Magistratura democratica
Diritti senza confini

Le "nuove" disposizioni in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri: il vecchio che avanza

di Marco Paggi
avvocato in Padova

Dall’esame critico del decreto legge n.20 del 10 marzo scorso emerge in particolare il carattere poco o nulla innovativo delle disposizioni che modificano alcune disposizioni del Testo unico sull’immigrazione in materia di governo dei flussi migratori legali; di scarso impatto, inoltre, la portata pratica effettiva delle nuove misure di semplificazione delle procedure di ingresso

Sommario: 1. Immutato il caposaldo dei flussi migratori - 2. Dalla decretazione annuale alla decretazione triennale - 3. Il carattere voluttuario delle politiche di integrazione dei migranti - 4. Quote riservate alle campagne informative - 5. L’accertamento sulla carta della capacità economica - 6. La riduzione dei tempi di rilascio del nulla osta - 7. La difficile possibilità di lavorare in attesa di firmare il contratto di soggiorno - 8. Gli ingressi “fuori quota” - 9. La maggior durata dei permessi di soggiorno rinnovati - 10. Ingresso nel settore agricolo e contrasto alle agromafie – 11. Conclusioni.

 

1. Immutato il caposaldo dei flussi migratori

L'emanazione del decreto legge in esame è stata preceduta da dichiarazioni di intenti sulla volontà governativa di contrastare, da un lato, gli ingressi irregolari (a prescindere da quanto si possano intendere irregolari gli ingressi dei richiedenti protezione internazionale, indicati come la principale preoccupazione) e, dall'altro, di favorire gli ingressi regolari attraverso misure di semplificazione e nuove forme di ingresso per lavoro. Vediamo dunque qual è l'effettivo contenuto del Capo I°, dedicato alle nuove «disposizioni in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri», che vanno a modificare ed integrare il d.l.vo n. 286/98 aggiungendosi alle precedenti modifiche stratificatesi in questi 25 anni.

Anzitutto, rispetto al governo dei flussi migratori, resta intatto l'impianto normativo che pretende di imporre un improbabile incontro a distanza tra i datori di lavoro ed i potenziali candidati all'immigrazione, quando tutti sappiamo che si tratta di una sostanziale finzione (a meno di credere che un datore di lavoro assuma normalmente dall’estero una persona che non ha mai incontrato e che non sa se e quando arriverà)[1], senza contare che ciò comporta una lunghissima gestione burocratica intollerabile per qualsiasi datore di lavoro; inoltre, resta non solo confermata ma persino complicata, con le specifiche disposizioni del D.P.C.M. 29.12.2022 di programmazione dei flussi per il 2022, la condizione essenziale della "previa verifica di indisponibilità di manodopera presente sul mercato nazionale" di cui all'art.22 comma 2, verifica questa alquanto inutile e farraginosa per gli stessi centri per l’impiego, che di fatto la stanno disapplicando[2]

 

