- 1. Considerazioni introduttive.
Il Consiglio superiore della magistratura, con la delibera plenaria del 29 aprile 2014 (Risoluzione sui tirocini formativi presso gli uffici giudiziari), ha disciplinato in modo organico la materia dei percorsi di istruzione teorica e pratica, espressamente previsti da norme di legge, che è possibile realizzare nelle diverse articolazioni della organizzazione giudiziaria, giudicante e requirente.
L’intervento del Consiglio era da tempo atteso, sia per la necessità di una normazione attuativa più funzionale e maggiormente articolata delle diverse ipotesi previste dalla legge, non sufficientemente coordinata e dettagliata, sia per l’esigenza di fissare linee di interpretazione e di indirizzo più chiare e meglio capaci di valorizzare i nuovi istituti e di accrescerne il più possibile le potenzialità.
Non può non essere sottolineato che, dopo la definitiva approvazione della delibera, si è registrata una generale soddisfazione, le cui ragioni, da ritenersi almeno in parte condivisibili, sono da ricondurre:
- al metodo che si è voluto seguire nelle attività preliminari all’intervento regolamentare;
- alle scelte concretamente effettuate in merito al modello di interlocuzione tra uffici giudiziari e Consiglio superiore della magistratura;
- ai contenuti in gran parte innovativi di alcune delle disposizioni, rispetto alla normativa secondaria preesistente.
L’analisi dei principali passaggi della nuova disciplina può poi consentire, anche solo a grandi linee:
- la valutazione dei risultati positivi che ci si può attendere anche nel breve periodo dal sistema dei tirocini formativi, proprio per alcune delle condivisibili scelte operate dal Consiglio superiore;
- l’individuazione di ulteriori prospettive che, in tempi più lunghi, potrebbero aprirsi non soltanto attraverso la normazione secondaria del Consiglio ma anche in conseguenza di ulteriori interventi legislativi, che l’organo di autogoverno potrebbe istituzionalmente sollecitare.
- 2. Il quadro della disciplina legale.
La Risoluzione sui tirocini formativi esordisce opportunamente con la ricostruzione del tessuto normativo primario delle varie ipotesi di formazione presso gli uffici giudiziari, richiamando in particolare esplicitamente le tre principali modalità:
a) le convenzioni con le scuole di specializzazione per le professioni legali, in relazione all’art. 16 d.lgs. 17 novembre 1997, n. 398, il quale prevede che le attività pratiche degli studenti, “previo accordo o convenzione”, sono condotte anche presso sedi giudiziarie -oltre che studi professionali e scuole del notariato-, con lo specifico apporto di magistrati, con conseguente obbligatorietà della formazione presso gli uffici giudiziari;
b) le convenzioni con gli ordini degli avvocati, le università e le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’art. 37 d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito con modificazioni con l. 15 luglio 2011, n. 111, che prevede la possibilità di un tirocinio di durata non superiore a un anno, presso tutti gli uffici giudiziari, potenzialmente sostitutivo dei percorsi formativi dell’ente sottoscrittore (pratica forense, dottorato di ricerca e tirocinio presso la scuole di specializzazione);
c) l’accesso, anche in assenza di convenzioni, alla formazione teorico-pratica previsto dall’art. 73 d.l. 21 giugno 2013 n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito in legge con modificazioni con l. 9 agosto 2013, n. 98, “della durata complessiva di diciotto mesi”, presso tutti gli uffici giudiziari, ma con esclusione di quelli requirenti e del settore delle indagini preliminari, potenzialmente sostitutivo di un anno di pratica forense o di frequenza delle scuole.
Si tratta di ipotesi sicuramente differenti ed eterogenee, per quanto le si possa considerare almeno in parte accomunate -come indicato nella risoluzione - dalla previsione di “un’equipollenza dei percorsi formativi presso gli uffici rispetto ai percorsi formativi che consentono per legge primaria l’accesso alle professioni forensi”, in particolare alla pratica forense e alla frequenza delle scuole di specializzazione, a differenza di altre ipotesi in cui la formazione di studenti e neolaureati si limita a prevedere l’alternanza tra impegno “lavorativo” e studio, in funzione del semplice orientamento al mondo del lavoro.
- 3. Luci e ombre delle esperienze dei diversi modelli di tirocinio formativo.
E’ opportuno mettere in rilievo che le convenzioni con le scuole di specializzazione per le professioni legali, volte a consentire le attività pratiche degli studenti presso sedi giudiziarie, hanno avuto un’apprezzabile diffusione, sin dall’inizio, senza far emergere particolari criticità, riguardando essenzialmente momenti del tutto limitati di una formazione che era destinata a rimanere ed è sempre rimasta saldamente sotto il controllo delle stesse scuole.
Le inadeguatezze del modello si sono peraltro manifestate, salve alcune pregevoli esperienze, in diretta relazione: a) alla limitatezza temporale degli stages, normalmente ristretti a una frequenza rapportata a un “monte ore” insufficiente; b) alla ripartizione del tirocinio pratico su periodi troppo lunghi, normalmente corrispondenti con ciascun anno del corso di studi; c) alle conseguenti manchevolezze del contributo formativo e, per contro, alla frequente assenza di un apporto costante e significativo dei tirocinanti all’attività dei magistrati; d) alla diffusione comunque non uniforme delle convenzioni, in ragione della loro concentrazione nelle sedi giudiziarie prossime per localizzazione alle scuole.
Il secondo modello, quello delle convenzioni con gli ordini degli avvocati, le università e le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’art. 37 d.l. cit., ha visto invece come limite spesso insuperabile proprio la notevole diffusa diffidenza degli ordini, delle università e delle scuole verso un modello totalmente sostitutivo dei percorsi formativi da loro direttamente proposti ed erogati, così da indurre, nella pratica delle convenzioni, all’individuazione di percorsi paralleli a quelli direttamente gestiti dagli stessi soggetti.
