proprio da qui per provare a tracciare una linea lungo i vastissimi territori toccati dalle ricerche socio-giuridiche di Barcellona.
Una diagonale che non può che trovare il suo punto di origine nel famoso convegno dedicato a “L'uso alternativo del diritto”, svoltosi a Catania nel 1972, prima tappa di un lungo viaggio dedicato alla scoperta del diritto, da sempre “cristallizzato” nei suoi rigidi formalismi, come strumento propulsore per la trasformazione ed il mutamento sociale.
Fra gli anni settanta e ottanta le dense pagine dei volumi di Barcellona si “raggrumano” intorno a pochi ma essenziali nuclei di senso: la critica all'individualismo proprietario (L'individualismo proprietario, 1987), la “rilettura” in un'inedita chiave sociale della funzione di atti tipici dell'autonomia privata del soggetto giuridico (I soggetti e le norme, 1984), i sempre più complessi rapporti fra diritto ed economia (Diritto privato e processo economico, 1973; L'egoismo maturo e la follia del capitale, 1988), la crisi della forma Stato e l'avvento dei mercati internazionali (Oltre lo Stato sociale: economia e politica nella crisi dello Stato keynesiano, 1980).
Almeno due gli elementi da sottolineare: lo sguardo “profetico” di un giurista illuminato che aveva prefigurato la profonda crisi dello Stato nazione e del rapporto fra istituzioni e cittadini nell'epoca della futura globalizzazione; ed il lento ma inesorabile declino del diritto considerato esclusivamente come “tecnica” di regolazione sociale.
Tutti temi che tornano, forse con maggior disincanto, negli scritti degli anni novanta: ancóra il “contrappunto” fra i soggetti dell'agire sociale ed i frammenti di sovranità di uno Stato in via di “decomposizione” (Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, 1998), le domande sulla funzione del diritto nelle moderne società occidentali, il sempre più inquietante rapporto fra istituzioni e mercati finanziari.
Sono anche gli anni in cui Barcellona, in controtendenza rispetto a molti sociologi e filosofi del diritto italiani, muove le sue penetranti critiche alla “teoria dei sistemi” di Niklas Luhmann ed alla celebrazione, non solo accademica, del “razionalismo formal-procedurale” iniziando – o forse sarebbe meglio dire proseguendo – la sua ricerca sul rapporto fra norme giuridiche ed una soggettività sempre declinata in un “noi” collettivo (Dallo Stato sociale allo Stato immaginario. Critica della “Ragione funzionalista”, 1994).
Anzi, potremmo dire che è proprio l'attenzione all'umano in tutte le sue manifestazioni a spingere le riflessioni di Barcellona oltre il giuridico, ad “aprire” i confini del diritto verso un approccio multidisciplinare dove i saperi si mescolano e gli “oggetti” giuridici si lasciano scorgere ed inquadrare da altre prospettive; da punti “focali” che vedono convergere sociologia, filosofia, economia, analisi storiche e suggestioni letterarie, verso quell'unico orizzonte costituito da un diritto a “misura” d'uomo.
Barcellona affonda lo sguardo in alcuni nodi cruciali di questi anni con la consapevolezza che non c'è miglior teoria di quella che nasce dall'urgenza di dare risposte al proprio tempo. Ed è in volumi come Lo spazio della politica (1993), Politica e passione (1997) e Quale politica per il Terzo millennio? (1999) che ìndica proprio nella prassi politica la via di fuga per tentare di ricostruire nuovi luoghi di mediazione sociale, per “inventare” forme giuridiche alternative e soprattutto ripensare l'uomo in quanto soggetto oltre le ideologie, i conflitti e le istituzioni che hanno segnato il Novecento.
Non solo: l'impegno politico può rappresentare anche l'ultima possibilità per il cittadino di partecipare attivamente alla costruzione di un discorso giuridico ed istituzionale altrimenti sempre più distante da una società controllata dal pensiero unico e dominante del mercato.
Perché a rischio non c'è solo la perdita di efficacia delle norme giuridiche ma, anche e soprattutto, una sfera umana, pubblica e privata, ormai “disintegrata” dalla colonizzazione delle coscienze in atto nella nostra società tardo-capitalista e sempre più informatizzata (La parola perduta. Tra polis greca e cyberspazio, 2007, ma, anche e soprattutto, Il furto dell'anima. La narrazione post-umana, 2008, scritto con Tommaso Garufi).
Probabilmente riposa anche nel desiderio di restituire una speranza alle generazioni future e di ricominciare ad inventare nuovi soggetti sociali ed inediti tragitti dell'anima l'avvicinamento spirituale, in questi ultimi anni, di Barcellona, pensatore laico e “militante”, al cristianesimo, alla figura di Cristo e ad un certo associazionismo cattolico (La speranza contro la paura, 2012; Incontro con Gesù, 2010; L'ineludibile questione di Dio, 2009, scritto in felice “contrappunto” col sacerdote catanese Francesco Ventorino) che, come in un cerchio ideale, sembra chiudere l'esperienza di un pensiero che non si è mai voluto arrendere a facili derive nichiliste; ma ha sempre saputo proporre con forza la potenza dell'umano e di un diritto che è tale solo se restituisce senso alle molteplici forme di vita di questo “umano”.