Estratto dal capitolo 1 - LE DISCRIMINAZIONI IERI ED OGGI
Quando sentiamo parlare di legislazione razziale italiana, il pensiero va alle discriminazioni degli ebrei al tempo del fascismo, e sembrano storie e norme di altre epoche: noi prendiamo subito le distanze e diciamo che oggi non ci sono più simili discriminazioni.
Ma è davvero così? Siamo diversi noi oggi? Sono diverse le nostre leggi? E’ diversa la nostra magistratura?
Siamo diversi noi che condanniamo fermamente le leggi razziali antiebraiche, ma forse più in ragione dell’esito assurdo cui hanno portato (sicché l’Olocausto pesa nel giudizio storico) che non in quanto intrinsecamente in contrasto con la dignità umana e i diritti fondamentali della persona? Noi che dimentichiamo come alla soluzione finale si sia arrivati solo per gradi (come ci insegna Hannah ARENDT)?.
Siamo diversi noi che, pur avendo una legge (l.9.10.1967, n. 962) che reprime il genocidio e l’apologia dello stesso e anche una giurisprudenza (Cass. n. 7298/1985) che ha precisato l’ambito applicativo delle norme, discutiamo sulla punibilità penale del negazionismo, dividendoci tra chi approva il modello francese che prevede il reato (ricordando con Bernard-Henry LEVY che i negazionisti non esprimono un’opinione, ma perpetuano il crimine, in quanto la memoria è tutto; in tema, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3808 del dep. 03/02/2022, Rv. 282502 – 01, che applica la pena prevista per il reato di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico), e chi ritiene che il negazionismo si sconfigga solo sul terreno delle idee (in materia, v. in proposito, tra le tante, CEDU D.I. c. Germania, 26 giugno 1996, CEDU Garaudy v. Francia 24.6.2003 e CEDU [GC], Perinçek c. Svizzera, 15 ottobre 2015)?
Forse si, siamo (almeno i più) diversi.
Siamo diversi noi che giudichiamo comunque criminale il saluto fascista, pur chiedendoci (con Cassazione Penale, Sez. I, ordinanza interlocutoria di rimessione della questione alle Sezioni Unite della Cassazione, 22 settembre 2023, n. 38686) «se la condotta consistente nel protendere in avanti il braccio nel c.d. “saluto romano” e nel rispondere “presente” alla chiamata, evocativa della gestualità tipica del disciolto partito fascista, tenuta nel corso di manifestazione pubblica alla presenza di circa 1200 persone radunatesi per commemorare soggetti deceduti, uno dei quali militante in formazioni politiche conservatrici, gli altri due già esponenti della Repubblica Sociale Italiana, senza previa identificazione della partecipazione di esponenti di una associazione esistente oggi che propugni i medesimi ideali del predetto partito fascista, integri la fattispecie di reato di cui all’art. 2 d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, oppure quella prevista dalla legge 30 giugno 1952, n. 645, art. 5; se entrambe le disposizioni normative configurino un reato di pericolo di natura concreta oppure astratta e se le medesime siano tra loro in rapporto di specialità, oppure possano concorrere”.
I cori razzisti allo stadio contro il calciatore (italiano, ma nero) Balotelli, o il caso del barista che rifiuta abitualmente il caffè ad extracomunitari, in particolare nordafricani (caso deciso da Cass. n. 46783/2005) o ad avventori solo perché di origine gitana (caso deciso dalla CEDU, Koky e altri c. Slovacchia 12 giugno 2012), il caso dell’operaio torinese che chiama “marocchino” un suo collega di lavoro (caso deciso da Cassazione n. 19378/2005, che ha confermato la condanna per ingiuria), o quello del politico che chiama con disprezzo “clandestini” alcuni richiedenti asilo (caso deciso da Cass. 16 agosto 2023 n. 24686, che vi ha ravvisato un comportamento discriminatorio e molesto, per ragioni di razza e origine etnica), il caso del parlamentare della Lega che offende un ministro della Repubblica (solo perché di colore) paragonandolo ad un orango (ma è accaduto lo stesso nella tollerante Francia, nei confronti del ministro Christiane Taubira, paragonata ad una scimmia), le esternazioni di un ministro di singolari timori di “sostituzione etnica” in corso a causa della debolezza nel contrasto all’immigrazione, l’irriguardosa equiparazione –operata da un noto personaggio pubblico- della migrazione alla “transumanza”, tutto ciò suscita la nostra indignazione e tali fatti sono considerati dalla nostra coscienza come intollerabili offese e discriminazioni; dalle recenti esternazioni (contenute in un libro oggi in cima alle classifiche di vendita) di un generale dell’esercito italiano contro neri, stranieri ed omosessuali, che pure incontrano l’approvazione del segretario politico della Lega oggi alla vicepresidenza del Consiglio, subito ha preso le distanze il Ministro della Difesa, che le ha definite “farneticazioni personali”, avviando misure disciplinari (Corriere della sera del 17 agosto 2023).
