Magistratura democratica
Diritti senza confini

COI e protezione sussidiaria. Il difficile equilibrio tra oneri di allegazione e doveri di cooperazione istruttoria ufficiosa

di Gualtiero Michelini
consigliere della Corte di cassazione

Riflessioni a margine della più recente evoluzione della giurisprudenza di legittimità

1. Definita, in un certo senso, per esclusione[1], la protezione sussidiaria di cui all’art. 14 lett. c) d. lgs. n. 251/2007 (di attuazione della c.d. Direttiva qualifiche) ha acquisito nella pratica un ruolo centrale nel sistema della protezione internazionale, per la sua natura squisitamente oggettiva e collegata a fattori, in ultima analisi, esterni alla valutazione di credibilità e con caratteristiche evolutive. 

In questo senso, un ruolo estremamente delicato svolge l’utilizzo delle COI – Country of Origin Information, ossia di quelle «informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati», elaborate sulla base dei dati raccolti da UNHCR, EASO (ora EUAA), MAECI ed «altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale» o comunque acquisite, in base alle quali ciascuna domanda di protezione internazionale è esaminata a norma dell'art. 8 d.lgs. n. 25/2008 (di attuazione della c.d. Direttiva procedure).

La specificità del danno grave di cui alla lett. c) risiede nella derivazione della minaccia grave e individuale alla vita o all'incolumità del richiedente dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, senza nesso necessario con il comportamento (e, talvolta, con il narrato, fermo il principio della domanda) del richiedente la protezione internazionale.

 

2. In un simile quadro normativo, il giudice della protezione internazionale si deve avvalere di informazioni di natura geopolitica (con l'ausilio degli esperti EUAA presso le Sezioni specializzate), secondo uno schema procedimentalizzato[2]; e queste informazioni devono essere attuali, perché l'art. 4 d.lgs. n. 251/2007 dà rilievo alla c.d. protezione sur place[3], ossia agli avvenimenti verificatasi dopo la partenza del richiedente dal suo Paese di origine, ed attualizzate, perché, al contrario, una situazione di conflitto può, nel periodo tra la partenza del richiedente, l’arrivo in Europa. l'esame della domanda di protezione internazionale in sede amministrativa e giudiziale, essersi risolta o modificata o comunque evoluta; tutto questo in un contesto (anche) di conflitti dimenticati e conflitti a bassa intensità[4], nonché di estrema complessità di popolosi paesi di origine di richiedenti asilo in Italia e comunque di emigrazione (ad esempio, Nigeria, Bangladesh Pakistan, Cina, tra quelli trattati dai Tribunali italiani)[5].

 

3. La Corte di Giustizia UE, nella nota sentenza Diakité[6], ha fornito una nozione pragmatica e svincolata dal diritto umanitario della nozione di conflitto armato rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 15, lett. c), della cd. Direttiva qualifiche (trasfuso nell’art. 14, lett. c), d. lgs. n. 121/2007).

Ha spiegato che il danno definito dalla direttiva è costituito da una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, e che, quindi, «il legislatore dell’Unione ha auspicato concedere la protezione sussidiaria non soltanto in caso di conflitto armato internazionale e di conflitto armato che non presenta carattere internazionale, così come definiti dal diritto internazionale umanitario, ma, altresì, in caso di conflitto armato interno, purché tale conflitto sia caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata», perché il diritto internazionale umanitario ed il regime della protezione sussidiaria previsto dalla direttiva perseguono scopi diversi e istituiscono meccanismi di protezione chiaramente separati.

Con la conseguenza che, in assenza di definizione, all’interno della direttiva, della nozione di conflitto armato interno, il significato e la portata di questi termini devono essere stabiliti «sulla base del loro significato abituale nel linguaggio corrente, prendendo in considerazione il contesto nel quale sono utilizzati e gli obiettivi perseguiti dalla normativa in cui sono richiamati». 

Siccome nel suo significato abituale nel linguaggio corrente, la nozione di conflitto armato interno si riferisce ad una situazione in cui le forze governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati o nella quale due o più gruppi armati si scontrano tra loro, e siccome nella proposta della Commissione la definizione di danno grave comprendeva anche l’ambito di violazioni sistematiche o generalizzate dei diritti dell’uomo, ambito, però, non codificato dal legislatore dell’Unione, «l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria … a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia»; «tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria».

 

4. Un simile accertamento del grado di violenza indiscriminata del conflitto armato interno di livello elevato si deve evidentemente fondare su COI pertinenti ed aggiornate, oltre che accurate e localizzate; e si tratta di un’allegazione frequente, proprio perché sono numerosi i conflitti sottesi alle richieste di protezione internazionale.

