Vecchi faldoni: un ricordo di Carlo Verardi
1. Un piccolo pezzo di storia della magistratura italiana
L’allontanarsi nel tempo della perdita di Carlo Verardi non ne ha reso meno bruciante il dolore.
Quest’ultimo si è per me ulteriormente acuito quando, circa un anno fa, per esigenze di riordino (ed epurazione) delle mie carte, ho dovuto necessariamente riaprire vecchi faldoni e – come, in qualche modo, avevo tra me e me già presagito prima di iniziare il lavoro – ho ritrovato quasi tutto quello che, grazie a lui e con lui, negli anni prima del 2000 ho potuto scrivere al Consiglio superiore della magistratura, quale componente del Comitato scientifico che, in ausilio della Nona commissione, curava allora in via esclusiva la formazione permanente e iniziale dei magistrati.
Il grosso di questi documenti – la cui versione finale e ufficiale è certamente custodita a Piazza Indipendenza – è costituito da programmi di singoli incontri di studio: le relative bozze, non tutte redatte al p.c., ma talvolta manoscritte, recano – con correzioni, inversioni di ordine di questioni, cambiamenti degli orari – un piccolo e modesto pezzetto di storia della magistratura italiana, quel pezzetto nel quale ho avuto l’onore di essere guidato da Carlo; egli, a mio avviso, in quegli anni ha sviluppato un metodo ancor oggi validissimo per la formazione giudiziaria italiana. Il filo dei miei ricordi mi conferma in questa convinzione.
2. Gli elenchi telefonici
Tra le carte rinvenute spicca, anzitutto, un elevato numero di “elenchi telefonici”.
Numeri di telefono dei consiglieri superiori che si occupavano della formazione: nello status nascendi della formazione, strettissimo era il rapporto (talvolta paritario, talvolta no; talvolta dialogante, talvolta no) tra noi magistrati del Comitato scientifico e i consiglieri, i quali in prima persona osservavano, criticavano, suggerivano. Alla fine, però, riconoscevano a chi, poi, avrebbe dovuto in concreto gestire i corsi una preziosa libertà.
Numeri di telefono del personale consiliare che, man mano, venne a costituire un asse portante dell’attività formativa, rafforzato dalla struttura dell’Ufficio studi e documentazione, di cui pure racconterò. Il personale, entusiasticamente coinvolto ai vari livelli gerarchici, non aveva orari, e – durante i corsi – ha svolto, animato da Carlo, le funzioni più diverse, dal pronto soccorso sanitario alla riparazione elettrica...
Numeri di noialtri, che – spesso senza fruire di esoneri nei gravati uffici di provenienza – svolgevamo, per lo più per telefono, il lavoro di preparazione delle attività. Per coordinare il tutto, Carlo amava lavorare mediante lunghe telefonate su appuntamento. Senza arrivare agli eccessi di un altro collega penalista, con il quale in un momento di picco del lavoro ci siamo scambiati telefonate notturne e di primissima mattina, Carlo aveva avuto l’idea di creare un calendario di udienza “comune”, di tutti noi, così da riservare determinati giorni e orari alle telefonate: quelli in cui tutti non avevamo udienza! Gli riusciva facile recarsi in ufficio anche di sabato; noialtri ci provavamo. Fu per me una battaglia ottenere in ufficio, dapprima, un qualsiasi telefono con linea interurbana (quello del presidente di sezione, all’uopo abilitato); dovetti acquistare un catenaccio, dopo aver sorpreso un estraneo a utilizzarlo. La seconda battaglia riguardò il fax (e anche di fax parlerò in dettaglio).
«Raffaele, il miglior modo per concepire un corso è parlarne tra noi, fare un brainstorming, si dice così?», mi burlava, perché millantavo di aver studiato l’inglese. «Un buon formatore deve avere chiare in anticipo le obiezioni che si possono muovere a scelte relative ai temi da trattare, ai relatori incaricati, ai tempi programmati, all’equilibrio complessivo delle tesi esposte; parlarne tra noi previene errori, in quanto ci correggiamo a vicenda, e ci garantisce rispetto a queste obiezioni, perché – quando verranno, e verranno – avremo le risposte pronte».
Numeri telefonici dei relatori. Questo è un elenco cospicuo: almeno una cinquantina di fogli spillati, di nomi, informazioni personali, etc., tenuti allora da noi a casa, ma anche presso l’ufficio del Csm, agli albori delle normative sulla tenuta dei dati personali.
«Raffaele, la seconda cosa da fare, immaginata la struttura del corso, è parlarne con i relatori. Non con tutti, o almeno non inizialmente. Ma almeno con quelli su cui vuoi puntare. Con garbo, e con più telefonate, bisogna sottoporre non solo l’idea del tema che vorremmo affidare loro, ma anche gli altri temi assegnati a diversi interventori, entrando nel merito delle questioni, che dobbiamo annotare e comunicarci tra noi».
«Siamo un pool, si dice così?» – di nuovo lo sfottò sull’inglese.
