Il sistema penale italiano, in materia di diritti delle vittime, persegue un duplice obiettivo: da un lato, quello di garantire che la vittima sia protetta dalla reiterazione del crimine e dalle eventuali ritorsioni da parte dell'autore di reato e, dall'altro, quello di proteggere la vittima, durante il processo, dalla cosiddetta vittimizzazione secondaria.
Entrambi i sistemi di protezione derivano da fonti europee, tra le quali assumono particolare importanza la Convenzione di Istanbul, adottata specificamente per la protezione delle donne ‒ in primo luogo dalla vittimizzazione ex se (ovvero quella perpetrata dallo stesso autore del reato) e, in secondo luogo, dalla vittimizzazione secondaria, che consiste negli effetti negativi arrecati alla vittima dal procedimento penale ‒, e la direttiva europea n. 29 del 2012, recentemente modificata dalla nuova direttiva n. 1385 del 2024, che si concentra particolarmente sui diritti delle vittime durante il processo.
È importante evidenziare che queste due normative ineriscono a contesti diversi: la prima provenendo dal Consiglio d'Europa (in breve COE), mentre la seconda dall'Unione Europea (in breve UE). Ovviamente, ogni paese europeo ha il dovere di adeguarvisi ma la questione, oggi, è come esse siano interpretate in Italia.
La Convenzione di Istanbul è stata ratificata in Italia con la legge n. 77 del 2013, mentre la direttiva UE è stata ratificata con la legge n. 212 del 2015.
La più importante tra le due è la seconda, poiché con questa legge l’ordinamento giuridico italiano ha introdotto all'interno del proprio sistema penale una protezione specifica per la vittima durante il processo, nel cui ambito risiede anche lo strumento forse più importante, l’incidente probatorio, mediante il quale la vittima può rendere la propria testimonianza prima del processo.
La disposizione in questione (articolo 392 del codice di procedura penale) è stata ripetutamente modificata nel corso degli anni, fino a essere completamente riscritta dalla legge n. 172 del 2012, che recepisce la cosiddetta Convenzione di Lanzarote, la quale ha introdotto la possibilità di utilizzare questa particolare procedura per un elenco esaustivo di reati (ad esempio, maltrattamenti, abusi domestici, violenza sessuale e stalking).
La stessa procedura è parimenti applicabile, però, in ogni altro caso in cui la persona offesa versa in una condizione di vulnerabilità: condizione che l’articolo 90-quater del codice ricollega anche ai reati commessi con odio razziale o sorretti da finalità discriminatorie; il che comporta la possibilità di utilizzare tale strumento anche per le vittime dei crimini d'odio, come il discorso d'odio motivato da pregiudizi razziali o religiosi, e non solo per l'audizione delle persone offese minorenni, ma anche delle persone adulte che, proprio a causa della tipologia del reato subito, si trovino nella condizione di vulnerabilità descritta dall’articolo 90-quater.
In seguito alla fondamentale direttiva UE di cui si è detto, il legislatore nazionale ha infatti armonizzato la normativa interna con le indicazioni sovranazionali, estendendo le modalità speciali di audizione a ogni vittima in condizione di vulnerabilità.
La ragione che sta alla base della nuova formulazione della norma risiede, da un lato, nella necessità di proteggere la genuinità della prova testimoniale e, dall’altro, nella necessità di proteggere la persona vulnerabile durante il processo, dando corso a metodi di audizione protetti e collocando l’audizione stessa in un contesto riservato, per evitare la pubblicità tipica del processo.
In particolare, l'obiettivo è facilitare l'uscita rapida della vittima dal procedimento giudiziario, riducendo il numero di udienze a cui essa deve sottoporsi. Infatti, le persone offese da un reato al quale viene applicata questa procedura speciale, possono beneficiare anche di un’altra disposizione contenuta nel codice di procedura penale (articolo 190-bis), la quale limita ulteriori audizioni della stessa persona durante il processo ai soli fatti e circostanze diversi da quelli già affrontati nelle dichiarazioni precedenti, oppure al caso in cui il giudice ritenga sussistenti motivazioni specifiche per procedere a una nuova audizione.
