Magistratura democratica
giustizia internazionale

Caso Marò, nulla cambia per la posizione dei due militari italiani

di Marzia Minutillo Turtur
Giudice del Tribunale di Tivoli
L'ordinanza del 24.8.2015 del Tribunale Internazionale sul diritto del mare

1) Una premessa.

Per giungere ad un pieno e comprensibile commento della ordinanza del 24.8.2015 occorre brevemente ricordare le fasi che hanno caratterizzato la vicenda comunemente individuata nel c.d. “Caso Marò”.

In data 15.2.2012 mentre si trovavano a bordo della nave Enrica Lexie in funzione di difesa ed antipirateria (ai sensi dell’art.5 della Legge 2.8.2011 n.130 nel ruolo di nucleo militare di protezione di imbarcazione privata) i due militari italiani Latorre e Girone esplodevano colpi di arma da fuoco in direzione del battello indiano St. Antony e due persone - a detta del Governo indiano due pescatori - decedevano proprio a causa della esplosione dei colpi di arma da fuoco da parte dei militari italiani (secondo quella che è stata da sempre la prospettazione del Governo indiano, fortemente contrastata nei suoi elementi di fatto dal Governo italiano).

L’incidente in questione è avvenuto al largo delle coste della regione del Kerala in acque internazionali in zona di vicinanza con le acque indiane, più precisamente secondo il governo indiano nella zona economica esclusiva dell’India.

Nella prima fase, durata sostanzialmente più di due anni, la vicenda e la posizione dei due militari italiani è stata affrontata solo in sede giudiziaria e in particolare dinnanzi alla autorità giudiziaria indiana, senza che tuttavia si sia mai arrivati ad una formale imputazione nei confronti di Girone e Latorre.

In Italia la Procura della Repubblica di Roma ha aperto un procedimento penale a carico dei due fucilieri imputando agli stessi il reato di omicidio volontario, attivando al contempo richieste di cooperazione giudiziaria che sono rimaste del tutto inevase ed inascoltate.

L’Italia ha da sempre contestato la giurisdizione dell’India e ha costantemente affermato la ricorrenza di una immunità funzionale in capo ai due militari.

È stata cercata una soluzione internazionale indiretta e diplomatica e non negoziale della questione senza successo e l’India ha avviato procedimenti penali a carico di Latorre e Girone.

In particolare :

- in data 29.5.2012 l’Alta Corte del Kerala  ha respinto il ricorso presentato dallo Stato Italiano al fine di contestare la ricorrenza della giurisdizione dello Stato Indiano;

- in data 30.5.2012 sempre l’Alta Corte del Kerala ha disposto, dopo 105 giorni di detenzione in carcere, la scarcerazione di Latorre e Girone sottoponendoli all’obbligo di firma quotidiano;

- in data 18.1.2013 la Corte Suprema Indiana ha stabilito che non ricorre una giurisdizione sul caso dello Stato Indiano e dunque dello Stato del Kerala e dei suoi Tribunali in relazione al luogo nel quale è avvenuto l’incidente della Enrica Lexie richiamando la competenza di un Tribunale Speciale da costituirsi allo scopo.

A seguito di tale pronuncia le autorità indiane hanno disposto indagini a mezzo della NIA (National Investigation Agency), ovvero tramite la Polizia Antiterrorismo competente in base al SUA ACT (inserimento nell’ambito dell’ordinamento giuridico indiano della Convenzione del 1988 sulla sicurezza marittima), con ciò sostanzialmente cercando di superare il disposto della Corte Suprema Indiana ed ipotizzando a carico dei due militari italiani il reato di omicidio punibile con l’ergastolo.

Contro tale scelta del Governo Indiano il Governo Italiano ha proposto ricorso presso la Corte Suprema Indiana che in data 28.3.2014 ha escluso che potesse essere applicata la legge antiterrorismo al caso in questione.