2. Dalla decretazione annuale alla decretazione triennale

La "novità" sarebbe invece che le quote di stranieri da ammettere in Italia per lavoro subordinato saranno definite, non più solo per un anno bensì per un triennio (o quantomeno per il triennio 2023-2025), sempre con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e previa consultazione delle Commissioni parlamentari competenti e di una serie di organismi pubblici e privati[3]. Inoltre, viene espressamente prevista la possibilità, «qualora se ne ravvisi l'opportunità», di emanare ulteriori decreti nel corso del triennio; tale possibilità era in realtà già prevista, sia pure su base annuale, dall'art.3 del d.l.vo n. 286/98 (che non viene modificato di una virgola dal decreto legge ma solo integrato), ma poteva essere esercitata solo «entro il limite delle quote (annuali) predette», sicché era possibile in corso d'anno emanare ulteriori decreti stanziando un numero non superiore a quello già precedentemente stanziato col primo decreto. Ora, gli ulteriori decreti nel corso del triennio potranno teoricamente stanziare ulteriori quote senza il rispetto di detto limite quantitativo, dovendo tuttavia essere adottati nel rispetto delle previste consultazioni di cui sopra, che richiedono tempi notoriamente lunghi per essere compiute (a prescindere da quanto poi il governo le prenda più o meno in considerazione). Tuttavia, resta parimenti in vigore quanto previsto nell'ultimo periodo dell'art.3, comma 4, del testo unico, che prevede la facoltà del Presidente del Consiglio dei ministri di definire in proprio le quote in via transitoria «in caso di mancata pubblicazione del decreto annuale». Ed è questa la norma che nella realtà è stata sistematicamente utilizzata, se si considera che dall'anno 2006 sino all'ultimo, emanato il 29 dicembre scorso, tutti i decreti che hanno stanziato le quote sono stati adottati con questa modalità «in via transitoria»; e non certo a caso, se si considera che la decretazione in via transitoria ha consentito in tutti questi anni di provvedere quantomeno con relativa celerità a stanziare le quote secondo il fabbisogno stimato (per lo più notevolmente sottostimato, vista la costante sproporzione tra il numero di domande ed i posti messi a disposizione)[4]; ciò proprio grazie alla possibilità di bypassare le previste consultazioni che altrimenti imporrebbe (ed impone tuttora) la legge qualora si seguisse la procedura che dovrebbe essere ordinaria (mentre ordinaria è diventata di fatto la procedura transitoria). Vien da chiedersi quindi se, a fronte della nuova decretazione triennale, potrà ancora ritenersi vigente e legittimo l'eventuale esercizio della decretazione in via transitoria da parte del solo Presidente del Consiglio dei ministri, poiché se ciò non fosse vorrebbe dire che -ogni qual volta se ne ravvisi l'opportunità e si vogliano stanziare ulteriori quote di ingresso- ciò comporterebbe la necessità di avviare il lentissimo meccanismo delle consultazioni, che ora è testualmente imposto dall'art. 1 del decreto legge anche per gli ulteriori decreti secondo la procedura di cui ai commi 2 e 3, con buona pace del mercato del lavoro in attesa delle quote. Naturalmente, vedremo se il testo della legge di conversione confermerà questa impostazione, ma qualora fosse da ritenere inibita la possibilità di decretazione in via transitoria sarebbe un bel problema, perché la necessità di procedere in ogni caso alle previste consultazioni (senza decretazione transitoria) andrebbe evidentemente a rallentare, se non anche ad impedire, lo stanziamento di quote di ingresso.

 

3. Il carattere voluttuario delle politiche di integrazione dei migranti

Si potrebbe dire che la scelta legislativa sopra descritta sia improntata alla volontà di rispettare il meccanismo democratico delle ampie (persino pletoriche) consultazioni, ma ciò non sembra affatto se si considera invece che -a differenza delle predette consultazioni in sede di stanziamento delle quote, pressoché inutili se non anche controproducenti- il decreto legge in esame mostra di non tenere in alcuna considerazione le consultazioni ben più rilevanti in tema di elaborazione (non già delle quote, bensì) delle politiche migratorie nel senso più ampio e "politico" del termine. Va infatti notato che questa specie di restyling della "programmazione dei flussi" non viene introdotta disponendo una correlativa abrogazione, nemmeno parziale, del testo previgente dell'art. 3, contenente specifiche disposizioni sulle politiche migratorie del governo, bensì dichiarando che la decretazione triennale come sopra definita avverrà per il triennio 2023-2025 in deroga alle disposizioni dell'art.3. 

