Il libro di Luigi Cavallaro fa parte della Collana diretta da Pietro Curzio, Biblioteca di cultura giuridica, primo della serie Breviter et dilucide, al quale auguriamo grande successo, ben oltre il numero dei venticinque lettori di manzoniana memoria evocato dall’Autore: naturalmente, ovviamente.
La «sentenza memorabile» è quella del 5 maggio 2020 con la quale il Bundesverfassungsgericht (BVerfG), Second Senate (2 BvR 859/15 – parr. 1/237), il Tribunale Costituzionale Federale tedesco, Seconda Sezione, si è pronunciato sulla legittimità del programma di acquisto di titoli di debito pubblico degli Stati membri sul mercato secondario (PSPP) deliberato dalla Banca centrale europea (BCE) per riportare il tasso di inflazione in misura prossima al 2% ( decisione (UE) 2015/774 del 4 marzo 2015 e successive proroghe e modifiche).
Una breve digressione è d’obbligo per raccontare gli antefatti e i fatti minimi della controversia.
Con un ricorso diretto di costituzionalità (nell’ordinamento tedesco è possibile) alcuni soggetti privati avevano denunciato le decisioni della BCE per violazione della ripartizione delle competenze tra l’Unione Europea e gli Stati membri (non rientrando nel mandato della BCE, a loro avviso, il programma adottato) e del divieto di finanziamento monetario. In estrema sintesi i ricorrenti lamentavano che il Governo, il Parlamento e la Bundesbank, non opponendosi all’approvazione e alle proroghe del PSPP, avessero violato le norme della Legge Fondamentale che impediscono di assoggettare i cittadini tedeschi ad un potere privo di legittimazione democratica.
A seguito di rinvio pregiudiziale la Corte di Giustizia (sentenza 11 dicembre 2018, C-493/17, Weiss e altri) ha dichiarato la legittimità del programma PSPP adottato dalla BCE: perché rientra nel settore della politica monetaria, di esclusiva competenza dell’Unione Europea; rispetta il principio di proporzionalità; non viola il divieto di finanziamento monetario che riguarda la concessione di credito agli Stati membri da parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali; non comporta l’acquisto di titoli sul mercato primario; non incide sulla politica di bilancio degli Stati membri.
Il Tribunale Costituzionale Federale tedesco (che ha deliberato con un solo dissenso), innanzitutto, ricostruisce, in chiave critica, i rapporti con la Corte di Giustizia, la cui interpretazione pregiudiziale, che è sua prerogativa, può essere rispettata fintantoché applica principi metodologici riconosciuti, basati sulle tradizioni giuridiche comuni agli Stati membri, che si riflettono nella giurisprudenza delle Alte Corti degli Stati membri, costituzionali e superiori, e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Di conseguenza, ritenuti sostanzialmente violati i principi di proporzionalità e di attribuzione, afferma il suo diritto al riesame della questione controversa, nonostante il pronunciamento della Corte di Giustizia.
In secondo luogo, pur considerando legittimo l’operato della BCE, non sussistendo, nello specifico caso, violazione dei Trattati europei, afferma tuttavia la prerogativa del giudice costituzionale degli Stati membri di valutare gli effetti di politica economica del PSPP, nel rispetto del principio di proporzionalità, operando una adeguata valutazione dell’impatto delle politiche monetarie adottate dalla BCE sull’interesse nazionale.
Da ultimo, con un provvedimento singolare, il BVerfG dispone alcune prescrizioni alla BCE, da eseguire nel termine di tre mesi, per conservare validità al PSPP, nel rispetto delle scelte governative e della valutazione dei mercati, e conseguentemente mantenere la Bundesbank vincolata all’obbligo di continuare ad attuarlo.
Veniamo al libro.
Dalla nota in fondo al testo e dalla quarta di copertina, che ho letto per primi, si capiscono molte cose dell’Autore.
Innanzitutto, il perfetto stile di Leonardo Sciascia, evocato nello stesso titolo del suo piccolo libro, Sentenza memorabile, pubblicato da Sellerio Editore, Palermo, nel 1982 (nella storica Collana blu La memoria, n. 56, iniziata proprio da Sciascia), dedicato all’affaire del falso Martin Guerre in una “inquisizione” lucida e sottile, nel riscrivere, divagare ed extravagare. Riscrivere alla maniera di Pierre Menard di Borges e divagato come Sciascia: questo è l’intento dell’Autore, che lo realizza in maniera affabulatoria e, per certi versi, immaginifica.