In questo senso è consolidata la giurisprudenza di legittimità, quando spiega che il riferimento, operato dall'art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008 alle «fonti informative privilegiate», deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell'informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione[7]; a tal fine, il giudice di merito è tenuto ad indicare l'autorità o ente dalla quale la fonte consultata proviene e la data o l'anno di pubblicazione, in modo da assicurare la verifica del rispetto dei requisiti di precisione e aggiornamento previsti dalla legge, che sono garantiti anche dalla specifica provenienza delle COI indicate in detta disposizione; ed il dovere di cooperazione istruttoria si conforma in maniera assolutamente pregnante ove si controverta di riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi dell'art. 14, lett. c), d.lgs. n. 251 del 2007, essendo dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione, se la situazione di esposizione a pericolo per l'incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione[8]

 

5. Del resto, le informazioni relative alla situazione esistente nel paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria che il giudice di merito trae dalle COI o dalle altre fonti informative liberamente consultabili attraverso i canali informatici vanno considerate, in ragione della capillarità della loro diffusione e della facile accessibilità per la pluralità di consociati, alla stregua del fatto notorio[9], sicché il dovere di cooperazione istruttoria impone di utilizzare, ai fini della decisione, COI ed altre informazioni relative alla condizione interna del paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero della specifica area di esso, che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area, soprattutto in relazione ad eventi di pubblico dominio, la cui mancata considerazione costituisce, in funzione della loro oggettiva notorietà, violazione di legge, soprattutto in relazione a paesi connotati da forte instabilità politica e da tensioni e conflitti anche armati e violenti fra i vari gruppi di diversa etnia e religione presenti sul territorio nazionale. 

 

6. Anche il contraddittorio sulle COI ha regole che devono essere integrate con l’assunzione anche officiosa di esse: se le COI sono assunte d'ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non suffragato dall'indicazione di pertinenti informazioni relative alla situazione del Paese di origine, non lede il diritto di difesa di quest'ultimo l’omessa sottoposizione a contraddittorio, poiché in tal caso l'attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell'inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il giudice renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l'eventuale critica in sede di impugnazione; invece, sussiste una violazione del diritto di difesa quando il richiedente abbia esplicitamente indicato specifiche COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto, senza prima sottoporle al contraddittorio.[10]

 

7. Di recente, la Corte di Cassazione sembra avere approfondito la ricerca di un punto di equilibrio tra gli oneri di allegazione (tipicamente civilistici) ed il marcato dovere di cooperazione istruttoria di cui è responsabile il giudice della protezione internazionale. 

Si è così affermato[11] che solo in presenza dell'adempimento da parte del richiedente dell'onere di allegazione pertinente e specifica in ordine alla sussistenza della situazione di cui all'art. 14, lett. c), d.lgs. 251 del 2007 sorge il dovere del giudice di svolgere un ruolo attivo nell'istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali; ed anche che[12] la violazione del dovere di cooperazione istruttoria gravante sul giudice, in caso di difetto totale di accertamento istruttorio ufficioso sulla situazione di cui all'art. 14, lett. c), del d.lgs. n. 251 del 2007, è ravvisabile laddove nessuna fonte informativa sia stata indicata dal giudice, oppure sia stata indicata in modo del tutto inidoneo ad individuarla, purché le circostanze fattuali in ordine alle quali è lamentata l'omessa cooperazione siano state ritualmente dedotte nel giudizio; e che non è necessaria da parte del ricorrente l'indicazione di informazioni alternative relativamente alla situazione del Paese d'origine, quale requisito di ammissibilità dell’impugnazione, perché sussiste il pregiudizio del diritto all'effettività della difesa e del ricorso, garantita mediante l'attività officiosa di ricerca di informazioni pertinenti ed aggiornate e mediante il loro esplicito inserimento nel percorso logico della motivazione.

Sul collegamento tra le diverse ipotesi di protezione sussidiaria, è stato escluso un difetto di cooperazione istruttoria con riferimento all'allegazione di fatti persecutori o a un rischio di danno grave "individualizzato" di cui all'art. 14, lett. a) e b), d.lgs. 251 del 2007, una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione, con conseguente non necessità di controllo della credibilità estrinseca. 

 

8. Le problematiche di precisa definizione del confine tra onere di allegazione e dovere ufficioso di cooperazione istruttoria derivano (oltre che dalla natura del giudizio di Cassazione come giudizio a critica vincolata) dall'abolizione del grado di appello[13] in questa materia, con le conseguenti difficoltà concettuali e quantitative. 