«Ricorda che noi non siamo specialisti di tutti i temi, anzi talvolta di nessuno. Siamo dei modesti organizzatori. Ma dobbiamo studiare tutti gli argomenti di ciascun corso da noi coordinato, sia per governare il dibattito, sia per correggere – con garbo – dimenticanze o sviste, sia – trattieni il fiato – per offrire ai colleghi, nel caso in cui un relatore dovesse mancare per cancellazione di un volo o per un malore, almeno un riassunto, se non una breve relazione sostitutiva. Chi organizza un corso deve saper riferire su ogni tema ad esso afferente».
«Parlare con i relatori, al momento della progettazione di un corso, ti consente di farti correggere da loro su qualcosa che non dovesse quadrare nell’impostazione. Ma permette anche a te di suggerire al relatore una diversa visuale, un problema che si è posto nella pratica e su cui proprio lui, autorevolmente, potrebbe dar risposta, nonché di trasmettere lo strumentario delle regole (di obiettività, pluralismo, efficacia comunicativa) che distinguono la formazione dei magistrati dai corsi universitari».
«Raffaele, a costo di sembrare inopportuno, al relatore dici subito che per noi non è accettabile leggere una relazione scritta; bisogna parlare all’impronta; bisogna essere sintetici e rispettare i tempi assegnati; bisogna farsi carico delle tesi contrarie, esprimendo rispetto per esse».
«In una seconda serie di telefonate, Raffaele, devi contattare tutti i relatori; devi controllare che abbiano iniziato a lavorare, preparando uno schema che, semmai, ti farai inviare per fax per studiarlo; in questo secondo giro devi parlare con tutti, trasferendo agli uni quello che ti è stato trasmesso dagli altri, nutrendo reciprocamente tutti degli spunti che possono venire dalla trattazione di temi diversi, ma prossimi. Solo così un corso di formazione per magistrati potrà adempiere alla sua funzione».
«L’ultimo giro di telefonate, caro Raffaele, è il più importante, è quello che ti arricchirà e, talvolta, ti farà arrabbiare; bisogna controllare che i relatori abbiano finito la preparazione della relazione e, se così non fosse, devi scoprire il perché: ci sono difficoltà? È necessaria una ricerca al Ced che non si riesce a fare? Offriti di aiutarli, basterà questo a sbloccare la situazione. E poi studia il testo, che ti devi far inviare via fax».
3. I fax e i dorsetti di nastro adesivo
Tra le carte ritrovate, molte sono fax. C’è anche una striscia di nastro adesivo colorato, ripiegata su se stessa.
Il lettore che avrà avuto la pazienza di seguirmi nei ricordi ha già intuito quale fosse la passione di Carlo Verardi per il fax, questo strumento – all’epoca – di modernità, che consentiva, accoppiato con un telefono, di fare una riunione a distanza e, allo stesso tempo, scambiarsi schemi e appunti.
«Raffaele, con il contributo di noi formatori, l’Ufficio studi del Csm è disponibile a preparare raccolte di materiali da distribuire durante i corsi. Non dobbiamo perdere questa occasione. È un’opportunità epocale. Per ogni corso, e per ogni argomento all’interno di un corso, dobbiamo preparare raccolte cartacee, da consegnare rilegate, non solo di articoli e sentenze à la page, ma anche di pezzi storici, dei lavori preparatori, etc. Se è opportuno, mettiamo un brano di Calamandrei o il primo studio di Rescigno sull’abuso del diritto. E non risparmiamo le principali voci enciclopediche».
«Raffaele, sommersi come siamo dal lavoro, sia noi sia i colleghi corriamo il rischio di scrivere sentenze leggendo solo il codice non commentato – come dice il tuo presidente in napoletano “cu ‘o codiciuzzo” –, e rischiamo di sbagliare. Se invece ogni magistrato torna da un corso con una delle nostre raccolte, in due-tre anni in ogni sezione di pretura o tribunale vi sarà una biblioteca pratica, tematica, di facile consultazione. Mi raccomando, lavora bene sull’indice, e non importa se le pagine della raccolta le numeriamo a mano. Poi, se nella biblioteca del Csm non ci fosse qualche articolo, tu a Napoli o io a Bologna possiamo reperirlo in università e lo inviamo… via fax!».
Non so se delle raccolte di materiali con copertina colorata, con lo scotch come dorsetto, la maggioranza dei colleghi oggi, a distanza di oltre vent’anni, abbia ricordo. Io le posseggo ancora. Sarebbero state poi sostituite da cd-rom e, infine, soppresse per questioni di costo, per l’avvento delle banche dati online e per qualche altra ragione: ahimé non escludo l’insorgere di un favor per la “concisione” non solo delle sentenze, ma anche delle letture di un magistrato, sempre più divenuto un portato dell’epoca attuale, ma in contrasto con le visioni pluralistiche e “sinfoniche” di Carlo Verardi, che gradiva materiali di studio “ottimi e abbondanti”. Fatto sta che, sui materiali di studio con dorsetto di scotch, brutalmente rifotocopiati in ufficio rimuovendo il nastro adesivo, sotto gli occhi sospettosi del consigliere pretore, per poterne dare una copia al collega di stanza che al corso non era riuscito a iscriversi, una generazione di magistrati ha letto voci di enciclopedia e saggi di tanti anni prima, oltre a quelli del momento. Un benservito a chi ama letture stringate… grazie a ricerche di materiali inviati via fax.