In pratica, sotto il profilo della programmazione dei flussi nulla cambia nella sostanza (a parte l'eventuale intralcio dovuto alle complesse consultazioni di cui si è detto sopra): il governo stanzierà con la stessa discrezionalità di prima le quote di ingresso ma su base triennale, con facoltà di emanare ulteriori decreti, e lo potrà fare in deroga all'art.3, ancorché esso rimanga paradossalmente in vigore nella sua interezza. Il che vuol dire semplicemente che si dichiara per legge di voler omettere l'adozione del documento programmatico delle politiche migratorie di cui ai commi 1, 2 e 3 dello stesso art.3. Ed è questa semmai la vera novità. Infatti, sebbene sia giusto ricordare che tale documento non è stato mai più adottato dal 2005[5] da alcuno dei governi succedutisi sino ad oggi, la deroga ora espressamente disposta alla sua emanazione non è comunque neutra, se si considera che detto documento programmatico dovrebbe (o avrebbe dovuto) approvare una serie di azioni ed interventi pubblici, anche nell'ambito delle attribuzioni degli enti locali e nelle materie che non debbono essere disciplinate dalla legge, volti a favorire le relazioni familiari, l'inserimento sociale e l'integrazione socio-culturale degli stranieri residenti in Italia. E' poi evidente che le consultazioni con le parti istituzionali e sociali costituiscono (o costituirebbero) un presupposto fondamentale per l'elaborazione triennale delle politiche di integrazione, mentre invece rappresentano un fardello troppo pesante per poter giungere rapidamente - quando se ne ravvisi l'opportunità - alla determinazione nel più breve periodo di quote di ingresso rispondenti al fabbisogno del mercato del lavoro. Ora le consultazioni sembrano essere imposte per ogni singolo stanziamento di quote, con conseguenze inevitabili sulla tempistica, che sembrano più un ostacolo che una risposta alla domanda del mercato del lavoro, ma soprattutto non si occuperanno di politiche di integrazione bensì, va sottolineato, solo di numeri divisi per settori di impiego e paesi di provenienza. Per converso, le politiche dell'integrazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art.3, che meritano certamente un ampio dibattito e le consultazioni del caso ivi previste, continuano a far parte della voluntas legis ma solo formalmente, poiché una norma ad hoc (nemmeno inserita organicamente nel testo unico) le dichiara ora, in buona sostanza, ufficialmente superflue. Difficile non pensare che in altre parole si sia voluto dire: solo braccia, non persone. 

 

4. Quote riservate alle campagne informative

Per quanto attiene la composizione delle quote resta confermata la scelta normativa di riservare parte rilevante delle quote ai cittadini di Stati che cooperano nel contrasto alle migrazioni irregolari, dal momento che il relativo art. 21 del testo unico non ha subito alcun intervento modificativo, tuttavia all'art.1, comma 5 del decreto legge si introduce un secondo criterio preferenziale (che non si comprende se concorrerà o varrà in via prioritaria rispetto al primo anzidetto), secondo cui le quote saranno assegnate in via preferenziale ai lavoratori di Stati che promuovono per i propri cittadini campagne mediatiche sui rischi per l'incolumità personale derivanti dall'inserimento in traffici migratori irregolari. Come se i candidati all'immigrazione irregolare (o alla richiesta di protezione internazionale) non sapessero nulla di questi pericoli ed avessero bisogno di informarsi con qualche spot promozionale...[6] 

 

5. L’accertamento sulla carta della capacità economica

L'art. 2 del decreto in esame reca invece le seguenti «misure di semplificazione e accelerazione delle procedure di rilascio del nulla osta al lavoro»: a) l'asseverazione a cura del datore di lavoro della congruità delle condizioni di lavoro offerte e della sua capacità economica; b) la teorica riduzione dei tempi di rilascio del nulla osta; c) la possibilità di lavorare regolarmente dopo il rilascio del nulla osta ma prima della convocazione per la formalizzazione del contratto di soggiorno. 

Tale asseverazione riguarda la verifica sulla congruità delle condizioni di lavoro e sulla capacità finanziaria delle imprese di far fronte regolarmente al costo del lavoro; essa va a sostituire la corrispondente verifica sinora demandata allo sportello unico per l'immigrazione istituito presso ciascuna prefettura (d'ora in avanti SUI) in base all'art.30 bis, comma 8, del regolamento di attuazione di cui al d.P.R. 394/99. Si tratta di uno strumento che era già stato introdotto con identica disposizione dall'art 44 del DL 21/6/2022 n.73 che non aveva mancato di suscitare immediate preoccupazioni tra i consulenti del lavoro che generalmente assistono le imprese nell'amministrazione del personale ed ovviamente anche per queste procedure. Per l'appunto, pur essendo dichiarata salva la possibilità di eventuali interventi ispettivi "a campione" dell'ITL, lo Stato abdica così ad un controllo tipicamente istituzionale, demandando sostanzialmente in via esclusiva ai consulenti ed alle associazioni datoriali di categoria di asseverare in particolare, oltre alle condizioni contrattuali di lavoro (che sulla carta vanno sempre bene), la capacità finanziaria del datore di lavoro in relazione alle previste assunzioni, salvo ammettere l’esenzione da detta asseverazione in favore delle istanze presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che avranno sottoscritto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito protocollo di intesa (da cui dovrebbe scaturire una incondizionata quanto astratta affidabilità delle pratiche). 