Solo dopo questi eventi, e a detta di molti commentatori con eccessivo e colpevole ritardo, il Governo Italiano ha deciso di avviare la procedura internazionale per giungere ad una soluzione della questione relativa alla posizione di Girone e Latorre (in tal senso la comunicazione del Ministro degli Affari Esteri e della Difesa in data 24.4.2014 dinanzi agli uffici di Presidenza delle Commissioni riunite Esteri e Difesa del Senato).

Il Ministro degli Esteri allora in carica ha chiesto infatti l’avvio di uno “ scambio di vedute” tra Italia ed India e ciò allo scopo evidente di certificare la ricorrenza di una controversia internazionale tra i due Stati e cercare o una soluzione amichevole o una soluzione a mezzo di arbitrato internazionale, opzione poi questa verificatasi in concreto.

 

2). L’avvio della procedura arbitrale secondo l’annesso VII della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982.

Lo Stato Italiano ha quindi deciso di avvalersi della procedura arbitrale internazionale con comunicazione alla Autorità Indiana della volontà di accedere alla procedura predetta ai sensi dell’allegato VII del trattato.

Il Tribunale arbitrale si compone di cinque membri ed ogni parte ha diritto alla nomina di uno dei componenti, mentre i residui membri dovranno essere nominati di comune accordo (in caso di disaccordo è previsto l’intervento risolutore del Presidente del Tribunale internazionale sul diritto del mare).

Quindi lo Stato Italiano ha depositato in data 21.7.2015, in base al disposto di cui all’art. 290 paragrafo 5 della Convenzione, richiesta di misure provvisorie al Tribunale Internazionale sul diritto del mare, competente in attesa della definitiva composizione del Tribunale arbitrale al fine del giudizio di merito.

Occorre ricordare come il Tribunale Internazionale sul diritto del Mare possa stabilire misure provvisorie in attesa della composizione del collegio arbitrale, ove ritenga prima facie la ricorrenza della competenza, cosa avvenuta a seguito della richiesta sopracitata depositata dallo Stato Italiano.

In sostanza il Tribunale sul diritto del mare, in attesa della soluzione delle questioni controverse da parte del Tribunale arbitrale (ovvero ricorrenza o meno della giurisdizione esclusiva dell’Italia, ricorrenza o meno di una giurisdizione concorrente dell’India in considerazione della nazionalità delle vittime, ricorrenza o meno di una immunità funzionale per i due militari italiani), può adottare su richiesta di una delle parti misure cautelari purchè ne ricorrano i requisiti legittimanti.

 

3). L’ordinanza del 24.8.2015 del Tribunale Internazionale sul diritto del mare a seguito della richiesta di misure provvisorie da parte del Governo Italiano.

Il voto dei singoli giudici e il contenuto della ordinanza del 24.8.2015 dimostrano come la discussione tra i giudici sia stata accesa e caratterizzata da posizioni evidentemente contrastanti.

Con l’ordinanza predetta il Tribunale sul diritto del mare ha ritenuto la ricorrenza dei presupposti legittimanti la adozione di misure cautelari ed in particolare:

- la giurisdizione prima facie del non ancora formato Tribunale arbitrale (che secondo lo Stato Italiano sarà chiamato a valutare la applicazione nel caso in esame di 12 articoli della Convenzione di Montego Bay, relativi alla giurisdizione penale degli Stati nelle acque territoriali e nella zona contigua, la libertà di navigazione nella zona economica esclusiva, la libertà di navigazione nell’alto mare e diritti ed obblighi degli stati nelle acque internazionali);

- il rischio di un pregiudizio irreparabile  ai diritti delle parti in attesa della costituzione del Tribunale arbitrale;

- l’urgenza e imprescindibilità delle richieste articolate;

- il fumus boni iuris rispetto alla procedura e domanda inoltrata ( requisito questo non previsto convenzionalmente ed introdotto in via giurisprudenziale).

