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Gestione di discarica abusiva e corresponsabilità del proprietario del terreno secondo la Cassazione

di Gianfranco Amendola
già magistrato e parlamentare europeo

Nel campo della normativa ambientale le ombre sono largamente superiori alle luci come ben sa chiunque se ne sia occupato anche se superficialmente. Fra le poche luci, a nostro sommesso avviso, un posto di rilievo spetta certamente alla terza sezione penale della Cassazione che, da quasi venti anni, svolge una preziosa opera costruttiva, tentando, con intelligenza ed autorevolezza, di fornire a questa pessima normativa una interpretazione operativa il più possibile aderente al dettato costituzionale per la tutela della salute e dell’ambiente.

Ciò premesso, ci sia consentito di esprimere le nostre perplessità su una recente sentenza emessa dalla terza sezione a proposito di responsabilità in tema di discariche abusive.

Ci riferiamo alla sentenza 14 novembre- 16 dicembre 2024 n. 46231, Nesca[1], a carico di un fratello ed una sorella imputati di aver gestito una discarica abusiva di rifiuti speciali pericolosi e non, e, per questo, condannati (con sentenza confermata in Appello) alla pena di 8 mesi di arresto ed euro 3.500,00 di ammenda nonché alla confisca dell’area.

Uno dei motivi di appello e di ricorso, infatti, riguardava la posizione della sorella, proprietaria del terreno, la quale professava la sua innocenza assumendo di non avere in alcun modo concorso nel reato, visto che la discarica era stata attivata e gestita dal solo fratello cui aveva dato il terreno in comodato. Tuttavia, era stata anche essa ritenuta responsabile sulla base delle seguenti circostanze: rapporto di stretta parentela tra i fratelli; conferimento dell'area e dell'abitazione al fratello coimputato; visibilità dei rifiuti dall'esterno dell'area ceduta in uso al fratello.

Più in particolare i giudici d'appello hanno desunto la consapevolezza della ricorrente in riferimento all'illecito compiuto dal fratello dal fatto che la stessa, avendo messo a disposizione del fratello l'area poi occupata dai rifiuti, gli avrebbe fornito il luogo per il suo esercizio, di cui, peraltro, non poteva non essere a conoscenza in quanto la discarica era chiaramente visibile dall’esterno.

In proposito, tuttavia, la difesa, nel suo ricorso, osservava che, l’imputata aveva dato il terreno in comodato al fratello per abitarci e che il terreno era recintato e chiuso con un cancello, la cui chiave di accesso era nella disponibilità esclusiva del fratello della ricorrente; il che implicava che quest'ultima non potesse avervi accesso in via autonoma, e di conseguenza non potesse rendersi conto di eventuali attività illecite poste in essere su tale area. Tanto più che non abitava nelle vicinanze e che, come confermato da una fotografia allegata al ricorso, dall’esterno non era affatto visibile un accatastamento di rifiuti, quanto piuttosto una mera situazione di fatiscenza di strutture esistenti sul fondo costituite da una copertura realizzata con apposizione di un telone a sostegno in legno, evidentemente di vecchia edificazione, «che danno la percezione di un riparo improvvisato per materiali e non certamente di un accumulo di rifiuti».

La Cassazione non accoglieva queste argomentazioni e concludeva che «nella specie, proprio i rapporti di stretta parentela esistenti tra la ricorrente (proprietaria del fondo e dell’immobile) ed il fratello, la circostanza che anche dall’esterno fosse visibile la raccolta di rifiuti accatastati nei pressi dell’immobile adibito ad abitazione (non potendo certo ritenersi travisato il contenuto della fotografia cui si riferisce il collegio di merito in motivazione) ed occupato dal fratello della ricorrente, sono tutte circostanze che, come affermato in sentenza, portano ad escludere che la ricorrente ignorasse la destinazione impressa dal fratello a parte dell’area di sua proprietà, avendo la stessa consentito che sul detto fondo il fratello esercitasse l’attività di realizzazione e gestione di discarica abusiva, così concorrendo nel reato oggetto di volontà comune, avendo fornito il luogo per il suo esercizio, dunque ponendo in essere una condizione indispensabile dell’illecito, rafforzando nel fratello tale volontà, fondata sul consenso della proprietaria».

In sostanza, cioè, secondo la Cassazione l’imputata non poteva non sapere quello che faceva il fratello sul suo terreno e viene, quindi, considerata concorrente nel reato.