Da quando esiste il nulla osta all'ingresso per lavoro è sempre stato chiaro che la valutazione della capacità finanziaria del datore di lavoro serviva per evitare il frequente utilizzo abusivo delle quote da parte di aziende evanescenti o prestanome, finalizzato a realizzare diverse forme di smuggling, sfruttamento o vera e propria tratta a scopo di sfruttamento, specialmente nel comparto agricolo. Il fatto, in sé notorio, che sinora tale tipo di "filtro" - rimesso ad una valutazione discrezionale degli uffici - non abbia funzionato, si deve non solo alla cronica carenza di personale dedicato alle procedure del caso, ma forse anche alla mancanza di una fattiva volontà di prevenire e reprimere questi fenomeni. Semmai, una più genuina volontà di contrasto allo sfruttamento (oltre che alle evasioni fiscali e contributive) avrebbe potuto essere dimostrata rendendo operativo l'incrocio automatico dei nulla osta per lavoro agricolo stagionale con i dati INPS sulle giornate di lavoro che poi vengono ufficialmente dichiarate dalle stesse aziende, prescrivendo ispezioni mirate verso le aziende che ne dichiarano una quantità infima rispetto alle lavorazioni da svolgere ed alle risorse umane ingaggiate, inibendo il rilascio di ulteriori nulla osta. 

Ma anche a prescindere da tali considerazioni, va detto chiaramente che ora non si tratta di una semplice devoluzione di funzioni, poiché è evidente che la configurazione di tale asseverazione trasforma radicalmente il contenuto oggettivo della verifica ed il suo valore sostanziale, riducendola ad un adempimento formale palesemente inadeguato rispetto allo scopo di prevenire l'utilizzo illecito delle quote e lo sfruttamento del lavoro. Per l'appunto, anche volendo tralasciare il pericoloso conflitto di interessi che non mancherebbe di insinuarsi nel rapporto fiduciario tra cliente e consulente (o con l'associazione di appartenenza), non disponendo il consulente di poteri ispettivi né di alcuna legittimazione a pretendere l'ispezione di luoghi e/o documenti aziendali, la verifica non potrà che essere effettuata sul piano strettamente formale, ovvero su ciò che risulta dalla documentazione aziendale soggetta a tenuta obbligatoria (registri, bilanci), che difficilmente consente una visione attendibile ed aggiornata. Ad esempio, se esaminassimo oggi l'ultimo bilancio disponibile di un’impresa dovremmo limitarci a considerare - a prescindere dall'attendibilità intrinseca di un bilancio - la situazione dell'esercizio 2021 ed oggi potremmo essere in presenza di un'impresa che ancora "respira" ma è nei fatti decotta; per converso, un'impresa appena costituita con solidi investimenti si presenterebbe come formalmente inconsistente perché priva di alcun bilancio e carente di fatturato. Si tratta infatti di una valutazione in realtà estremamente complessa e soprattutto aleatoria in quanto condizionata da molteplici fattori che, una volta trasformata in un mero adempimento formale a seguito di tale devoluzione, si traduce in un banale scarico di responsabilità sui consulenti, ancora più gravoso se si considera che non sono stati adottati parametri o indicazioni di sorta cui attenersi al riguardo[7]. Col risultato fin troppo prevedibile che le imprese poco trasparenti non mancheranno di trovare la disponibilità di professionisti compiacenti, mentre i consulenti seri avranno comprensibili resistenze ad assumersi il rischio niente affatto teorico della relativa responsabilità (anche penale, in relazione al potenziale carattere mendace delle stesse). 