Ciò posto, a seguito delle richieste inoltrate dallo Stato Italiano il Tribunale sul diritto del mare in via cautelare ha disposto che:

- Italia e India, per assicurare i diritti di entrambe le parti, devono sospendere ogni procedimento giudiziario in atto e devono astenersi dall’avvio di nuovi procedimenti che possano aggravare o estendere la controversia;

- non può essere disposta la liberazione dei due militari italiani con rientro in patria degli stessi (non ricorrendo una competenza specifica del Tribunale a decidere sullo status dei due militari italiani).

È stata dunque accolta in via cautelare solo una delle due richieste dello Stato Italiano e la posizione, quanto alla loro libertà personale, dei due militari italiani non è affatto cambiata.

Si è semplicemente imposta la sospensione dei procedimenti avviati dalla sola autorità Indiana (in Italia i due militari risultano allo stato semplicemente indagati) per evitare che tali attività interferiscano con la soluzione della questione per come demandata al Tribunale arbitrale.

Il Tribunale dunque in via cautelare ha ritenuto di dover tutelare i diritti di entrambe le parti coinvolte da un eventuale pregiudizio irreparabile, e precisamente quanto all’Italia il pregiudizio al suo affermato diritto di esercitare la giurisdizione esclusiva quanto al caso della Enrica Lexie, nonché quanto al diritto per i propri militari di godere della immunità funzionale, e quanto all’India al pregiudizio conseguente al suo affermato diritto di esercitare la giurisdizione penale esclusiva sull’incidente essendo rimasti coinvolti ed uccisi due suoi cittadini.

Il maggiore contrasto tra i componenti del Tribunale è emerso tuttavia in relazione alla affermata ricorrenza del requisito della urgenza per giungere alla emissione e pronunzia di misure cautelari.

Diversi giudici hanno dissentito dalla opinione della maggioranza e hanno evidenziato come la assenza di urgenza nella richiesta dello Stato Italiano fosse da ritenere evidente conseguenza della ricorrenza di procedimenti penali a carico dei due militari in India pendenti da circa tre anni senza che l’Italia avesse in alcun modo avviato alcuna forma di tutela per i suoi cittadini in via internazionale.

Effettivamente il dato temporale è incontestabile, e rappresenta forse la conseguenza del tentativo italiano di risolvere diplomaticamente e negozialmente la questione, ma proprio il ricorso ad un previo tentativo di negoziato è disposto e previsto dall’art. 283 della Convenzione, con la conseguenza che la soluzione adottata a maggioranza appare avere un suo fondamento giuridico consistente considerato che se l’Italia non avesse avviato prima una serie di trattative per la definizione negoziale la istanza cautelare avrebbe potuto essere dichiarata inammissibile.

Infine quanto alla richiesta di rimpatrio articolata dallo Stato Italiano occorre considerare come il Tribunale sul diritto del mare non coinvolga normalmente questioni relative ai diritti umani, e pur tuttavia non si può non osservare (come riportato dal giudice Jesus nella propria opinione “the detention or restrictions on the movement of persons who wait excessively long to be charged with criminal offenses is, per se, a punishment without a trial”) come un periodo di limitazione della libertà personale per oltre tre anni in assenza di processo e imputazione rappresenti effettivamente la applicazione di una pena in assenza di processo.

  

4.) I fatti da accertare, la diversa visione dei due Stati coinvolti, le questioni aperte in vista della costituzione del Tribunale Arbitrale.

I fatti da accertare.

Costanti e attuali i contrasti tra India e Italia in ordine al fatto verificatosi in data 15.2.2012 anche e direttamente sulla ricostruzione della condotta che avrebbe provocato il decesso dei due cittadini indiani e sulla effettiva riferibilità ai due militari italiani, così come sulla zona esatta ove si sarebbe trovata la Enrica Lexie al momento della esplosione dei colpi di arma da fuoco.

Occorre preliminarmente considerare come tutti gli accertamenti espletati (balistici e autoptici) siano stati realizzati esclusivamente dalla Autorità dello Stato del Kerala senza alcuna possibilità di reale e concreta partecipazione da parte della Autorità Italiana.

