Secondo tempo
1. La condizione crepuscolare del diritto
Da oltre un decennio, è diffusa la consapevolezza della condizione crepuscolare del diritto: le antiche certezze sono svanite, le gerarchie tra fonti e norme si sono incrinate, cosicché non resta che un diritto “sopravvivente”, un diritto al presente e del presente.
Il diritto non è più associato a un’idea di ordinamento, di certezza categoriale, di forza, e sembra avere assunto la dimensione, tutta minore, della contingenza, della negozialità, dell’incertezza. Non è certo la prima crisi del diritto, ma forse è la prima volta che una crisi sembra offuscare ogni linea di orizzonte, precludere a nuove visioni: lo spettro del nichilismo come «destino del diritto nel nostro tempo»[1] , se non la «fine del diritto»[2], paiono delineare il momento del tramonto, dell’autentica krisis, nel senso del momento ultimo che prelude a un complessivo mutamento della sua consistenza e del suo ruolo nella società del terzo millennio, senza che, peraltro, se ne riescano a delineare i tratti distintivi.
Una visione così fatalistica del diritto non può essere accettata da quanti, come noi, quotidianamente sono chiamati nelle aule giudiziarie a richiamarne una sua intatta valenza e forza.
Come già altrove rilevato, la difficoltà che registrano le istituzioni della giuridicità nella loro relazione con il concreto non è solo il riflesso della modernità declinante della legge e della propria razionalità ordinante del mondo[3]: il meccanismo di traduzione nella norma di concetti, di universi simbolici, di idee che hanno connotato per lungo tempo il processo di giuridificazione del concreto, sembra ormai lontano dall’esperienza di quanti vivono l’emergenza insita in una condizione di estraneità del concreto alla previsione normativa e l’irrealismo inappagante della fattispecie astratta rispetto ad altri dispositivi ipermoderni di governo del concreto.
Nessuna delle categorie del giuridico in cui si è articolata la presenza del diritto nel mondo “moderno” risulta estranea a un processo di lenta, ma costante erosione; sovranità ordinamento, i soggetti, le corti, i regolamenti, le norme come le decisioni, i processi di decodificazione, di deregulation di interi settori, operano oramai in una scacchiera disordinata, in cui l’azione dei singoli pezzi sembra non essere più guidata da regole predeterminate.
Se questa è la condizione postmoderna del diritto, bisogna in primo luogo rimarcare come lo stato attuale delle istituzioni ordinamentali sia, innanzi tutto, l’esito ultimo di una linea d’azione costante del neoliberismo, che dalla fine degli anni settanta ha lentamente corroso la condizione di astrattezza e generalità della norma, in quanto inadeguata alle esigenze di una economia globalizzata che richiedeva un diritto modulare, fondato sulla negoziabilità illimitata di ogni contenuto.
Rispetto agli anni settanta, in cui il tema di discussione era tutto incentrato sul valore dell’interpretazione e sul confronto tra coloro che sostenevano la chiusura del sistema per linee ermeneutiche interne e coloro che sostenevano la necessità del ricorso a dati extra-giuridici ricavabili dall’analisi della realtà sociale[4], oggi si ha la netta sensazione di un complessivo mutamento delle regole del gioco: in nome dell’efficienza, alla legislazione si devono sostituire i contratti, alle corti gli arbitrati, al diritto, come affermazione valoriale di qualificazioni soggettive, la mera tecnica per la realizzazione dell’efficienza economica nella allocazione dei costi e dei rischi.
Le stesse istituzioni politiche, gli attori delle decisioni legislative sono letti nell’ottica della “teoria economica della democrazia”, in cui la rappresentanza degrada a selezione degli interessi economici piuttosto che tradurre visioni generali dell’interesse pubblico[5].
Le priorità assegnate al diritto pubblico e alla legislazione di diritto privato vengono disarticolate al loro interno, in favore di un diritto che si manifesta attraverso la decisione che rimanda ad “altri luoghi” rispetto alla norma, a un “common law” che si affranca dal diritto del centralismo legislativo, troppo lontano dalla perenne mutevolezza degli interessi e dalle ragioni economiche che li animano: così, il legislatore della norma non è più il detentore della massima razionalità giuridica, capace di assicurare calcoli allocativi dei costi e dei rischi, ma diviene produttore interessato di irrazionalità allocativa in quanto, nella predeterminazione astratta, si disperde la velocità della contingenza degli interessi votati alla contrattazione.