Poi, la passione per i piccoli libri destinati a pochi lettori, che Sciascia aveva manifestato nel risvolto autografo che introduceva la prima edizione della sua Sentenza memorabile: «Mi piace sempre più scrivere cose come questa; e sempre più mi piace pubblicare piccoli libri come questo. Forse è che ad un certo punto della vita si vuole essere in pochi. Mi avviene persino di credere di avere inventato un genere letterario: illusione che accresce il piacere di praticarlo. Ma so anche che non è vero. Il prototipo, altissimo, resta La storia della Colonna Infame, ci sono poi le «inquisiciones» di Borges e - per me - le inquisizioni filologiche e critiche di Salvatore Battaglia, indimenticabile maestro ed amico. Questa «inquisizione», giocata tra un processo del secolo XVI e una pagina di Montaigne, l'ho scritta con sottile divertimento. Spero ne abbiano anche i miei venticinque lettori. E mantengo la cifra manzoniana non per immodestia, ma tenendo conto della onnipresente inflazione».
Ed ancora, il piacere dell’inquisizione nella definizione che ne dà Nicolò Tommaseo: «Ricerca addentro una cosa, o a più insieme che facciano un tutto reale o immaginato. La prima concerne specialmente le cose; la seconda, le persone e gli atti; o se cose, in quel che concernono le persone». A questa definizione richiamata dall’Autore mi piace aggiungere quella di Salvatore Battaglia, buon amico di Leonardo Sciascia: « Ricerca accurata, metodica e penetrante in ordine a cose, fatti, persone, situazioni di cui si conosce o si sospetta l’esistenza, e di cui si vuole avere precisa e completa conoscenza; studio approfondito, riflessione filosofica, analisi scientifica o psicologica» (merita leggere l’intera voce: Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della lingua italiana, Utet, Torino, 1973, ristampa del 1994).
La dedica al maestro e amico Giorgio Lunghini, raffinato economista letterato, che amava invadere il campo arato dai giuristi, ci rende, anche plasticamente, l’immagine del giurista che non disdegna di invadere l’economia politica, non per farsi condizionare, ma per ricercare la sostanza del diritto, inafferrabile sovrastruttura, nei rapporti di forza socio-economici.
Il riferimento espressamente dichiarato dall’Autore è alle Cause celebri ed interessanti dell’avvocato salottiero di Lione François Gayot de Pitaval (una selezione davvero minima dei venti volumi si può leggere nella pubblicazione di Sellerio Editore, Palermo,1991, Collana La Diagonale, n. 59, a cura e con introduzione di Pietro Spirito), processi celebrati nella Francia dell’Ancien Régime: opera meritoria di un compilatore di grande successo, come impietosamente fu definito, che l’Autore ambisce a continuare, anche nell’uso del barbaro linguaggio dei palazzi di giustizia, nella consapevolezza che si tratta di «vicende di una vita collettiva in cui ciascuno può incorrere: uguale e irrecusabile per tutti essendo (ma meglio dire: dovendo essere) l’ordinamento giuridico».
Anche qui, come nelle cause celebri di François Gayot de Pitaval, l’opera esprime bene «il paradosso dell’estetica romanzesca nel XVIII secolo, sempre in bilico tra l’immaginario e il reale, alla ricerca di un equilibrio tra la necessità di non perdere il contatto con la realtà e il bisogno di abbandonarsi all’immaginazione in una sorta di «reinvenzione» nel mondo secondo nuove regole del gioco. Il «vero incontra il meraviglioso», dunque, in una narrazione che al tempo stesso appaga la «curiosità», e «istruisce lo spirito» (così Pietro Spirito, nell’introduzione a François Gayot de Pitaval, op. cit., 14).
Istruire divertendo nel raccontare i processi celebri, singolari e meravigliosi, con le sentenze che appagano mirabilmente la curiosità e nello stesso tempo istruiscono lo spirito con le regole derivate dalla giurisprudenza dei casi importanti.
