La Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale per la definizione del ruolo del giudice della protezione internazionale: la necessità di stabilire un contatto diretto tra il giudice ed il richiedente asilo attraverso lo strumento processuale dell’audizione. Uno strumento che non ha eguali nel processo civile, perché su di esso può fondarsi il convincimento del giudice anche in presenza di contenuti favorevoli alla posizione del dichiarante medesimo. Nessuna sovrapposizione dunque è possibile con le figure di interrogatorio (formale e libero) delineate dal codice di procedura civile. Figura tanto più peculiare in quanto collocata in un passaggio processuale che segue una fase amministrativa, quella davanti alle Commissioni Territoriali, che vede il suo fulcro in una attività del tutto analoga, ovvero una (generalmente) approfondita audizione del richiedente asilo.
Di fronte a tale peculiarità del sistema, si fronteggiano due visioni opposte: l’una con lo sguardo rivolto al principio di celerità del processo, nonché forse alla mole (difficilmente fronteggiabile) di procedimenti che investono le sezioni specializzate per l’immigrazione dislocate sul territorio nazionale; l’altra ispirata invece al rispetto delle garanzie processuali nella loro massima estensione (per una disamina dei principali arresti del giudice di legittimità sui temi della comparizione delle parti e dell’audizione del ricorrente nei procedimenti di protezione si rimanda al contributo di Guido Federico, consultabile in questa rivista al link https://www.questionegiustizia.it/articolo/comparizione-delle-parti-ed-audizione-del-ricorrente)
Il merito della sentenza in commento sembra essere – a prima lettura – quello di aver indagato il tema senza precomprensioni, e quindi senza ricercare a priori una soluzione che privilegiasse l’una o l’altra impostazione culturale, con il risultato di pervenire ad una sintesi assolutamente efficace tra le diverse posizioni.
Semplificato ai minimi termini, e forse banalizzato, il principio di diritto enucleato dalla Cassazione potrebbe sintetizzarsi nella indicazione per cui non è sempre necessario che il giudice proceda direttamente all’audizione, ma vi sono dei casi, qualitativamente e quantitativamente significativi, nei quali questo passaggio processuale diviene ineludibile.
Viene così certamente superata l’impostazione di cui è espressione la pronuncia della Cassazione n. 1681/2019, che sembra onerare il difensore in sede di impugnazione di una quasi chirurgica esplicazione delle contraddizioni eventualmente rilevate in fase amministrativa dalla Commissione, escludendo radicalmente in fase giudiziale un diritto al colloquio; ma viene ridimensionata anche la posizione assunta dalla Cassazione nell’ordinanza n. 9228 del 2020, nella quale, posta la condivisibile premessa che le esigenze di celerità del processo non possono andare a detrimento del diritto alla difesa, sembra poi volersi affermare la necessità indefettibile di un contatto tra la persona del richiedente ed il “suo” giudice (in tali termini si esprime la pronuncia), contatto che può avvenire in forma indiretta, attraverso la videoregistrazione del colloquio dinanzi alla Commissione, ma che in mancanza dovrebbe realizzarsi attraverso l’audizione: secondo questa impostazione dunque dall’audizione si potrebbe prescindere solo a seguito di motivata decisione, da cui emerga che le contraddizioni e le carenze interne della storia non potrebbero in ogni caso essere superate dall’audizione stessa.
Ebbene, la pronuncia oggi in commento sembra animata dalla ricerca di un punto di equilibrio tra le opposte esigenze di economia dei mezzi processuali e ragionevole durata del processo, e di garanzia dei diritti difensivi; si tratta dunque, attraverso un percorso di progressivo affinamento, di individuare le situazioni nelle quali la ricostruzione della vicenda attraverso la viva voce dell’interessato possa risultare determinante nell’orientare la decisione.
Richiamato preliminarmente il principio ormai consolidato secondo il quale in assenza di videoregistrazione del colloquio personale svolto in Commissione il giudice della protezione deve necessariamente fissare udienza, ma che tale obbligo non implica anche quello di ripetere l’audizione, la Cassazione passa a ricostruire il quadro giuridico di matrice eurounitaria che presiede la materia, prendendo le mosse dalla pronuncia della Corte di Giustizia nota agli addetti alla materia come Moussa Sacko (CGUE sentenza 26 luglio 2017, C-348/16), nella quale si legge che le disposizioni della direttiva 2013/32/UE (c.d. “direttiva procedure”, lette alla luce dell’art. 47 della Carta di Nizza, non ostano a che il giudice adito in sede di impugnazione del rigetto di una domanda di protezione ritenuta manifestamente infondata, possa evitare di procedere ad audizione del richiedente, «qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione», a patto che nella fase pregressa l’interessato abbia avuto facoltà di parola, e che il giudice abbia accesso al verbale o alla trascrizione del colloquio; tutto ciò fermo restando che, al fine di pervenire ad un esame completo ed ex nunc degli elementi occorrenti per la decisione (art. 46, paragrafo 3, della direttiva) il giudice conserva in ogni momento la facoltà di audire l’interessato.
La Cassazione dunque riconduce a “ragionevolezza” l’affermazione del diritto del richiedente asilo ad un esame completo ed ex nunc della sua domanda, ripercorrendo i successivi arresti della giurisprudenza europea, per escludere che sulla base dell’ordinamento sovranazionale possa affermarsi un obbligo incondizionato del giudice nazionale di rinnovare l’audizione; tale conclusione, che non prescinde dal ribadire il diritto all’esame completo stabilito dalla direttiva e dalla Carta di Nizza, si fonda in prima battuta sulla affermata interconnessione che – anche nell’ordinamento italiano – deve stabilirsi tra la procedura amministrativa in cui si concreta il primo esame della domanda, e la fase giurisdizionale (affermazione desunta anche dalle conclusioni cui giunge CGUE 6 luglio 2020 C-517/17, Mikiyos Addis).