Ai fini dell’ammissibilità del ricorso in Cassazione occorre distinguere tra omessa indicazione di COI nel provvedimento, che comunque ne rappresenta un vizio motivazionale censurabile, e necessità di critica, anche con allegazione di COI alternative nell’impugnazione, quando adeguiate COI siano incorporate nel provvedimento di merito; ciò risponde ad esigenze di coerenza del sistema (comunque civilistico). 

La particolarità della ricerca, dell’ostensione e dell’attualizzazione delle COI in materia di protezione sussidiaria per minaccia grave in situazioni di conflitto armato sta, piuttosto, nel fatto che tali situazioni (di conflitto e di correlata minaccia) appaiono del tutto estranee a possibilità di controllo delle parti, e quindi sganciate da giudizi di credibilità o meno del narrato e limiti di allegazione (purché contenute nella domanda), e sono ancorate alla tempistica della decisione ed all’aggiornamento delle COI rilevanti. 

Rimane così immanente il problema della qualità delle COI, quali informazioni sui paesi di origine o di transito usate nelle procedure per la valutazione individuale delle domande di protezione internazionale, con aspetti socio-economici, legali, politici, di sicurezza, sanitari e umanitari, la cui qualità dipende dalla qualità delle fonti; il che rende ancora più urgente, necessaria e preziosa l’elaborazione di standard di qualità per la validazione o comunque l’utilizzazione critica e consapevole delle informazioni, da operarsi a livello europeo[14] o di agenzie del sistema delle Nazioni Unite. 


 
[1] La rubrica del testo di legge si riferisce a norme minime sull'attribuzione a cittadini di Paesi terzi della qualifica di rifugiato o di «persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale»; l'art. 2, lett. g), qualifica come persona ammissibile alla protezione sussidiaria «il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato», ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno.

[2] Cass. n. 26921/2017 e successive conformi.

[3] Paradigmatica in questo senso la pronuncia del Tribunale di Genova 22/4/2022, segnalata nel Case Law Database di EUAA nei seguenti termini: «IT: The Genova Tribunal provided subsidiary protection to an applicant from Ukraine. - The applicant, a national of Ukraine, requested international protection in Italy, where she arrived in 2016 from Odessa as an economic migrant to work in Italy due to insufficient income in Ukraine. Her request was rejected on 26 September 2019 by the Territorial Commission of Turin. On appeal, the Genova Tribunal recognized subsidiary protection focusing on recent events, from the day Russian troops invaded Ukraine. The court noted that while at the time of the request for international protection the reasons invoked by the applicant were exclusively economic, given the armed conflict in Ukraine, subsidiary protection must be granted as the applicant, in the event of return, would suffer a serious and individual threat to life due to indiscriminate violence in a situation of armed conflict». https://caselaw.euaa.europa.eu/pages/viewcaselaw.aspx?CaseLawID=2540   

[4] Leonard Smith, Il secolo della guerra perpetua a bassa intensità, in Domani – Scenari, 21 ottobre 2022.

[5] Sulla specificità dell’acquisizione delle COI in tema di rischio di cui all’art. 14, lett. c), d.lgs. n. 251/2007, v., in questa Rivista, Rita Russo, L’acquisizione delle “country of origin information”, 15/10/2020, https://www.questionegiustizia.it/articolo/l-acquisizione-delle-country-of-origin-information

[6] Sentenza del 30 gennaio 2014 in causa C- 285/12, punti 17-35.

[7] Ad es. Cass. n. 29260/2020, n. 13255/2020; n. 9230/2020, n. 13897/2019, n. 13449/2019 e pronunce conformi.

[8] V. Cass. n. 15805/2022, n. 10125/2022, n. 7055/2022, n. 6797/2022, n. 1856/2022, n. 37842/2021, n. 37004/2020, n. 14862/2021, n. 15215/2020, n. 28990/2018, n. 17075/2018, n. 17069/2018, n. 9427/2018.

[9] Come chiarito da Cass. n. 15215/2020.

[10] Cass. n. 26121/2022.

[11] Cass. n. 25500/2022.

[12] Cass. n. 25440/2022.

[13] Peraltro, nel linguaggio EUAA (v. sopra, nota 3), ed anche dei richiedenti asilo anglofoni, “appeal” è il ricorso al Tribunale contro la decisione della Commissione territoriale.

[14] Tematica affrontata nella pubblicazione EASO, Practical guide on the use of country of origin information by case officers for the examination of asylum applications, 2020.

21/11/2022
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