Il legislatore, proprio in considerazione di tali esperienze e della limitatezza dei risultati, ha inteso procedere verso l’individuazione di un terzo modello di tirocinio formativo, completamente nuovo e completamente svincolato dall’interlocuzione obbligata con gli ordini professionali, le università e le scuole di specializzazione, la cui instaurazione può -come detto- avvenire in seguito a una semplice “domanda ai capi degli uffici giudiziari”, cui segue un’ammissione fatta tenendo conto semplicemente delle esigenze dell’ufficio e delle sue maggiori o minori capacità di assicurare la formazione.
- 4. Le necessità dell’intervento regolamentare attuativo.
L’intervento regolamentare risponde in primo luogo alla dichiarata necessità di razionalizzazione tra le diverse figure di tirocinio, stratificatesi nel tempo con differenti obiettivi e, quindi, con prospettive e ambiti operativi non sempre coerenti o, in ogni caso, sicuramente diversificati.
Il Consiglio superiore, più nello specifico, si muove con merito e dichiaratamente “nell’intento di ricostruirne uno schema omogeneo e unitario (mansionario, modalità operative, soggetti, requisiti oggettivi e soggettivi, ecc. )”, oltre che per offrire un armamentario capace di potenziare l’attività dei diversi uffici giudiziari nell’uso di quello che viene esplicitamente definito un “fondamentale strumento -teoricamente in grado di imprimere un formidabile impulso organizzativo agli uffici”, e per evitare che l’inadeguatezza delle regole e la loro incerta ricostruzione possano rischiare “di disincentivarne l’adozione o, al contrario, di darne un’attuazione caotica, approssimativa e in definitiva improduttiva dei risultati sperati”.
La delibera del Consiglio superiore, sotto altro profilo, acquisita piena consapevolezza dei risultati delle diverse esperienze maturate sul campo in alcuni dei più attivi e impegnati uffici giudiziari, interviene nella convinzione della particolare importanza della scelta legislativa più recente, la quale ha innovativamente affidato alla piena autonomia dell’organizzazione giudiziaria e alla magistratura un modello di tirocinio formativo moderno e del tutto svincolato da interessi e condizionamenti esterni.
In questo senso, la regolamentazione di principio riguarda certamente anche il sistema della formazione “convenzionale”, ma si dirige principalmente alla formazione che, ai sensi dell’art. 73 l. cit., sul presupposto della forte attrattiva della preparazione teorica e pratica ritraibile dalla partecipazione all’attività giudiziaria, i diversi uffici giudiziari possono direttamente programmare, proporre e dispensare in funzione di una migliore organizzazione e di una maggiore efficienza del servizio.
Non meno importate deve essere infine considerata la riconosciuta obbligatorietà di un intervento sostitutivo delle precedenti e non sempre lineari delibere adottate nella materia dallo stesso Consiglio superiore della magistratura.
La risoluzione, infatti, da un lato fa risaltare la “congerie di norme primarie e secondarie” esistenti, essa stessa all’origine di un “quadro... aleatorio e di faticosa e incerta ricostruzione”, dall’altro sottolinea la convenienza di procedere a mutare radicalmente, per aspetti di grande rilievo, indirizzi precedentemente assunti, approntando una disciplina di settore per molti versi divergente da quella precedente.
- 5. L’analisi delle sperimentazioni e la scelta consiliare del confronto.
Non può non essere valutata con estremo favore, nel metodo, la scelta fatta dal Consiglio superiore della magistratura di attivarsi concretamente per raccogliere dati sulle sperimentazioni dei diversi uffici giudiziari e sui loro esiti, nonché la decisione di confrontarsi con le sollecitazioni e, talvolta, con gli accesi dissensi manifestati sui contenuti delle precedenti delibere, in particolare la delibera 22 febbraio 2012, attuativa dell’art. 37 l. cit., e la delibera 11 luglio 2013, con la quale era stato espresso il parere sull’art. 73 d.l. cit.
Da più parti, infatti, era stata sollecitata una maggiore apertura e il superamento delle dichiarate diffidenze dell’autogoverno, che avevano contribuito non solo a fissare vincoli burocratici e formali del tutto praeter legem, ma anche a strutturare, sempre al di fuori della previsione legale, un ruolo del Consiglio superiore che non si esauriva nel potere di fissare, nel rispetto dei principi generali stabiliti dalla legge, i criteri per la stipula delle convenzioni, ma arrivava ad attribuirgli la competenza diretta ed esclusiva della pronunzia di un “parere”-autorizzazione preliminare alla stipula.
Era stata inoltre messa in rilievo, da più parti, l’inadeguatezza delle valutazioni operate dal Consiglio in merito alla affermata problematicità della mancata previsione del principio di esclusività del tirocinio formativo, come anche la prospettazione di forme di incompatibilità connesse allo stage formativo, essendo stata suggerita non soltanto l’inconciliabilità della partecipazione al lavoro giudiziario con la pratica forense, ma anche una “incompatibilità” del professionista presso cui il tirocinante poteva essere stato ammesso a svolgere la pratica stessa, oltre che una potenziale incompatibilità dell’intero “studio legale” di appartenenza e dei suoi componenti con gli affari trattati dal giudice affidatario del tirocinante.
La risoluzione adottata, per i contenuti poi concretamente sviluppati, mostra una volontà di ascolto e la capacità di assimilazione delle indicazioni e delle proposte provenienti dalle diverse realtà degli uffici giudiziari, e più in generale, la decisione dell’autogoverno, in questo campo, di valorizzare appieno le esperienze maturate e le competenze acquisite.
La risoluzione, come si vedrà, promuove ora senza più indecisioni e titubanze i tirocini come strumento dell’organizzazione dei singoli uffici giudiziari, attribuendo un ruolo centrale all’iniziativa e alle capacità in essi presenti, in ragione della possibile anticipazione dei modelli di organizzazione dello stesso lavoro del singolo magistrato secondo i modelli da tempo auspicati dell’“ufficio del giudice” e dell’“ufficio del processo”.
- 6. I nuovi modelli di relazione tra uffici giudiziari e Consiglio superiore della magistratura.
