Magistratura democratica
Diritti senza confini

La Cassazione torna (con molte novità) sul delicato tema del bilanciamento tra valutazione di credibilità vs. dovere di cooperazione istruttoria

L’ordinanza n. 8819 del 2020 introduce nella già complessa trama delle questioni in campo nei giudizi di protezione internazionale, ulteriori spunti di riflessione, prospettando soluzioni che sviluppano innovativamente alcuni orientamenti recenti ma non univoci della giurisprudenza di legittimità

I fatti

Il ricorrente, cittadino di un paese africano (la sentenza è oscurata in relazione alla nazione di provenienza) ha richiesto al Tribunale il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed umanitaria. Ha narrato di essere andato a vivere con uno zio a seguito della morte dei genitori per Ebola; di essere stato successivamente catturato e condotto in un bosco per essere sottoposto al rito d’iniziazione al fine di far parte di una setta; di cui era componente anche lo zio, di essere riuscito a fuggire e di aver lasciato il suo paese per non essere costretto all’affiliazione; senza rivolgersi alla polizia, perché sconsigliato dallo zio. Il tribunale ha rigettato entrambe le domande e il cittadino straniero ha proposto due motivi di ricorso, riguardanti le protezioni negate.

La decisione

A) Quali protezioni?

Nonostante la censura sia stata rivolta esclusivamente al rigetto della protezione sussidiaria, la Corte di Cassazione ha ritenuto che i fatti allegati rendessero il motivo compatibile anche con l’accertamento dei requisiti di riconoscimento del rifugio politico. L’estensione del sindacato anche a questa forma di protezione, nonostante l’apparente violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, si fonda su cinque passaggi:1) la natura autodeterminata dei diritti fondamentali[1]; 2) l’idoneità dei fatti allegati a “contenere” l’accertamento giudiziale sulla domanda non proposta; 3) l’autonomo potere del giudice di qualificazione giuridica delle domande all’interno del quadro allegativo valutabile e la conseguente irrilevanza del nomen juris attribuito dalla parte; 4) l’individuazione di un unico limite alla cd. emendatio libelli, identificabile nell’introduzione di un nuovo tema d’indagine fattuale[2], 5) il richiamo al rilievo officioso delle nullità contrattuali[3] e alla funzione pubblicistica del processo al fine di rafforzare, in chiave di effettività, secondo i principi costituzionali della tutela giurisdizionale, la soluzione accolta.

I principi esposti tracciano il perimetro del potere dovere del giudice del merito di fornire alla parte, che agisce per il riconoscimento di diritti fondamentali, la tutela che l’ordinamento appresta in relazione all’accertamento fattuale svolto. Il giudizio relativo al riconoscimento del diritto alla protezione internazionale ed umanitaria che si svolge davanti al tribunale, non ha natura impugnatoria e impone al giudice di verificare tutte le ipotesi che il sistema pluralistico e costituzionalmente imposto della protezione internazionale ha messo a punto. Al fine di non trascurare alcun profilo di tutela, vengono attribuiti al giudice del merito poteri istruttori officiosi di rilevante intensità, avendo il legislatore previsto in via normativa l’obbligo d’integrazione del quadro probatorio mediante le informazioni sia generali sul paese di origine che specifiche in relazione ai fatti narrati. L’ordinanza pone l’accento sul distacco dal principio dispositivo inteso in senso tradizionale che connota tutta l’articolazione del procedimento giurisdizionale di protezione internazionale e che deve conformare l’esercizio della funzione di accertamento dei fatti e riconoscimento del diritto del giudice del merito. Al di là della compatibilità processuale dei principi enunciati nel giudizio di legittimità, essi concorrono a definire il perimetro che, negli ordinari giudizi civili, hanno il potere di rilevazione officiosa delle questioni, nell’ambito dei fatti allegati ed il dovere di esatta qualificazione giuridica delle domande, evidenziandosi, nell’ordinanza, come la natura dei diritti (fondamentali) in gioco ed il rafforzamento dei poteri istruttori del giudice estendano tale perimetro coerentemente con i principi posti a base dei diritti autodeterminati.

B) Quale accertamento?

Il profilo centrale, affrontato dall’ordinanza, è, tuttavia, quello relativo al rapporto tra la valutazione di credibilità del richiedente protezione internazionale ed il contenuto dei poteri/doveri istruttori del giudice in relazione alle informazioni sulla situazione generale del paese di origine e sulle specifiche ragioni di allontanamento desunte dalle dichiarazioni della parte.