Ha un movente politico l’attenzione che da sempre il pubblico riserva alle cause celebri e interessanti, ed è questo movente politico che induce l’Autore a raccontare il caso della decisione del BVerfG, non meno memorabile (da qui il titolo) di quello del Parlamento di Tolosa sul caso di Martin Guerre raccontato da Leonardo Sciascia.
La sentenza tedesca suscita interesse sin dalla data di pubblicazione, quella del 5 maggio, che ci proietta in una dimensione di «conseguenzialità immaginativa o fantastica indefettibile», per usare le parole di Sciascia.
È solo una coincidenza, si dirà. Sappiamo, però, quanto importanti siano le coincidenze, ma anche il caso e la memoria, nella narrazione di Sciascia: «Il caso, la memoria; il gioco del combinarsi di occasioni, coincidenze, rispondenze, ricordi; il connettersi e concatenarsi dapprima impercettibile delle cose viste, lette, immaginate, sospettate, sognate che assumono poi rapporti di cause ed effetti: e tutto si dispiega, si fa netto e necessario nel nostro sentimento, nella nostra ragione, nel nostro modo di essere. Sarebbe da dire, magari a sproposito: il caso e la necessità; degli universi minimi, s’intende» (sono queste le parole d’esordio del racconto di Leonardo Sciascia E come il cielo avrebbe potuto non essere..., che fa parte della terza raccolta di suoi articoli e saggi dispersi: Fatti diversi di storia letteraria e civile, Collana La diagonale, n. 45, Sellerio Editore, Palermo, 1989).
Secondo l’Autore c’è una «costante, tenace ambiguità» (è sempre Sciascia che parla), in cui tutto, anche qui, sembra svolgersi come nella letteratura; qualcosa si presenta al posto di qualcos’altro, proprio come nel caso del falso Martin Guerre.
Il Tribunale Costituzionale Federale tedesco è composto da due sezioni, denominati senati e la decisione è stata presa dal Secondo Senato. Si diletta, l’Autore, sulla parola senato, ricordando i tempi in cui legge e giudice erano persone, non idee, e il giudice era funzionario del Re. Ci ricorda, ancora, l’Autore, con le parole di Salvatore Satta, che il Giudice deve essere soggetto soltanto alla legge, altrimenti egli è solo disponibile (a cosa e a chi che è presto detto: basta leggere le cronache dei nostri giorni).
È questione di sovranità quella portata all’attenzione dei giudici costituzionali da privati cittadini con le denunce formulate nei confronti della BCE che non aveva il potere di assumere decisioni in ordine al programma di acquisto di titoli del debito sovrano, così interferendo con la legge di bilancio del Parlamento tedesco e violando l’identità costituzionale del popolo tedesco scolpita nella sua Legge fondamentale.
L’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia del 18 luglio 2017 chiamata a pronunciarsi sulla validità delle decisioni adottate dalla BCE è spiegata nei suoi punti fondamentali. Cosa sospettano i giudici costituzionali tedeschi: la violazione del divieto di concedere prestiti agli Stati membri e la violazione delle prerogative degli Stati membri sulle decisioni di politica monetaria, essendo riservato alla BCE solo l’esercizio della politica monetaria.
La sentenza della Corte di Giustizia dell’11 dicembre 2018 smonta le censure mosse dai Giudici costituzionali tedeschi, con disinvoltura interpretativa: pur non negando quello che dicono i Trattati, afferma che la BCE è impegnata a sostenere le politiche economiche generali dell’Unione, ciò escludendo una separazione assoluta tra la politica economica e la politica monetaria, che non trova definizione nei Trattati, ma solo l’enunciazione del suo obiettivo che è la stabilità dei prezzi. L’Autore chiosa questo argomentare con le parole di Tullio Ascarelli: «Il dramma si risolve non già negando il patto, ma affermandolo nella sua validità, interpretandolo e distruggendolo».
La decisione del BVerfG è esaminata nei passaggi motivazionali più significativi, trattandosi di un testo monumentale, con riferimento anche alle audizioni disposte (tutte di esponenti del pensiero liberale), per arrivare dopo nove mesi alla fatidica data del 5 maggio 2020.