Per quanto riguarda, poi, le modalità dell’intervista, è prima di tutto consentito l’ausilio di un esperto psicologo e, in caso di persone offese o testimoni minorenni, è anche ammessa l'assistenza di un familiare. Il giudice può ordinare l'uso di uno specchio unidirezionale con un sistema di interfono, per evitare qualsiasi contatto tra la vittima e l'imputato, ed è prevista come obbligatoria la completa documentazione delle dichiarazioni testimoniali in forma audiovisiva.
In effetti, si tratta essenzialmente di un'audizione privata, in cui la testimonianza della vittima non viene resa alla presenza dell'imputato, il quale può trovarsi, o meno, in un'altra stanza del tribunale, collegata tramite il sistema di interfono.
In questi casi, inoltre, le parti non possono contro-esaminare la persona offesa, la quale viene esaminata solo dal giudice, eventualmente con l’ausilio dell’esperto.
Infatti, nei processi per abusi domestici e crimini di genere, c'è effettivamente il rischio che il pubblico ministero o l'avvocato difensore possano usare tattiche di esame aggressive, con l’effetto di intimidire la vittima. Ad esempio, potrebbero chiedere se la vittima abbia avuto altre relazioni sessuali al di fuori della relazione in questione, ed è proprio ad evitare tali effetti intimidatori che la legge prevede che solo il giudice possa esaminare la persona offesa in veste di testimone
Va riconosciuto, nondimeno, che il fatto che l’avvocato difensore non possa contro-esaminare la persona offesa può dare luogo a un conflitto tra i diversi diritti delle parti: segnatamente, tra il diritto alla difesa dell'imputato e il diritto alla protezione della persona offesa; quindi, il giudice deve cercare di trovare un equilibrio equo tra questi diversi diritti e garanzie, in primo luogo facendo in modo che la vittima spieghi chiaramente tutti i dettagli della violenza eventualmente subita. Una volta ascoltata la testimonianza della vittima, il giudice può quindi condividere con gli avvocati della difesa tutte le informazioni acquisite nella prima parte dell’intervista e i difensori possono suggerire ulteriori domande o temi di prova da affrontare.
Il giudice, quindi, agisce sostanzialmente come un intermediario tra le parti, e in questo ruolo deve anche decidere quali domande siano appropriate per il caso, così come quali domande invece proibire, in base alla loro rilevanza e al possibile effetto vittimizzante per la persona offesa.
Il giudice ha il dovere di filtrare le domande che potrebbero compromettere la serenità e la dignità della vittima e, anche per le domande ritenute in ogni caso rilevanti, ha comunque il dovere di formularle in modo adeguato. Ad esempio, domande di natura sessuale possono essere rilevanti in alcuni casi, ma il giudice deve spiegare alla vittima perché tali domande le vengono poste e deve anche formularle in un modo appropriato, che non risulti offensivo né moralmente giudicante.
Un’altra importante tipologia di protezione riguarda la possibilità di ritorsione, ovvero la possibilità che il reato venga nuovamente commesso dallo stesso autore. Per affrontare questo rischio, i giudici possono adottare misure preventive, sia ordini restrittivi che ordini di custodia, a seconda del caso. Il giudice deve decidere quando applicare queste misure e quale sia la più appropriata. Una volta scelta la misura, è necessario che le autorità di polizia sorveglino l'autore del reato e, in caso di violazione degli ordini restrittivi, il giudice deve essere immediatamente informato per sostituire l'ordine restrittivo con uno custodiale.
Questo è in effetti uno dei problemi più importanti quando si tratta di proteggere le vittime, poiché è proprio in questo “periodo post-violenza” che le vittime sono più vulnerabili e le loro vite sono maggiormente a rischio. Infatti, diverse decisioni dalla Corte europea dei diritti umani hanno condannato l'Italia per non aver protetto le vittime in questo periodo critico.
Nel corso degli anni, sono state emanate molte leggi, in Italia, per affrontare questo problema. L'ultima di queste è stata emessa nel novembre del 2023, la cosiddetta Legge Roccella (dal nome dell’attuale Ministra delle Pari Opportunità). Questa legge mira ad aumentare la vigilanza sugli autori di reato sottoposti a un ordine restrittivo e, in tale prospettiva, ha introdotto un tipo specifico e sinora inedito di vigilanza, la cosiddetta “vigilanza dinamica”, in base alla quale il Prefetto può disporre ricorrenti controlli sull’imputato e sulla persona offesa, anche durante la vigenza di un ordine restrittivo.
