Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Audizione informale dinanzi all’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, avente ad oggetto i Ddl nn. 1353 e 504 (Ordinamento giurisdizionale e Corte disciplinare)

di Gaetano Silvestri
Presidente emerito della Corte costituzionale, già Presidente della Scuola Superiore della Magistratura

1. I due d.d.l. si integrano vicendevolmente, giacché tendono entrambi a trasformare radicalmente – mediante il procedimento di revisione costituzionale – il sistema di garanzie istituzionali dell’indipendenza dei magistrati come singoli e dell’ordine giudiziario nel suo complesso.

Il primo obiettivo fondamentale delle norme oggi in esame è quello di introdurre in Costituzione una netta separazione di status e di carriera tra magistrati giudicanti e requirenti. Poiché la materia è nota ed è stata oggetto (e lo è tuttora) di ampie discussioni, sfociate spesso in aspre polemiche, mi limito ad alcune osservazioni sintetiche, che peraltro ribadiscono riflessioni e valutazioni che ho avuto modo di svolgere da molti anni nel mio lavoro di costituzionalista.

L’indipendenza dei magistrati requirenti, e quindi dei pubblici ministeri nei processi, vista in stretta connessione con l’obbligatorietà dell’azione penale, è stata una scelta operata dai Costituenti per evitare che si ripetessero violazioni dei princìpi di eguaglianza e di imparzialità ove le funzioni postulatorie del pubblico ministero finissero in balia delle fluttuanti decisioni della politica. Non si trattava di astratte e ipotetiche preoccupazioni, ma di fresca e dolorosa memoria degli abusi perpetrati dalla dittatura politica della prima metà del XX secolo, che aveva asservito ai propri fini gli apparati giudiziari. Si ebbe cura, nel redigere il testo della Costituzione italiana, di distinguere le due funzioni (requirente e giudicate) e di precisare, nello stesso tempo, che il pubblico ministero gode delle garanzie previste dall’ordinamento giudiziario. Era chiaro che ci si allontanava dal modello del funzionario rappresentante del potere esecutivo presso la giurisdizione, tipico del passato, e si imboccava la strada del magistrato indipendente, non legato ad interessi di parte, ma organo di giustizia, cui incombe l’obbligo di far rispettare la legge e promuovere le sanzioni previste per chi la trasgredisce, senza alcuna distinzione, come atto dovuto e non soggetto pertanto ad alcuna valutazione di opportunità politica o di altro genere. Non è difficile infatti comprendere che discriminazioni tra i cittadini possono effettuarsi non solo promuovendo azioni penali persecutorie, ma anche omettendo di promuoverle per favoritismi, soggezioni, faziosità politica o “amicale”. Sono escluse anche considerazioni di opportunità rispetto ai possibili effetti ulteriori, politici o sociali, la cui ponderazione non spetta alla magistratura, ma ad altri poteri dello Stato, oltre che all’opinione pubblica, cioè al popolo.

La carriera unica dei magistrati è stata (ed è tuttora) oggetto di critiche veementi per vari motivi, tra i quali spicca l’osservazione che se requirenti e giudicanti sono “colleghi” la terzietà del giudice è annullata o indebolita per una naturale tendenza a dar maggior credito al p.m. rispetto alle altre parti del processo. Da più parti è stato fatto rilevare che nella prassi processuale il denunciato “appiattimento” del giudice sulle richieste del p.m. non corrisponde a realtà, vista l’alta percentuale di non luogo a procedere e di assoluzioni che si registrano nei nostri palazzi di giustizia e che non mancano casi di condanne in presenza di richieste di assoluzione del pubblico ministero. Anzi, proprio il numero non esiguo di proscioglimenti viene messo in risalto polemicamente, per denunciare una asserita avventatezza o addirittura mania persecutoria delle procure nei confronti di innocenti cittadini. Ammesso, e non concesso, che queste accuse di avventatezza o, peggio, fossero fondate non riesco a comprendere come una netta separazione di status e di carriera potrebbe porre rimedio a questo male, che – nelle deplorevoli ipotesi in cui si verifica – nasce da esasperazione accusatoria o da pan-penalismo, che purtroppo talvolta serpeggia nell’ordine giudiziario.

Mi sembra di poter dire che la riforma proposta con i d.d.l. oggi in discussione è un rimedio peggiore del male. Con la separazione drastica delle carriere e lo sdoppiamento dei CSM si creerebbe infatti un corpo separato ed autoreferenziale di accusatori, sempre più astretti ad un vincolo di risultato, la condanna, lontani dall’idea dell’imparziale applicazione della legge, che si addice invece ad un organo di giustizia immerso totalmente nella cultura della giurisdizione. Ciò che oggi può essere, in taluni casi, stigmatizzato come un’anomalia o una distorsione rischierebbe di diventare la regola. In altre parole, si potrebbe andare incontro ad una eterogenesi dei fini, che si configurerebbe come ipertrofia dell’accusa. Temo che molti avvocati, che oggi sostengono con forza la separazione delle carriere, per apprezzabili preoccupazioni garantiste, potrebbero in futuro incorrere in amare delusioni. 