Contro le “sparate” razziste, le aggressioni verbali, il becero razzismo, ferma la nostra forte indignazione e, se occorre, la tutela penale, approviamo la risposta, solo con un sorriso, data dal calciatore Raheem Sterling, ala del Manchester City, ai quattro tifosi del Chlesea che gli avevano rivolto insulti razzisti; approviamo il gesto del calciatore del Barcellona Dani Alves, cui un tifoso della squadra avversaria aveva lanciato una banana prima che il giocatore calciasse un corner, che ha risposto raccogliendo il frutto, sbucciandolo e mangiandolo alla presenza del pubblico, per poi tirare il calcio d’angolo mentre ancora lo masticava: come ben osservato (SANTACROCE), con l’ironia Alves ha “staccato la spina agli ignoranti, li ha zittiti a morsi di banana”: il sorriso in risposta ai denti digrignati, lo sberleffo invece dello schiaffo.
Le nostre reazioni per tali episodi mettono a posto la nostra buona coscienza, ma ciò non basta.
In numerosi altri casi (davanti ai quali la nostra reazione è assai più incerta e meno netta), si evidenziano discriminazioni previste dalla legge o comunque da norme di legge nell’interpretazione che ne danno i giudici: pensiamo alla dottoressa iraniana, medico escluso dal concorso di una ASL; o alla donna mussulmana costretta –nella sua ottica- a spogliarsi per fare il bagno al mare; o al clandestino che non può lavorare legalmente (o contrarre matrimonio, mandare il figlio a scuola, riconoscere un figlio); o allo studente meritevole escluso da sussidi scolastici solo in quanto extracomunitario; o a chi non solo è extracomunitario ma è pure invalido, e però è escluso dal nostro welfare, perché le risorse disponibili devono soddisfare “prima gli italiani”. Pensiamo ancora alla “mala physiognomia” dell’islamico o dello straniero di colore fermati ai controlli di polizia più frequentemente di altri; pensiamo ancora al minore Rom schedato, forse anche in funzione preventiva dei furti. Ci indigniamo allo stesso modo? Con la stessa intensità?
Si tratta di argomenti che nella nostra tradizione di studi sono ignorati o lasciati ai margini della ricerca e della riflessione; negligenza e svalutazione, d’altro canto, rispecchiano disattenzione e inerzia del legislatore e della giurisprudenza, anche se il secolare silenzio si va ora attenuando o dissolvendo in virtù degli enunciati delle Costituzioni democratiche, delle affermazioni solenni della Carte di rilievo universale, dell’attività dei giudici sovranazionali (così Pietro RESCIGNO).
In questo libro esaminerò diffusamente questi casi.
Siamo sempre noi (o nostri rappresentanti) che ancora oggi approviamo leggi che distinguono le persone per la loro nazionalità, razza, etnia, religione, ed altro. Siamo noi i giudici che siamo chiamati ad applicarle. Noi (cittadini, politici e giudici) e le nostre leggi non sempre siamo diversi da quelli e quelle del passato.
Un collega anziano, straordinariamente bravo e di grande esperienza, mi obietta che l’assimilazione degli ebrei alle altre categorie indicate nel titolo di questo libro è forzata ed erronea, e ciò in quanto le leggi razziali verso gli ebrei erano dettate da motivi di odio, laddove non è così oggi per gli stranieri, nei confronti dei quali la nostra chiusura dipende solo da esigenze protezionistiche dei cittadini verso flussi enormi altrimenti ingestibili.
L’obiezione mi ha fatto pensare a lungo, ma credo alla fine che essa non colga nel segno: anche ad ammettere che non ci sia odio verso gli stranieri, i mussulmani e gli zingari (il che pare davvero dubitabile in relazione a certo hate speech che richiamerò più avanti), la creazione di un falso nemico per distogliere attenzione da altri e più seri problemi politici economico sociali è tecnica comune ai due periodi storici in comparazione; soprattutto, conta a mio parere il dato normativo oggettivo, e non lo scopo del legislatore; inoltre, secondo la disciplina europea e nazionale antidiscriminatoria, rileva non solo lo scopo discriminatorio, ma anche l’effetto obiettivo delle condotte umane.
