Pubblicato da Mondadori e disponibile anche in e-book, magnificamente tradotto da Alessandra Shomroni, Applausi a scena vuota è l’ultimo romanzo di David Grossman, presentato dall’autore in numerose manifestazioni e finanche programmi televisivi, a giro nel nostro Paese, nello scorso mese di Novembre.
In molti dei commenti che si leggono sui quotidiani o sul web si sottolinea la novità della scelta narrativa, di tipo quasi teatrale; la storia è infatti rinchiusa e incarnata nello spazio di uno spettacolo di cabaret ed è lo spettacolo stesso. Peraltro, basta pensare a Qualcuno con cui correre o a Che tu sia per me il coltello, dove lettere diario e narrazione diretta di personaggi dialoganti si intersecano, per rendersi conto che si è all’interno di una tipica interazione grossmaniana in cui ogni personaggio aiuta l’altro a disgelarsi e a scoprire cose importanti di sé.
I personaggi di Applausi a scena vuota sono tre: Dova’le, cabarettista cinquantasettenne nella fase finale della carriera; Avishai Lazar, suo coetaneo, giudice distrettuale vedovo e in pensione anticipata; Azoulay, manicurista e sensitiva. L’intero libro si dipana attraverso lo spettacolo di Dova’le, trasmesso per così dire in diretta, il dialogo silenzioso col giudice e i pensieri che lo spettacolo fa sorgere in questi, lo scambio di battute con la donna, piccola, con le scarpe ortopediche ed una alta pettinatura molto elaborata. Avishai assiste allo spettacolo perché Dova’le glielo ha chiesto, gli ha chiesto di cogliere la sua essenza individuale e irripetibile e raccontargliela. Azoulav è una spettatrice imprevista ma diviene uno dei lati del triangolo dialogico.
Cosa accomuna i tre personaggi? sono stati bambini, ragazzi insieme e la storia dello loro infanzia andrà di pari passo con la rappresentazione dello spettacolo, un po’ raccontata e un po’ pensata. Sono stati bambini con poche occasioni di felicità, Dova’le, con un padre non all’altezza delle sue aspirazioni e una madre che non aveva mai superato il trauma della sopravvivenza alla shoa, facile preda di compagni più forti e molesti, che comincia a camminare sulle mani per vedere il mondo in un’altra prospettiva e sfuggire alle botte e ai lazzi grazie alla sua stranezza.
Azoulav con i suoi difetti fisici, riscattata dalle parole fantasiose di un bambino che cammina a testa in giù. Avishai, bambino chiuso e poco comunicativo, troppo trascurato da troppo occupati genitori. Nello spettacolo Avishai e Azoulav sono testimoni, entrambi debitori di vitalità e fantasia ricevuta da Dova’le quando erano bambini. Lo spettacolo - in cui barzellette politica vita si mescolano esasperando il pubblico che, venuto per ridere e trovandosi davanti a un’anima tragicamente a nudo, a poco a poco se ne va - e l’interazione tra i tre sono tutto il libro. Dirne di più significherebbe privare il lettore del piacere di scoprire una trama imprevedibile che si dirvela pagina dopo pagina.
Voglio solo dedicare qualche pensiero in più al giudice. .. Forse per deformazione professionale. Benché non si vedessero da oltre quarant’anni, Dova’le ne ha seguito la carriera, letto delle sue sentenze sui giornali e all’improvviso gli telefona e gli chiede andare a Netanya per vedere il suo spettacolo e “giudicarlo”, cogliere il fremito della sua unicità, di tutto ciò “che una persona trasmette senza rendersene conto, che è forse unico al mondo a possedere”, Quando riceve la telefonata, Avishai è un uomo triste e spento, con la sola compagnia di una vecchia cagna buona, schiacciato da una duplice vedovanza, della moglie e dell’amato lavoro giudiziario.
Perso in questo suo grigiore impiega un po’ di tempo a ricordare Dova’le, unico amico con cui, bambino, era riuscito ad aprirsi, che amava ascoltare e che aveva perduto durante un tragico campeggio paramilitare, storia completamente rimossa e che sarà dolorosamente estratta pezzo dopo pezzo durante lo spettacolo. Mentre la memoria dell’amico risale lentamente alla coscienza, davanti alla sua richiesta, anche pensieri vengono in superficie: “Una proiezione della personalità, avevo pensato, una luce interiore. O un buio interiore. Il segreto, il fremito dell’unicità. Tutto ciò che descrive un essere umano al di là delle parole.
Al di là di ciò che gli è successo, di ciò che si è alterato e distorto in lui. Quella cosa che, anni fa, all’inizio della mia carriera di giudice, avevo ingenuamente giurato a me stesso di cercare in ogni persona che mi fosse capitata davanti, imputato o testimone. Alla quale non mi sarei mai mostrato indifferente. E che sarebbe stata fondamentale per il mio giudizio”. E poi la voglia di raccontare il pensionamento anticipato: “Quello che è successo, avevo proseguito con mia sorpresa, è che le mie sentenze erano diventate un po' troppo severe per il sistema…. Aggressive, avevo ridacchiato.
La corte suprema me le respingeva in serie. Gli avevo anche detto che inveivo contro testimoni bugiardi e insolenti, contro imputati che avevano fatto cose orribili alle loro vittime e contro i loro avvocati che avevano continuato a tormentarle durante le udienze in tribunale. Il mio errore, gli avevo spiegato, come se fossi abituato a conversare con Dova’le ogni giorno, è stato quello di dire a un avvocato famoso e con molti agganci che ai miei occhi era la feccia della terra. E così facendo ho firmato la mia condanna”.
E poi durante lo spettacolo ricordi di conversazioni con Tamara, la moglie. “Ricordo la sua rabbia una volta che era venuta a vedermi in tribunale, durante un processo a un padre accusato di avere maltrattato la figlia. mi aveva apostrofato poi a casa, infuriata. Io avevo spiegato a Tamara che era esattamente quella la faccia che dovevo avere ai processi. Anche se dentro di me scoppiavo di rabbia, non ero libero di mostrarla, neppure minimamente, perché ancora non mi ero fatto un’opinione. E quando il padre, al processo, mi aveva dato la sua versione dei fatti, io avevo mantenuto la stessa faccia impassibile. avevo detto, “ aveva replicato Tamara con uno sguardo strano che non le avevo mai visto”. Pensieri e riflessioni e conflitti così ben conosciuti da tutti i giudici che prendono i diritti sul serio, non vogliono mai essere indifferenti, imparziali e pronti allo stesso tempo ad alzarsi contro il crimine!
Lo spettacolo di Dova’le, per l’anziano giudice, è un viaggio nell’adolescenza, un’immersione catartica in storie rimosse, una riscoperta della passione per la vita e forse una promessa di futuro … alla fine dello spettacolo, quando i pochi rimasti uniti forse da sentimenti condivisi lasciano la sala, mentre Avishai attende Dova’le in una promessa di un’amicizia che continua, un’alta signora dai capelli grigi …”Quando passa accanto al mio tavolo lascia cadere un biglietto ripiegato. Noto le rughe di un sorriso intorno ai suoi occhi pieni di lacrime”.