In caso di violazione di un ordine restrittivo da parte dell'autore del reato, questi deve essere arrestato immediatamente, anche quando tale violazione non sia stata “assistita” direttamente dalle Forze dell'ordine. In base a questa legge, infatti, è sufficiente che la vittima fornisca prove digitali di una violazione dell'ordine restrittivo affinché la polizia possa agire. Questa prova potrebbe essere, ad esempio, un video o dei messaggi di testo inviati alla vittima. Ciò significa che se il giudice ha emesso un ordine restrittivo che vieta qualsiasi tipo di contatto con la vittima e l'autore del reato le ha inviato anche solo dei messaggi, questa prova potrebbe essere sufficiente per il suo arresto e la successiva detenzione.
Come punto finale, vorrei sottolineare anche l'importanza del modo in cui i giudici italiani scrivono le loro sentenze in materia di reati di genere.
È stato infatti evidenziato, sempre dalla Corte europea dei diritti umani, che spesso questo tipo di sentenze riflette un pregiudizio da parte del giudice. Ad esempio, in un noto caso (J.L. contro Italia), il tribunale ha espresso la sua opinione sulla credibilità della vittima basandosi anche su ripetuti riferimenti alla sua vita privata, che hanno indotto il tribunale a ritenere che la vittima fosse una persona promiscua, e che quindi la sua testimonianza non fosse credibile. La Corte Europea ha stabilito che in questo caso la decisione del tribunale italiano è stata alterata da pregiudizi di genere.
Per questo, la citata legge Roccella prevede anche l’istituzione di corsi di formazione professionale ad hoc, rivolti agli operatori di polizia giudiziaria, ma anche ai magistrati, per affrontare il tema di una corretta valutazione dei casi di violenza di genere, senza essere influenzati da pregiudizi e stereotipi, soprattutto in danno alle donne.
In conclusione, il tema dei diritti delle vittime in Italia è ancora un work in progress.
Abbiamo iniziato ad armonizzare la nostra legislazione interna con i principi e le fonti europee, ma ci sono ancora molti pregiudizi contro le persone vulnerabili, soprattutto contro le vittime di violenza di genere, le persone l.g.b.t.q.a.i.+, le persone migranti e le persone con disabilità.
Questo ha a che fare ovviamente con la politica, ma anche con la magistratura e con la giurisprudenza.
Per esempio, proprio in questi giorni il parlamento italiano sta per approvare una nuova legge penale, denominata “Decreto sicurezza”, che reprime in maniera significativa le proteste studentesche, ma anche la condizione delle persone migranti in quanto tali, così come i diritti della popolazione detenuta.
Come Magistratura democratica, l'associazione nazionale che partecipa a Medel, riteniamo che la libertà di esprimere il dissenso possa essere significativamente compromessa da questa legge, ma quando interveniamo su temi come questo, di solito veniamo accusati di politicizzazione, e non solo dall'attuale maggioranza, ma anche da una parte della società in generale.
Forse il linguaggio rigido e formale dei giuristi è uno dei problemi, come è già stato detto, nella comunicazione tra magistratura e cittadinanza, ma pensiamo che ce ne sia anche un altro, più profondo, perché è un fatto che, soprattutto nei periodi critici, come questo, i cittadini tendono a diffidare della magistratura; sta quindi a noi impegnarci per riconquistare la nostra credibilità e la nostra autorevolezza.
Abbiamo ancora molta strada da fare e, proprio da questo punto di vista, le associazioni nazionali e internazionali di giuristi, come Medel, giocano davvero un ruolo fondamentale.
A questo proposito, sono completamente d'accordo con la collega polacca che ha parlato prima, la rappresentante di Iustitia, Monika Frackowiak: i giudici devono essere attivi nella società, devono parlare ai cittadini e cercare sempre di comunicare con loro, per far comprendere che il nostro impegno civile per i diritti, in particolare per quelli delle persone vulnerabili e delle minoranze, non risponde a un nostro interesse corporativo, come afferma chi vuole dipingere la magistratura come una “casta”, ma è nell’interesse della comunità e della democrazia.
In quanto giuristi, siamo chiaramente in grado di comprendere quando la democrazia e lo Stato di diritto sono messi a rischio, e in tal caso abbiamo il dovere di intervenire e di proteggerli.
