Pioniere della formazione
1. Gli anni ottanta e la trasformazione della magistratura
Carlo Verardi è stato il pioniere della formazione, esperienza unica e irripetibile, nata grazie alla sensibilità e alla lungimiranza di due magistrati membri del Csm, Elvio Fassone e Alessandro Criscuolo, a metà degli anni ottanta. Anni in cui stava avvenendo una trasformazione epocale della magistratura, espressione di un maggiore pluralismo sociale grazie al connubio tra i figli della piccola borghesia del boom economico, provenienti dalle diverse zone geografiche del Paese, e i figli del più tradizionale ceto burocratico e intellettuale.
Questo fecondo connubio stava producendo nuovi fermenti, favoriva il dibattito culturale fra magistrati di diverse estrazioni in merito alla loro legittimazione, al proprio ruolo, al senso del proprio mestiere, al significato del principio costituzionale di indipendenza e di autonomia quale logico sviluppo dei valori fondamentali contenuti nella prima parte della nostra Carta fondamentale, a cominciare da quello di uguaglianza.
A questi nuovi magistrati veniva richiesto un inedito impegno nell’interpretazione conforme a Costituzione della legislazione ordinaria più risalente, nel bilanciamento tra opposti valori costituzionali in particolari tipologie di controversie interessate da interventi riformatori (ad esempio: famiglia, lavoro, ambiente).
Il progressivo cambiamento di ruolo giocato dai magistrati favoriva, a sua volta, importanti iniziative giudiziarie nei settori (tra l’altro) dei delitti di terrorismo, di criminalità organizzata, contro la personalità dello Stato, dei reati contro la pubblica amministrazione e di finanziamento illecito ai partiti.
L’ampiezza e l’incisività dell’azione della magistratura imponevano, quindi, al Csm un’attenzione rinnovata al tema della legittimazione dei magistrati, suscettibile di rafforzamento soltanto attraverso un’ampia e rigorosa preparazione professionale, senza la quale l’indipendenza diventerebbe privilegio.
2. L’esigenza di dar vita a un’azione formativa sistematica e coerente con l’inquadramento costituzionale della magistratura
In questo articolato contesto, l’idea di dare vita a un organismo idoneo a costituire una forma embrionale di Scuola della magistratura rappresentava una tappa miliare nella cultura giudiziaria.
La forza delle idee, la volontà di assicurare un’organica e sistematica azione formativa, coerente con l’inquadramento costituzionale della magistratura, erano inversamente proporzionali all’esiguo numero dei componenti del gruppo di lavoro selezionati (sei), alla dotazione di segreteria (posta in grado di operare solo grazie all’intelligente impegno e all’abnegazione di Fernanda Torres), alla sistemazione logistica in due locali seminterrati del Csm.
Questa è la migliore dimostrazione del fatto che precondizione per vincere una sfida istituzionale e culturale così importante erano la curiosità intellettuale e il desiderio di approfondire un tema, come quello della formazione, così complesso in tutte le sue plurime sfaccettature, la volontà di assolvere con la massima serietà un compito così delicato, l’intento di rendere un servizio ai colleghi e di contribuire al miglioramento dell’attività giudiziaria.
Questo clima di cambiamento venne immediatamente percepito da Carlo Verardi che, nonostante la giovane età, dimostrò una maturità, una competenza, una sensibilità e un rigore etico-professionale non comuni.
Aprirono una nuova prospettiva a tutti noi, componenti di quel piccolo gruppo sperimentale, le vivaci discussioni per l’elaborazione di linee-guida generali in cui iscrivere la nostra azione, destinata a formare oggetto di pubblicazione sui Quaderni della magistratura, al fine di favorirne la conoscenza e di promuovere il più ampio dibattito nel segno di un convinto pluralismo ideale.
Un confronto destinato a svolgersi non solo fra i magistrati, ma aperto al contributo degli avvocati, nostri ineliminabili interlocutori istituzionali, nella consapevolezza dello sforzo comune per assicurare un meditato punto di equilibrio tra esigenze di ammodernamento del servizio, qualità della risposta giudiziaria, efficienza, cultura delle regole e delle garanzie.
Carlo Verardi si spese convintamente e con passione per questi alti ideali, sottolineando che la preparazione professionale deve essere intesa come comunicazione organizzata di conoscenze teoriche, pratiche, deontologiche che si aggiungono a quelle fornite dal concreto operare.