Il Consiglio superiore, attraverso la risoluzione, vuole innanzitutto innovativamente “chiarire il proprio ruolo rispetto all’attività dei dirigenti come disegnata nelle norme..., tenuto conto anche della specifica competenza consiliare in materia di organizzazione tabellare degli uffici e del sicuro impatto che su tale materia ha la programmazione gestionale dell’attività volta all’efficienza del sistema e al contenimento del debito giudiziario”.
In questa prospettiva, ammessa l’effettiva “rigidità di apparenti vincoli normativi” e l’esigenza di “favorire al massimo l’accesso... affinché l’esperienza sia fruttuosa sia per il tirocinante sia per l’ufficio nella ragionevole aspettativa di un ritorno positivo in termini di qualità e tempi del servizio”, delinea i caratteri del procedimento prevedendo:
a) l’immediata comunicazione, da parte del capo dell’ufficio, della stipula della convenzione o dell’accordo, senza richiesta di autorizzazione ma con richiesta di parere del competente consiglio giudiziario;
b) l’esame dei tirocini formativi da parte del Consiglio superiore come semplice “presa d’atto”, valutato il parere formulato dal consiglio giudiziario, con eventuali rilievi e segnalazioni delle integrazioni necessarie e delle modifiche confacenti.
Il Consiglio superiore, in altra e condivisibile prospettiva, individua come strumenti di controllo e di valutazione delle scelte connesse ai tirocini, nel loro complesso, la loro obbligatoria indicazione:
- nei programmi di gestione annuali ex art. 37 l. cit.;
- nei documenti organizzativi generali che accompagnano i progetti tabellari per gli uffici giudicanti, nonché nei documenti recanti i criteri organizzativi per gli uffici di procura di cui all’art. 1 d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106 (Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della l. 25 luglio 2005, n. 150).
La conseguenza ulteriore e particolarmente apprezzabile di tale ultima scelta operativa è quella della fisiologica possibile partecipazione, anche in queste fasi, dei consigli giudiziari e del Consiglio direttivo della Corte di cassazione nella composizione allargata alla componente nominata dal Consiglio nazionale forense e ai componenti professori universitari.
E’ poi conseguente la partecipazione al procedimento dell’avvocatura, essendo sufficiente richiamare, in proposito, l’interlocuzione che, prima del termine ultimo previsto per la convocazione delle riunioni con i magistrati dell’ufficio, i dirigenti devono attivare con il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati della sede interessata dalla procedura tabellare per acquisire contributi sugli interventi ritenuti opportuni ai fini della migliore organizzazione dell’ufficio (si veda, attualmente, quanto previsto dall’art. 4 della circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2014/2016).
Il Consiglio superiore, infine, ha voluto predisporre ben cinque diversi modelli di format, “non vincolanti” ma capaci di favorire, attraverso la loro diffusa adozione, prassi uniformi nella pianificazione e nella amministrazione degli stages avuto riguardo: alle informazioni da inserire nelle proposte di tirocinio; ai mansionari delle attività programmate per i tirocinanti, presso gli uffici giudicanti e di procura; ai moduli per le domande di ammissione; ai contenuti dei progetti formativi individuali dei tirocinanti.
- 7. I tirocini tra formazione professionale e organizzazione degli uffici giudiziari.
Il Consiglio superiore si è determinato a sviluppare, attraverso la disciplina attuativa, entrambe le finalità sottese alla previsione legale, mostrando grande attenzione sia al profilo della formazione post lauream, sia a quello della valenza dei tirocini nella progettazione di un nuovo modello di lavoro dei magistrati, ai quali i tirocinanti devono essere affidati.
Con riferimento al primo aspetto, viene dato ampio rilievo alle finalità caratteristiche dell’istituto e alle modalità concrete di erogazione della formazione, disponendosi espressamente l’impossibilità di destinare alle cancellerie gli stagisti, proprio perché indirizzati verso un percorso di preparazione teorica e pratica in affiancamento ai magistrati.
In questo senso deve essere poi letta, concretamente, la direttiva della doverosa enucleazione nel mansionario, accanto a compiti materiali di supporto, anche di attività qualificanti e particolarmente formative per il tirocinante, quali la ricerca giurisprudenziale, la redazione di bozze di provvedimenti, la massimazione delle sentenze e la costruzioni di archivi di giurisprudenza.
La finalità dell’accrescimento della preparazione del tirocinante, d’altra parte, è resa inequivoca dalle previsioni legali della partecipazione diretta dei tirocinanti sia ai corsi di formazione decentrata sia a quelli loro specificamente dedicati, della indispensabile continuità del percorso formativo per tutto il periodo previsto e del divieto legale di un affidamento di più di due tirocinanti allo stesso magistrato (art. 73, c. 4, d.l. cit.).
I tirocini formativi sono considerati, nel contempo, come strumenti organizzativi di cui gli uffici giudiziari possono dotarsi attraverso la formulazione di un’offerta formativa conveniente e, se possibile, capace di attrarre adesioni, in funzione della possibilità di assicurare un supporto straordinario al lavoro del singolo magistrato secondo le logiche totalmente innovative della costituzione di uno staff qualificato di supporto, per quanto ancora non delineato legislativamente.
La risoluzione, rimarcando la “decisività dello strumento” dei tirocini e la indispensabilità di una loro “regolamentazione… duttile” e, sopratutto, aderente alle singole realtà, e riconoscendo il loro pieno inserimento nell’ambito delle scelte gestionali dei singoli uffici, tratteggia quasi un potere-dovere dei dirigenti di attivarsi sollecitamente per mettere a frutto compiutamente le possibilità date dalle diverse figure di tirocinio, in considerazione delle opportunità che la partecipazione qualificata di laureati giovani e capaci può offrire in termini di supporto all’attività dei magistrati.
Le regole legali, d’altra parte, evidenziano senza margini di incertezza l’importanza di una stabilità del contributo, prevedendo che “nel corso degli ultimi sei mesi del periodo di formazione il magistrato può chiedere l'assegnazione di un nuovo ammesso allo stage al fine di garantire la continuità dell'attività di assistenza e ausilio” (art. 73, comma 4, d.l. cit.).