In particolare secondo la prospettazione dello Stato Italiano la Enrica Lexie si trovava quanto ai fatti contestati a 33 miglia nautiche dalla costa dello stato del Kerala, mentre secondo lo Stato Indiano, ricostruzione poi accolta dalla Corte Suprema Indiana con la sentenza del 18.1.2013, la Enrica Lexie si trovava ad una distanza di 20,5 miglia nautiche dalla costa .

Nel primo caso il fatto sarebbe da ritenere avvenuto in acque internazionali, nel secondo caso nello spazio di mare definito zona contigua che rientra secondo la Autorità Indiana anche nella disciplina e previsione della Zona Economica Esclusiva, con conseguenti e differenti prospettazioni  in materia di giurisdizione.

Nel particolare ambito oggetto di accertamento occorre tuttavia tener conto anche di altre due circostanze di fatto rilevanti che dovranno complessivamente essere oggetto di valutazione dinnanzi al Tribunale arbitrale.

a) Qualunque fosse la posizione della Enrica Lexie il comandante della stessa si determinava a approdare nel Porto di Kochi su richiesta della Autorità Indiana allo scopo di collaborare alle attività di indagine antipirateria, e, nonostante tale apparente motivazione, l’autorità indiana si determinava ad arrestare Latorre e Girone quali autori di un omicidio plurimo volontario.

La stessa Corte Suprema Indiana ha sancito la irregolarità della condotta delle autorità del Kerala nel momento in cui disponevano l’arresto dei due militari italiani, così come la illegittimità della loro detenzione derivante da una condotta obiettivamente ingannevole della autorità dello Stato del Kerala.

Questa circostanza dovrebbe avere una certa e consistente rilevanza sui fatti per come asseritamente accertati - solo e proprio dalla autorità che ha agito con motivazione apparente per indurre il capitano della Enrica Lexie in porto al solo scopo di giungere all’arresto (ritenuto illegittimo) dei due fucilieri italiani - ed in particolare dovrebbe determinare una sostanziale inutilizzabilità delle prove unilateralmente assunte dalla autorità del Kerala.

È evidente come rappresenti una condotta anomala, e da molti commentatori definita fraudolenta, richiedere prima un rientro a fini di collaborazione per l’accertamento di fatti di pirateria e il successivo arresto dei due fucilieri italiani.

Emerge una condotta di abuso da parte della autorità dello stato del Kerala, che ha approfittato della presenza dei due militari italiani sul territorio dello Stato Indiano, convocati per collaborare alla amministrazione della giustizia, per sanzionarli e iniziare a processarli per eventuali crimini commessi in precedenza, con ciò di fatto radicando la competenza e giurisdizione dello Stato Indiano considerata la presenza dei due asseriti autori del reato nel territorio dello Stato Indiano.

In concreto l’arresto non poteva essere eseguito proprio perché i militari italiani erano ritornati su suolo indiano solo al fine di collaborare con le autorità indiane.

b). Dagli accertamenti espletati, e come sostenuto dallo Stato Italiano, il battello St. Antony non risultava inserito nell’apposito registro indiano delle navi mercantili e al momento dell’incidente non risultava avere bandiera indiana.

Dunque permane certamente la valutazione della incidenza della condotta delittuosa su cittadini indiani, ma appare discutibile poter ritenere (anche al fine di identificare la giurisdizione) la ricorrenza di nazionalità indiana per il peschereccio in questione.

Sebbene da parte di alcuni si sia rilevato come tale circostanza non possa essere ritenuta decisiva (poiché la normativa e il registro in questione non potrebbe essere riferito ad un mero peschereccio), resta il fatto che il St. Antony fosse senza alcuna bandiera al momento del fatto accaduto in data 15.2.2012.

Altro elemento fattuale da riscontrare, completamente ignorato nelle diverse pronunzie delle Corti Indiane, è quello relativo al ruolo e funzione dei due fucilieri di Marina e della loro conseguente immunità funzionale dalla giurisdizione penale.