In proposito, peraltro, la suprema Corte delinea anche opportunamente la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato ricordando che mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona è richiesto, invece, un contributo partecipativo - morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento illecito. In questo quadro, tornando al caso in esame, la Cassazione, richiamando un suo lontano precedente del 1994, osserva che «il cosciente e volontario consenso dato dall'agente al terzo per l'unico uso possibile della cosa propria implica l'adesione al comportamento illecito che della medesima farà la persona autorizzata, con ogni conseguenza in ordine al concorso nel reato da costei commesso[2]»; evidenziando contestualmente che si tratta di reato contravvenzionale ove l’agente risponde comunque della sua azione, sia essa dolosa o colposa, purché cosciente e volontaria.

In sostanza, cioè, secondo la Cassazione l’imputata non poteva non sapere quello che faceva il fratello sul suo terreno e viene, quindi, considerata concorrente nel reato. In altri termini, secondo la Corte, il fatto di aver “tollerato” che il fratello utilizzasse il fondo di sua proprietà per finalità non consentite cessa di essere una connivenza non punibile, divenendo un vero e proprio concorso nell’illecito posto in essere da quest’ultimo.

Giova ricordare, a questo punto, che la stessa questione, in realtà si era già posta alcuni anni fa a proposito della possibile responsabilità del proprietario del terreno su cui terze persone abbandonano o depositano rifiuti e che, pur se con qualche incertezza, era stata risolta dalla Cassazione nel senso che «il proprietario di un terreno non risponde dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata, anche in caso di mancata attivazione per la rimozione dei rifiuti, a condizione che non compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti, atteso che tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo[3]»; ovvero che «in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti, il proprietario del sito ove i rifiuti son stati illecitamente depositati, o a fine di abbandono o a fine di smaltimento, non risponde, per la sola ragione della sua qualifica dominicale rispetto al terreno o comunque al sito in questione, dei reati dì realizzazione e gestione di discarica non autorizzata commessi da terzi, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti stessi, in quanto tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire l'evento lesivo, il che potrebbe verificarsi solo nell'ipotesi in cui il proprietario abbia compiuto autonomi atti di gestione o di movimentazione dei rifiuti[4]»; e pertanto «il proprietario del terreno sul quale terzi abbiano abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato non può andare incontro a una responsabilità di posizione, in difetto di elementi di diretta partecipazione al reato o di un contributo materiale o morale nell'illecita gestione dei rifiuti[5]»; chiarendo anche che «la funzione sociale della proprietà di cui all'art. 42, comma 2, Cost., può costituire il proprietario in una posizione di garanzia a tutela di beni socialmente rilevanti, e quindi può fondare una sua responsabilità omissiva per i fatti di reato lesivi di quei beni, solo se essa si articola in obblighi giuridici positivi e determinati, diretti a impedire l'evento costitutivo del reato medesimo[6]».

In sostanza, quindi, l'orientamento oggi nettamente prevalente in giurisprudenza, e già da tempo condiviso dalla migliore dottrina[7], ritiene che il proprietario del terreno su cui terze persone abbandonano o depositano rifiuti, non può essere chiamato a rispondere di eventuali illeciti a meno che egli non abbia, in qualche modo, partecipato o li abbia agevolati; ovvero non sia destinatario di uno specifico, espresso obbligo di garanzia teso ad evitare quell'evento[8].