Lo Stato si scompone in articolazioni istituzionali, dimagrisce nei processi estesi di privatizzazione, disperde l’idea della preminenza dell’interesse pubblico per ricercarne una compatibilizzazione con gli interessi via via rappresentati da un’economia sempre più internazionalizzata: si propone come Stato regolatore, Stato facilitatore dell’accordo quale coefficiente unico di dimensionamento degli interessi delle parti.
La stessa legge risente di un processo di erosione temporale che ne denuncia la fragilità interna: la normativa, soprattutto di diritto processuale, assume le condizioni operative assegnategli dalla prassi, recepisce modelli organizzativi del processo per proporsi come nuova razionalità decidente rispetto alla precedente, solo poco tempo prima emanata, incorporando una dose di incompletezza e di impurità pari alla norma abrogata: il ricorso a un principio di «effettività costituzionale» della giurisdizione[6] sembra l’unico rimedio a uno smarrimento di significato normativo del processo che espone le corti a un’opera di incessante coordinamento e ricostruzione dell’ordito istituzionale.
L’economia afferma la sua supremazia sullo Stato nel processo di costituzionalizzazione dei vincoli di bilancio, avvenuto con rapidità inusuale per una modifica costituzionale, quasi a testimonianza di una ragione predominante anche all’interno di una tavola costituzionale forte quale la nostra.
Eppure, l’intervento salvifico dello Stato nella crisi del 2008 dovrebbe far riflettere sulla natura politica di questa contingenza, sulla sua storicità transeunte e, soprattutto, sulla necessità di un superamento della crisi che non sia restaurazione di un assolutismo legislativo, ma piuttosto composizione regolativa della società civile fondata su dinamiche ben più complesse e articolate rispetto alla uniforme sudditanza indotta dalla norma.
2. Il nuovo scenario e la giurisdizione
In un quadro come quello in sintesi delineato, deve prendersi atto che la giurisprudenza assume un ruolo estremamente complesso e difficile: l’astrattezza normativa rimanda a un processo di diversa normativizzazione del concreto estremamente rilevante ed esteso.
Nella globalizzazione, il diritto tende pertanto a esprimersi per il tramite delle istituzioni giudiziarie che, da luogo di affermazione di una normatività astratta e prescrittiva propria della legge, mutano in luogo di traduzione e lettura del contingente e della sua posmoderna mutevolezza[7].
Il diritto giurisprudenziale si manifesta come diritto del presente e al presente[8] disperdendo ogni pretesa di futuro: la pretesa della legge di disporre solo per l’avvenire (art. 11 preleggi) risulta in nuce contraddetta dalla sempre maggiore fragilità temporale della legge stessa, ma, al contempo, dalla sua stessa abnegazione alla apprensione del futuro, che si manifesta nell’abbandono della prescrittività astratta della fattispecie, in favore di norme-rimando, di norme-strumento che necessitano di una concretezza decisionale nuova[9]: «Al fatto tipico in senso puramente legale si affianca, così, un fatto tipico in senso ermeneutico che ne costituisce il riflesso o risultato»[10].
La competizione delle fonti rimanda a un luogo di «normativizzazione del concreto» proprio della giurisprudenza, fonte indispensabile di un diritto vivente votato alla concretezza[11]: il codice di rito conosce una fase di continua implementazione per itinerari interni, che assurge a complessità non facilmente dominabile se non con il ricorso a un principio di «effettività costituzionale» della giurisdizione[12]. Del pari, l’impressione che si ricava oggi dal quadro della legislazione civilistica è quella di una pluralità di corpi normativi, o sottosistemi, volti alla realizzazione di un mercato concorrenziale capace di assicurare, con l’uniformismo della regolazione, la più efficiente e razionale distribuzione dei beni: la disciplina antitrust, la disciplina della concorrenza sleale, la disciplina del contratto di consumo, la disciplina dell’impresa in posizione di debolezza, la disciplina della proprietà intellettuale mirano a realizzare uno stato di costante concorrenza dinamica del mercato, imperniato su norme di relazione che pongono a carico degli attori operanti sulla scena del mercato in posizione di forza specifici obblighi di comportamento. Norme di relazione che rimandano alla lettura della contingenza del singolo scambio, alla dinamica realmente realizzata nell’operazione commerciale pattuita, che non obbedisce immediatamente a logiche di sussunzione sillogistica proprie della relazione “astratto – concreto”.