In tal senso occorre ricordare come la funzione dei NMP (nuclei militari di protezione) sia da ritenere inserita tra le attività previste dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite in materia di contrasto alla pirateria.

La disciplina italiana di riferimento, sopra richiamata (art. 5 Legge 130/2011), riconosce al personale militare di Marina imbarcato su mezzi civili in funzione antipirateria il ruolo di ufficiali e agenti di Polizia Giudiziaria, con ciò esplicitando la realizzazione da parte degli stessi di attività di difesa quali organo dello Stato.

Da ciò dovrebbe conseguire la immunità funzionale degli stessi e la riferibilità delle condotte eventualmente integranti reato al solo Stato Italiano e non ai singoli individui operanti quali organi dello stesso in attuazione della missione internazionale antipirateria.

Quando l’individuo nella sua funzione realizza condotte che possano avere rilievo penale, senza aver ecceduto nell’uso dei suoi poteri, ma, come apparentemente avvenuto nel caso in esame, in funzione di legittima difesa, le azioni sono da ritenere riferibili ed imputabili esclusivamente allo Stato della cui organizzazione il singolo fa parte.

Ne dovrebbe conseguire quindi esclusivamente la responsabilità internazionale dello Stato e non del singolo agente, con conseguente difetto di giurisdizione dello Stato Indiano nel caso in esame nei confronti di Latorre e Girone, proprio perché gli atti oggetto di contrasto e contestazione non sono agli stessi direttamente imputabili.

In tal senso occorre considerare, come già evidenziato da molti commentatori come i due fucilieri italiani rendano possibile nel loro ruolo lo svolgimento di attività direttamente riferibile alla Repubblica Italiana, coordinata e diretta dal Ministero della Difesa e in ambito di ingaggio determinato proprio dalla amministrazione di provenienza.

La circostanza che il singolo armatore privato nell’ambito della convenzione contratta con la amministrazione italiana provveda a rimborsare allo Stato le spese per l’impiego dei militari (senza alcuna forma di dipendenza economica diretta dall’armatore), così come la decisione riferibile solo ed esclusivamente al capitano della nave in ordine alla rotta da seguire, non esclude o interrompe il legame e la diretta imputabilità della azione dei militari allo Stato Italiano.

Permane comunque e sempre un potere di organizzazione e direzione dell’attività del personale militare imbarcato da parte della amministrazione statale (come dimostrano anche i documenti allegati e richiamati nella sentenza della Corte Suprema Indiana che evidenziano come il dirigente di riferimento in sede di amministrazione della difesa nulla abbia osservato, né si sia opposto alla decisione del comandante della Enrica Lexie di rientrare nel porto di Kochi).

Permane dunque la chiara funzione di protezione delle navi battenti bandiera italiana in transito in spazi marittimi internazionali a rischio pirateria e la natura ufficiale delle attività in concreto poste in essere da Latorre e Girone in data 15.2.2012.

In tal senso si deve sottolineare come la protezione di imbarcazioni italiane e di persone sulle stesse presenti, anche private, rappresenta una finalità pubblica della attività dello Stato.

E la modalità di realizzazione di tale funzione mediante i NMP rappresenta anche per lo Stato una forma di razionalizzazione della propria attività e di conseguente risparmio di spesa (evitando che tali mezzi privati siano seguiti da imbarcazioni della Marina italiana in funzione di protezione da atti di pirateria).

E tale attività si deve ritenere regolarmente consentita dall’India ai sensi dell’art. 58 della Convenzione UNCLOS ( libertà di navigazione e di sorvolo per tutti gli Stati previsti dall’art. 87 per l’alto mare) nell’ambito del quale nessuna distinzione è formulata tra navi civili e navi militari (unica esclusione deve invece essere ritenuta la conduzione di operazioni militari vere e proprie non concordate previamente), nonchè ai sensi dell’art. 105 della predetta Convenzione che autorizza i diversi Stati alla realizzazione di attività di protezione antipirateria ( anche mediante l’uso della forza) nella zona economica esclusiva che per le sue caratteristiche non risulta appunto sottoposta direttamente allo sovranità di alcuno stato.

