Il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, pubblicato nel supplemento ordinario n. 50 alla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 21 giugno 2013, è stato definitivamente convertito in legge, con modifiche, il giorno 9 agosto 2013, a seguito dell’approvazione da parte della camera dei Deputati.
Nel corpo di un provvedimento legislativo complesso, destinato secondo le intenzioni dell’esecutivo principalmente alla semplificazione e deburocratizzazione di alcune procedure della PA con finalità di indiretto ausilio allo sviluppo economico del Paese, sono state inserite alcune norme dedicate ai cosiddetti tirocini formativi presso gli uffici giudiziari, sulle quali provo a formulare qualche osservazione “a caldo”.
L’art. 73 del nuovo disposto legislativo elenca, al suo primo comma, i requisiti necessari per poter chiedere di essere ammessi al tirocinio, inteso come un periodo di formazione teorico-pratica presso le Corti di appello, i tribunaliordinari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza, i tribunali per i minorenni, della durata complessiva di diciotto mesi: laurea in giurisprudenza all’esito di corso universitario almeno quadriennale; non avere riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni e non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza; aver riportato una media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, ovvero un punteggio di laurea non inferiore a 105/110; non aver compiuto i trenta anni di età.
Secondo la medesima norma, “ Lo stage formativo, con riferimento al procedimento penale, può essere svolto esclusivamente presso il giudice del dibattimento. I laureati, con i medesimi requisiti, possono accedere a un periodo di formazione teorico-pratica, della stessa durata, anche presso il Consiglio di Stato, sia nelle sezioni giurisdizionali che consultive, e i Tribunali Amministrativi Regionali.”.
Si possono già qui delineare le linee di fondo percorse dal legislatore: stabilire requisiti sufficientemente severi da assicurare una partecipazione qualificata di laureati che siano meritevoli dell’ammissione ad un modulo particolare di tirocinio il quale, negli uffici giudiziari dove è già stato sperimentato mediante convenzioni, come i Tribunali di Milano e di Firenze, risulta aver dato ottimi risultati per la formazione – non più solo teorica- dei giovani laureati in legge, oltre che aver incrementato la produttività dei giudici affidatari.
Rispetto alla decretazione d’urgenza, la conversione in legge ha ampliato leggermente il bacino degli aspiranti stagisti, consentendo il tirocinio sino al compimento del 30° anno di età ( anziché al 28esimo) a coloro che abbiano quanto meno riportato il voto finale di laurea di 105/110, con modifiche che possono ritenersi senza dubbio positive, a fronte di quanto si dirà appresso sullo scarso appeal di questo tipo di tirocinio rispetto agli aspetti “premiali” per i giovani laureati che lo intraprendano.
Deve invece rilevarsi in senso negativo la perdurante esclusione della possibilità di svolgere tirocini negli uffici di Procura e negli uffici GIP/GUP. Tale scelta, collegata all’evidenza a presunte maggiori esigenze di segretezza e privacy, non può essere condivisa: gli uffici giudiziari esclusi, in particolare quello giudicante, sono quelli dove si possono approfondire non solo gli aspetti cautelari del processo penale, ma ogni aspetto di esso nel momento iniziale del procedimento, e quindi con particolare valenza formativa; e per converso l’ufficio GIP/GUP è oggi uno di quelli in maggiore sofferenza per il numero enorme di procedimenti da trattare, per cui l’apporto di un embrione di “ufficio del giudice” sarebbe stato oltremodo utile per l’aumento delle definizioni.
Il tirocinante è comunque tenuto al rispetto assoluto dell’obbligo alla riservatezza, e il giudice affidatario può comunque escluderne la presenza nei momenti processuali ritenuti particolarmente delicati e sensibili, per cui l’esclusione di cui sopra appare solo dannosa ed immotivata.
Pacifica risulta a questo punto l’attuabilità di tirocini nel settore penale ( dibattimento o comunque giudicante), come confermato dall’assenza di espressa esclusione di questo settore, e dal riferimento esplicito agli Uffici di sorveglianza. Anche se la rubrica del titolo normativo in questione indica “Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile”, e quindi sembrerebbe auspicare apertamente un maggiore impiego di tirocinanti nel settore civile, quello più direttamente collegato alla ripresa delle funzionalità e potenzialità dell’economia del Paese.
L’aspirante potrà indicare nella domanda di ammissione una preferenza, deve intendersi per il settore (non più per la persona del magistrato affidatario come previsto nel decreto legge) ove svolgere il tirocinio, da individuarsi tra civile, penale, minorile e sorveglianza, preferenza che potrà essere accolta se compatibile con il buon andamento e le esigenze del relativo ufficio.