Il significato di questa scelta normativa sembra dunque palese: lo Stato rinuncia ai controlli che gli sono propri e li sostituisce con un simulacro di verifica, un pezzo di carta che in qualche modo chi vorrà potrà ottenere in ogni caso; che poi ciò possa produrre una effettiva semplificazione, ovvero una significativa riduzione dei tempi burocratici, sarà da vedere. 

 

6. La riduzione dei tempi di rilascio del nulla osta

Passando all'esame delle "nuove" misure asseritamente volte alla riduzione dei tempi di rilascio del nulla osta, non si può fare a meno di sottolineare anzitutto il loro carattere per nulla innovativo, se non anche velleitario: infatti, già il d.l. 21 giugno 2022 n.73[8] aveva disposto all'art.42, per il soli decreti per l'anno 2021, il rilascio del nulla osta in ogni caso nel termine di 30 giorni ed il successivo rilascio del visto di ingresso entro 20 giorni dalla domanda, come pure aveva disposto che il rilascio avrebbe dovuto avvenire pure in caso di mancato riscontro da parte delle questure alla richiesta di verifica di eventuali circostanze ostative. Ciò nonostante, la tempistica reale non ebbe purtroppo a sortire apprezzabili miglioramenti. L'unica novità è che ora il nulla osta dovrebbe essere rilasciato nel termine di 60 giorni anziché 30, ma sembra lecito temere che si tratti in ogni caso di un termine destinato a rimanere sulla carta, poiché è evidente sin d’ora, specie se si considera che il decreto legge reca nel suo ultimo articolo la classica clausola di invarianza finanziaria, che non essendo previsto un silenzio-assenso, la tempistica reale per il rilascio continuerà ad essere condizionata dalla immutata scarsità organizzativa e di risorse degli uffici preposti, basti pensare che sono ancora in corso di lavorazione le pratiche di regolarizzazione del 2020[9]. Analoghe considerazioni valgono a maggior ragione per quanto riguarda l'effettivo rispetto del termine di 20 giorni da parte delle ambasciate italiane (introdotto dal 3° comma dell’art.42 del D.L. 21.6.2022 n.73), essendo ben noto come - prima ancora della tempistica burocratica, per così dire, "interna" alle ambasciate - il primo problema sia già costituito dai diversi mesi di attesa per il primo accesso fisico, per il quale è imposto il "filtro" presso le agenzie private.

 

7. La difficile possibilità di lavorare in attesa di firmare il contratto di soggiorno

Una misura di effettiva semplificazione, ma come vedremo si tratta di una semplificazione al momento molto complicata, è invece da individuare nel nuovo comma 6 bis che viene inserito nell'art.22 del dlt.286/98, laddove si dispone che nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno il nulla osta consente lo svolgimento dell'attività lavorativa nel territorio nazionale. Con questa norma, di fatto, si riconosce quanto è da anni ben noto a tutti gli operatori, ovvero che i tempi di attesa per la convocazione presso il SUI e la contestuale sottoscrizione del contratto di soggiorno sono lunghissimi e non rimediabili, sicché buon senso vuole che nel frattempo i lavoratori possano almeno essere regolarmente assunti anziché lavorare in nero. Peccato che anche a tale riguardo la tecnica legislativa (e forse anche la conoscenza della materia) risulti carente, poiché la norma così formulata è sostanzialmente inutilizzabile, oltre che gravemente lacunosa. Infatti, si ignora che per formalizzare la comunicazione di assunzione UNILAV - per la quale non sono previste deroghe - serve il codice fiscale, la cui attribuzione è demandata al SUI che dovrà ancora rilasciarlo al momento della convocazione, distante nel tempo. Pure si ignora che per pagare gli stipendi serve un conto in banca e nelle more il lavoratore ancora privo non solo di un permesso di soggiorno ma anche della stessa domanda di rilascio del permesso di soggiorno - che viene "generata" sempre presso il SUI al momento della convocazione - non può aprirlo. Si trascura totalmente di considerare il lavoratore -oltre che come manodopera prontamente impiegabile, almeno in teoria - come soggetto titolare di diritti; sicché se da un lato si riconosce serenamente che dovrà attendere mesi e mesi, non si vuole sapere cosa potrà fare se nelle more perde il posto di lavoro e trova una nuova opportunità di assunzione (che viceversa non potrebbe perfezionare nemmeno in via provvisoria); come potrà iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale mentre sta già versando i contributi che gli danno titolo a pretenderne le prestazioni; come potrà stipulare un contratto di locazione (dovendo peraltro far constare la disponibilità di un alloggio ed almeno la richiesta di certificazione della sua idoneità al momento della convocazione presso il SUI). L'unica soluzione vera a questi problemi non può essere che l'immediato rilascio di un permesso di soggiorno, o quantomeno la declaratoria di provvisoria equipollenza a tutti gli effetti di legge del nulla osta al permesso di soggiorno, nelle more degli adempimenti demandati al SUI e alla questura. 