Si delinea, in definitiva, la volontà del Consiglio superiore della magistratura di dare un impulso risoluto verso l’organizzazione locale di strutture organizzative affini a quelle dell’"ufficio per il processo", pur in difetto di una disciplina di rango primario, quand’anche non accompagnate dalla contemporanea riorganizzazione delle cancellerie e segreterie giudiziarie.
- 8. La necessità di un adeguato reperimento di mezzi e risorse.
Il primo passaggio incerto della Risoluzione adottata dal Consiglio superiore riguarda il tema del reperimento delle risorse a disposizione degli uffici giudiziari che, peraltro, dovrebbero essere al fondo di qualsiasi intervento di riforma in campo giudiziario, tanto più se così innovativo e ambizioso.
L’art. 73, c. 4, d.l. cit., con riguardo alle risorse materiali necessarie al tirocinio formativo, ha stabilito che “il Ministero della giustizia fornisce agli ammessi allo stage le dotazioni strumentali, li pone in condizioni di accedere ai sistemi informatici ministeriali e fornisce loro la necessaria assistenza tecnica”.
La risoluzione, a questo proposito, si limita a dare atto della mancanza di “indicazioni” da parte del Ministero della giustizia sui tempi e sulle modalità di attuazione della previsione legale, disponendo peraltro che i singoli dirigenti degli uffici si attivino e indirizzino volta per volta al Ministero ogni eventuale richiesta di dotazione, anche informatica, destinata ovviamente agli uffici e non al singolo stagista, come d’altra parte imprescindibile alla luce della natura del rapporto di tirocinio e della sua limitata durata.
E’ attendibile, nell’immediatezza, che le dotazioni necessarie per trarre maggiori vantaggi dall’attività dei tirocinanti -con la predisposizione di locali idonei, l’acquisizione di arredi, attrezzature informatiche e software, il convenzionamento con banche dati- debbano essere reperite autonomamente, se del caso valorizzando la previsione di cui all’art. 73, c. 17, d.l. cit., secondo cui “al fine di favorire l'accesso allo stage è in ogni caso consentito l'apporto finanziario di terzi”, non essendo “l'istituzione di apposite borse di studio” l’unico possibile sostegno ai tirocini ipotizzabile attraverso le convenzioni che i capi degli uffici possono stipulare con soggetti ed enti interessati.
Su tale aspetto la risoluzione è però sorprendentemente lacunosa, non sottolineandone l’opportunità e non predeterminando modelli di possibile relazione degli uffici giudiziari con eventuali finanziatori come ad esempio gli enti pubblici in genere, le università, le organizzazioni rappresentative di imprese e di categorie, gli stessi ordini professionali, gli istituti di credito e, in generale, qualsiasi soggetto anche privato interessato all’accrescimento delle dotazioni e dei mezzi a disposizione dell’amministrazione giudiziaria.
- 9. I soggetti dei tirocini. a) I dirigenti degli uffici giudiziari.
La risoluzione si distingue in modo particolare con riguardo alla regolamentazione attuativa dei soggetti del tirocinio, individuando con sufficiente precisione le diverse competenze e gli obblighi delle figure coinvolte e, specificamente, dei dirigenti degli uffici, dei coordinatori dei tirocini -introdotti dalla stessa risoluzione e non previsti da alcuna norma primaria, dei magistrati di affidamento e dei tirocinanti.
I dirigenti degli uffici, innanzitutto, sono considerati il vero motore dell’attività formativa, essendo loro attribuito il compito di predisporre l’offerta, con la redazione di un documento nel quale devono essere date le più “dettagliate informazioni” e deve essere descritto nel suo “contenuto minimo” il modulo organizzativo prescelto (mansionario, magistrato coordinatore, ecc.), oltre che indicati i principali obblighi del tirocinante.
I dirigenti, inoltre, in ragione del rilievo esterno della loro figura istituzionale, sono i soggetti chiamati alla stipula delle eventuali convenzioni, direttamente o tramite delega (art. 73, c. 17, d.l. cit.).
Pur nel difetto di una specifica previsione, sono peraltro applicabili le regole generali che consentono alla dirigenza di farsi coadiuvare nell’esercizio delle funzioni da altri magistrati, non trattandosi di attività espressamente riservate.
Si tratterebbe, se disposta attraverso le tabelle organizzative, di una collaborazione nelle competenze del capo dell’ufficio, in sé differente dalle attività che vengono di regola attribuite alla figura del magistrato coordinatore dei tirocini, il quale tuttavia più che opportunamente, per le specifiche attività che il dirigente dovesse valutare di non poter espletare, potrebbe essere indicato anche come magistrato collaboratore del dirigente.
La nomina del collaboratore da parte del capo dell’ufficio, in ogni caso, non si colloca nell’ambito di poteri decisionali non vigilati, ma deve essere fatta previo interpello tra i magistrati dell’ufficio, attraverso un decreto nella cui motivazione deve darsi conto delle esigenze che giustificano il conferimento dei compiti, delle ragioni per le quali non è possibile attribuire tali compiti a un presidente di sezione, nonché dei criteri seguiti nella scelta, peraltro sindacabili nei soli casi di manifesta inadeguatezza o di palese difetto di motivazione (art. 33.7. Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2014/2016).
- 10. I soggetti dei tirocini. b) I magistrati coordinatori.
La risoluzione, come indicato, inserisce tra i soggetti chiamati a gestire i tirocini la figura del magistrato coordinatore (o dei coordinatori, in caso di particolari esigenze che consiglino la designazione di più magistrati), la cui nomina deve egualmente essere fatta previo regolare interpello tra i magistrati dell’ufficio -si deve richiamare, sul punto, il solo dispositivo della delibera del Consiglio e non il suo ampio articolato- e deve comunque essere motivata, pur non venendo prefissati in sede di normazione secondaria criteri vincolanti per la scelta.
La figura viene istituzionalizzata proprio in ragione della positività delle sperimentazioni maturate in “molti uffici giudiziari con esperienze avanzate in tema di tirocini”, al fine della gestione unitaria dei tirocinanti e quale raccordo per le attività burocratiche connesse agli stages (materiale predisposizione dei progetti formativi, attività di valutazione delle domande ai fini dell’ammissione, controllo dello svolgimento del tirocinio presso i magistrati di affidamento, assicurazione della continuità del modulo nelle assegnazioni, etc.).