Questo esame conduce, nell’ordinanza, ad una forte revisione critica degli orientamenti, peraltro non univoci, della giurisprudenza di legittimità che si sono sviluppati attorno al nesso valutazione di credibilità ed esercizio del dovere di collaborazione istruttoria. Su un punto, tuttavia, i principi espressi finora dalla Corte convergono. La valutazione di credibilità soggettiva precede il dovere informativo officioso, potendo concorrere a definirne il contenuto, in correlazione con i fatti allegati ed anche ad escluderne la necessità. Ferma la precedenza della valutazione soggettiva di credibilità, una parte della giurisprudenza ritiene che un giudizio radicalmente negativo escluda del tutto il dovere informativo officioso anche in relazione alla protezione sussidiaria ex art. 14 lettera c)[4] d.lgs n. 251 del 2007[5] ed all’umanitaria[6] nell’ipotesi in cui la condizione di vulnerabilità allegata richieda una verifica oggettiva officiosa riguardante profili diversi e paralleli rispetto a quelli propri delle protezioni individualizzanti. L’altro orientamento ritiene, invece, che la valutazione negativa della credibilità soggettiva escluda la necessità di un approfondimento istruttorio officioso solo in relazione alle protezioni “individualizzanti”, ovvero il rifugio politico e la protezione sussidiaria ex art. 14 lettere a) e b)[7], in quanto strettamente correlate alla narrazione soggettiva, ma non in relazione alla lettera c) trattandosi di un’ipotesi di protezione internazionale che può essere riconosciuta del tutto indipendentemente dalla vicenda individuale, ove il paese di origine sia caratterizzato da un conflitto armato esterno o da violenza indiscriminata interna. L’onere allegatorio in questa ipotesi[8] è fortemente attenuato essendo sufficiente desumere dai fatti acquisiti la rappresentazione di una situazione di pericolo per l’incolumità psico fisica derivante dalla condizione del paese di origine. Dal momento che l’accertamento deve essere svolto con riferimento all’attualità, sulla base di una rilevazione oggettiva (Cass. 2954 del 2020), una rappresentazione generica non limita il dovere di cooperazione istruttoria officiosa da ritenersi, per la lettera c), ineludibile.

Proprio dalla linea più avanzata di quest’ultimo orientamento[9] prende le mosse l’ordinanza n. 8819 del 2020, con la finalità dichiarata di dare un assetto sistematico al dovere di cooperazione istruttoria all’interno del processo, smarcandone l’attivazione dalla valutazione di credibilità.

Il percorso logico che conduce all’innovativa soluzione della Corte è il seguente:

Il dovere di cooperazione istruttoria non sorge come un automatismo dalla formulazione della o delle domande di protezione internazionale ed umanitaria ponendosi in un rapporto di stretta connessione logica, ma non di subordinazione necessaria con “la circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile”.

Non è necessario che la versione dei fatti sia sostenuta da riscontri obiettivi (Cass. 19716 del 2018), ove sia credibile alla luce dei criteri fissati nell’art. 3 c.5 d.lgs n. 251 del 2007[10].

Non è condivisibile, neanche per le protezioni individualizzanti,[11]l’orientamento che fa conseguire dalla valutazione negativa della credibilità, pur compiuta alla luce degli indicatori di cui all’art 3 c.5 d.lgs n. 251 del 2007, l’esclusione dell’obbligo di approfondimento istruttorio officioso.

La lettera c) del citato art. 3 stabilisce che le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone”. La lettera e) ribadisce che la generale attendibilità del richiedente deve essere valutata alla luce dei riscontri effettuati. Dall’esame dei due parametri emerge che il giudizio di veridicità deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del Paese quando vi siano lacune nel quadro assertivo e probatorio con la conseguenza che la subordinazione del dovere informativo officioso alla preventiva valutazione di credibilità costituisce una regola contraria al paradigma legislativo.

Vengono valorizzate le indicazioni degli orientamenti (da ultimo Cass. 2954 del 2020) che hanno sottolineato l’ineludibilità dell’indagine informativa officiosa volta a conoscere la situazione generale del paese in ogni giudizio di protezione internazionale al fine di affermare che, sul piano logico prima ancora che cronologico, l’accertamento officioso deve precedere e non seguire qualsiasi valutazione di credibilità, dovendosi, in caso contrario ravvisarsi un’evidente paralogismo. Una differente impostazione della valutazione di credibilità rischia di trasformare uno strumento di valutazione della prova, in giudizio sulla lealtà processuale o, addirittura, in condizione di ammissibilità o presupposto del riconoscimento del diritto.

L’innovativo principio affermato nell’ordinanza subisce talune eccezioni. Poiché la valutazione di credibilità, nella fase prodromica all’accertamento di merito, deve limitarsi alle affermazioni rese circa il paese di provenienza, ove queste risultassero false, dovrebbe escludersi l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria officiosa. Ugualmente dovrebbe concludersi “tutte le volte che la difesa del richiedente asilo non abbia esposto fatti storici idonei a renderne possibile la valutazione, ovvero abbia espressamente e motivatamente rinunciato ad una delle possibili forme di protezione”.