Se poi si volesse veramente ragionare di semplificazione delle procedure, bisognerebbe riconoscere che buona parte delle risorse del SUI è assorbita dalla procedura di formalizzazione del contratto di soggiorno, che meriterebbe di essere serenamente abolita, a maggior ragione alla luce dell'esperienza maturata a oltre 20 anni dalla sua introduzione. Nonostante il riconosciuto dissesto dei SUI, è semplicemente mancato (ma non solo a questo governo) il coraggio di riconoscere ciò che é sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere, ovvero che il rituale della stipula del contratto di soggiorno non è mai servito a nulla, non ha garantito alloggi idonei a nessuno - men che meno che siano i datori di lavoro a reperirli per i propri dipendenti - né condizioni di lavoro diverse da quelle già previste col normale inoltro dell'UNILAV[10].

 

8. Gli ingressi “fuori quota”

Un'altra novità apparente è la previsione di particolari modalità di ingresso, definite con termine accattivante "fuori delle quote", nei confronti di coloro che avranno completato nel loro paese un corso di formazione professionale riconosciuto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali a seguito di appositi accordi con soggetti pubblici o privati operanti nei paesi di provenienza. Anche volendo tralasciare i fondati timori sulla possibile opacità di tali accordi, nonché della qualità effettiva della formazione e delle modalità concrete di ammissione ai corsi, non si può fare a meno di notare che si tratta di un mero restyling di quanto già previsto dall'art. 23 del d. l.vo n. 286/98, che ripropone, sia pure con l'aggiunta dell'insegnamento della lingua italiana, uno strumento di incontro a distanza tra domanda e offerta che non ha mai funzionato in tutto l'arco di vigenza del testo unico; e non già per mancanza di finanziamenti bensì per accertata indisponibilità dei datori di lavoro ad assumere a distanza confidando negli attestati di formazione (che per di più imporrebbero l'assunzione a livelli più elevati e quindi più costosi in ragione della qualifica astrattamente conseguita). Il fatto che fino ai nostri giorni siano state stanziate quote del tutto marginali per tale categoria deve attribuirsi infatti non tanto ad una scelta politica quanto al loro mancato utilizzo, non certo casuale. 

E' poi appena il caso di considerare che anche per questa categoria le quote ci saranno eccome, ma con l'unica differenza che non verranno determinate con decreto annuale o triennale bensì dagli accordi stipulati dal suddetto Ministero che determinando l'istituzione dei corsi determineranno altresì, sebbene in modo indiretto e meno trasparente, il numero di candidati all'ingresso "fuori delle quote".

