Il 13 luglio 2016 il Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha approvato, all’unanimità, il parere sul disegno di legge delega, licenziato dalla Camera ed in attesa di esame da parte del Senato, che prevede, in particolare, la soppressione dei Tribunali e delle Procure della Repubblica per i Minorenni.
L’unanimità, su una materia rilevante e controversa come quella della giustizia minorile, è un dato di per sé importante, tanto più che essa non era affatto scontata ed è maturata dopo che la Sesta Commissione consiliare aveva formulato, inizialmente, due distinte proposte per il Plenum e questo si era impegnato in un dibattito vivace e approfondito. Non vi è dubbio che, come si deduce sia da esso che dal testo del parere approvato, l’esito sia stato nel segno di un compromesso, di cui appare utile mettere a fuoco i termini, che ritengo impegnativi per tutti.
Va subito evidenziato il segno fortemente positivo della pronuncia, che si pone sul piano, evocato espressamente nel dibattito, di una proposta, più che di un parere in senso stretto, per il legislatore.
Tale positività va sottolineata a fronte, anzitutto, di talune perplessità che nascevano dall’analisi, in particolare, di una delle proposte, quella contrassegnata come “A”, scaturite dal confronto in Commissione.
Essa si segnalava, fra l’altro, perché sembrava assumere quale valore fondante quello della riunificazione, in un’accezione che chiamava in causa anche, in certo senso anzitutto (con espresso richiamo all’art.102 Cost.), i magistrati: «ridare compattezza ed unitarietà al sistema, attraverso la ricongiunzione del plesso minorile a quello ordinario, significa evitare una separatezza funzionale, organica e culturale, non giovevole né alla magistratura né agli utenti, anche i più piccoli, del servizio giustizia. In questa direzione, l’appartenenza del giudice minorile alla koiné organica dei magistrati inseriti nei tribunali ordinari valorizzerebbe ulteriormente la professionalità dei primi (come dei secondi) …omissis». La conclusione, rispetto alla scelta del legislatore, era coerente: «Dunque, appare ben positiva la rivitalizzazione di un circuito giudiziario integrato, intrinsecamente compatto, nel quale i valori della specializzazione sono utilmente armonizzati con quelli dell’unitarietà, della continuità e della coesione».
Si tratta di questioni estremamente complesse, che implicano un giudizio approfondito ed impegnativo sulla qualità e sui risultati complessivi dell’opera di una magistratura specializzata quale quella minorile.
Tale complessità rende impossibile una presa di posizione nell’ambito di questo breve scritto, comunque non necessaria perché qui importa, piuttosto, il pensiero di chi, nell’ambito del Csm, in quel giudizio si è, evidentemente, addentrato. Con un esito a fronte del quale non può non colpire, ed appare anzi emblematico, il fatto che nel parere poi espresso, conclusivamente ed unanimemente, dal Plenum non si rinvenga quasi traccia delle valutazioni, dei termini e dei toni di cui sopra, parlandosi invece, assai concisamente,di esigenza di “integralità ed unitarietà della giurisdizione” e di “un circuito giurisdizionale unitario ed integrato”. Esigenza ritenuta, certo, un punto fermo, ma al pari della “assoluta specializzazione” giudiziaria correlata con la specialità dei diritti, della “natura multidisciplinare delle competenze professionali implicate” e della “prossimità territoriale” (cfr. p.3 del parere).
Altri passaggi cruciali, nella proposta di parere qui richiamata, erano dedicati ad una valutazione sostanzialmente positiva, almeno per il livello distrettuale, circa le Sezioni specializzate per la persona, la famiglia e i minori, perno della riforma, modellato sulle Sezioni specializzate in materia di lavoro; alla realizzabilità di una giustizia di prossimità tanto con un Tribunale autonomo quanto ˗ punto decisamente più opinabile ˗ con le Sezioni specializzate (potendo essere «studiato e messo a punto un sistema di giustizia “itinerante”»); alla multidisciplinarietà, realizzabile comunque essendo sufficiente «il proficuo innesto, nella trama organizzativa, degli altri operatori coinvolti, che vanno dalla componente magistratuale onoraria, agli esperti, ai servizi sociali».