In proposito, tuttavia, si deve notare che la Suprema Corte riserva particolare attenzione e rigore verso il proprietario nei casi in cui egli sia palesemente a conoscenza di condotte altrui da cui possa evincersi il pericolo che vengano commessi illeciti connessi con gestione o deposito di rifiuti sul suo terreno. E pertanto «risponde del reato di discarica abusiva il proprietario dell’area ove i rifiuti sono conferiti da terzi previo accordo al fine di collocarli definitivamente sul posto, utilizzandoli per la realizzazione di opere sul terreno medesimo, configurando tale condotta una diretta partecipazione al reato[9]», e, in particolare «risponde del reato di gestione non autorizzata di rifiuti il proprietario che conceda in locazione un terreno a terzi per svolgervi un’attività di smaltimento di rifiuti, in quanto incombe sul primo, anche al fine di assicurare la funzione sociale della proprietà (presidiata dall’art. 42 della Costituzione), l’obbligo di verificare che il concessionario sia in possesso dell’autorizzazione per l’attività di gestione dei rifiuti e che questi rispetti le prescrizioni contenute nel titolo abilitativo[10]». Ed è certamente significativo che, in questa ultima sentenza, la suprema Corte riconosca espressamente la «preferibilità» dell’orientamento prevalente (più restrittivo) sopra illustrato, in quanto «più rispettoso del principio, costituzionalmente tutelato ex art. 27 della Costituzione, della personalità della responsabilità penale», ma ritiene di dover fare una eccezione e ritornare alla tesi opposta in quanto dare in affitto un terreno per gestire una attività di gestione e deposito di rifiuti costituisce «un criterio idoneo a far sorgere in capo al proprietario un puntuale obbligo di sorveglianza sulla condotta dell’affittuario»; e cioè «un fattore che avrebbe dovuto indurre nel ricorrente una particolare cautela in ordine alla verifica della effettiva titolarità da parte del concessionario delle necessarie autorizzazioni allo svolgimento delle attività in questione». Affermazione che, come già avevamo scritto a suo tempo, non ci sembrava e non ci sembra accettabile. Se, infatti, si condivide l'assunto enunciato, e, come abbiamo documentato, più volte confermato dalla stessa Cassazione, secondo cui una posizione di garanzia da parte del proprietario del terreno non può fondarsi solo sul generico richiamo all'art. 42 della Costituzione in quanto «la responsabilità penale deve derivare da un preciso obbligo giuridico, positivo e determinato, diretto a impedire l'evento costitutivo del reato medesimo» sancito da una fonte formale, non si vede come tale obbligo possa scaturire da un contratto di locazione a terzi per il quale nessuna legge prevede obblighi o possibilità di ingerenza da parte del proprietario rispetto alla attività esercitata.

E, quindi, in questo quadro che deve collocarsi la sentenza in esame in cui, diciamo subito, non si rinviene alcuna prova che l’imputata avesse autorizzato il fratello a gestire una discarica ma risulta solo che gli aveva ceduto in comodato un fondo con un immobile e che non aveva in alcun modo partecipato all’attivazione e gestione della discarica, senza ricavarne, peraltro, alcun profitto. Né risulta che, nel caso di specie, l’unico uso possibile del terreno fosse la destinazione a discarica di rifiuti né che comunque la sorella lo sapesse realmente.

Se, a questo punto, andiamo ad esaminare più in particolare la pregressa giurisprudenza, già in parte riportata, possiamo constatare che sin dal 2005, prima dell’avvento del TUA, la stessa sezione della Cassazione aveva affermato che «la consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell'abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi non è sufficiente ad integrare il concorso nel reato (..), atteso che la condotta omissiva può dar luogo a ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell'art, 40 c.p.» ovvero sussista l'obbligo giuridico di impedire 1'evento, aggiungendo, come già abbiamo riportato, che «la responsabilità omissiva non può fondarsi su un dovere indeterminato o generico, anche se di rango costituzionale …ma presuppone necessariamente l' esistenza di obblighi giuridici specifici, posti a tutela del bene penalmente protetto, della cui osservanza il destinatario possa essere ragionevolmente chiamato a rispondere[11]».

In proposito, tuttavia, si deve notare che il TUA ha introdotto, con l’art. 178 e l’art. 188, i principi generali di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo afferente alla gestione dei rifiuti (responsabilità condivisa) rispetto ai quali la suprema Corte evidenziava che, quindi, «la responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi[12]».

Ma, con ogni evidenza, occorre, appunto, la prova di un coinvolgimento, anche minimo, del soggetto nella produzione, detenzione, trasporto e smaltimento dei rifiuti che, nel caso in esame non sembra esistente. Del resto, è la stessa Cassazione a precisare nel 2017 che in ogni caso, la responsabilità del proprietario del terreno «sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti[13]», aggiungendo altresì nel 2018 che «sebbene il proprietario di un terreno non risponde in quanto tale dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata commessi da terzi, non potendosi configurare una posizione di garanzia in capo al medesimo e non potendosi configurare una responsabilità di posizione, non di meno la responsabilità sussiste in presenza di condotta di partecipazione agevolatrice[14]». Ed ancor più di recente, la stessa Corte ha confermato che non è configurabile in forma omissiva il reato di cui all'art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 nei confronti del proprietario di un terreno sul quale altri abbia abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato, «attesa l’insussistenza di qualsiasi forma di garanzia...salvo che risulti accertato il suo concorso con gli autori del fatto ovvero una condotta di compartecipazione agevolatrice[15]», di cui, come abbiamo detto, nel caso in esame non vi è traccia[16].