Il coordinatore può essere chiamato di supporto al dirigente dell’ufficio “sia per le singole assegnazioni, sia per delineare il modulo organizzativo e valutare i risultati dello stesso”, ed è chiamato autonomamente a svolgere tutte le attività richieste, relazionandosi direttamente con i vari magistrati affidatari, oltre che con gli ulteriori soggetti coinvolti nei tirocini, ad esempio i magistrati di riferimento per l’informatica dei singoli uffici.
Spetta inoltre al coordinatore la interlocuzione con il consiglio dell’ordine degli avvocati e con la scuola di specializzazione per le professioni legali, secondo le modalità individuate dal capo dell'ufficio, al fine della organizzazione partecipata delle attività formative qualora gli stagisti ammessi risultino anche essere iscritti alla pratica forense o a una scuola di specializzazione (art. 73, comma 5-bis, d.l. cit.).
L’attività del magistrato coordinatore dei tirocini non è quindi svolta secondo il modello della delega da parte del titolare, trattandosi di figura autonomamente delineata con competenze proprie, per quanto senza diretta rilevanza esterna, cui peraltro il capo dell’ufficio può di volta in volta affidare compiti rientranti nelle sue attribuzioni.
E’ possibile ritenere -pur in difetto di specifica puntualizzazione- che, anche per la nomina del coordinatore, la discrezionalità del dirigente dell’ufficio sia particolarmente ampia e suscettibile di sindacato, solo qualora il prescelto possa considerarsi manifestamente inadeguato o per un eventuale palese difetto di motivazione del provvedimento di nomina, rimanendo le scelte per il resto vagliabili in sede di conferma nell’incarico dirigenziale e di periodica valutazione di professionalità.
Lo svolgimento dell’attività di coordinatore dei tirocini, come avviene in genere per gli incarichi di diretta collaborazione (art. 33.8 Circolare cit.), pur in difetto di indicazioni da parte della disciplina legale e di quella attuativa, non implica alcun esonero dall’attività giudiziaria, né totale né parziale.
- 11. I soggetti dei tirocini. c) I magistrati di affidamento.
I magistrati di affidamento svolgono direttamente l’attività formativa in favore dei tirocinanti, considerata la previsione esplicita secondo cui l’attività “si svolge sotto la guida e il controllo del magistrato”, con contenuti e modalità di volta in volta mutevoli ma secondo uno schema relazionale in gran parte corrispondente a quello dell’affidamento dei magistrati ordinari in tirocinio (c.d. formazione in affiancamento).
Si tratta di un ruolo che, in considerazione degli oneri significativi connessi all’attività didattica e di istruzione pratica, imposta come continuativa e prolungata nel tempo, presuppone il formale consenso del magistrato, la cui disponibilità viene acquisita con apposito interpello a seguito del quale il magistrato può indicare le sue disponibilità di massima, con riferimento ai giorni e agli orari dell’affiancamento.
La necessità di favorire le manifestazioni di disponibilità, nonostante i vantaggi che è presumibile si possa ritrarre dall’apporto del tirocinante nel proprio lavoro, è stata all’origine della esplicita previsione legale della possibilità di considerare il ruolo di formatore ai fini della valutazione di professionalità di cui all’art. 11, comma 2, d.lgs. 5 aprile 206 n. 160, nonché ai fini del conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi di merito (art. 73, comma 11, d.l. cit.).
Non è possibile esimersi dal sottolineare, sul piano formale, l’anomalia dell’enunciazione, in sede di normazione secondaria, di dubbi sul contenuto precettivo di tale norma sovraordinata (“la disposizione suscita perplessità”), ma sopratutto non può condividersi nella sostanza che lo svolgimento conveniente di tali attività -al pari di quella di magistrato coordinatore dei tirocini- non possa concorrere a delineare il profilo professionale e attitudinale del magistrato.
Il rischio di una disparità di trattamento in ragione delle maggiori opportunità di arricchimento della professionalità fruibili dai soli magistrati che prestino servizio in uffici in cui tali condizioni favorevoli siano presenti dipende, d’altra parte, da circostanze meramente fattuali, come del resto dovrebbe valutarsi per diverse innumerevoli occasioni di affinamento della preparazione e delle attitudini.
In qualche modo rassicurante, per quanto in parte contraddittoria, è quindi la notazione contenuta nel prosieguo della risoluzione secondo cui il Consiglio superiore ha già manifestato in varie circolari che ogni attività di formazione è comunque considerata ai fini della valutazione di professionalità e di conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi.
Non è ovviamente previsto né è immaginabile, considerandosi il tirocinio come un mezzo di agevolazione e di supporto dell’attività del magistrato formatore, alcuna forma di limitazione o esonero dell’attività giudiziaria ordinaria, come si è visto escluso persino per i magistrati coordinatori dei tirocini.
- 12. I soggetti dei tirocini. d) I tirocinanti.
I tirocinanti, secondo le previsioni di cui all’art. 73 d.l. cit., sono selezionati tra i laureati in giurisprudenza, all'esito di un corso di durata almeno quadriennale, che ne abbiano fatto richiesta, sempre che abbiano riportato una media di almeno 27/30 negli esami di maggiore importanza del corso di laurea (diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo), o un punteggio di laurea finale non inferiore a 105/110.
Deve trattarsi di giovani laureati, essendo prescritto inderogabilmente che non debbano aver compiuto i trenta anni di età, i quali devono essere in possesso dei requisiti di onorabilità di cui all'articolo 42-ter, secondo comma, lettera g), r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, vale a dire non averriportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni e non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza.
La risoluzione non prevede più puntuali disposizioni rispetto alla norma di legge per l’eventualità che debba procedersi a una selezione per l’eventualità di un eccesso di domande rispetto ai posti disponibili, così che i criteri per la formazione della graduatoria sono quelli previsti dall’art. 73 d.l. cit. e si riferiscono, nell'ordine, alla media degli esami nelle materie indicate, al punteggio di laurea e alla minore età anagrafica, accordando ulteriormente, in caso di parità dei requisiti, preferenza ai corsi di perfezionamento in materie giuridiche successivi alla laurea.