L'ordinanza aggiunge anche l’ipotesi in cui sia radicalmente da escludersi, sulla base di nozioni di comune esperienza, che nel paese di origine ricorrano le condizioni di cui all’art. 14 lettera c) d.lgs n. 251 del 2007. Si osserva, tuttavia, che in relazione a tutte le altre ipotesi di protezione internazionale sia pressoché da escludere il ricorso al “notorio”.

C) Come si valuta la credibilità 

L’Ordinanza affronta infine il duplice tema dei criteri di valutazione della credibilità soggettiva nei giudizi di protezione internazionale e dell’estensione del sindacato di legittimità su di essi.

In relazione a quest’ultimo profilo, allo stato ancora controverso, la posizione assunta è netta. La violazione dei parametri di verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni del richiedente, stabiliti nell’art. 3 d.lgs n. 251 del 2007 integra un vizio di violazione di legge[12].

Quanto al processo logico-giuridico di valutazione della credibilità non deve procedersi alla “scomposizione/dissociazione/confutazione di ciascun singolo fatto esposto” al fine di rilevare le singole contraddizioni scollegate dalla disamina complessiva della vicenda, contrastando tale modalità di esame delle dichiarazioni con il paradigma normativo che richiede una valutazione unitaria, svolta in relazione a tutti i criteri normati (tempestività della domanda, riscontri oggettivi sul paese di origine, collaborazione per circostanziare la vicenda, plausibilità della mancanza di documenti[13]) ed in particolare con la lettera e) dell’art. 3 d.lgs n. 251 del 2007 che impone una valutazione di attendibilità, “in generale” ovvero complessiva ed ancorata al valore della “giustizia della decisione” .

In questa ottica, che, si afferma testualmente, si avvicina al contenuto della ricerca della verità processuale propria del giudizio penale, deve essere valorizzato, come criterio residuale, quello del beneficio del dubbio[14], come indicato dalla Corte Edu (R.C. v. Svezia, 2010, paragrafo 50; CEDU, N. v. Svezia, 2010, paragrafo 53; CEDU, A.A. v. Svizzera, 2014, paragrafo 59).

L’ordinanza, in conclusione, aggiunge numerose tessere al complesso “puzzle” di orientamenti in tema di credibilità vs. cooperazione istruttoria officiosa, prospettando, all’interno di una cornice processuale di cui viene fortemente sottolineata la singolarità, soluzioni innovative che saranno senz’altro oggetto di riflessioni e valutazioni in giurisprudenza ed in dottrina.

 

 

 

[1] La giurisprudenza di legittimità ha tuttavia escluso che, nel giudizio di cassazione, possano prospettarsi nuove questioni di diritto o contestazione che modifichino il thema decidendum, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 14477 del 2018). Nella specie la domanda specificamente rivolta al riconoscimento del diritto al rifugio politico è mancata nel merito e non risulta formulata nei motivi di ricorso la sua illegittima non rilevazione d’ufficio.

[2] La giurisprudenza di legittimità ha individuato nella modifica dei fatti costitutivi il discrimen tra emendatio e mutatio libelli. (Cass.32146 del 018 e 24072 del 2017). Si tratta di orientamenti, tuttavia, fondati su un mutamento introdotto dalla parte nei diversi gradi di giudizio. 

[3] S.U. 12262 del 2014.

[4] L’ipotesi di “danno grave” di cui alla lettera C) è: “la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

[5] Cass. 33096 del 2018; 4892 del 2019; 15794 del 2019

[6] Cass. 10922 del 2019; 7985 del 2020; 8020 del 2020

[7] Le ipotesi di “danno grave” di cui alla lettere a) e b) dell’art. 14 sono: “a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine”.

[8] Tra le altre, molte delle quali non massimate perché espressive dell’orientamento prevalente, si segnalano Cass. 16925 del 2018 e 14283 del 2019.

[9] Cass. 2954 del 2020.

[10] Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 stabilisce che, anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

[11] Rifugio politico e protezione sussidiaria ex art. 14 lettere a) e b) d.lgs n. 251 del 2007.

[12] Cass.26921 del 2017; contra Cass 3340 e.21142 del 2019 ed inoltre 20580 del 2019. Quest’ultima esclude la vincolatività dei parametri legislativi.

[13] Il principio è stato già espresso in Cass.7546 del 2020

[14] Contra: Cass. 16028 del 2019, ampiamente motivata. In termini, invece Cass. 7546 del 2020

05/06/2020
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