Oggi come allora le leggi distinguono le persone in relazione a fattori che sono discriminatori. Unica diversità è il contesto istituzionale e sociale, forse quello politico e, in parte, la diversa condizione economica dei discriminati (gli ebrei erano ricchi, gli immigrati e gli zingari non lo sono, ma i mussulmani come si collocano?).
Non solo: diverse forme di discriminazione non sottendono visioni razziste, non si basano su una gerarchia di gruppi umani, non implicano giudizi di valore sulle culture e religioni minoritarie, né presuppongono, almeno in linea di principio, qualche tipo di preferenza per alcuni soggetti rispetto ad altri. Possono infatti derivare da procedure apparentemente neutrali, ma che comportano conoscenze linguistiche e culturali di cui le minoranze sono mediamente meno fornite della maggioranza. Infine, questo studio riguarda la discriminazione portata dalle istituzioni e dai pubblici poteri, tema questo comune ai due periodi storici.
Sembra allora nel vero chi ha detto che, se si guarda alla storia, è possibile rinvenire tratti di continuità del sistema giuridico italiano, pur nel mutare del contesto istituzionale: sono tratti connessi all'impiego di leggi che hanno dato vita a «istituti di diritto differenziato» per determinate categorie di persone (NIRO). Come ha scritto recentemente Michela MURGIA, il fascismo sa aspettare, è come un herpes che può resistere interi decenni nel midollo della democrazia facendo credere di essere scomparso, salvo saltare fuori più virale che mai al primo prevedibile indebolimento del sistema immunitario.
A ben vedere, però, anche il presupposto circa l’odierna assenza di odio verso categorie svantaggiate sembra però discutibile: come rileva LUIGI FERRAJOLI, la violazione dei diritti umani, mentre era occultata dal precedente ministro di centrosinistra, viene ora dal governo di centrodestra sbandierata come fonte di consenso e la xenofobia è alimentata ed amplificata: “Il primo effetto è l’abbassamento dello spirito pubblico e del senso morale nella cultura di massa. Quando l’indifferenza per le sofferenze e per i morti, la disumanità e l’immoralità di formule come “prima gli italiani” o “la pacchia è finita” a sostegno dell’omissione di soccorso sono praticate, esibite e ostentate dalle istituzioni, esse non solo sono legittimate, ma sono anche assecondate e alimentate. Diventano contagiose e si normalizzano. Sollecitano l’odio per i diversi. Non capiremmo, altrimenti, il consenso di massa di cui godettero il nazismo e il fascismo. Queste politiche crudeli stanno avvelenando e incattivendo la società, in Italia e in Europa. Stanno seminando la paura e l’ostilità per i soggetti più deboli. Stanno logorando i legami sociali. Stanno screditando, con la diffamazione di quanti salvano vite umane, la pratica elementare del soccorso di chi è in pericolo di vita. Stanno fascistizzando il senso comune. Stanno svalutando i normali sentimenti di umanità e solidarietà che formano il presupposto elementare della democrazia».
Un esperimento interessante è stato suggerito da PIASERE, che, nell’analizzare in dettaglio il “piano Rom” del comune di Roma al tempo del sindaco Alemanno scrive: “mettete, nella lettura del presente testo, la parola “ebreo” ogni volta che compare “rom” o “zingaro”. Prima si legga il libro, e poi si rifletta sull’effetto che farebbe di sentire parlare del “piano ebrei”; del “Centro di Raccolta ebrei”; dei villaggi della solidarietà per ebrei”, delle “prime elezioni di un campo ebrei d’Europa”; che “la gestione della pulizia del villaggio attrezzato di Castel romano è stata destinata ai presidenti delle cooperative ebree per ripagarli di aver accettato il trasferimento”; che “nel 2006 il Comune di Roma ha speso per i 5.200 ebrei regolarmente presenti, 15 milioni di euro. Circa 250 euro a ebreo al mese”; … che effetto fa tutto ciò?”.
Lo stesso accade se ripetiamo il suddetto esperimento con le pubblicazioni che riguardano gli extracomunitari.
Oggi come nel passato, provvedimenti normativi discriminatori riscuotono il consenso maggioritario della popolazione, talvolta convinto, talvolta indotto dall’efficacia della campagna di propaganda, talvolta dovuto a ragioni di puro opportunismo e convenienza personale.