E’ espressamente escluso che l’ammissione ai tirocini possa costituire un rapporto di pubblico impiego e non sono previsti compensi, indennità, rimborsi, coperture assicurative o borse di studio, salva la richiamata possibilità, per quanto non oggetto di specifiche previsioni regolamentari, di far ricorso a “terzi finanziatori”, attraverso la libertà di convenzionamento.
La risoluzione, risolvendo tuttavia un’importante questione che era stata inizialmente sollevata in sede consiliare, esclude ora con decisione che possa ravvisarsi alcun obbligo di esclusività, riconoscendo la piena compatibilità, durante qualsiasi tirocinio attivato presso l’ufficio giudiziario, della frequenza da parte del tirocinante dei corsi universitari, della scuola di specializzazione per le professioni legali e di uno studio legale.
Il legislatore, infatti, pur riconoscendo secondo diverse modalità un’equiparazione delle attività prestate a quelle di volta in volta richieste per il dottorato, per la scuola o per il tirocinio professionale, non ha stabilito alcun impedimento, così che la risoluzione si volge a prevedere, tra i doveri del tirocinante, innanzitutto quelli del rispetto degli “obblighi di riservatezza e segreto in relazione a notizie e dati di cui venga a conoscenza durante lo svolgimento del tirocinio”; di “astenersi dallo studiare fascicoli o seguire udienze relative a cause in trattazione davanti al magistrato affidatario provenienti dallo studio legale ove eventualmente svolge o ha svolto pratica forense”; di “indicare al magistrato affidatario ogni altra situazione di incompatibilità”.
Il Consiglio superiore, per altro verso, abbandona definitivamente l’idea che possa ipotizzarsi, per la formazione “convenzionata” di cui all’art. 37 l. cit. come per i tirocini di cui all’art. 73 d.l. cit., alcuna incompatibilità con il professionista presso cui il tirocinante può svolgere la pratica forense e, ancor più, dello studio legale associato e dei suoi diversi componenti, come forse troppo frettolosamente era stato prospettato.
Si era messo in rilievo, d’altra parte, anche prescindendo dall’insussistenza di alcun sostegno testuale per tali incompatibilità, l’incongruità di una visione così restrittiva che avrebbe portato a escludere dai tirocini e dalla collaborazione con gli uffici giudiziari proprio quei giovani laureati che, perché più attrezzati culturalmente, erano in condizioni di seguire parallelamente altri percorsi qualificati di istruzione e formazione.
La risoluzione, infine, per quanto schematicamente, prefigura gli ulteriori possibili obblighi del tirocinante, prevedendo in via generale e astratta il dovere di seguire le indicazioni del coordinatore e del magistrato affidatario, l’obbligo di far riferimento agli stessi per qualsiasi esigenza formativa, in particolare di tipo organizzativo, l’obbligo di rispettare il calendario e gli orari concordati con il magistrato affidatario secondo il mansionario e il progetto formativo predisposto al momento dell’ingresso del tirocinante.
- 13. I caratteri minimi essenziali dei tirocini formativi.
I tirocinanti possono accedere alla formazione negli uffici giudiziari, a domanda, per una sola volta, escludendosi quindi da parte del legislatore qualsiasi possibilità di proroga, anche volontaria,
I tirocinanti, una volta ammessi, “coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio” (art. 37, comma 5, l. cit.).
La risoluzione del Consiglio superiore, esclusa la necessità di ricorrere per i tirocini ex art. 73 l. cit. al sistema convenzionale, lascia una discrezionalità eccezionalmente ampia ai dirigenti dei singoli uffici nella determinazione dei contenuti, dei modi e dei tempi della formazione, preoccupandosi essenzialmente che sia assicurata la predisposizione:
- di un’indicazione programmatica sufficientemente specifica delle offerte formative che l’ufficio intende proporre;
- di un vero e proprio “mansionario” delle attività del tirocinante, avuto riguardo di volta in volta alle attività preparatorie, contestuali e successive all’udienza, oltre che di supporto, di studio e di approfondimento;
- di un progetto formativo individualizzato al momento dell’ingresso del singolo tirocinante, che assicuri l’adeguatezza e la continuità della formazione teorico-pratica.
La risoluzione si occupa peraltro in via indiretta dei possibili contenuti del tirocinio attraverso la predisposizione del format del mansionario delle attività del tirocinante per gli uffici giudicanti e di quello per gli uffici requirenti, allegati alla risoluzione con le lettere B) e C), in cui sia pure in modo non vincolante vengono con maggiore analiticità individuate le attività che gli stagisti possono essere chiamati a svolgere sotto la guida dell’affidatario.
- 14. La formazione e le competenze della Scuola e della formazione decentrata.
La Scuola superiore della magistratura ha recentemente adottato una “Risoluzione sui tirocini formativi presso gli uffici giudiziari previsti dall’art. 73 d.l. 21 giugno 2013 n. 69 (c.d. “Decreto del fare”)” (risoluzione n. 284/2014/ID SSM).
La risoluzione premette che l’art. 73, comma 5, d.l. cit., nel prevedere l’ammissione dei tirocinanti sia ai corsi di formazione decentrata organizzati per i magistrati dell'ufficio, sia “ai corsi di formazione decentrata loro specificamente dedicati e organizzati con cadenza almeno semestrale secondo programmi che sono indicati per la formazione decentrata da parte della Scuola superiore della magistratura”, attribuisce alla Scuola un duplice compito: il primo di natura programmatica, che si esplica nella predisposizione in sede centrale di un programma semestrale di formazione del tirocinante; uno ulteriore, di carattere esecutivo, consistente nell’organizzare, principalmente per il tramite delle proprie strutture territoriali, corsi specifici riservati da aggiungersi a quelli aperti a tutti i magistrati, alla cui frequentazione sono ammessi anche i tirocinanti.