 

9. La maggior durata dei permessi di soggiorno rinnovati

Quanto alla modifica della durata del permesso di soggiorno il decreto legge ha disposto all'art.4 la modifica dell'art. 5 del testo unico, introducendo la regola per cui, dopo il primo rilascio del permesso di soggiorno, «ciascun rinnovo non può superare la durata di tre anni»; lo scopo sembrerebbe quello di consentire, nel migliore dei casi, il più agevole raggiungimento del permesso a tempo indeterminato per lungosoggiornanti di cui all'art.9 del testo unico, qualora appunto il primo permesso fosse rilasciato per la durata massima prevista, non superiore a due anni, e quindi rinnovato per la durata non superiore a tre anni. Ma sappiamo che tale possibilità, stante la formulazione della norma, resta soggetta alla discrezionalità delle questure, che la spendono nella sua massima estensione temporale soltanto - ma non sempre - in favore dei lavoratori titolari di contratto a tempo indeterminato che non abbiano subito interruzioni della continuità lavorativa, pochi eletti in un mercato del lavoro in cui il contratto (o la somministrazione) a termine è ormai la norma, specialmente per i lavoratori migranti.

 

10. Ingresso nel settore agricolo e contrasto alle agromafie

Infine, l'art. 5, dedicato a «ingresso dei lavoratori del settore agricolo e contrasto alle agromafie», mette assieme due temi alquanto eterogenei: da un lato riconosce per i soli lavoratori stagionali nel settore agricolo (chissà perché non in altri settori di lavoro stagionale) per i quali non vi sia capienza nel decreto flussi per l'anno 2022 una priorità nell'utilizzo del successivo decreto (forse in vista dell'"imminente" decreto triennale), ferma restando la necessità di riproporre la domanda, con esenzione da un'ulteriore asseverazione sulla capacità economica; dall'altro prevede che «per proteggere il mercato nazionale dalle attività internazionali di contraffazione e criminalità agroalimentare, anche connesse ai flussi migratori irregolari», il personale già in forza all'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari ed inquadrato nell'area delle elevate professionalità e nell'area funzionari avrà la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria; il restante personale inquadrato nell'area assistenti e nell'area operatori sarà agente di polizia giudiziaria. Va bene, probabilmente è un limite dello scrivente non riuscire a comprendere quale rapporto vi sia tra la prevenzione e repressione della criminalità agroalimentare ed i flussi immigratori irregolari.

 

11. Conclusioni

In definitiva, nonostante le dichiarazioni di intenti, la parte sin qui commentata del decreto legge non contiene alcuna idea né soluzioni realmente innovative che favoriscano realmente gli ingressi regolari, sembra più che altro siano state adottate misure di apparente semplificazione, magari buone per chi non conosce il fenomeno migratorio e la sua disciplina normativa, comunque funzionali all'immagine di un governo che vuol far vedere di premiare benevolmente gli ingressi legali e di punire severamente chi pretende di entrare fuori dal meccanismo delle quote o di vedere riconosciuto un diritto di soggiorno (vedi ad es. protezione speciale) di fronte ad una disciplina legale dei flussi migratori che ben difficilmente può essere rispettata. Una sorta di politica del bastone e della carota, soltanto che il bastone c'è, eccome, mentre la carota è immangiabile.


 
[1] Vedi nota 4.

[2] Vedi al riguardo https://www.asgi.it/notizie/decreto-flussi-2023/: Al via le quote d’ingresso per il 2023. Un commento al Decreto Flussi.

[3] Tali consultazioni sono (o sarebbero) previste con una serie di enti più numerosa rispetto a quelli indicati all'art.3, comma 4: si aggiungono il CNEL, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e le associazioni dedite all'assistenza dei migranti.

[4] Il numero di domande sempre superiore ai posti disponibili non deve far pensare ad una propensione delle imprese e delle famiglie italiane ad assumere dall’estero persone verosimilmente sconosciute, poiché è risaputo l’esatto contrario: nessuno assume a distanza, salvo casi veramente particolari e rarefatti. Nella quasi totalità dei casi, infatti, eccezion fatta soltanto per una parte degli ingressi per lavoro stagionale, è notorio che le assunzioni con la procedura del decreto flussi sono state sempre utilizzate come una specie di sanatoria strisciante, quindi hanno riguardato persone che erano già presenti irregolarmente sul territorio e che per lo più già stavano lavorando necessariamente in nero. I veri “clienti” dei decreti flussi sono sempre state persone che hanno dovuto confidare nella buona volontà del datore di lavoro, quindi attendere per un tempo incalcolabile l’esito della procedura per poi recarsi all’ambasciata italiana nel loro paese per attendere il rilascio del visto e quindi rientrare in Italia dalla porta principale. Se questo é l’unico modo per avere un permesso di soggiorno è evidente che l’unico modo per ottenerlo presuppone un precedente ingresso e soggiorno irregolare.      