Infine occorre rilevare come certo ed ulteriore elemento di fatto da valutare sia la considerazione di un eventuale eccesso dei due militari nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche, tanto da poter ritenere superato l’ambito della immunità funzionale.

In concreto si tratterà dunque di verificare se i due fucilieri italiani abbiano ecceduto rispetto al loro mandato, anche se gli elementi sinora ritenuti (imbarcazione non identificata, che non ha mutato la propria rotta nonostante i previ avvertimenti in tal senso dati) sembrano deporre decisamente in senso contrario.

L’eventuale accertamento della effettiva ricorrenza del dato della immunità funzionale dei due militari italiani non  può che portare alla esclusione della giurisdizione indiana.

 

La diversa visione degli Stati coinvolti, le questioni aperte in vista della costituzione del Tribunale arbitrale.

Preliminarmente appare opportuno richiamare la disciplina degli spazi marini nel mare internazionale ricordando che secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare:

- il mare territoriale può estendersi sino ad un limite di 12 miglia marine dalla costa  (con piena giurisdizione dello stato costiero di riferimento);

- la zona contigua può estendersi sino ad un limite di 24 miglia marine dalla linea di base di misurazione della larghezza  del mare territoriale  (in questo ambito lo stato costiero può agire pienamente per prevenire o reprimere le attività  a carattere illecito poste in essere nel mare territoriale  da persone che in sostanza si stiano dando alla fuga);  la analisi dell’art. 33 della Convenzione determina dunque che non ricorrendo una diretta riferibilità a questa zona della disciplina del mare territoriale non si può ritenere ricorrente una giurisdizione esclusiva dello stato costiero di riferimento;

- la zona economica esclusiva può estendersi sino a 200 miglia marine e lo stato costiero di riferimento risulta titolare di diritti di sovranità a carattere esclusivo solo con riferimento a specifiche attività relative allo sfruttamento e conservazione o gestione delle risorse naturali presenti nel mare ( dunque diritti e giurisdizione relativi allo sfruttamento economico della zona senza alcun riferimento alla ricorrenza di giurisdizione penale per fatti costituenti reato).

Ciò posto occorre ricordare come lo Stato Italiano abbia richiamato la applicabilità al caso in esame della disciplina di cui all’art. 97 della Convenzione UNCLOS, ove si stabilisce come in caso di incidente di navigazione o in caso di abbordo ricorre la giurisdizione dello stato di bandiera dell’equipaggio che ha commesso il fatto o dello stato di cittadinanza dei responsabili, che nel caso in esame sarebbe sempre da identificare nello Stato Italiano.

Tuttavia, già dalla sentenza della Corte Suprema Indiana è emerso il profilo problematico e ostativo alla applicazione di tale previsione.

Ovvero la difficoltà oggettiva a ricondurre nel concetto di “ incidente di navigazione” i fatti occorsi in data 15.2.2012.

Ulteriore norma richiamata quanto alla identificazione della giurisdizione dello Stato Italiano è l’art. 92 della Convenzione UNCLOS, ovvero la giurisdizione in generale dello stato di bandiera, e dunque la sottoposizione della nave in caso di realizzazione di fatti costituenti reato alla giurisdizione dello stato di riferimento, unico competente a giudicarne in caso di condotte realizzate in alto mare.

In questo caso due diverse nazionalità possono affermare la ricorrenza della propria giurisdizione e in mancanza di diretti principi di diritto internazionale applicabili a casi simili ci si è normalmente riferiti a quanto elaborato dalla Corte permanente di giustizia internazionale nel famoso caso “Lotus” ( collisione di due vascelli battenti diversa bandiera, concorso legittimo di due diverse giurisdizioni in considerazione degli effetti pregiudizievoli conseguenti al fatto illecito, conseguente prevalenza della giurisdizione dello Stato sul cui natante si siano verificati i maggiori effetti pregiudizievoli della condotta).