I due CSM rischierebbero di introdurre contraddizioni nei criteri di valutazione dei magistrati. Peraltro, mentre oggi i p.m. sono solo alcuni dei componenti di tale organo di garanzia, se la riforma entrasse in vigore, essi avrebbero un CSM tutto per loro, accentuando l’isolamento della categoria e ponendo, prima o poi, il problema della sua integrazione nel sistema costituzionale democratico di pesi e contrappesi. Si farebbe sempre più forte la richiesta di una loro riconduzione sotto il controllo del Ministro della giustizia, che comunque è responsabile verso il Parlamento. È appena il caso di aggiungere che un apparato accusatorio sotto il dominio politico sarebbe nocivo per tutti, giacché chi oggi è maggioranza potrà domani diventare opposizione e viceversa. Le garanzie di indipendenza servono a tutti. Preferisco il magistrato che sbaglia o tradisce personalmente il suo dovere di imparzialità – perché può essere sanzionato e comunque esistono rimedi processuali alle storture – al magistrato organicamente al servizio del mio avversario.   

Al posto di una riforma, i cui effetti potrebbero ritorcersi contro gli stessi intenti che l’hanno ispirata, mi sembrerebbero più utili e più rispettosi delle garanzie dei cittadini alcune innovazioni. Ne segnalo due: 

a) inserire in Costituzione l’obbligo – attualmente previsto dall’art. 358 c.p.p. – del pubblico ministero di raccogliere, in fase di indagini, anche elementi a discarico dell’indagato; 

b) prevedere, nell’ordinamento giudiziario, l’obbligatoria permanenza, dopo il tirocinio, dei giovani magistrati in un collegio giudicante per un certo, congruo, periodo, prima che gli stessi possano aspirare ad un posto in una procura. Un p.m. che abbia vestito i panni del giudice e ne abbia condiviso la forma mentis mi dà più affidamento di un soggetto che fin dall’inizio si avvia a trascorrere l’intera vita professionale nel ruolo di accusatore. Una norma legislativa in questo senso era stata emanata nel 2006 (art. 13, comma 1, d.lgs. n. 160), ben presto colpita da una serie di deroghe, che, di fatto, l’avevano svuotata, sino alla sua definitiva, improvvida, abrogazione nel 2016 (art. 2 d.lgs. n. 168).

 

2. Sono molto perplesso sul sorteggio come criterio per individuare i componenti dei due CSM. Si tratterebbe di un radicale ripudio di ogni valutazione di merito nei confronti di persone che vanno a svolgere funzioni molto delicate e importanti. In più occasioni ho avuto modo di dire che l’elezione dei membri del CSM da parte dei magistrati non ha una finalità rappresentativa, ma di designazione di idoneità. Verrebbe negata ai magistrati la capacità di esprimere un tale giudizio su chi è destinato ad adottare decisioni che incidono sul proprio status professionale. Tutto viene lasciato alla cecità del caso. Se attualmente non è sicuro che vengano eletti i migliori, il sorteggio non garantisce certo che vengano esclusi i peggiori. Quanto all’auspicata eliminazione delle degenerazioni correntizie, il rimedio proposto è come quello di buttar via il termometro per far passare la febbre. Le correnti continuerebbero ad esistere, mantenendo, anzi aumentando, la loro inclinazione a conquistare il maggior numero di seguaci, allo scopo di incrementare le proprie chances nei sorteggi. Si potrebbe verificare il caso di un Consiglio composto in modo preponderante di membri di una sola tendenza, senza alcuna possibilità di rimedi o correttivi che non siano la negazione a posteriori del sorteggio stesso.

Come emerge dalla normativa che si propone, non è prevista alcuna maggioranza qualificata per eleggere i componenti della lista di soggetti da cui estrarre a sorte i componenti “laici” di ciascun Consiglio, favorendo in tal modo una composizione squilibrata del gruppo dei designati, oggi in favore dell’attuale maggioranza politica, domani in favore dell’attuale opposizione divenuta eventualmente maggioranza. Con buona pace dell’indipendenza e dell’imparzialità che derivano dall’equilibrio dei diversi orientamenti ideali e culturali.

 

3. L’Alta Corte disciplinare, così com’è concepita nel progetto di cui si discute, si presenta come un organo ispirato ad un criterio verticistico, visto che i sei magistrati giudicanti e i tre requirenti dovrebbero essere estratti a sorte da un elenco di appartenenti alle rispettive categorie che svolgono o abbiano svolto funzioni di legittimità. Tale previsione è più coerente con una magistratura a struttura piramidale che al modello di potere diffuso ispirato ad una visione orizzontale-collegiale del potere giudiziario, che ha preso il posto della vecchia impostazione verticale-gerarchica. Un ordine giudiziario dominato dall’alto è più idoneo ad assumere un proprio indirizzo politico, di quanto lo sia un potere diffuso, nel quale non esistono categorie dominanti, in grado di condizionare, con il metus della loro posizione, gli appartenenti a categorie “inferiori”. La previsione esclusiva dei magistrati di cassazione è peraltro in singolare contrasto con la proposta abolizione del ricorso alle Sezioni Unite civili avverso le sentenze della Sezione disciplinare del CSM oggi in vigore, sostituito dal ricorso alla stessa Alta Corte in diversa composizione. Ciò che rende quest’ultima dotata di un potere eccessivo, oltre che risultare in contraddizione con il sospetto della compiacenza verso i “colleghi”, che sta alla base della proposta di separazione delle carriere.

Da rilevare infine che anche l’elenco di professori e avvocati, da cui estrarre a sorte tre membri del suddetto organo disciplinare, è previsto che venga eletto dal Parlamento senza una maggioranza qualificata. Il che mette a rischio l’equilibrio della sua composizione.         

 

25 febbraio 2025

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