La lettura del contingente impone agli uffici l’assunzione di metodiche nuove di relazione con il concreto, alla cui rideterminazione spesso non sono idonee le categorie proprie del diritto astratto. Tutti i settori del diritto risentono della pressione esercitata dalla contingenza, seppure alcuni evidenziano meglio i tratti salienti del conflitto.
In materia di diritti fondamentali, gli uffici giudiziari sono chiamati a un’opera di presidio costante e fortemente esposta: la sottrazione costituzionale dei diritti fondamentali all’azione normativa del potere politico espone la giurisdizione alla critica di essere espressione di una visione anacronistica dei diritti, senza alcuna relazione con la realtà concreta che la politica assume come sua unica guida, forzando i tempi di intervento anche nell’asserita urgenza delle modifiche normative.
La storia recente evidenzia il livello attuale del conflitto, come ulteriormente alimentato dagli interventi operati sulla sicurezza: qui basti ricordare che il 15 giugno 2019 è entrato in vigore il dl n. 53/2019, noto alle cronache come “decreto sicurezza bis” in ragione della sua ideale continuità con il dl n. 113/2018 (convertito, con modificazioni, in l. n. 132/2018), pure recante misure in materia di immigrazione e sicurezza pubblica, a sua volta noto come “decreto Salvini”. Pur senza entrare nell’analisi di dettaglio della normativa recentemente introdotta, va qui osservato che:
a) analogamente a quanto previsto dal primo decreto sicurezza, n. 113/2018, la vaghezza delle finalità perseguite contrasta con i requisiti di specificità e omogeneità stabiliti per la decretazione d’urgenza dall’art. 15, comma 3, l. n. 400/1998: va qui solo ricordato come tale previsione, sebbene di pari grado rispetto al decreto legge, assuma rilevanza per la Corte costituzionale nell’ambito del sindacato sui presupposti fattuali di straordinaria necessità e urgenza ex art. 77 Cost. La sussistenza di questi ultimi, infatti, deve essere verificata rispetto alla ratio unitaria del decreto legge, ossia alla luce della sua proiezione finalistica a fronteggiare situazioni la cui ricorrenza soltanto giustifica l’eccezionale potere governativo di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione del Parlamento (Corte cost., n. 22/2012, considerato in diritto n. 3.3);
b) la cd. “politica dei porti chiusi” è stata oggetto di severe critiche da parte dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. In particolare, una lettera del 15 maggio 2019, firmata da cinque Special rapporteur, ha evidenziato la sua radicale incompatibilità con gli obblighi derivanti dalle Convenzioni Unclos, Solas e Sar sul diritto internazionale del mare, nonché con il principio del non-refoulement. La progressiva inibizione delle attività di soccorso prestate dalle ong e da altre navi private nel Mediterraneo centrale, infatti, vanifica i diritti fondamentali dei migranti, destinati in misura statisticamente sempre maggiore a perdere la vita in un naufragio oppure a essere recuperati e forzosamente rimpatriati nei loro Paesi di origine.
La giurisdizione non potrà non rilevare i profili di illegittimità evidenti in tale normativa, aprendo al sindacato per violazione di legge, con eventuale annullamento o disapplicazione in sede giurisdizionale dei provvedimenti concretamente emanati.
Ciò, peraltro, esporrà la giurisdizione a una critica di irrealismo che rafforza enormemente il comando politico insito comunque nella norma. La critica di irrealismo della norma giudiziaria a garanzia dei diritti fondamentali vuole privare la loro stessa affermazione di ogni valenza operativa e la espone al superamento da parte del comando normativo, che si appropria della vicenda dei diritti in un percorso di riaffermazione muscolosa della propria ragione assolutistica e onnipotente: il conflitto innescato dalla politica per le recenti decisioni giudiziarie dovrebbe far riflettere in ordine allo sconfinamento operato dal legislatore, quasi a delineare l’emersione emergenziale di un conflitto irresolubile tra la ragione dei diritti e le ragioni di uno Stato securitario.