La critica dell’Autore si appunta sull’economia sociale di mercato fortemente competitiva su cui si fonda l’Unione in base anche a quanto si legge nell’art. 3 del Trattato, che altro non è l’economia di mercato.
Il BVerfG critica, comprensibilmente, le decisioni assunte dalla BCE che ha confuso la politica monetaria con la politica economica, dovendo invece essere necessariamente separata la politica monetaria dalla politica economica, ragion per cui la prima è attribuita ad una istituzione indipendente dalla politica: la BCE, per l’appunto.
La Corte di Giustizia, le viene rimproverato, non ha utilizzato per la BCE lo stesso, rigoroso, criterio di scrutinio utilizzato per gli Stati membri.
C’è un filo rosso conduttore tra Vladimir Lenin e John Maynard Keynes nel ritenere che «il miglior modo di distruggere il sistema capitalistico sia quello di devastare il sistema monetario». Nel contesto postbellico l’inflazione prelude al disastro dell’economia di mercato e alla sovversione collettivista, come scriveva Walter Eucken nei suoi Principi di politica economica, che l’Autore considera un indizio « precisamente, dell’importanza che assume il finanziamento monetario del debito pubblico nell’ottica di preservare la stabilità dei prezzi; e anzi il divieto di quel finanziamento : che causa solo guai, e lo statalismo totalitario su tutti».
È l’identità costituzionale della Germania ad essere lesa, secondo il BVerfG, nella operazione della BCE posta in essere in violazione del divieto assoluto di finanziamento degli Stati membri, a fondamento dell’economia sociale di mercato dell’Europa come è declinata dall’ art.123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione: «Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali».
E tuttavia la pronuncia pregiudiziale resa dalla Corte di Giustizia, che conferma la rigida interpretazione della norma sopra richiamata, è appagante per i Giudici Costituzionali tedeschi perché l’aspettativa che la BCE compri tutto il debito pubblico degli Stati membri non significa certezza che lo faccia.
Leggendo il «ruvido» comunicato stampa n. 58 dell’8 maggio 2020, rilasciato nell’immediatezza della sentenza emessa dal BVerfG, si percepisce la comprensibile irritazione della Corte di Giustizia, che si limita a ricordare alcuni principi consolidati della sua giurisprudenza sul vincolo del giudice nazionale alla sentenza pronunciata in via pregiudiziale dalla Corte per la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente e sull’applicazione uniforme del diritto dell’Unione garantita ( soltanto) dalla Corte e dal rispetto a cui sono tenuti i giudici nazionali.
I servizi istituzionali della Corte dichiarano, da ultimo, che si asterranno da ulteriori commenti.
Fine del comunicato e del dialogo tra le Corti (al quale, comunque, l’Autore non sembra credere molto).
Anche il comunicato stampa della BCE, reso sempre nell’immediatezza della decisione, è molto scarno, ma significativo del contrasto che si è venuto a creare. Il Consiglio direttivo della BCE si limita a prendere atto della sentenza del BVerfG relativa al PSPP e dichiara di ritenersi pienamente impegnato a fare tutto il necessario, nell'ambito del proprio mandato, per assicurare che l'inflazione cresca ai livelli coerenti con l'obiettivo di medio termine e che l'azione di politica monetaria adottata per il perseguimento dell'obiettivo di stabilità dei prezzi sia trasmessa a tutte le parti dell'economia e a tutte le giurisdizioni dell'area euro. Non senza precisare, da ultimo, che la Corte di Giustizia ha deciso nel 2018 che la BCE sta agendo nel rispetto del proprio mandato di preservare la stabilità dei prezzi.
Più netto è il comunicato del 10 maggio 2020 della Presidente della Commissione Europea, che, dopo aver ribadito i principi fondamentali affermati dalla Corte di Giustizia (la politica monetaria dell'Unione è una materia di competenza esclusiva; il diritto dell'UE ha il primato sul diritto nazionale; le sentenze della Corte di Giustizia, alla quale spetta l’interpretazione pregiudiziale, sono vincolanti per tutti i tribunali nazionali), riafferma il suo compito di salvaguardare il corretto funzionamento del sistema euro e del sistema giuridico dell'Unione, senza escludere l'opzione di avviare procedure di infrazione.