E a questo proposito è certamente significativo che nella sentenza si affermi testualmente che «il fatto di aver “tollerato” che il fratello utilizzasse il fondo di sua proprietà utilizzandolo per finalità non consentite cessa di essere una connivenza non punibile, divenendo un vero e proprio concorso nell’illecito posto in essere da quest’ultimo», dove appare di tutta evidenza che allora, in questo caso, in realtà, secondo la Cassazione, la “connivenza punibile” sarebbe la “tolleranza” all’uso illecito del fondo da parte del fratello che non può di certo essere considerata «partecipazione agevolatrice».

Tuttavia, è doveroso, a questo punto, evidenziare con chiarezza che, in realtà, la decisione della Cassazione è certamente stata condizionata dai limiti entro cui è ammissibile il suo sindacato sulla valutazione probatoria del fatto tanto è vero che la sentenza ricorda puntigliosamente che «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601– 01) e che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623 – 01)», con la precisazione che «l’unico spazio quindi per l’intervento della Suprema Corte è rappresentato dal vizio motivazionale nel ragionamento giuridico seguito dal giudice nella valutazione del compendio probatorio». Precisazione che, in realtà, sembra voler giustificare una sentenza sulla cui “giustizia” sostanziale la stessa Cassazione sembra nutrire dei dubbi.

Summum ius, summa iniuria?


 
[1] In www.ambientediritto.it. 

[2] Che, in realtà, riguarda un caso in cui un soggetto aveva autorizzato il figlio ad usare la propria autobotte per trasportare e vendere acqua potabile sulla pubblica via, in violazione di apposito divieto, e ciò sul rilievo che l’unico uso possibile dell’autobotte era quello che comportava la consumazione dell’illecito. Fattispecie, con ogni evidenza, diversa dal caso in esame dove si tratta di un terreno con immobile, che, a differenza dell’autobotte, può essere utilizzato per qualsivoglia finalità e non necessariamente per adibirlo a discarica abusiva.

[3] Cass. pen. sez. 3, 1 ottobre 2014, n. 40528, Cantoni, in Foro It., 5 maggio 2015, pag. 301.

[4] Cass. pen., sez. 3, 14 gennaio 2016, n. 1158, Casentini, in www.ambientediritto.it

[5] Cass. pen., sez. 3, 24 marzo 2017, n. 14501, Carpenzano, in www.lexambiente.it, 14 Aprile 2017, ove si aggiunge che «i reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione hanno natura di reati permanenti, che possono realizzarsi soltanto in forma commissiva; ne consegue che essi non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza, salvo che risulti integrata una condotta concorsuale mediante condotta omissiva, nei casi in cui il soggetto aveva l'obbligo giuridico di impedire la realizzazione od il mantenimento dell'evento lesivo». Nello stesso senso Id, 9 luglio 2018, n. 30905, De Lucia in www.osservatorioagromafie.it, secondo cui «sebbene il proprietario di un terreno non risponde in quanto tale dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata commessi da terzi, non potendosi configurare una posizione di garanzia in capo al medesimo e non potendosi configurare una responsabilità di posizione non di meno la responsabilità sussiste in presenza di condotta di partecipazione agevolatrice».

[6] Cass. pen., sez. 3, 9 dicembre 2013, n. 49327, Merlet, in gruppodinterventogiuridicoweb, 8 gennaio 2014, la quale precisa che «la responsabilità omissiva sancita nell' art.40 cpv. c.p., trova fondamento nel principio solidaristico di cui all'art. 2, all'art.41, comma 2, e all'art.42, comma 2, Cost., ma contemporaneamente essa trova un limite in altri principi costituzionali e segnatamente nel principio di legalità della pena consacrato nell'art. 25, comma 2, il quale si articola nella riserva di legge statale e nella tassatività e determinatezza delle fattispecie incriminatrici. E' proprio in ragione di questo limite che la responsabilità omissiva non può fondarsi su un dovere indeterminato o generico, anche se di rango costituzionale come quelli solidaristici o sociali di cui alle norme citate; ma presuppone necessariamente l'esistenza di obblighi giuridici specifìci, posti a tutela del bene penalmente protetto, della cui osservanza il destinatario possa essere ragionevolmente chiamato a rispondere».