Significativa poi l’estensione della possibilità degli stages presso le Corti d’appello: è un primo segnale di apertura a contributi “esterni” per questi Uffici, tradizionalmente e culturalmente estranei ai circuiti formativi post laurea; uffici nei quali invece il tirocinante potrà ora approfondire gli aspetti tipici del secondo grado, vale a dire l’approfondimento delle questioni giuridiche sollevate con il gravame, la tecnica della relazione, la ricerca giurisprudenziale e dottrinale, le dinamiche della camera di consiglio, la tecnica della redazione delle decisioni.
Responsabile dei tirocini, per parte degli uffici giudiziari, è il Presidente del Tribunale o della Corte d’appello: non solo al Dirigente vanno indirizzate le domande, ma è il medesimo, eventualmente tramite suo delegato, che individua ( previo interpello tra i giudici dell’ufficio, che a mio parere i capi degli uffici dovrebbero immediatamente diramare come primo atto esecutivo della nuova normativa, anche per poter poi delineare l’offerta formativa di ciascun Ufficio giudiziario) il magistrato affidatario, ovvero lo sostituisce; che individua le modalità di collaborazione con i consigli dell'Ordine degli avvocati e con le Scuole di specializzazione per le professioni legali, qualora gli stagisti ammessi risultino anche essere iscritti alla pratica forense o ad una Scuola di specializzazione per le professioni legali (comma 5-bis: tale ultima disposizione, inserita in sede di conversione, conferma appieno la compatibilità tra lo svolgimento del tirocinio presso l’ufficio giudiziario con la pratica forense o la frequenza della scuola di specializzazione, stabilita già nel decreto legge al comma 10) .
Il quarto comma dell’art. 73 prevede che “Gli ammessi allo stage sono affidati a un magistrato che ha espresso la disponibilità ovvero, quando è necessario assicurare la continuità della formazione, a un magistrato designato dal capo dell'ufficio”: con tale ultima espressione sembra farsi riferimento alle ipotesi di cessazione dal servizio o trasferimento in altro ufficio del magistrato affidatario.
Il punto focale della nuova normativa sembra essere quello della durata del tirocinio presso gli uffici giudiziari: la legge parla di durata “complessiva” di diciotto mesi, dove l’aggettivo verosimilmente si riferisce alla possibilità di sospensioni dello stage, ad esempio in occasioni di ferie giudiziarie o assenze dell’affidatario; ma un anno e mezzo di formazione presso un ufficio giudiziario è un tempo oggettivamente considerevole, nel quale i tirocinanti saranno impegnati secondo i tempi e le modalità che saranno stabilite dai Capi degli uffici, prevedibilmente per almeno sei ore al giorno per tre o quattro giorni a settimana.
Questo per dare un senso pregnante ai tirocini, secondo le intenzioni del legislatore, e far sì che essi si avvicinino ad essere quegli “uffici del giudice” o “del processo” di cui si parla da molti anni come soluzione per rendere più efficiente la giustizia italiana.
Ma allora si sarebbe dovuto prevedere positivamente un equo “riconoscimento” ai giovani laureati impegnati un questo tipo di stage, come inizialmente stabilito nel decreto legge al comma 12: l’esito positivo del tirocinio costituiva titolo per l’accesso al concorso per magistrato ordinario, ma purtroppo la disposizione è stata cancellata dal testo di conversione.
Il che fa facilmente prevedere una riduzione fortissima del numero dei soggetti potenzialmente interessati allo svolgimento dei tirocini in oggetto, molto impegnativi come già sottolineato, e per di più privi di quel fondamentale bonus che le scuole di specializzazione, il dottorato di ricerca ed il titolo di avvocato invece garantiscono.
La soluzione francamente lascia perplessi: non si può dire, infatti, che l’ingresso di alcuni laureati meritevoli negli uffici giudiziari ( magari equiparando la durata del tirocinio ai tempi di avvocati e scuole, due anni, per non creare disparità), nel numero massimo di due per ogni affidatario – tenendo conto che non tutti i magistrati sono legittimati a rendersi affidatari per le esclusioni di cui sopra si è detto, e soprattutto non tutti sono disponibili a rivestire il ruolo di tutor- avrebbe condotto inesorabilmente ad uno “svuotamento” della pratica forense e delle scuole di specializzazione, per non parlare dei dottorati, percorsi di per sé già molto caratterizzati e destinati a soggetti intenzionati ad entrare nei ruoli di insegnamento.