Tutto ciò appariva, invero, seriamente opinabile. I modelli del “Tribunale specializzato, autonomo e separato” (identificato essenzialmente nel “vecchio” Tribunale per i Minorenni) e della Sezione specializzata all’interno di un Tribunale ordinario finivano per apparire, paradossalmente, in qualche modo intercambiabili, visto che con entrambi si potevano perseguire più obiettivi, almeno per l’ambito delle questioni civilistiche. In tale ottica le esigenze di razionalizzazione sottolineate dal legislatore e quelle di “ricompattamento” dei magistrati (v. sopra) potevano ˗sembra di capire˗ “fare la differenza” costituendo i valori aggiunti ascrivibili al “sistema delle Sezioni”, che pure presentava palesi criticità a livello circondariale, deprecate (“nuovo spezzettamento di competenze”, “ennesima frantumazione delle funzioni incidenti sulla stessa macroarea di affari”), ma in pratica non facilmente evitabili nella logica di una sistema imperniato sulle Sezioni, per l’appunto distrettuali e circondariali.
Le criticità maggiori del d.d.l. finivano per riguardare il settore penale (e al versante penale venivano ricondotte tout court le Procure minorili, che peraltro si occupano anche di civile) e in questa proposta di parere non aveva, in pratica, spazio la prospettiva di un Tribunale, con relativa Procura della Repubblica, non solo autonomo ma anche “nuovo”.
È dunque importantissimo che nel parere conclusivo del Csm tutta questa impostazione sia stata, in pratica, ribaltata, assumendosi quale opzione primaria la proposta del tribunale autonomo su persone, famiglia e minori (v. paragrafo 4), ampiamente valorizzata già nella proposta di parere “B”; e che per l’intero Consiglio sarebbe una conquista di grande livello su tutti i piani «Che magistrati con esperienze diverse ma professionalità affini possano operare in una struttura unitaria, in cui si realizzi la confluenza e la fusione sia delle competenze che delle professionalità, comprese quelle della componente onoraria (e superandosi anche le problematiche riguardanti la sorte delle attuali procure minorili, che anzi dovrebbero essere potenziate)»1.
Siamo, intuibilmente ed anzi dichiaratamente (interessantissimo, al riguardo, il dibattito conclusivo in seno al Plenum), in presenza di un compromesso. Ma la qualità di esso è alta.
È necessario, anche per ipotizzare come la pronuncia del Consiglio potrebbe essere recepita in ambito parlamentare e non solo, chiarire su cosa verte tale compromesso.
Un forte indizio al riguardo è costituito dal fatto che i consiglieri, anche togati, dell’organo di autogoverno abbiano richiamato costantemente le attuali criticità delle risorse disponibili, segnalate nel dibattito politico-parlamentare, come un limite incombente. Limite, in particolare, proprio rispetto ad una soluzione, quella di uffici giudiziari autonomi ma soprattutto rinnovati strutturalmente, ottimale in astratto, ma particolarmente impegnativa in concreto.
Il dibattito ha, così, finito per appuntarsi anche su una soluzione “di riserva”: qualificata intermedia, ma che in concreto potrebbe assumere una valenza primaria. Essa, muovendo dal testo originario del d.d.l. n.2953 (qualificato espressamente come «da preferire» a quello poi licenziato dalla Camera), “rilancia” la magistratura minorile, le cui competenze sono a rischio di progressivo svuotamento, attraverso un restyling che, nella prospettiva di una perdurante coesistenza fra Tribunale per i Minorenni e Tribunale ordinario, riequilibri i rapporti fra i due uffici, passando la “razionalizzazione” sia per linee interne al Tribunale ordinario che, per l’appunto, per tale riequilibrio tra uffici. Ciò perché sopprimere Tribunali e Procure minorili «rischia, col tempo, di erodere un patrimonio professional-culturale garantito in tanti anni” da tali uffici, vi è «una notevole esperienza di specializzazione che non merita di essere dispersa», vi sono risorse umane e materiali che sarebbe irrazionale anche solo sottoutilizzare.