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The Italian criminal system, on the topic of victim’s rights, pursues a double goal.
On one hand, our objective is always to ensure that the victim is protected from retorsion by the perpetrator of the violence; on the other hand, we aim to protect the victim during the trial from the so-called “secondary victimisation”.
Both systems of protection stem from European Sources: The first is the Istanbul Convention, which is the convention issued specifically for the protection of women, firstly from victimisation ex se (i.e., carried out by the same perpetrator of the crime) and secondly, from secondary victimisation, which consists of the negative effects brought to the victim by the criminal proceeding itself. The second is addressed in the European Directive No. 29 of 2012, recently modified by the new Directive No. 1385 of 2024, which focuses particularly on victims' rights during the trial.
It is important to highlight that these two laws were issued in different contexts: The first originates from the European Council (C.O.E. for short), while the second originates from the European Union (EU for short).
Of course, every EU country has the duty to respect these laws, but the question is how are these laws interpreted in Italy.
The Istanbul Convention was ratified with Law No. 77 of 2013. Instead, the EU Directive was ratified with Italian Law No. 212 of 2015.
The most important of these two Italian laws is the latter, because with this law the Italian legal system has included within its criminal system specific protection for the victim during the trial. It is the most important instrument we have since it provides for the victim to give testimony before the trial.
The provision in question (article 392, code of criminal procedure) has been repeatedly modified over the years, until it was completely replaced by Law No. 172 of 2012, implementing the so-called Lanzarote Convention; this modification introduced the possibility of using this particular procedure for an exhaustive list of offenses (e.g., mistreatment, domestic abuse, rape and sexual violence, but also, and that’s interesting, stalking and the hate crimes such as the hate speech against the immigrants, motivated by racial bias), not only for the hearing of the minors, but also of the adult victims.
Following the fundamental EU Directive, mentioned above, the National Legislature harmonized domestic law with the supernational indications, extending the special hearing modalities to any victim in conditions of vulnerability.
The reason behind the new shape was found both in the need to protect the genuineness of evidence and in the necessity to safeguard the vulnerable person, avoiding the risk of secondary victimization.
Firstly, protected hearing methods can be applied; furthermore, the confidential context in which this procedure takes place allows to avoid the publicity typical of the trial. In particular, the aim is to facilitate the swift exit of the victim from the judicial process by reducing the number of hearings they are required to undergo. In fact, individuals subjected to this special procedure can benefit from the provision ̶ contained in the code of criminal procedure as well (article 190-bis) ̶ which limits further questioning of the same person during the trial, to facts or circumstances different from those addressed in the previous statements, or if the judge or one of the parties deem specific needs to exist.
Regarding the specific listening methods, the help of a psychological expert who can assist in evidence acquisition is permitted. The judge could also ask, in case of minors, the assistance of a family member. The judge may order the use of a one-way mirror with an intercom system to avoid any contact between the victim and the defendant. The provision continues to provide for the complete documentation of testimonial statements, alternatively in phonographic or audio-visual form.
In effect, this is a private hearing basically, in which the victim's evidence is given not in the presence of the defendant, who may or may not be in another room in the court, connected by the intercom system mentioned above. In such cases, the defence lawyer cannot cross-examine the victim and the victim can only be questioned by the judge.
Indeed, in the trials for domestic abuses and gender-based crimes, there actually is a risk that the prosecutor or the defence lawyer could use aggressive questioning tactics to intimidate the victim. For example, they may ask if the victim had other sexual relations outside the relationship in question. To avoid such intimidatory tactics, the law provides that only the judge can interview the victim.
It must acknowledge that when the defence lawyer cannot cross-examine, it leads to a contradiction between the rights of both parties, the defendant, and the victim; so, the judge must try to strike a fair balance between these different rights, by getting the victim to explain the full details of the violence. Once the victim's testimony has been heard, then the judge can share the relevant information with the defence lawyers. The judge therefore acts as an intermediary between the parties, and in this role he/she must decide which questions are appropriate for the case, as well as which questions to prohibit, based on whether they are or are not deemed relevant to the case.