In questa prospettiva, si sostiene nella risoluzione che il Comitato direttivo della Scuola e i formatori decentrati operanti presso ogni singolo distretto debbano essere quindi considerati a pieno titolo “organi del tirocinio formativo”, evidenziando altresì:
- la funzione complementare e di supporto della formazione della Scuola, rispetto a quella più strettamente pratica, di cui è titolare il magistrato affidatario;
- la preferibilità di interventi formativi non individualizzati ma programmati per i tirocinanti di più uffici;
- la riferibilità della cadenza semestrale non alla partecipazione dei tirocinanti ai corsi, quanto alla elaborazione dei programmi didattici da parte della Scuola superiore;
- l’utilità della predisposizione, da parte dei diversi capi degli uffici, di un bando annuale o semestrale di selezione dei tirocinanti, al fine di consentire la gestibilità di un loro inserimento ragionato e programmato nella formazione didattica;
- la preannunciata destinazione dei corsi del primo semestre all’analisi delle problematiche di carattere generale del tirocinio, oltre che alla conoscenza degli strumenti informatici e di ricerca, e la natura più specialistica e “mirata” dei corsi del secondo e del terzo semestre;
- l’esigenza del coinvolgimento dei referenti per la formazione nelle attività di raccordo che il capo dell’ufficio deve eventualmente svolgere con l’ordine degli avvocati o con le scuole di specializzazione;
- l’obbligatoria partecipazione dei tirocinanti ai corsi specifici loro riservati e a quelli ulteriori ritenuti “funzionali al percorso formativo” e quindi inseriti nella programmazione semestrale, in funzione dell’esito positivo del tirocinio;
- la possibilità che l’attività formativa “specifica” possa svolgersi secondo le più varie e opportune soluzioni metodologiche, compresi laboratori di ricerca, simulazioni processuali, incontri con realtà esterne, partecipazione a eventi particolari etc., e possa altresì comprendere la formazione linguistica.
Nella risoluzione adottata dalla Scuola superiore della magistratura si devono segnalare all’attenzione, tuttavia, alcune criticità di impostazione.
Va in primo luogo evidenziata l’alterazione, attendibilmente involontaria e frutto di un lapsus calami, dei diversi piani su cui si muovono i diversi soggetti nei tirocini formativi, se non altro nella parte in cui, dopo la corretta enunciazione del legame tra i nuovi tirocini formativi e le competenze della Scuola superiore e della sua formazione decentrata, si individuano i capi degli uffici e gli altri soggetti semplicemente quali “altri organi del tirocinio formativo” (Risoluzione, par. 2, rubrica).
La risoluzione, per altro verso, dopo aver giustamente rimarcato l’indiscutibile necessità di un coordinamento tra i tirocini nei singoli uffici e la formazione distrettuale della Scuola, attribuisce unilateralmente ai presidenti delle corti di appello tale compito (“non può che spettare”), in termini che paiono tuttavia del tutto incoerenti con le disposizioni sin qui richiamate.
Né una tale funzione potrebbe essere attribuita, come invece prospettato, sulla base del “principio secondo cui tutti gli atti a rilevanza esterna che concernono l’organizzazione del tirocinio sono di competenza del capo dell’ufficio”, non essendo riconosciuti ai presidenti delle corti compiti di direzione dell’attività degli uffici del distretto, siano essi giudicanti o requirenti, e tanto meno una loro naturale “rappresentanza”.
L’esigenza della pianificazione dell’offerta didattica, a questo punto, ferma l’autorevolezza dell’interlocuzione con i capi delle corti, non potrà che essere assicurata attraverso il dialogo tra le strutture della Scuola, in particolare quelle della formazione decentrata, e i dirigenti dei singoli uffici i quali, come si è visto, sono considerati normativamente i veri motori dell’offerta formativa, oltre che titolari del potere di compiere tutti gli atti “a rilevanza esterna”, dalla predisposizione del progetto alla attestazione degli esiti dello stage.
La Risoluzione, infine, sembra desumere dalla indicazione legislativa del magistrato di affidamento come “formatore” non solo il richiamo ulteriore delle finalità dei tirocini, ma anche la volontà di istituire una nuova figura di preposto alla formazione che, “in quanto tale”, dovrebbe porsi in raccordo mediante le strutture territoriali con la Scuola superiore della magistratura, “competente in via esclusiva in tema di formazione giudiziaria”.
Da questo punto di vista dovrebbe essere sufficiente far riferimento all’art. 1 d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, peraltro richiamato dalla risoluzione, secondo cui “La Scuola ha competenza in via esclusiva in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati”, disposizione da cui non è possibile trarre l’esclusiva della formazione che gli uffici giudiziari, per legge, possono a loro volta mettere a disposizione di soggetti non appartenenti all’ordine giudiziario.
La conseguenza non è di scarso rilievo, potendosi senz’altro riconoscere la possibilità, per ogni singolo ufficio giudiziario, di organizzare anche la preparazione teorica dei tirocinanti attraverso una didattica che si cumuli con l’affidamento al magistrato, integrando quella programmata e somministrata istituzionalmente dalla Scuola superiore, salvo la armonizzazione di tutte le attività nell’ambito della doverosa collaborazione tra coloro che sono chiamati a concorrere alla formazione.
- 15. L’esito del tirocinio.
Il tirocinio può essere interrotto in qualsiasi momento -oltre che per sopravvenute esigenze organizzative- qualora il tirocinante non adempia gli obblighi assunti, sia per quanto riguarda le attività da svolgere, sia per quanto riguarda le modalità e i tempi fissati, in caso di mancato rispetto degli obblighi di riservatezza e segreto e, più in generale, di fronte a qualsiasi violazione che possa far venir meno il necessario rapporto fiduciario.
All’esito del periodo fissato, il magistrato affidatario è tenuto alla redazione di una breve relazione, la quale costituisce la base informativa principale per il previsto rilascio della attestazione sull’esito del tirocinio, positivo o non positivo.
La risoluzione del consiglio prevede che la relazione debba essere redatta in modo sintetico, ma essere comunque idonea a consentire al magistrato coordinatore e al dirigente dell’ufficio di poter valutare l’esito del tirocinio (Risoluzione, par. 4.2., lett. e).