Questo rilancio e questo riequilibrio dovrebbero compensare il fatto che, ancora una volta, non venga realizzata in pieno la “agognata” (il termine è testuale: cfr. p.2 del parere) concentrazione delle tutele presso un unico giudice. È una logica che potrebbe dirsi di giudizio di bilanciamento.
Che l’individuazione di tale, possibile, soluzione alternativa sia stata il punto di compromesso che ha consentito di giungere a un testo comune e a un voto unitario emerge chiaramente sia da altri passaggi del parere che dal dibattito conclusivo su di esso. Occorre soffermarsi al riguardo perché si tratta di un compromesso importante in quanto la soluzione in discorso è sì, formalmente, intermedia (fra Tribunale autonomo e Sezione specializzata), ma le criticità ˗ chiaramente prevalenti anche perché irrisolte e, realisticamente, irrisolvibili ˗ della soluzione imperniata sulla Sezione e l’incognita legata alla praticabilità in concreto dell’opzione “regina” sembrano aver suggerito al Consiglio di esprimersi in base ad una diversa geometria logica.
Nel testo è significativo il pur breve passaggio finale del par.4 dove, a fronte del rischio della separatezza dei magistrati specializzati (grossa questione, su cui la proposta “A” non era certo stata soft, come abbiamo visto), si “compensa” con l’evocazione della possibilità della «fissazione di un limite temporale allo svolgimento di certe funzioni molto specialistiche» (formula, invero, fin troppo sintetica) ed auspicando la «implementazione di iniziative di formazione permanente da condividere tra magistrati provenienti da diverse strutture», il che, peraltro, sembra essere in atto già da un certo tempo.
Un altro passaggio da interpretare non solo nella sua letteralità appare quello, a p.15, dedicato alla componente onoraria, relativamente alla quale si auspica un ripensamento nella pratica, legato a prassi giurisprudenziali talvolta non immuni da criticità, ma anche a livello normativo. Se si considera che un componente laico del Consiglio aveva proposto un emendamento volto ad escludere tout court la componente onoraria dalle istruttorie, risulta chiaro quanto il passaggio in discorso sia stato oggetto di rielaborazioni e compromessi.
Chiara e ferma, infine, la difesa, a fronte dell’iniziativa legislativa, delle funzioni e delle specificità delle Procure minorili.
Chiusa con ciò l’analisi del parere, s’impone qualche riflessione di sintesi e conclusiva.
La vicenda del parere consiliare si è chiusa bene, ma si tratta solo di un passaggio, per quanto importante, di una complessa partita che ha visto e vedrà impegnati sul territorio (oltre alle forze politiche, nei palazzi del potere), la magistratura (minorile e non solo), l’avvocatura (che ha molte componenti ed orientamenti variegati) ed una cultura minorile per fortuna sempre più diffusa e impegnata.
La proficua dialettica sviluppatasi a Palazzo dei Marescialli e il compromesso che hanno reso possibile un’unanimità non facilmente pronosticabile (tanto più dopo i pareri divaricati sub “A” e “B”) lasciano ampia materia di riflessione, ma soprattutto di azione in funzione di attivazioni virtuose che, nella quotidianità della pratica giudiziaria e nel dibattito culturale che continuerà ad accompagnare l’iter della riforma, dovrebbero essere coerenti con il livello alto di quel compromesso. Dal parere del Csm è uscito “in testa” quello che, però, non deve essere, nel seguito della partita, solo una sorta di “candidato di bandiera”, quello che, al di là delle parole, si sa destinato ad essere “impallinato”. La lezione scaturente dal compromesso “alto” raggiunto dal Csm, anche con suggerimenti in tema di possibili limiti temporali all’esercizio di funzioni specialistiche e di eventuali modifiche relative alla componente onoraria (la cui attuale gestione chiama in causa la magistratura “togata” e sue prassi magari poco felici), deve essere recepita con coerenza e non consente atteggiamenti opportunistici o, peggio, di amnesia o vera e propria rimozione.