Ci stimolò a riflettere che le doti del giudice professionista non possono essere disgiunte da quelle del giudice come persona attenta alla realtà che la circonda, ai cambiamenti sociali, capace di cogliere con prontezza le nuove domande di giustizia e di fornire risposte razionali e motivate nella cornice dei principi contenuti nelle norme nazionali e sovranazionali.
Ci insegnò che il giudice deve riservare uguale attenzione a tutte le controversie, anche quelle apparentemente più banali, perché dietro ciascuna di esse si nascondono le aspettative di donne e uomini spesso sofferenti, che attendono risposte al loro bisogno di giustizia.
Fu consapevole – e in questo maestro – che ciascun magistrato, nella sua attività quotidiana, incarna dinanzi ai cittadini l’idea stessa di Stato e assume la grande responsabilità di riannodare relazioni umane componendo i conflitti sociali, di restituire loro piena fiducia nelle istituzioni.
Questo grande afflato civico venne espresso da Carlo Verardi anche nell’apertura ai nuovi saperi, nella consapevolezza della progressiva centralità della prova scientifica, che presuppone l’attenta verifica da parte del giudice della qualificazione dell’esperto, della validità del metodo proposto, della sua condivisione nella comunità scientifica e richiede, poi, la valutazione delle sue risultanze e la decisione secondo il paradigma normativo.
Il complesso di questi principi venne elaborato a più livelli nella prima, organica pubblicazione sulla formazione del magistrato, curata dal Csm, e nella concreta attuazione della programmazione annuale dei corsi. Questi ultimi, incentrati sulla netta distinzione delle esigenze di formazione rispetto a quelle di mero aggiornamento, furono contraddistinti: a) dall’attenta ricerca di un punto di equilibrio tra formazione generalista e specialistica; b) dalla visione complessiva del processo, a prescindere dalle funzioni esercitate nella singola fase procedimentale; c) dalla condivisione, nel settore penale, della cultura delle garanzie da parte di pubblici ministeri e giudici; d) dagli approfondimenti riservati alle problematiche ordinamentali, di particolare rilievo anche alla luce delle ricorrenti tensioni tra potere politico e magistratura, proprie di ogni democrazia occidentale.
L’apertura mentale e la modernità di Carlo Verardi si manifestarono non solo in questo, ma anche nello studio della metodologia quale disciplina funzionale al pieno conseguimento degli obiettivi di un corso. L’originalità dell’intuizione relativa alla flessibilità dei moduli didattici in rapporto all’argomento trattato, alla composizione della platea dei partecipanti, alla loro esperienza professionale per realizzare la più efficace interazione tra docenti e discenti hanno costituito il caposaldo di tutta la successiva azione formativa, svolta dapprima dal Comitato scientifico e, quindi, dalla Scuola della magistratura.
L’apporto scientifico di Carlo Verardi è stato determinante anche sul versante dei criteri di scelta del corpo docente, volti all’apertura agli esponenti del mondo accademico e dell’avvocatura in grado di offrire preziosi contributi esterni al mondo della magistratura, in vista di una ricostruzione compiuta e dialettica di tutte le varie problematiche.
3. La formazione decentrata
Le riunioni del gruppo di lavoro, magistralmente dirette da Giacomo Oberto, vennero progressivamente arricchite dai contributi di riflessione di Carlo Verardi in merito all’opportunità di creare una rete di formazione decentrata sul modello dell’esperienza francese, i cui orizzonti furono dischiusi da Stefano Mogini, per lunghi anni apprezzato magistrato di collegamento tra Italia e Francia, raffinato studioso dei temi della formazione e, per tale motivo, nominato poi componente del Comitato scientifico.
Era forte la consapevolezza delle enormi potenzialità offerte da un deciso decentramento dell’azione formativa quale spazio duttile e creativo, idoneo, tra l’altro, a fornire una risposta immediata alle esigenze professionali dei magistrati operanti in contesti giudiziari e territoriali spesso profondamente diversi fra loro.
La creazione di una rete di formatori presso i distretti ha consentito di trasformare profondamente l’attività di formazione in un servizio di carattere permanente, atto a sorreggere con continuità e presso il luogo di lavoro le esigenze professionali dei magistrati.
La loro formazione – per i suoi agenti, ma anche per una fascia sempre più vasta dei suoi fruitori – investe l’essenza stessa del modello professionale, sorreggendone i connotati di efficienza e di indipendenza, nonché di sensibilità alle tendenze del corpo sociale.