The judge has the duty to filter questions that might undermine the tranquillity of the victim; but also, he/she must determine which questions are appropriate and how to phrase the questions so that they are non-judgemental of the victim. For example, questions of a sexual nature may be appropriate in certain cases, but the judge must explain to the victim why such questions are being asked and must also phrase the questions appropriately, in a way that is neither offensive not judgemental.
Another important type of protection regards the possibility of retorsion, that is the possibility of the crime being committed again by the same perpetrator. To deal with this risk, judges can adopt preventative measures, either restrictive orders or custodial orders, depending on the case. The Judge must decide when to apply these measures and which is appropriate. Once the measure has been chosen, it is necessary for the authorities to monitor the perpetrator and where restrictive orders are violated, the judge must be notified immediately to substitute the restrictive order with a custodial one, as an arrest warrant.
That’s interesting because historically this has been the most important and relevant problem when it comes to protecting victims, as it is in this “post-violence period” that victims are most vulnerable, and their lives are most at risk. In fact, many judgements have been issued by the European Court of Human Rights that have condemned Italy for its failure to protect victims in this critical period.
Over the years, more and more Italian laws have been made to address this issue. The last of which was issued as recently as November 2023, the so-called Roccella Law (named after the Equal Opportunities Minister at the time). This specific law aims to increase the vigilance of offenders subjected to a restrictive order.
This new law allowed for a specific type of vigilance, the so-called “dynamic vigilance”, that was before then unforeseen. For instance, the Prefetto, Italy's Chief of Police, has the duty to ensure such vigilance when deemed necessary by the judge.
In cases where the perpetrator violates the restrictive order, he must be arrested immediately, even when such violation has not been witnessed first-hand by the police. Under this law, it is sufficient for the victim to provide digital evidence of a violation of the restraining order, for the police to act. This evidence could be, for example, a video or text messages sent to the victim. So, this means that if a judge has issued a restrictive order prohibiting contact of any type with the victim and the perpetrator has sent text messages to the victim, this evidence would be sufficient for him to be arrested and detained.
As a final point, I would like to highlight the importance that is given to how judges write down their judgements.
It has been flagged by the European Courts that often these judgements have reflected some bias on the part of the judge. For example, in one case that comes to mind (J.L. v. Italy), a judge expressed his opinion about the victim's credibility based on photos on the victim's social media profile, which led the judge to decide that the victim was promiscuous and hence her testimony was not credible. The European Court determined that in this case the Italian tribunal's decision was motivated by gender bias.
The Roccella Law also includes special courses of professional development to teach judges to evaluate cases of gender violence without being influenced by forms of gender bias, especially against women.
To conclude, the topic of victim’s rights in Italy is basically a work in progress.
We have been starting to harmonize our domestic legislation with European principles and Sources, but there still are many prejudices and bias against vulnerable person, especially against the victims of gender-based violence, the l.g.b.t.q.a.i. plus people, the immigrants, and the people with disabilities.
This has to do with politics obviously, but also with the judiciary and jurisprudence.
For instance, just these days the Italian parliament is about to approve a new criminal law, named “Security law”, really cracking down on student protest, the immigrants, and the detained people as well.
As Magistratura democratica, the national association which take parts in Medel, we think that the freedom to express dissent could be significatively jeopardised by this criminal law, but when we take the floor on topic like this, we usually are accused to being politicized, not just by the current majority but also by the society in general.
Maybe the formal language of jurists is a problem, but we think there is another one, as in critical period like this, citizens tend to mistrust the judiciary e we must regain our credibility and authority.
We still have a long way to go and, properly from this point of view, national and international associations of jurists, as Medel, really got a fundamental role.
This regards, I completely agree with the polish colleague who spoken before, the Iustitia rep, Monika Frackowiak: judges must be active in the society, they have to speak to the citizens and always try and get their point across to them, to make people understand that our civil commitment for rights, in particular for those of vulnerable people and minorities, is not for us, for the judiciary as a caste, but is for the community and for the democracy itself.
As jurists we can clearly understand when democracy and rule of law are put at risk, and then we have the duty to intervene and to protect it.
Traduzione italiana e versione originale inglese dell’intervento tenuto online alla conferenza internazionale The role of magistrates' associations in nurturing legal culture and protection of vulnerable groups organizzata da Medel con Bulgarian Judges Association e Bulgarian center for Not-for-Profit Law (BCNL) e svoltasi a Sofia (Bulgaria) il 27 settembre 2024.