Chi scrive ha avuto nell’esperienza giudiziaria minorile, vissuta in vari ruoli, il fulcro del proprio servizio in magistratura, che ha concluso con la ferma convinzione dell’assoluta necessità della costituzione di un ufficio giudiziario nuovo, appunto il Tribunale per la persona, la famiglia e i minorenni. Non quale “super Tribunale per i Minorenni” o confuso contenitore di progetti velleitari, ma proprio nei termini puntualmente riportati nel parere/proposta del Csm. Esso appare l’unica soluzione pienamente valida; l’unica atta a marcare, a fronte di esigenze di sempre maggior spessore, per scenari interni ed internazionali ormai inscindibilmente connessi, un salto di qualità all’altezza dei tempi e delle sfide che questi comportano e comporteranno, non per qualche anno ma per decenni.
Con il che, quando si evocano le attuali criticità delle risorse disponibili, la risposta logica non può che essere racchiusa in una domanda contrapposta: ma quanto costa, ai minori e ad ogni altra persona e famiglia, tanto più se debole, rinunciare all’opzione che è ormai, palesemente (tanto più dopo quanto scritto dal Csm), l’unica realmente valida? Questo sembra proprio uno di quei casi in cui “pensare in grande” non allontana dalla realtà, ma è, invece, l’unica possibilità di autentica soluzione.
In ogni caso, anche se dovesse, invece, prevalere l’opzione intermedia per cui il Consiglio ha comunque, opportunamente, lavorato a lungo (anche per dimostrare quanto essa fosse, comunque, preferibile alla prima, quella legata al testo licenziato dalla Camera), occorre che tutto venga vissuto con l’indispensabile esprit riformatore di chi è consapevole che una profonda riforma è necessaria per incidere su quelle criticità che comunque esistono. Anche nella giurisdizione minorile ed anche per effetto di quella separatezza che si può creare “all’ombra” di una specializzazione vissuta in termini troppo radicali e non sufficientemente aperti al confronto, con l’esterno e, autocriticamente, al proprio interno. Sarebbe già importante, al riguardo, una rivisitazione di metodi d’indagine e criteri di giudizio che possono essere causa o concausa di ingiustizie.
Al di là d’ogni discorso di ricongiunzione del plesso minorile a quello ordinario (che, in tali termini, rischia di suonare astratto) occorrerà che si valutino confluenze e sinergie con una metodica più concreta, che muova “dal basso”, sulla base dei bisogni dell’utenza e delle disfunzioni che si scaricano su di essa.
La pronuncia del Csm segnala, in ogni caso, la via maestra, al di là degli “opposti estremismi” di chi, per timore, non vorrebbe, in pratica, cambiare nulla e di chi, al contrario, vorrebbe svilire in blocco, o comunque sostanzialmente, l’esperienza della giustizia minorile. A fronte di un governo e di un legislatore che hanno finora avuto, in questa materia, orientamenti ed atteggiamenti alquanto ondivaghi, è importante che i “messaggi” dal basso siano convinti e coerenti con la via già tracciata dal Consiglio.
Esso ha, tra l’altro, fissato nella specializzazione, nell’unitarietà della giurisdizione, nella multidisciplinarietà delle competenze professionali e nella prossimità territoriale i quattro cardini del sistema.
Ebbene, essi dovranno essere perseguiti e concretizzati tutti ed in termini equilibrati fra di loro. Proprio (mi si passi l’immagine) come se fossero le quattro gambe di un tavolo; che, per non essere squilibrato ed essere, invece, funzionale alla bisogna, richiede appunto questo. Fuor di metafora, occorre un impegno riformatore a largo raggio e nel contempo, per essere equilibrato, ben centrato su quei cardini.
Tutto sta nel convincersi (tornando all’immagine e chiudendo con essa) che ciò che serve è un tavolo così e che il Tribunale per la persona, la famiglia e i minorenni è…il tavolo.
________________________
1 Al riguardo chi scrive si permette di richiamare il proprio contributo precedente (Riforma della Giustizia Minorile: su cosa battersi e perché), pubblicato su Questione giustizia on line il 10.5.2016.