Del pari, il ruolo centrale assunto dalla giurisdizione nella elaborazione di risposte giurisprudenziali alle questioni ambientali costituisce una prova di effettività dei testi normativi approvati a livello domestico e internazionale, su cui la dinamica creativa delle corti ha manifestato già a livello internazionale la capacità di intessere discorsi conclusivi e pacificanti: l’influenza della giurisprudenza straniera all’interno del processo argomentativo dei giudici, in particolare delle corti supreme e internazionali (judicial borrowing), costituisce un dato di novità estremamente rilevante che va censito e costantemente monitorato. Il lavoro della giurisprudenza di tutti gli ordinamenti sull’inquinamento ha ad oggetto i temi classici del diritto, la soggettività dei diritti, la responsabilità e la causalità proponendone una transcodifica che apre a innesti interpretativi impensabili fino a pochi anni fa.
E ancora, nei rapporti tra privati, è noto il percorso della giurisprudenza che, superando la sovrapposizione tra causa lecita e meritevolezza, ha aperto la strada a tecniche di controllo di merito del contratto, in una logica di funzionalizzazione dell’autonomia privata aggiornata alla protezione del contraente debole[13], e in generale della persona, direttamente ispirata ai valori versati nella Costituzione[14].
In conclusione, il diritto nella globalizzazione tende, pertanto, a esprimersi per il tramite delle istituzioni giudiziarie che, da luogo di affermazione di una normatività astratta e prescrittiva propria della legge, mutano in luogo di traduzione e lettura del contingente e della sua posmoderna mutevolezza[15]. La mutazione del diritto in diritto giurisprudenziale, il suo essere diritto del presente e al presente[16], si manifesta nell’orientamento degli uffici giudiziari, nell’opera ricostruttiva degli interpreti, disperdendo nella sua relazione con il concreto la prescrittività autosufficiente della norma generale e astratta[17]. E, si noti, il processo di costante adattamento operato nella aule giudiziarie non è solo un’operazione semantica, quanto un’operazione di riposizionamento strategico della fattispecie, di rimodulazione complessiva di una rete di relazioni e di riferimenti testuali che si sono –implicitamente o esplicitamente – codificati sul testo attraverso l’uso, il richiamo, la differenziazione con il precedente di merito e/o di legittimità[18].
3. La nomometrica degli Osservatori sulla giustizia civile e penale
Le conclusioni svolte fin qui ci permettono già di riconoscere il valore insito nell’azione degli uffici giudiziari per il tramite dei lori attori sociali.
Gli Osservatori sulla giustizia civile e penale assumono un ruolo centrale in questa opera di ridefinizione normativa del concreto: in primo luogo, restituiscono alla governance ordinamentale una visione orizzontale dell’azione prodotta dal diritto, che supera le logiche della separazione rigida dei ruoli insita nella dinamica processuale; in secondo luogo, essi affermano una dinamica di rappresentazione territoriale del diritto vivente che si rapporta alla dimensione generale e astratta senza dimenticare le ragioni proprie della propria sopravvivenza concreta.
L’attenzione ai contenuti piuttosto che alle procedure, la vocazione alla rappresentazione concreta sono resi possibili da una nuova pervasività delle tecnologie ICT: le tecnologie assecondano un nuovo paradigma organizzazionale, consentono una riflessione sul presente che necessariamente deve richiamarsi a una nuova visione della relazione con il concreto, non potendo limitarsi alla sua sola affermazione senza assumere la valenza regolatoria anche per il futuro propria degli indirizzi interpretativi.
La diffusione degli orientamenti dei singoli uffici, la costruzione della relazione con il precedente, sia interno che esterno al singolo ufficio, introducono un cortocircuito selettivo del significato della norma e della decisione, che va opportunamente coordinato.