Come efficacemente scrive Livio PEPINO, si sta costruendo, in modo metodico e diffuso, il “nemico”, con una rappresentazione che fa apparire naturale e spontanea la reazione, il rifiuto, e, alla fine, l’annientamento e la distruzione fisica. “Tutto viene giustificato evocando violenze, prevaricazioni, soprusi (veri o presunti) del nemico di turno: migranti, poveri, marginali, ribelli, denunciando una paura e un’insicurezza sempre più intollerabili indotte da quei comportamenti e da quelle presenze”, e “seminando odio e disprezzo verso i diversi per razza, per cultura, per idee”. Un vero “panico sociale che si alimenta di luoghi comuni e di leggende metropolitane e che, invariabilmente, provoca la ricerca di capri espiatori: gli zingari rubano e rapiscono i bambini, gli islamici sono potenziali terroristi, i migranti arrivano a milioni, i clandestini spacciano e <pisciano sui vagoni della metropolitana> (affermazione di Salvini, nella puntata del 18 novembre 2014 di Ballarò), i romeni stuprano, gli ebrei sono strozzini, i poveri non hanno voglia di lavorare, i centri sociali sono aggregazioni di delinquenti e via seguitando”.
La FRA, European Union Agency for Fundamental Rights, con sede a Vienna, ha pubblicato diversi rapporti che evidenziamo le moderne discriminazioni verso gruppi sociali minoritari.
Nel rapporto della FRA, “Esperienze e percezioni di antisemitismo. Seconda indagine sulla discriminazione e i reati generati dall’odio subiti dagli ebrei nella UE”, 2019, si evidenzia che, a parte la diffusione di asserzioni negazioniste o "revisioniste" di fatti storici ormai accertati e documentati dalla comunità internazionale, gli ebrei in tutta Europa continuano ancor oggi a sperimentare episodi di antisemitismo sotto forma di vandalismo, insulti, minacce, aggressioni e persino omicidi; l’antisemistismo pervade anche la sfera pubblica, riproducendo e perpetuando stereotipi negativi sugli ebrei. I risultati dell’indagine suggeriscono che le persone affrontano talmente tanti abusi antisemiti da far sembrare loro banali alcuni degli episodi che subiscono; tuttavia, qualsiasi episodio di antisemitismo è fondamentalmente un attacco alla dignità di una persona e non può essere considerato come un semplice disagio.
La “Seconda indagine sulle minoranze e la discriminazione nell'Unione europea- Musulmani – Risultati selezionati”, 2017, pubblicata dalla FRA, ha poi evidenziato che la percentuale di musulmani che subiscono discriminazioni è elevata, soprattutto quando cercano lavoro o hanno accesso a un alloggio o quando sono in contatto con le autorità scolastiche come genitori o tutori; la percentuale è assai più ridotta per coloro che non indossano abiti tradizionali o religiosi.
Venendo infine alla comunità dei Rom e nomadi, anch’essa è vittima di stereotipi e pregiudizi, discriminazione e veri e propri crimini, con effetti notevoli in ordine alla qualità della vita e della stessa salute; molti Rom negli Stati membri del Consiglio d'Europa continuano a vivere in condizioni che sono molto al di sotto degli standard minimi per un alloggio adeguato; le condizioni abitative scadenti, insicure e spesso segregate portano a gravi problemi in altri settori della vita, come l'istruzione, il lavoro e la salute. La FRA, nel Rapporto “Lavorare con i Rom: partecipazione e responsabilizzazione delle comunità locali”, 2019, ha evidenziato che, nonostante gli sforzi a livello nazionale, europeo e internazionale per migliorare l’integrazione sociale ed economica dei Rom nell’Unione europea, molti di loro si trovano ancora in condizioni di estrema povertà, profonda esclusione sociale e discriminazione. Ciò comporta spesso un accesso limitato a istruzione, posti di lavoro e servizi di qualità, bassi livelli di reddito, condizioni abitative inferiori agli standard, salute precaria e un’aspettativa di vita più bassa. Questi problemi comportano inoltre ostacoli spesso insormontabili all’esercizio dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Nei rapporti FRA, “Transition from education to employment of young Roma in nine EU Member States”, 2018, e FRA, “Seconda indagine sulle minoranze e le discriminazioni nell’Unione europea, Roma – Risultati selezionati”, 2016, si evidenzia, dati alla mano, che vivere in alloggi gravemente svantaggiati, in una famiglia a rischio di povertà e in un’area residenziale segregata è correlato a livelli di istruzione più bassi e che vivere in condizioni di emarginazione e povertà influisce sull’accesso all’istruzione (ove peraltro si riscontra una segregazione educativa significativa) e si sottolinea pure che, se il tasso di disoccupazione per la popolazione in generale è pari al 10 % circa della forza lavoro totale, il tasso ufficiale di disoccupazione per i Rom è stata stimata essere tra il 50% e l’80%, e ci sono chiare indicazioni che la discriminazione razziale è una forza potente che ostacola l' accesso dei Rom al mercato del lavoro.