Risulta anche significativo nel quadro della riconduzione a ragionevolezza del sistema e di bilanciamento tra le esigenze di difesa e l’economia dei mezzi giuridici, il richiamo che la sentenza in commento opera ancora una volta alla Corte di Giustizia UE, sentenza del 19 marzo 2020 C-406/18, laddove tale pronuncia, al par. 38, contiene un riferimento esplicito al concetto di proporzionalità che deve improntare tale giudizio di bilanciamento: ciò nel senso che è ben possibile -per ragioni di interesse generale alla speditezza dei procedimenti- operare delle restrizioni di alcune facoltà difensive (tra cui il diritto all’esame in sede giudiziale), purché ciò non si traduca però in un “intervento sproporzionato ed inaccettabile” rispetto alla rilevanza dei diritti garantiti. La restrizione in sostanza diviene “accettabile” laddove sia possibile affermare che gli elementi a disposizione del giudice consentano già un esame completo della posizione individuale del richiedente.
Alla ricerca di un parametro che guidi il giudicante nella decisione sulla necessità o meno del rinnovo dell’audizione, rammenta ancora la Cassazione che la Corte di Giustizia ha avuto modo di chiarire che il giudice è tenuto a prendere in considerazione gli eventuali elementi introdotti dopo la decisione in fase amministrativa, se l’allegazione risulti dotata di sufficiente concretezza e se il regime processuale del singolo stato lo consente; ebbene, in questi casi indubbiamente l’audizione del richiedente si traduce in un passaggio processuale ineludibile ai fini di un esame completo della domanda (in tal senso già Cass. 27073/2019, 15318 del 17/07/2020), quantomeno se in tal senso proviene dalla difesa una espressa sollecitazione.
Sempre al fine di orientare la decisione di cui si discute, merita di essere sottolineato altresì l’accento che la pronuncia qui in commento pone non solo sulla acquisizione dei contenuti verbali del colloquio, ma anche su ulteriori aspetti delle dichiarazioni, certamente non apprezzabili in assenza di videoregistrazione della seduta di Commissione.
Anche la acquisizione della videoregistrazione tuttavia potrebbe non esaurire l’esigenza di completezza dell’esame, laddove siano presenti nelle dichiarazioni del ricorrente passaggi poco chiari, contraddizioni sulle quali non si sia sufficientemente indagato, aspetti lacunosi non esplorati adeguatamente.
Ribadisce a questo proposito la Cassazione che l’audizione si può rivelare un passaggio indispensabile per dare attuazione al dovere di cooperazione (che incombe tanto sull’interessato quanto sul giudice), ogni qualvolta le risultanze del precedente colloquio- quando anche oggetto di videoregistrazione - non risultino sufficientemente chiare. Del resto i criteri di valutazione predeterminati dal legislatore per la verifica di attendibilità del dichiarante (art. 3 comma 5 d.lvo 251/07), sono in buona parte centrati proprio sulla completezza delle dichiarazioni, sul livello di dettaglio, sulla mancanza di contraddizioni interne, elementi tutti sui quali un approfondimento successivo può rivelarsi addirittura determinante.
Infine, la Cassazione individua nell’iniziativa motivata del richiedente una ulteriore possibile fonte dell’obbligo di rinnovare l’audizione, laddove quindi egli sia in condizione di proporre nuovi elementi di valutazione, o chieda di rendere chiarimenti su incongruenze o contraddizioni già rilevate in sede amministrativa. La formulazione, nel ricorso, della richiesta di essere ascoltato, se adeguatamente argomentata, vale a far sorgere il suo diritto all’audizione, posto che deve essere offerta all’interessato la possibilità di spiegare o chiarire le lacune del suo racconto: la Corte richiama a tal fine l’art. 16 della direttiva procedure, pur dettato per regolare la fase amministrativa del procedimento di protezione, individuandovi un criterio generale, che deve informare l’intero iter volto all’accertamento dei presupposti del diritto di asilo. E ciò tanto più in quanto dette carenze o incongruenze non siano state fatte emergere durante il colloquio, ma siano state evidenziate solo nel provvedimento di diniego della Commissione (in tal modo precludendo al dichiarante la possibilità di una replica immediata ai rilievi di incongruenza, carenza, contraddittorietà del racconto).
Al giudice della protezione la Cassazione affida dunque – in estrema sintesi – il compito di valutare se un nuovo ascolto del ricorrente nel corso del giudizio di impugnazione del diniego possa in concreto rivestire una effettiva portata differenziale rispetto all’esito della decisione, ed in tal caso di procedervi senz’altro; si può invece prescindere da tale adempimento laddove in nessun caso l’esito del procedimento potrebbe giungere ad una conclusione diversa e più favorevole al ricorrente, perché la richiesta di audizione non è accompagnata dalla indicazione di alcun tema specifico bisognoso di ulteriore indagine o approfondimento, perché lo stesso esame della domanda è precluso da ostacoli processuali, perché gli elementi di fatto e di diritto già acquisiti conducono ad una inevitabile decisione di rigetto, ipotesi a cui si potrebbe aggiungere del resto anche quella in cui il quadro istruttorio conduca, al contrario, ad un sicuro accoglimento della domanda.