Si assiste, in altri termini, a una ricomposizione mai prima verificata tra presente e futuro non da parte della norma (prima opera solo della norma, oggi anch’essa viziata da una dinamica della temporaneità), ma da parte della singola sentenza: «la complessità sociale esige strumenti concettuali non troppo rigidi, dotati di quella flessibilità e disponibilità all’ibridazione che li renda adeguatamente variabili, ma d’altra parte tali che mantengano un’ossatura e una persistenza che facciano loro reggere la labilità degli eventi e che ne stabilizzino gli effetti»[19].
Le “aspettative normative” prodotte dalle moderne leggi necessitano di luoghi di produzione di «aspettative ricognitive»[20] votate alla definizione del contingente, in cui il raccordo tra generale e particolare costituisca l’esito – sia pur temporaneo – di una mediazione conoscibile e, per ciò stesso, misurabile dalla società civile.
In questo quadro generale, il contesto tecnologico va opportunamente considerato ai fini del tracciamento delle linee d’azione della giurisdizione: nell’era della terza rivoluzione delle macchine[21], la conoscenza riproducibile[22] permette un’azione mai prima realizzata di giuridificazione del concreto realizzata dalla decisione, senza che peraltro sia possibile devolvere alla dimensione tecnologica la scelta ultima insita in ogni decisione. Il rischio che la preponderanza tecnologica delle decisioni rese disperda la contingenza di ogni conflitto è insito in un uso acritico delle tecnologie.
Nel contesto sopra sommariamente descritto, il ruolo degli Osservatori risulta fondamentale ai fini del governo delle logiche del concreto normativizzato: la ragione giurisprudenziale richiede degli indici di governo delle decisioni non predefiniti assolutisticamente dalla norma, ma organizzati per universi cognitivi distinti e ontologicamente appropriati.
Gli Osservatori richiedono, quale condizione di legittimazione della concretezza normativa della ragione giurisprudenziale:
a) la costruzione di sistemi che consentano la costante esteriorizzazione degli orientamenti assunti dagli uffici giudiziari, sia nella relazione orizzontale con il territorio che in quella verticale che ne traccia la navigazione nei vari gradi di giudizio assicurando: i) la conoscenza e lo studio anche degli unreported case (precedenti occulti), per i quali ad oggi gli uffici giudiziari operano solo la rilevazione statistica; ii) lo studio della litigiosità definita dagli uffici, con apertura verso la ricerca di strumenti di lettura della litigiosità ben più sofisticati di quelli ad oggi assicurati per il tramite delle macro-classificazioni dall’architettura “rito, materia, oggetto”;
b) il costante monitoraggio dell’azione esercitata dagli attori del processo, mediante la costruzione di logiche d’azione rappresentativa capaci di intercettare flussi statistici e, al contempo, dinamiche cognitive aggregate, supportando processi di nuova allocazione delle risorse.
In altri termini, gli Osservatori sono chiamati a proporsi come luogo di misurazione del diritto vivente, mediante l’elaborazione di strumenti di rappresentazione cognitiva del diritto che assicurino una relazione “concreto – futuro” propria della giurisdizione: la nomometrica propone al contempo un programma prospettico e un piano di azione sul presente, che non libera il passato dal valore della sua preminenza normativa e interpretativa, ma ne esamina la sua relazione con le dinamiche interne ed esterne del contesto sociale.
Solo così sarà possibile arginare l’eccedenza tecnologica dell’intelligenza artificiale, che si propone come sistema algoritmico di soluzione dell’incertezza insita nella perdita di centralità della norma.
La costruzione di una ontologia degli oggetti normativi e degli oggetti sociali rimanda a una tessitura di significati che muovono tutti da una rivisitazione della semantica di produzione delle informazioni da processo per renderne possibile una lettura sincronica costante. L’azione prodotta dalla norma all’atto del suo concretizzarsi nella contingenza della decisione non è mai stata oggetto di analisi, proprio perché assente nelle categorie editoriali che guidano ancora oggi la visibilità degli uffici giudiziari.
In questo quadro, le pratiche giudiziarie risultano un terreno fertile e mai del tutto esplorato: la decisione normativa e la decisione giurisprudenziale si collocano in un intreccio tra presente e futuro quanto mai innovativo, chiamando gli operatori del diritto a una difesa della loro prerogativa fondamentale, ovverosia di attori sociali dei coefficienti costituzionali della convivenza sociale.