Il Governo indiano ha invece da sempre sostenuto la propria giurisdizione esclusiva sia richiamando la nazionalità dei cittadini deceduti, che ritenendo in applicazione della section 118 A del codice di procedura penale indiano la estensione della sovranità territoriale dell’India alla intera area della zona economica esclusiva (nella quale di fatto si sarebbe realizzato il fatto).

È dunque stata esclusa qualsiasi possibilità di applicazione della Convenzione di Montego Bay, e l’atteggiamento di scarsa cooperazione con le autorità italiane evidenzia in tutta la sua portata la forza della posizione espressa dal Governo Indiano del Kerala.

Questa posizione è stata tuttavia smentita dalla Corte Suprema Indiana, che ha ritenuto provata la realizzazione della condotta in area contigua compresa in zona economica esclusiva, con esclusione di una giurisdizione esclusiva dello Stato Indiano (solo diritti sovrani collegati come già detto allo sfruttamento economico dell’area).

Conseguentemente è stata ritenuta la incompetenza della autorità del Kerala e la illegittimità dell’arresto di Latorre e Girone, ma tuttavia la parziale coincidenza della zona contigua e della zona economica esclusiva  ha determinato a parere della Corte Suprema Indiana la possibilità di esercitare la giurisdizione penale per perseguire i responsabili della morte di due cittadini indiani secondo il sistema nazionale penale da ritenersi prevalente.

Da questa valutazione è conseguita la conclusione della Corte Suprema Indiana di giungere alla costituzione di un Tribunale Speciale non meglio specificato nella sua portata e caratteristiche.

Il ricorso da parte dello Stato italiano alla procedura arbitrale e la richiesta di misure provvisorie ha di fatto impedito in applicazione del dispositivo del 24.8.2015 la costituzione di questo Tribunale Speciale e la prosecuzione di procedimenti a carico dei due fucilieri italiani in India, mentre dovranno essere rimesse le diverse interpretazioni al Tribunale arbitrale, tra le quali si deve ritenere del tutto prioritaria quella relativa alla ricorrenza o meno in capo a Latorre e Girone della immunità funzionale.

Permane tuttavia la considerazione della profonda restrizione dei diritti fondamentali e della libertà personale dei due militari italiani, e la reazione forse non troppo decisa del Governo italiano che, a prescindere dalla soluzione politica in concreto perseguita, non poteva non tenere conto del fatto che i due militari italiani risultavano destinatari di imputazioni sanzionate  anche con la pena di morte e dunque in contrasto sia con i principi fondamentali della nostra Costituzione che della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, evitando quindi il rientro degli stessi in India.

 

NOTA BIBLIOGRAFICA ESSENZIALE

N.Ronzitti, osservatorio di politica internazionale n. 48/2014,

Marina Castellaneta, http://www.marinacastellaneta.it/blog/accordo-tra-italia-e-india-sul-trasferimento-delle-persone condannate.html e http://www.marinacastellaneta.it/blog/i-militari-italiani-restano-in-india-lo-ha-deciso-la-corte-suprema-indiana.html, SIDI Blog, Roberto Virzo Università degli studi del Salento, Sidi Blog Massimo Lando University of Cambridge, Diritto Penale contemporaneo Paolo Buscoe Filippo Fontanelli.

A. Cassese , Diritto internazionale, Bologna 2006;

F.Licata, Diritto Penale Contemporaneo, Diritto internazionale, immunità, questioni aperte nel caso Marò;

M. Castellaneta, la Sentenza resta un enigma per il diritto internazionale, Il Sole 24 ore 19.1.2013;

L.Salamone, diritto marittimo 2012, riflessioni sul caso della Enrica Lexie;

C. Curti Giardino, il caso dei fucilieri italiani in India, una caporetto diplomatica, politica e giudiziaria, in federalismi.it

 

 

23/09/2015
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