Sembra che ancora una volta veti incrociati ed interessi particolaristici abbiano impedito di giungere ad una riforma efficace ed esaustiva dell’Ufficio del processo, nel senso indicato soprattutto dagli Osservatori sulla Giustizia italiani : ed infatti alla fine del percorso permangono alcuni aspetti assai critici nella regolamentazione dei tirocini.
La novella prevede espressamente la permanente validità stipula delle convenzioni previste dall'articolo 37 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 tra Uffici giudiziari, da una parte, Università o Scuole di specializzazione o Ordini degli avvocati, dall’altra (art. 73 commi 5 bis e 18).
La prima disposizione, già richiamata, impone al capo dell’Ufficio giudiziario di consultarsi con i Consigli degli Ordini e le Scuole di specializzazione, al fine di individuare le più opportune modalità di svolgimento del tirocinio, ove gli ammessi siano già iscritti alla pratica forense o alla scuola .
La seconda norma risulta molto più difficilmente interpretabile. Il comma 18, infatti, recita: “..I capi degli uffici giudiziari di cui al presente articolo quando stipulano le convenzioni previste dall'articolo 37 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, devono tenere conto delle domande presentate dai soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma 1.” Cosa debba intendersi con l’espressione “ devono tener conto delle domande presentate dai soggetti in possesso dei requisiti” previsti per gli stages legislativamente regolamentati, non è affatto chiaro: si potrebbe intendere che tali soggetti abbiano una sorta di preferenza o prelazione nell’ammissione allo stages, come invece che le convenzioni non possano ammettere requisiti di accesso diversi e più “tolleranti”.
Il dubbio esposto ne genera un altro: se è tuttora possibile, come ritengo in base alla lettera della legge ed alle mancate abrogazioni di precedenti disposizioni legislative in materia, per i capi degli Uffici stipulare convenzioni che abbiano, ad esempio, una previsione di durata del tirocinio diversa da quella di diciotto mesi; ovvero prevedano l’assegnazione dei tirocinanti ai GIP.
Certo in quest’ultimo caso i tirocini, come accaduto sinora nelle sedi dove sono stati sperimentati, rimarrebbero nel limbo di un volontariato “qualificato”, senza poter neppure fornire quei benefici ridotti che la nuova legge riconosce pur sempre ( ed a ben vedere essi non sono poi così scarsi) al tirocinante giudicato positivamente all’esito: sostituzione di un anno di pratica forense o scuola di specializzazione, titolo di preferenza a parità di merito nei concorsi indetti dal Ministero della Giustizia, titolo di preferenza per la nomina a giudice o VP onorario, ammissione d’ufficio ai corsi di formazione decentrata per magistrati ordinari.
Ed inoltre occorrerebbe conoscere le posizioni di ordini professionali e scuole di specializzazione sulla percorribilità di convenzioni “atipiche”, nei loro rispettivi interessi istituzionali, organizzativi e formativi.
La spiacevole sensazione dell’interprete, dunque, è quella per cui la novella potrebbe avere di fatto congelato la stipula delle convenzioni che stavano per essere sottoscritte in varie parti d’Italia, imponendo una formula più rigida che parrebbe priva delle necessarie attrattive per i giovani laureati meritevoli: senza tralasciare il fatto che ovviamente nessuna spesa pubblica è possibile per “retribuire” il rapporto “pseudo lavorativo” con il tirocinante, che in realtà non è nemmeno lontanamente ipotizzabile in quanto escluso espressamente dalla legge, mentre il richiamo alla possibilità dell’apporto finanziario di terzi, mediante apposite borse di studio, continua ad avere oggi l’amaro gusto di una boutade fantascientifica.
Non resta che attendere gli orientamenti degli Uffici giudiziari, degli ordini forensi, delle Scuole postuniversitarie ( sotto forma delle convenzioni che dovranno essere stipulate, quanto meno per regolamentare la sostituzione di un anno di pratica o di scuola con i 18 mesi dello stage presso l’ufficio giudiziario: verosimilmente sarebbe stato opportuno parificare e prevedere la durata dei nuovi tirocini in 12 mesi, pena l’ulteriore prevedibile diminuzione delle domande per tali nuovi stages) e soprattutto dei giovani laureati, per comprendere la reale portata della riforma, monitorando le scelte che saranno da essi effettuate rispetto alle –ormai numerose, ma non troppo organiche- offerte formative a disposizione .