L’attestazione dell’esito del tirocinio deve essere data, peraltro, con precisa indicazione del periodo di svolgimento del percorso formativo, atteso che solo in tal caso, se l’esito è positivo, è possibile assicurare l’effetto sostitutivo di un anno dello svolgimento della pratica forense o di frequenza delle scuole, dovendosi verificare che il tirocinio è stato effettuato per tutti i diciotto mesi previsti dall’art. 73 d.l. cit., ovvero l’effetto sostitutivo per il periodo comunque svolto, sempre nei limiti di un anno, secondo quanto stabilito dall’art. 37 l. cit. (Risoluzione, par. 4.2., lett. g).
La risoluzione evidenzia come il periodo di tirocinio iniziato ex art. 73 l. cit. possa poi confluire nel modulo “convenzionale” con gli effetti sostitutivi propri di tale modulo.
L’attestazione deve essere inoltre accurata atteso che l’esito positivo dello stage, presso gli uffici della giurisdizione ordinaria e amministrativa:
- costituisce titolo di preferenza a parità di merito, a norma dell'articolo 5 d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, nei concorsi indetti dall'amministrazione della giustizia, dall'amministrazione della giustizia amministrativa e dall'Avvocatura dello Stato;
- costituisce titolo di preferenza, a parità di titoli e di merito, per i concorsi indetti da altre amministrazioni dello Stato;
- costituisce titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario di tribunale e a vice procuratore onorario;
- esclude il requisito dell’aver superato l'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense ai fini della nomina a giudice di pace.
- 16. Le potenzialità e le possibili prospettive future.
E’ forse troppo presto per immaginare compiutamente tutte le potenzialità offerte dalla nuova disciplina, come integrata per effetto della risoluzione del Consiglio superiore della magistratura sui tirocini formativi, e i risultati positivi che concretamente sarà possibile conseguire.
E’ comunque indiscutibile che la risoluzione, abbattendo drasticamente molti degli ostacoli che si erano in qualche modo profilati con la precedente attività regolamentare del Consiglio, ha assicurato la massima potenzialità dell’istituto, fondato essenzialmente sull’auspicata valorizzazione del ruolo formativo della partecipazione alle attività del magistrato e, più in generale, all’inserimento nella attività degli uffici giudiziari.
Il primo e più immediato risultato potrà certamente essere costituito, da un lato, dalla costruzione di un modello di formazione di livello particolarmente elevato per i giovani laureati, attendibilmente superiore alla media di molti altri circuiti di formazione e preparazione alle professioni legali; dall’altro, dall’innegabile apporto che i giovani ammessi agli stages potranno offrire al servizio, se adeguatamente guidati in un periodo che appare sufficientemente ampio, tanto più se inserito nelle prime attuazioni del c.d. “ufficio del giudice”, attraverso la sperimentazione di quella struttura tecnica permanente di assistenza al magistrato da più parti sollecitata.
E’ poi immaginabile che lo sviluppo dei tirocini e, progressivamente, la moltiplicazione sull’intero territorio di esperienze particolarmente positive -sinora riferibili solo ad alcuni uffici giudiziari più attenti all’innovazione-, possano essi stessi portare a prefiggersi nuovi obiettivi e a pianificare nuove modalità di formazione negli uffici.
Il conseguimento di risultati di alto livello potrebbe far immaginare, ad esempio, con la determinazione di periodi più lunghi di collaborazione, la strutturazione di percorsi del tutto alternativi -e non più semplicemente concorrenti- rispetto alla frequenza delle scuole di specializzazione e alla pratica forense ai fini dell’ammissione ai concorsi di secondo grado, come quello per l’accesso alla magistratura professionale, e all’esame di abilitazioneall'esercizio della professione di avvocato.
Del pari, la formazione presso gli uffici giudiziari, se più articolata e svolta su tempi maggiori, potrebbe non essere più considerata semplicemente come requisito alternativo all’abilitazione all'esercizio della professione forense ai fini della nomina come giudice di pace, ma essere considerata -se possibile nell’ambito dell’attesa riforma organica della magistratura onoraria- un vero e proprio titolo preferenziale per la nomina a giudice di pace, giudice onorario e vice procuratore onorario.
Sarebbe infine opportuno che il Consiglio superiore della magistratura intervenisse finalmente per riconoscere la piena legittimità delle convenzioni c.d. atipiche, diverse cioè da quelle regolate dalla normativa primaria sin qui esaminata, e che potrebbero ben essere stipulate con ordini professionali diversi da quelli forensi, con enti pubblici e con soggetti privati, quali ad esempio, le associazioni e le fondazioni bancarie.
La normativa primaria, infatti, non pare possa essere letta come eccezionale, dovendosi viceversa riconoscere ai dirigenti degli uffici il potere di definire intese capaci allo stesso modo di contribuire al miglioramento del “servizio giustizia”, senza oneri ma, al contrario, acquisendo apporti materiali, economici e di risorse umane notevoli, sia immaginando moduli formativi per soggetti diversi dai giovani laureati in giurisprudenza, sia più in generale attuando schemi differenti di collaborazione capaci di contribuire a una migliore organizzazione dell’attività giudiziaria.
Il Consiglio superiore, quindi, ben potrebbe stabilire principi generali, procedere in sede di normazione secondaria a una caratterizzazione dei tipi e prescrivere condizioni uniformi per la stipula di tali accordi nel cui ambito -ritenuta ex ante l’insussistenza di pericoli per l’immagine di terzietà e per l’indipendenza della magistratura- potrebbe ancora una volta prevedersi una semplice “presa d’atto” dell’organo di autogoverno.
L’obbligo di autorizzazione del Consiglio superiore, quindi, potrebbe essere previsto e operare quale condizione di efficacia soltanto per quelle convenzioni ulteriormente atipiche rispetto a quelle considerate dalla disciplina regolamentare, data la convenienza di un controllo preventivo da farsi caso per caso al fine di tutelare l’immagine e il prestigio della magistratura.
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I DOCUMENTI: