Il Cile ha eletto un nuovo Presidente: la notizia si è diffusa ovunque nel mondo. Da molte parti è salutata con allegria, altrove con ammirazione, altrove ancora con allarme.
Ma cos’ha di tanto sorprendente questa elezione da differenziarsi da quelle occorse dopo la dittatura? La differenza sta nel fatto che il Cile è cambiato, si è destato da un torpore che, dopo le costrizioni subite sotto la dittatura militare e per i successivi 33 anni di democrazia, lo ha visto accettare paziente le diseguaglianze e le ingiustizie più aberranti. Un Cile riconoscente, che si accontentava: almeno ora eravamo tornati alla normalità ed esistevano le istituzioni che Pinochet aveva silenziato per 16 anni – primo fra tutti, il Congresso.
Eleggevamo i nostri rappresentanti desiderando che mantenessero le promesse fatte – istruzione gratuita e parità di accesso alle prestazioni sanitarie per tutte le categorie, pensioni dignitose – a fondamento di una società democratica; ma anziché evolversi verso quella società promessa, ogni volta il divario si è esteso e la differenza nell’esercizio effettivo dei diritti è apparsa più evidente. Un Cile tecnologico e moderno, quasi come in Europa, in alcuni contesti, soprattutto nella Capitale ha il suo negativo in quello che accade nelle periferie, dove tale modernità non è palpabile, e la carenza di beni e servizi essenziali è affare quotidiano.
Questa povertà, che tutta l’America Latina accetta nel XXI secolo, si allarga intrecciandosi con una classe media indebitata fino al collo, che tenta di pagare gli studi ai figli con costi incompatibili con gli standard nazionali e internazionali, e percepisce salari insufficienti a coprire le necessità primarie. Quando arriva la vecchiaia, la situazione si fa ancor più opprimente: nel sistema pensionistico basato sulle Afp (Administradoras de fondos de pensiones) – la truffa del secolo! –, creato dal fratello del Presidente uscente Piñera, si versano i contributi ogni mese e dobbiamo pagare perché siano amministrati i nostri fondi, investiti secondo una tipologia definita in base al rischio assunto (A, B, C, D, E), con ingenti guadagni per le società private che li gestiscono… Guadagni che, peraltro, non trovano corrispondenza nelle pensioni erogate (con un’età di decesso calcolata fino a 104 anni); nel caso di eventuali perdite, queste saranno sopportate dai contribuenti. Usano i nostri soldi, ottengono profitti milionari e le pensioni sono miserrime (nel caso dei magistrati - un settore privilegiato -, un quinto dell’ultima retribuzione).
Insomma, non esiste un sistema di previdenza sociale, bensì un business. Così avviene in tutti i settori che lo Stato dovrebbe ritenere prioritari (salute, istruzione, pensioni…), pervasi – anziché da un effettivo concetto di “diritto del cittadino” – dalla logica affaristica. I cittadini si distinguono fra coloro che frequentano istituti privati (mediamente con rette dai 200 euro in su), i quali hanno maggiori probabilità, un domani, di studiare in qualche università, e chi invece è iscritto alla scuola statale, le cui strutture spesso risultano perfino sprovviste di impianti di riscaldamento.
Gli stessi cittadini che beneficiano dell’istruzione privata risultano in prevalenza inseriti in un sistema sanitario privatizzato – il cui costo per famiglia (ma dipende dalla copertura) ammonta a circa 300 euro mensili –, con accesso a cliniche che, per gli interventi necessari, guadagnano milioni di pesos. Alla fine, tali prestazioni li portano a indebitarsi, a differenza dei cittadini soggetti al servizio sanitario pubblico (sistema Fonasa - «Fondo nazionale per la salute»), che pagano molto meno ovvero esentati se indigenti, e che sono destinati a riempire le lunghe liste d’attesa degli ospedali, sovraccarichi come ogni altra struttura pubblica.
A ciò vanno ad aggiungersi pensioni indegne – alcune ammontano a circa 130 euro mensili! –, che negli ultimi anni hanno provocato un aumento del tasso di suicidio fra gli anziani, una classe media che tenta di sopravvivere facendo credito a se stessa e, viceversa, altre categorie ad altissimo reddito – come i politici, con stipendi superiori a quelli europei (circa 7700 euro), senza contare le indennità… Tutto ciò è aberrante se solo si considera l’ammontare del salario minimo: 388 euro, aumentato di soli 14 euro dal 2021; del resto, la retribuzione media nel Paese è pari a circa 723 euro.
Tale è lo scenario che portò all’“esplosione” (“estallido”) sociale del 2018. Stanco di essere sfruttato e ingannato dai suoi rappresentanti, dalla classe politica, dai suoi governanti, il Cile si è scosso: è sceso in strada a reclamare ciò che gli appartiene. L’indignazione ha soppiantato la pazienza. Si è trattato di una beffa, di una truffa, e non vi sono più spiegazioni possibili. Il Cile esige un cambiamento, un cambiamento vero.
In un simile contesto, il 25 ottobre 2020 il 78% dei suoi abitanti votano perché sia adottata una nuova Costituzione che sotterri quella di Pinochet, più preoccupata della proprietà privata che dei diritti sociali dei cittadini. Parliamo di una vittoria senza precedenti, il più importante atto elettivo nella storia del Cile, che ha coinvolto 7,5 milioni di elettori . Soltanto il 22% ha votato per il “NO”, ma tale percentuale coincide con chi detiene il potere economico e farà tutto il possibile per frenare questo cambiamento sostanziale. Così hanno boicottato e ridicolizzato il lavoro che svolgono i Costituenti del 2021, disinformando, distorcendo la realtà, aiutati anche da alcune proposte critiche che si allontanano dalla volontà espressa dalla maggioranza, con il rischio che questo 78 per cento di voti favorevoli non torni a ripetersi in occasione del plebiscito che, ad agosto (o settembre?) di quest’anno, dovrà approvare il testo della nuova Costituzione.
Nel pieno del fermento, si sono tenute le elezioni presidenziali, oltre a quelle parlamentari e dei consiglieri regionali. Il 19 dicembre 2021, al secondo turno, Gabriel Boric ha vinto con oltre 4 milioni di voti e il 55% delle preferenze, contro il 44% ottenuto candidato di destra erede politico di Pinochet, Juan Antonio Kast. Nell’intero corso della campagna elettorale si sono replicate le stesse divisioni sorte al tempo della dittatura, quando si votò “NO” a Pinochet. Il Paese è tornato a spaccarsi a sinistra e a destra, con i pinochettisti attivi nel riesumare la retorica del terrore e intenti a convincere gli elettori che, se avesse vinto Boric, il Cile sarebbe diventato un nuovo Venezuela o una nuova Cuba. Invece non sono riusciti a convincere la maggioranza: al contrario, malgrado le difficoltà logistiche di tutte le persone prive dei mezzi per spostarsi, la gente si è mobilitata per andare a votare, convinta e fiduciosa che Boric realizzerà il cambiamento promesso, necessario a rendere il Cile una terra di giustizia e dignità per tutti.
Come candidato, accostato alla gentilezza e alla tempra di Salvador Allende, Boric ha dato speranza a giovani ed anziani. Ora che è stato eletto, le persone lo avvicinano per la strada e lo salutano emozionate mentre lui, con lo sguardo acceso dalla speranza e dalla forza proprie di chi è giovane, si impegna con coerenza ad adempiere le promesse fatte. La gente gli crede. Stavolta i cambiamenti ci saranno!
Nel suo discorso, Boric ha sottolineato forte e chiaro che il suo impegno si tradurrà nel prendersi cura della democrazia ogni singolo giorno del suo incarico: «Una democrazia sostanziale, che non si riduca al voto, della quale sia protagonista la società civile».
Lo attendono prove fondamentali: il Cile è un Paese di enormi diseguaglianze, aperto al commercio internazionale, con forti contrasti geografici e gigantesche sfide ambientali, ricco di risorse. La sua storia democratica mostra profonde cicatrici ancora aperte, con una destra che rifiuta fermamente di abbandonare i suoi privilegi, mentre alcune frange più estreme stanno già organizzandosi per ostacolare o vanificare l’attività futura del Presidente democraticamente eletto, con gli stessi meccanismi di contrasto attuati durante i mille giorni di Allende. Boric, dal canto suo, sa cosa lo aspetta: è preparato a questi pochi anni, ben consapevole – per averlo vissuto, ancora studente, in prima persona – dello scenario che dovrà affrontare.
Chi scegliamo? A chi affidiamo la guida del nostro Paese? Nel suo clamoroso curriculum troviamo azioni, non solo parole o “scatole vuote”: la via da percorrere esiste, ed è tracciata con certezza.
Nato l'11 febbraio 1986 a Punta Arenas (Regione di Magellano) da María Font Aguilera e Luis Boric Scarpa (ingegnere chimico), Boric è compagno di Irina Karamanos, scienziata sociale e militante di “Convergencia Social”. Tra il 1991 e il 2003 compie la sua formazione primaria e secondaria alla British School di Punta Arenas, mentre nel 2004 si iscrive all’Università del Cile, dove conseguirà la laurea in giurisprudenza. Nel periodo 2011-2012 è presidente della Federazione studentesca e tra i principali attori della mobilitazione del 2011, nonché portavoce della Confederazione degli studenti del Cile (CONFECH). Nel 2013 e nel 2017 viene eletto deputato nella Regione di Magellano e dell’Antartide Cilena, rispettivamente per i periodi 2014-2018 (Distretto n. 60) e 2018-2022 (Distretto n. 28). Partecipa, inoltre, alla nascita di “Frente Amplio”, una coalizione di partiti e movimenti di sinistra che ha debuttato alle elezioni del 2017 come terza forza politica nazionale. Il 15 novembre di quell’anno prende parte alla sottoscrizione dell’«Accordo per la pace sociale e la nuova Costituzione», esito dell’estallido, che dà l’avvio al processo costituente.