Un ultimo riferimento va fatto agli stranieri, i quali spesso si trovano a vivere in condizioni di estrema difficoltà.
I problemi, come noto, qui iniziano già al momento dell’ “accoglienza” degli stranieri. I Centri di Permanenza Temporanea (CPT), poi denominati Centri di Identificazione ed Espulsione (in acronimo CIE), strutture previste dalla legge italiana istituite per trattenere gli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera" nel caso in cui il provvedimento non sia immediatamente eseguibile, istituiti in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 12 della legge c.d. Turco-Napolitano, sono non solo strutture che di fatto hanno impatto assai più duraturo di quanto la loro funzione astrattamente consentirebbe, ma sono dei veri e propri lager (ROVELLI): ciascun immigrato che supera il Mediterraneo o i Balcani con sprezzo del pericolo e a rischio della vita “meriterebbe una medaglia al valore, si è meritata invece la detenzione abusiva, il campo di concentramento, la privazione di ogni difesa. Al di sotto delle prigioni stanno i CPT, fogna della coscienza di un paese ammesso tra i civili. CPT: neanche il minimo coraggio di nominarli per quello che sono. Del resto i nazisti chiamavano distretto abitativo (wohnungsbezirk) i ghetti in cui insaccavano le vite da distruggere” (Erri DE LUCA).
In tema va ricordato che il Consiglio dei ministri il 12 settembre 2023 ha approvato la misura secondo la quale chi entra illegalmente in Italia potrà essere trattenuto nei centri di accoglienza fino a 18 mesi (6 mesi prorogabili per ulteriori 12) prima del rimpatrio, mentre rimane a 12 mesi il limite di trattenimento per i richiedenti asilo.
L’esame di questi centri e degli altri (hot-spot, centri di accoglienza, ecc., con nomi e funzioni diverse, ma caratteristiche spesso analoghe) va al di là degli scopi di questa trattazione, ma un riferimento era doveroso in ragione del numero di stranieri ivi “ospitati” (peraltro la questione è stata portata all'attenzione della Corte di Strasburgo che, con le sentenze CEDU Khlaifia ed altri, 15 dicembre 2016 e CEDU J.A. c. Italia del 30 marzo 2023 nonché Darboe and Camara del 21 luglio 2022, Sadio del 16 novembre 2023 e A.T. ed al. C. Italia del 23 novembre 2023, ha condannato l'Italia per violazione tra l’altro degli art. 3, 5 e 13 della Convenzione nonché 4 del Protocollo n. 4 , sottolineando come tali centri costituissero in realtà luoghi di detenzione, nei quali gli stranieri sono privati della libertà senza alcuna base legale e senza la possibilità di fare ricorso all'autorità giudiziaria).
La trattazione che segue esaminerà problemi diversi, relativi a vari istituti giuridici la cui applicazione verso gli stranieri subisce significative deroghe. Invero, con riguardo agli stranieri si è progressivamente formato un corpus normativo differenziato, che interessa ambiti assai diversi, e che può ricordare per certi profili il “diritto speciale degli ebrei” (che a sua volta aveva il suo fondamento nella legislazione coloniale).
I settori interessati dalla discriminazione sono numerosi: si va dall’accesso all’edilizia sociale, al lavoro ed all’esclusione dai concorsi pubblici, alle irregolarità contrattuali, alle prestazioni del welfare, ai controlli di sicurezza selettivi della polizia e ad altro ancora. Le considerazioni che seguono sono volte ad approfondire questi aspetti.
Tra le varie forme di discriminazione nei confronti dei gruppi sociali svantaggiati sopra indicati, mi occuperò in questo saggio solo della discriminazione istituzionale, ossia della discriminazione proveniente dalle Istituzioni e dai pubblici poteri.
E’ la forma di discriminazione probabilmente più grave, perché è quella in cui l’ordinamento schiaccia l’individuo, come singolo o in quanto appartenente ad un gruppo sociale svantaggiato, e la più odiosa, perché proveniente da soggetti che dovrebbero, invece, proteggere le persone.
L’interesse di conoscenza riguarda cose che “sono fatte in forma di diritto ma che valutiamo discriminatorie”: ci interessa massimamente l’ “ingiustizia in forma di legge”, quella che Hannah ARENDT chiamava Gesetzliches Unrecht.