Sarebbe stata, pertanto, inconcepibile un’attività formativa priva di interazione immediata con l’attività professionale e con tutti i fattori che concretamente condizionano il lavoro giudiziario. È in questa nuova prospettiva che si iniziò a parlare dell’organizzazione del lavoro del giudice (“agenda”, rapporti con il personale, etc.), dell’informatizzazione degli uffici, dei servizi di cancelleria, dell’esecuzione civile e penale: settori tutti da aprire agli apporti anche delle categorie esterne alla magistratura e, in particolare, dell’avvocatura e del personale di cancelleria.
Da allora, l’evoluzione del metodo verso forme marcate di interazione e autogestione venne considerato una condizione imprescindibile del perseguimento degli obiettivi didattici in sede decentrata.
4. La formazione iniziale e complementare
Un altro settore formativo vissuto da Carlo come un’autentica sfida fu quello della formazione iniziale, oggetto di molti suoi contributi scientifici.
Egliera infatti ben consapevole che, nel periodo di tirocinio ordinario, il magistrato, fresco di studi teorici, ha bisogno soprattutto di acquisire le capacità necessarie per la corretta e proficua gestione del processo, mentre durante il tirocinio mirato deve affrontare tematiche di diritto sostanziale e processuale incentrate essenzialmente sulla metodologia e sulla trasmissione del “saper fare”: gestione del processo e delle scelte fondamentali che il processo pone; corretto esercizio dei poteri del giudice; gestione dell’attività istruttoria; educazione a un ragionamento probatorio corretto, a una ricostruzione del fatto rigorosa, a una sussunzione del fatto nella fattispecie astratta sorretta da adeguata preparazione; attenzione alla motivazione dei provvedimenti.
Costituì patrimonio ideale del gruppo di lavoro la proposta di Carlo Verardi di articolare l’attività didattica in insegnamento, discussione, simulazione di casi concreti, atti a far diventare il caso, da semplice “storia”, una “palestra” di percorsi tecnico-pratici-assiologici in grado di soddisfare il bisogno di sapere, “saper essere”, “saper fare”.
Ugualmente, fu condivisa l’esigenza che la formazione iniziale dovesse essere orientata – al pari di quella permanente – a criteri di pluralismo, rifuggendo da qualsiasi omologazione, e dovesse essere finalizzata a educare alla critica, al dubbio, alla dialettica costruttiva con gli altri soggetti del processo e dell’organizzazione giudiziaria.
Appartiene a Carlo anche l’intuizione della formazione complementare, che si colloca nel periodo immediatamente successivo al conferimento delle funzioni. Un’eventuale omissione in tale settore avrebbe costituito un grave arretramento culturale rispetto alle più moderne acquisizioni delle scienze formative, considerato che il giovane magistrato, con l’immissione in servizio, diviene partecipe di un’istituzione complessa come quella giudiziaria e ha bisogno di maturare, mediante un’opera di affinamento progressivo, i valori, i comportamenti, le conoscenze, le abilità della nuova dimensione in cui viene introdotto.
La necessità di affinare le nostre conoscenze in questo ambito così delicato e articolato trovò un inatteso complemento nella nostra visita a Bordeaux, all’École nationale de la magistrature, sede delle attività di formazione iniziale.
Come dimenticare il primo giorno di visita, quando, arrivati alla Scuola, trovammo un gruppo di uditori francesi che stavano facendo all’aperto esercizi di yoga e di meditazione per imparare ad acquisire il controllo delle proprie emozioni e migliorare la conoscenza di sé?
Lo vivemmo come un vero e proprio schiaffo virtuale al nostro provincialismo culturale e come la dimostrazione plastica delle enormi potenzialità offerte dal tema della formazione a chi accetta di avvicinarsi ad essa con interesse, umiltà, consapevolezza degli importanti insegnamenti che possono essere forniti dalle istituzioni didattiche europee, soprattutto – ma non solo – da quelle che da più lungo tempo hanno maturato nuove esperienze.
La faticosa ascesa alle vicine dune sabbiose di Archacon (le più alte d’Europa) e il raggiungimento della vetta, come simbolo di una inespressa aspirazione e della tensione a non fermarsi mai, costituiranno sempre, nel mio ricordo venato di malinconia, la metafora di una bellissima stagione esistenziale in cui abbiamo avuto la grande fortuna di incontrarci e di costruire una solida amicizia, che rappresenta il tratto unificante del nostro impegno e delle nostre speranze.