[1] Così N. Irti, Nichilismo e metodo giuridico, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, vol. LVI, n. 4/2002, p. 1161.
[2] P. Rossi (a cura di), Fine del diritto?, Il Mulino, Bologna, 2009.
[3] P. Grossi, Introduzione al Novecento giuridico, Laterza, Roma-Bari, 2012; Id., Ritorno al diritto, Laterza, Roma-Bari, 2015; P.G. Monateri, I confini della legge, Bollati Boringhieri, Torino, 2014.
[4] Vds. gli Atti del Congresso di Rimini: Aa. Vv., Crisi istituzionale e rinnovamento democratico della giustizia, Feltrinelli, Milano, 1978, in particolare la relazione di Marco Ramat e Giovanni Palombarini.
[5] A. Downs, Teoria economica della democrazia, Il Mulino, Bologna, 1988; J.M. Buchanan e G. Tullock, Il calcolo del consenso. Fondamenti logici della democrazia costituzionale, Il Mulino, Bologna, 1998.
[6] Si veda, sul punto, G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Einaudi, Torino, 1992, p. 13.
[7] R. Dahrendorf, Dopo la democrazia. Intrevista a cura di A. Polito, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 65: «Dall’essere l’anello debole del sistema, il giudiziario è diventato l’anello più forte»; si veda, inoltre, G. Tarello, Orientamenti della magistratura e della dottrina sulla funzione politica del giurista-interprete, in Politica del diritto, Bologna, il Mulino, nn. 3-4/1972, p. 474; H. Le Berre, La Jurprudence et le temps, in Aa. Vv., Temps, interprétation et droit, in Droits, n. 30/1999, Puf, Parigi, 2000, pp. 78 ss., per una visione della giurisprudenza come luogo del presente, privo delle tensioni alla normatività proprie della legge; M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società trasnazionale, il Mulino, Bologna, 2000.
[8] Così, efficacemente, M.R. Ferrarese, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni,Il Mulino, Bologna, 2002,pp. 197 ss.
[9] Sul rapporto tra diritto e contingente, si veda E. Resta, Le stelle e le masserizie. Paradigmi dell’osservatore, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 129 ss. Sulla novità di ruolo delle istituzioni giudiziarie, con particolare riferimento anche alle corti sovranazionali, si veda A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Laterza, Roma- Bari, 2002, p. 91.
[10] G. Fiandaca, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, in Id. (a cura di), Il Diritto penale tra legge e giudice, Cedam, Padova, p. 357.
[11] Per la mancata considerazione tra le fonti del diritto, si veda L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, il Mulino, Bologna, pp. 97 ss.; diversamente, L. Ferrajoli, Lo Stato di diritto tra passato e futuro, in P. Costa e D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 349 ss.
[12] Vds. la nota 6.
[13] U. Majello, I problemi di legittimità e di disciplina dei negozi atipici, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 496.
[14] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale,Esi, Napoli, 1984, pp. 121, 151 e 386.
[15] Vds. la nota 7.
[16] Vds. M.R. Ferrarese, Il diritto al presente, op. cit.,pp. 197 ss.
[17] Vds. la nota 9.
[18] Si veda, G. Fiandaca, Diritto penale giurisprudenziale e spunti di diritto comparato, in Id. (a cura di), Sistema penale in transizione e ruolo del diritto giurisprudenziale, Cedam, Padova, 1997; sui profili del valore assunto dall’interpretazione in generale, con particolare riferimento al diritto penale, vds. F. Viola e G. Zaccaria, Diritto e intepretazione. Lineamenti di una teoria ermeneutica del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1999, pp. 300-307.
[19] A. Catania, Metamorfosi del diritto. Decisione e norma nell’età globale, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp. 14 ss.
[20] Così N. Luhmann, Sociologia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1977.
[21] E. Brynjolfsson e A. McAfee, La nuova rivoluzione delle macchine. Lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante, Feltrinelli, Milano, 2015.
[22] E. Rullani, La fabbrica dell’immateriale. Produrre valore con la conoscenza, Carocci, Roma, 2004.