[7] cfr. per tutti Paone, Obblighi di controllo dei proprietari di terreni concessi in uso e gestione abusiva dei rifiuti (nota a Cass. pen. n. 36836/2009), in Ambiente e sviluppo, 2010, n. 4, pag. 316, secondo cui «invocare la norma costituzionale (art. 42) per costruire direttamente obblighi penalmente sanzionati, ci pare del tutto improponibile» in quanto «secondo il principio di tassatività, la fonte legale (ma anche contrattuale) dell’obbligo di garanzia deve essere sufficientemente determinata, nel senso che deve imporre obblighi specifici di tutela del bene protetto»; ed aggiunge che «esulano, perciò, dall’ambito operativo della responsabilità per causalità omissiva ex art. 40 cpv., c.p., gli obblighi di legge indeterminati, fosse pure il dovere costituzionale di solidarietà economica e sociale….». Nello stesso senso, De Falco, Discarica abusiva: realizzazione, gestione e posizione del proprietario del fondo. La Cassazione interviene ancora, in www.Industrieambiente.it, 2008. Cfr. altresì anche il nostro Terreno inquinato da rifiuti e cambiamento di giurisprudenza. Ne risponde sempre anche il proprietario?, in www.industrieambiente.it, 2013.

[8] Per approfondimenti, richiami e citazioni, ci permettiamo rinviare al nostro Rifiuti e proprietario del terreno. Quando la responsabilità penale è incerta in www.rivistadga.it, n. 1, gennaio-febbraio 2019, il cui contenuto abbiamo, comunque, ampiamente utilizzato in questo lavoro.

[9] Cass. pen. sez. 3, 11 novembre 2015, n. 45145, Maccaferri in www.dirittoambiente.it.

[10] Cass. pen., sez. 3, 24 febbraio 2015, n. 8135, Selvaggi in www.tuttoambiente.it, 2015.

[11] Cass. pen., sez. 3, 12 ottobre 2005, n. 1818, Bruni, in www.lexambiente.com. Nello stesso senso ID., 15 marzo- 10 giugno 2005, n. 21966, Nugnes, ivi, ove afferma con chiarezza che occorre «una situazione non di mera consapevolezza e tolleranza, da parte dell'imputato, dell'esistenza di una discarica da altri realizzata, bensì di compartecipazione attiva ad una imponente attività di abbandono di rifiuti sistematicamente reiterantesi nel fondo di sua proprietà».

[12] Per tutti, Cass. pen., sez. 3, 11 dicembre 2019-14 febbraio 2020, n. 5912, Arzaroli, in www.lexambiente.it,  la quale aggiungeva che «occorre tener conto, infatti, dei principi generali di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo afferente alla gestione dei rifiuti, ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 178 e 188, d.lg. n. 152/2006, e più in generale dei principi dell’ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario “chi inquina paga” di cui all’ art. 174, par. 2, del trattato, e alla necessità di assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, esigenza su cui si fonda, appunto, la estensione della posizione di garanzia in capo ai soggetti in questione».

[13] Cass. pen., sez. 3, 30 maggio-19 luglio 2017, n. 35569, Caporale, in www.ambientediritto.it.

[14] Cass. pen., sez. 3, 9 luglio 2018, n. 30905, De Lucia, in www.osservatorioagromafie.it.

[15] Cass. pen., sez. 3, 27 novembre- 11 dicembre 2024, n. 45422, Fabbri, in www.lexambiente.it, 16 gennaio 2025.

[16] In dottrina, si rinvia per tutti, anche per richiami e citazioni di dottrina e giurisprudenza, prendendo a spunto la sentenza Arzaroli, a Paone, La responsabilità “condivisa” dei soggetti che effettuano la gestione dei rifiuti, in Lexambiente, Riv. trim., fasc. 3, 2020, pag. 13 e segg., il quale, dopo meticolosa analisi, conclude che «la sola strada percorribile per ipotizzare il coinvolgimento dei vari soggetti della filiera dei rifiuti sia il ricorso all’ istituto del concorso di persone nel reato».

27/02/2025
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