4. I libri bianchi e azzurri
I libri bianchi azzurri non li ho ritrovati nei miei vecchi faldoni. No… I libri stanno sullo scaffale, anzi, sugli scaffali! E verso gli scaffali ho alzato gli occhi, svuotando i faldoni. Ahimé pochi sono i libri bianchi e azzurri sugli scaffali di casa, molti purtroppo sono finiti sugli scaffali metallici di poche lire che tengo in cantina. Tanti libri bianchi e azzurri figurano invece in bella mostra, ancor oggi, sulle étagères polverose degli uffici giudiziari, semmai dietro la scrivania del presidente. Badateci.
«Raffaele, noi ci troviamo in una strana finestra temporale, in cui sono partite delle serie di corsi meravigliosi, approfittando dell’entrata in vigore recente delle riforme processuali penale del 1989 e civile del 1990. I migliori professori e avvocati e i nostri colleghi più dediti portano qui a Frascati, per la prima volta, in un confronto corale nazionale, opzioni interpretative e ricostruttive preziosissime per il lavoro negli uffici».
«Dobbiamo pubblicare le relazioni, tagliando qualcosa, aggiungendo qualcos’altro, e dobbiamo fare in modo che le pubblicazioni arrivino sul tavolo dei colleghi, senza sforzo».
Carlo affidò il lavoro a una sorta di comitato di redazione, che non poteva, purtroppo, lavorare per fax. Bisognava riunirsi a Roma, serviva l’esperienza della funzionaria esperta in impaginazione e correzione di bozze, serviva qualche professore e qualche collega più inserito/a nel lavoro editoriale… Il ruolo di Carlo in questo ambito era di stimolo, più che di diretta operatività. Ma si deve a lui se, convintamente, il Csm mise a disposizione della Struttura di formazione una serie editoriale che, originariamente, era dedicata alla pubblicazione delle circolari, e si addossò spese di stampa e spedizione postale.
I libri bianchi e azzurri – che man mano avevano coperto i temi, anche sostanziali, più diversi, compreso l’ordinamento giudiziario – non sono più disponibili oramai da alcuni anni. Quello che si dibatte ai corsi di ogni tipo, oggi, viene talvolta videofilmato, non so se ancora in streaming; ma non c’è più diffusione sistematica. La società liquida impone una liquidità anche delle riflessioni nell’ambito della formazione giudiziaria.
Fatto sta che i libri bianchi e azzurri, allora formalmente denominati «Quaderni del Csm» (altro che quaderni, spesso di tratta di tomi enormi!), restano citatissimi ancor oggi nelle note a piè di pagina di ogni tipo di scritto giuridico, confermando ciò la bontà dell’idea di Carlo.
5. Gli altri materiali e le foto
I faldoni ritrovati contengono tante altre cose: moduli di rimborso con fotocopie annerite di biglietti ferroviari, bloc-notes parzialmente riempiti (ebbene sì, in ciascun corso ciascuno di noi riceveva un bloc-notes e una matita), qualche fotografia sbiadita (anche scattata in occasione di scambi di visite personali tra noialtri che ci occupavamo di formazione; e quelle occasioni erano preziose per la nascita di nuove idee).
«Raffaele, noi siamo di idee diverse, di correnti diverse, ma siamo anche amici. Io litigo di brutto sulle idee, ma credo che sulla buona fede comune si possa e si debba costruire molto, e quei litigi diventano funzionali per decidere meglio. Questa è la magistratura voluta dalla Costituzione, una magistratura che si confronta al suo interno, in cui ognuno rispetta l’altro e si impegna sul lavoro, avendo in mente gli utenti della giustizia e le ingiustizie diffuse nel mondo».
Sì, Carlo mescolava spesso la prospettiva professionale con quella amicale, il lavoro giudiziario con la consapevolezza del mondo; parlava a voce alta e con orgoglio della magistratura italiana, credeva nella dialettica tra le correnti (non era, allora, una parolaccia) e nel ruolo dell’associazione unitaria in feconda interazione con l’autogoverno e la formazione.
Quella foto sbiadita di un incontro tra amici, in una casa con giardino dove ci eravamo visti, su invito di una collega, lo ritrae sorridente dopo che ci aveva raggiunti guidando l’automobile giù dall’Appennino (lui che detestava guidare).
Quella foto ritrovata tra i faldoni ha il senso profondo, per me oggi, di quello che ancora può esprimere, sorridendo, una magistratura serena e plurale.
Pur senza Carlo. Se ci saranno altri e altre come lui.