E conclude con una dichiarazione di principio che racchiude, in sintesi, la missione dell’Europa: «L'Unione europea è una comunità di valori e di diritto, che deve essere sostenuta e difesa in ogni occasione. Questo è ciò che ci tiene uniti. Questo è ciò che rappresentiamo».
Ma ogni contrasto viene messo a silenzio: «Sopire, troncare, padre reverendo: troncare, sopire», così rievocando l’Autore il dialogo manzoniano tra il conte zio e il padre provinciale del capitolo XIX de I Promessi Sposi.
Non è sopita, però, la curiosità dell’Autore, «per amore di diritto, e anche di verità», che cerca di leggere il non detto del Tribunale Costituzionale Federale tedesco, cercando di districarsi nel «groviglio di fili e nodi» per vedere le figure e decifrare il rovescio del ricamo di un « discorso che dice e non dice, allusivo» come quello che fece una “persona di rispetto” a Salvatore Colasberna, l’imprenditore morto ammazzato de Il Giorno della Civetta. E qui ritorna ancora una volta Leonardo Sciascia.
«La BCE è soggetta al diritto europeo, rende conto delle proprie attività ai parlamentari europei, risponde in ultima istanza alla Corte di giustizia dell'Unione europea che a dicembre ha stabilito in maniera incontestabile che gli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce (programma PSPP) sono perfettamente conformi al suo mandato e al diritto europeo»: rassicurava Christine Lagarde in una prima intervista.
L’analisi dell’Autore si sposta, poi, dal principio di attribuzione delle competenze stabilite dai Trattati ai principi di proporzionalità e sussidiarietà che ne delimitano l’esercizio, dovendosi assumere tutte le decisioni necessarie per raggiungere gli obiettivi, con la necessaria motivazione, da parte della BCE, dell’azione perseguita.
Ora è chiaro che l’operazione di politica monetaria (che comporta sempre significative implicazioni di politica economica) della BCE è diretta a realizzare l’equilibrio di lungo periodo, a tenuta del sistema, ma nel farlo, e nelle conseguenze di breve periodo, l’azione non è neutrale, secondo i giudici costituzionali tedeschi: e questo non è accettabile.
Per questo l’Autore richiama la tesi di Piero Sraffa secondo cui il saggio del profitto è suscettibile di essere determinato da fattori estranei al sistema della produzione, e particolarmente dal livello dei tassi dell’interesse monetario. E così, riprendendo il concetto di impostura contraria di sciasciana memoria, che ritroviamo ne Il Consiglio d’Egitto, uno di quei fatti che «servono a definire una società, un momento storico», il senso profondo della sentenza dei giudici costituzionali tedeschi viene reso evidente da una doppia impostura: l’esistenza di un equilibrio per una economia competitiva e la neutralità della politica monetaria.
Partendo dalla nozione di equilibrio di Giorgio Lunghini, l’Autore ne sconfessa il mito, fatto proprio dai costituenti dei Trattati. L’equilibrio è solo un caso, mentre la norma è fatta di crisi, conflitto e incertezza.
Ci siamo abituati all’idea che l’ordine concorrenziale realizzi tutte le nostre aspettative, dando luogo ad un «sistema economico che ci consente di avere a disposizione benessere, vantaggi e comfort a buon mercato e con il minimo sforzo». E qui l’Autore affonda la lama della sua critica al mercato dei diritti fondamentali che è stato costruito dai Trattati dell’Unione e prima ancora dalla Carta di Nizza, svelando che l’Unione Europea è stata organizzata economicamente e socialmente allo scopo di garantire la massima accumulazione del capitale, resa possibile dalla disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.
Nulla di nuovo.