[5] L’ultimo documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, riguarda il triennio 2004-2006 (suppl. ord. G. Uff. 22 luglio 2005, n. 169).

[6] Si tratta di attività informative che peraltro sono già da tempo organizzate dall’O.I.M. ed in corso di svolgimento in molti paesi; al riguardo vedi : https://italy.iom.int/it/cinemarena   

[7] Sui criteri e le modalità di effettuazione di tali verifiche il testo del nuovo articolo 24 bis introdotto dal decreto legge in esame risulta, come si può leggere, alquanto scarno e foriero di diverse interpretazioni e applicazioni: «Le verifiche di congruità di cui al comma 1 tengono anche conto della capacità patrimoniale, dell'equilibrio economico-finanziario, del fatturato, del numero dei dipendenti, ivi compresi quelli già richiesti ai sensi del presente decreto legislativo, e del tipo di attività svolta dall'impresa».

[8] Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2022 n.122.

[9] E’ però doveroso dire che nel corso di stesura di queste note è stato riferito informalmente da fonti istituzionali accreditate che il sistema informatico di lavorazione delle pratiche presso i SUI sarebbe stato ora sorprendentemente congegnato come se vi fosse, pure in assenza di espressa previsione normativa, una sorta di silenzio-assenso, operante con le seguenti modalità: una volta formata la graduatoria provinciale delle pratiche presentate ed accettate dal portale ministeriale, le pratiche utilmente collocate all’interno delle quote disponibili  verrebbero trasmesse telematicamente alla competente questura per la verifica delle eventuali circostanze ostative (condanne, espulsioni…); se quindi non interverrà una espressa segnalazione di cause ostative entro il termine di 60 giorni (che sembra sarà da computarsi a partire dalla trasmissione alla questura, quindi una sorta di “termine mobile”) verrà generato automaticamente il nulla osta e reso visibile all’interessato, che potrà scaricarlo dal portale, e comunque all’ambasciata competente per il visto. Resta salva comunque la possibilità di successiva revoca del nulla osta, qualora dovesse essere successivamente verificata -anche a distanza di molto tempo- la sussistenza di circostanze ostative. Vedremo, naturalmente, se questa impostazione verrà confermata e quali saranno le nuove tempistiche effettive di rilascio dei nulla osta.  

[10] Per l’appunto, l’unica differenza tra il contenuto del contratto di soggiorno e quello della normale comunicazione obbligatoria di assunzione UNILAV consiste nella compilazione del modello Q, in cui il datore di lavoro deve semplicemente dichiarare che il lavoratore si troverà un alloggio idoneo, pur non assumendo alcun onere al riguardo; una pseudogaranzia che non garantisce nulla, prova ne sia che l'obbligo di rinnovare questo adempimento formale per ogni assunzione successiva è stato abrogato (dal dlt 04/03/2014, n. 40, Art. 2), mentre resta in vita solo per il primo ingresso (tanto per non smantellare completamente il contratto di soggiorno che all'epoca della sua introduzione con la legge Bossi-Fini fu uno slogan elettorale di grande successo).  

06/04/2023
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Lo stato dell’arte della giurisprudenza di legittimità sui trattenimenti

L’articolo fornisce la rassegna dei più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità in materia di trattenimento, al fine di rappresentare il contesto interpretativo nel quale il decreto Cutro (d.l. n. 20/2023) si viene ad inserire e con cui le nuove norme si dovranno confrontare. 
Il video integrale del seminario Le novità normative del d.l. n. 20/2023 è disponibile sul canale YouTube di Magistratura democratica all'indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=iEnzotKRCe0      

19/07/2024