A marzo del 2021, Boric è nominato candidato alle presidenziali per Convergencia Social, fondato nel 2018 come parte integrante del Frente Amplio. Dopo aver vinto le primarie del 18 luglio 2021, diviene candidato per la coalizione “Apruebo Dignidad”, e il 19 dicembre è eletto Presidente della Repubblica con il maggior numero di voti nella storia del Cile. A 36 anni, sarà il più giovane governante in carica a livello mondiale. Lo scorso 10 gennaio è stato ufficialmente proclamato «Presidente eletto» del Cile dal Tribunale elettorale.
Il 21 gennaio Boric ha presentato al Paese la sua formazione di governo, storicamente il primo a maggioranza rosa: la parità di genere è superata, in quanto, dei 24 componenti del nuovo Esecutivo, 14 sono donne. Alcune tra loro saranno titolari di dicasteri importanti, fra i quali: Esteri, Interni e Sicurezza, Ambiente, Giustizia, Lavoro. Nell’ottica del mantenimento dell’unità in Parlamento – dove rappresenta una minoranza –, il neo-Presidente ha voluto nel suo staff membri delle aree di sinistra e indipendenti, che non l’hanno sostenuto al primo turno, assegnando un terzo a referenti indipendenti e senza affiliazione partitica. Con un’età media di 42 anni e 7 ministri di età inferiore a 40, il Gabinetto costituisce un punto di riferimento per i giovani, pur riservando ai più esperti posizioni gravose – futuro Ministro del Tesoro sarà Mario Marcel, attuale presidente del Banco Central. Emblematica, poi, la nomina di Maya Fernandez, iscritta al Partito socialista e nipote di Salvador Allende, alla guida della Difesa e responsabile del controllo dei tre rami delle Forze armate.
La nuova portavoce del Presidente sarà Camila Vallejos, deputata del Partito comunista, mentre il medico indipendente Izkia Siches, che ha presieduto l'Ordine dei medici fino al momento delle elezioni e ha diretto la campagna presidenziale di Boric, occuperà il Ministero dell'Interno e della Pubblica Sicurezza, diventando la prima donna nella storia cilena a ricoprire l’incarico. Giorgio Jackson, coordinatore politico e braccio destro del neoeletto Capo di Stato, assumerà la Segreteria generale della Presidenza, che svolge un ruolo cruciale nelle relazioni con il Parlamento.
Il Presidente eletto ha evidenziato il fatto che questo gruppo di lavoro è formato da persone competenti, preparate ed esperte, impegnate negli obiettivi di cambiamento necessario posti al centro dell’agenda politica, e provviste della capacità di riunire una varietà di approcci, prospettive e nuove visioni. È, in altre parole, un Esecutivo che ricerca la governabilità.
Il Paese resta in trepida attesa. Il nuovo Gabinetto, data la preparazione dei suoi membri e la trasparenza nelle procedure di formazione e di nomina, ha trasmesso serenità e fiducia alla maggior parte dei cileni.
In questo clima, tuttavia, la magistratura prende atto con preoccupazione delle riforme proposte e generalmente approvate dalla Commissione per il Sistema giudiziario – interna alla Convención costitucional incaricata di redigere la nuova Costituzione (www.cconstituyente.cl/comisiones/) – per quanto attiene all’inamovibilità dei giudici, esortando a innovare sul punto, nonché al fatto che essi durino in carica 8 anni e, cessato l’incarico, debbano ri-candidarsi. I membri della Corte Suprema hanno espresso il loro punto di vista rispetto al pregiudizio che ne deriverebbe per l’indipendenza della magistratura, il che non è condiviso dai fautori della proposta, che insistono (benché essa ancora non sia maggioritaria) rilevando che l’aver espresso la propria opinione mediante lettura di un documento abbia costituito, da parte della Corte, un atto intimidatorio che pregiudica l’autonomia dell’Assemblea costituente. [Sempre in tema di inamovibilità (e in attesa di un’approvazione definitiva da parte del plenum) è stata da poco approvata – con 12 voti a favore e 7 contrari – la proposta in base alla quale i giudici non potranno essere sospesi o rimossi, al contempo riducendo la durata della carica a 70 anni di età (www.elmostrador.cl/dia/2022/02/08/comision-de-sistemas-de-justicia-de-la-convencion-aprobo-reducir-edad-de-jubilacion-a-los-jueces-y-una-nueva-jurisdiccion-indigena/)]
Per altro verso, nel corso della sua campagna, Boric ha promesso che nessun funzionario pubblico dovrà percepire una retribuzione superiore all’incirca a 5200 euro, ciò che interessa anche una parte della magistratura. Entrambe le questioni dovranno essere definite nel corso dell’anno corrente, quando il testo della Costituzione sarà approvato o respinto, e quando il nuovo Presidente inizierà il suo mandato per realizzare quanto ha promesso.
Quella che il Cile è intento a scrivere è una Storia nuova. Una Storia piena di speranza.
Traduzione dallo spagnolo di Mosè Carrara Sutour