In un discorso pronunciato all’Athénée Royal di Parigi nel febbraio 1819, Benjamin Constant osservò: «Il fine degli antichi era la suddivisione del potere sociale fra tutti i cittadini di una stessa patria: era questo ciò che chiamavano libertà. Il fine dei moderni è la sicurezza nei godimenti privati; e chiamano libertà le garanzie accordate dalle istituzioni a questi godimenti» (merita leggere l’intero testo della conferenza: Benjamin Constant, La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni, Einaudi, Torino, 2005 Collana Piccola Biblioteca Einaudi- Nuova Serie, n. 298, a cura e con introduzione di Giovanni Paoletti e con il seguito del Profilo del liberalismo di Pier Paolo Portinaro, che ne propone una lettura attuale attraverso un percorso storico-critico).
In conclusione, secondo l’Autore, la sentenza del Tribunale Costituzionale Federale tedesco ha fatto emergere l’impostura della presunta neutralità del meccanismo concorrenziale, enfatizzata nella sua pericolosa fragilità dalla pandemia, consentendo la prosecuzione dei programmi di acquisto di titoli da parte della BCE e la promessa di non incorrere nelle procedure di infrazione in caso di debito aggiuntivo contratto dagli Stati membri per fronteggiare l’emergenza. Che valgono quanto le grida dei Governatori spagnoli per far fuori i bravi nella Lombardia del ‘600, su cui si appunta la feroce ironia di Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi.
E alla fine, come nella fiaba (che diventa essa stessa morale) di Alice nel paese delle meraviglie, è il luogo dove si vuole andare che rende la misura della strada da prendere per uscire dal vicolo cieco.
Il lettore alla fine del libro si ritrova nel luogo e nel tempo in cui l’Autore lo ha scritto: a Racalmuto, Contrada Noce, il 27 agosto 2020.
Come è noto, profondo è il legame tra Leonardo Sciascia e Racalmuto (la Regalpetra nella rappresentazione letteraria della sua opera di esordio), in provincia di Agrigento, e per rintracciarlo bisogna andare nella campagna attorno al paese, in Contrada Noce, dove lo scrittore possedeva una casa (di una semplicità asciutta, come i suoi libri, dice chi l’ha visitata), in cui si ritirava spesso per dedicarsi alla scrittura dei suoi libri connaturati a quel luogo: «al paesaggio, alla gente, alle memorie, agli affetti». Nella campagna di Racalmuto, Sciascia celebrava il rito del ritorno nella sua Sicilia, ogni volta – soprattutto in estate – che abbandonava il Continente.
Un luogo, Noce, che Matteo Collura inserisce nel suo Alfabeto Eretico (Longanesi & C., Milano, 2002), per esprimere il desiderio acuto (come quello di Vitaliano Brancati per Zafferana Etnea) di Leonardo Sciascia «di quella quieta campagna racalmutese, dove egli può abbandonarsi all’ozio, alla contemplazione di un paesaggio che gli è familiare, come la gente di quel luogo, e riassaporare il miele della memoria, e così ritrovare il gusto degli affetti».
Questo è accaduto, naturalmente, ovviamente, anche a Luigi Cavallaro che proprio in Contrada Noce di Racalmuto, il 27 agosto 2020, ha scritto la sua “sentenza memorabile”.
Il merito principale del libro di Luigi Cavallaro è quello costringere il lettore negletto a fare pieno uso della biblioteca, che è sempre un luogo di memoria, come aveva scritto Walter Benjamin. Riprendere i vecchi libri posseduti, talvolta nemmeno letti, o andare a ricercarli nei luoghi eletti, diventa un rituale di rimemorazione e così vengono evocati pensieri, immagini, ricordi, luoghi, affetti. I libri raccontano tutti una storia, non solo quella che c’è scritta dentro (che alle volte non è nemmeno quella più importante), ma quella che si portano dietro.
Leggendo questo libro, poi, ho scoperto di essere, per molti aspetti, ignorante, di diritto (mal di poco) e di altro. E sono contento di esserlo, così ho potuto imparare (e ringrazio Luigi Cavallaro che mi ha costretto, quasi, a farlo) molte cose che conoscevo poco o non conoscevo affatto.
«Lascia al lettore ciò di cui il lettore è capace», diceva Ludwig Wittgenstein. Spero di essere stato un lettore capace.
Altrettanto non posso dire del recensore che, per presunzione, non ha voluto ascoltare l’invito del pittore greco Apelle al ciabattino, per come ci è stato raccontato da Plinio il Vecchio: Sutor, ne ultra crepidam!