Lo scorso 9 febbraio è venuta a mancare Grazia Zuffa. All’improvviso, perdiamo un’amica generosa e un’intellettuale preziosa, un faro capace di illuminare temi fondamentali, ma da sempre controversi e conflittuali anche a sinistra: carcere (approfondito soprattutto nell’ottica della differenza di genere), sofferenza mentale, soggettività femminile, dipendenze. Sono le grandi questioni con le quali Grazia si è confrontata nell’arco della sua vita sia dentro le istituzioni – da senatrice della Repubblica tra il 1987 e il 1994, nel Comitato Nazionale di Bioetica e in tanti altri luoghi –, sia fuori di esse, in quei gagliardi e battaglieri spazi di pensiero critico che ha saputo creare attorno alle sue creature (molte delle quali coltivate con amorevole cura assieme al marito Franco Corleone): Forum droghe, Fuoriluogo, la Società della Ragione.
Due pubblicazioni (tra le tante, tutte eccellenti) mi pare possano raccontare quale autentica esploratrice di nuovi sentieri sia stata Grazia. La prima è senza dubbio L’eclissi della madre (1998), scritto a quattro mani con Maria Luisa Boccia, significativamente dedicato a una madre e a una figlia: la madre di Maria Luisa, la figlia di Grazia, Irene. Si tratta di un testo fondamentale sull’autonomia procreativa femminile, sul suo rapporto con le nuove tecnologie della riproduzione e con il diritto. Un libro sessuato, potremmo dire, e una lettura importanti per tutt*. Mi piace soffermarmi sul titolo di un paragrafo, che non può non scalfire (vivaddio) la pretesa onnipotenza del giurista: Il danno del diritto. Ci sono sfere della vita, come la relazione tra la madre e il feto, in cui la norma, qualunque traiettoria scelga, rischia di muoversi sempre come un elefante tra i cristalli, in cui la definizione giuridica rischia di far danno. La libertà, a volte, passa anche attraverso l’essere sopra la legge: sopra, non sotto, secondo la magnifica immagine di Lia Cigarini citata in quel testo e valida anche per altri campi dell’esperienza umana.
L’altro libro che mi preme ricordare è I drogati e gli altri (2000), opera direi definitiva sull’importanza delle politiche di riduzione del danno, formativa di intere generazioni di persone che hanno lavorato nei servizi per le dipendenze e oggi più che mai necessaria, in un’epoca in cui gli stereotipi della war on drugs sembrano riprendere il sopravvento, anche sul terreno della produzione normativa.
In continuità con un pensiero mai rassegnato al conformismo – su questi temi spesso imperante anche a sinistra –, le ultime riflessioni di Grazia, soprattutto nell’ambito del Comitato Nazionale di Bioetica e quale Presidente della Società della Ragione, sono stati dedicate alla terribile presa del diritto sui corpi delle persone. Decisivi, ad esempio, i suoi contributi ai fini del chiarimento delle posizioni del Comitato in ordine al quesito del Ministro di Giustizia sul caso Cospito, relativo al bilanciamento tra il dovere dello Stato di rispettare l’autodeterminazione delle presone in custodia e quello di proteggerne la vita; importante la sua denuncia di come il Comitato, in quel caso, fosse stato coinvolto in maniera impropria, al fine di esprimersi su un caso singolo e determinato.
Bastano, poi, i nomi delle ultime campagne instancabilmente promosse e sostenute – Madri fuori, ad esempio: per la dignità delle donne condannate e dei diritti dei loro figli e delle loro figlie – per toccare con mano la gravità della perdita dell’attivista e organizzatrice politica.
Questione giustizia intende ricordare Grazia Zuffa ripubblicando un suo articolo comparso esattamente dieci anni fa, in un numero monografico di questa Rivista interamente dedicato ai quaranta anni dell’ordinamento penitenziario. Oggi siamo a cinquanta anni dall’adozione di quella fondamentale legge del 1975 e la necessità di Ripensare il carcere, dall’ottica della differenza femminile (è il titolo del pezzo di Grazia) è più che mai attuale: sostituire alla logica dei premi quella dei diritti.
Ci lasci tristi, Grazia, ma, ti promettiamo, anche battaglieri. Come l’Odisseo di Cesare Pavese, non rinunceremo ai tuoi ricordi e ai tuoi sogni, non deporremo la tua smania.