1. La notizia
Le Monde online del 1 marzo ha dato notizia della decisione – la prima di quest’anno – del Tribunale costituzionale del Perù che ordina l’abbattimento del “muro della vergogna” costruito per separare alcuni quartieri ricchi da quelli poveri della capitale peruviana. Il sindaco della municipalità di La Molina ha 180 giorni di tempo dalla pubblicazione della sentenza.
La sentenza risponde, dopo circa quattro anni, al recurso de amparo presentato da Carlos Francisco Hinostroza Rodriguez contro la decisione del 9 novembre 2017 emessa dalla Seconda Corte d’Appello – sezione penale – del Tribunale Superiore di Giustizia di Lima Sud che aveva dichiarato infondata la richiesta di habeas corpus[1] presentata dal ricorrente contro il sindaco del Comune distrettuale di La Molina.
Carlos Francisco Hinostroza Rodriguez è un avvocato residente nel quartiere di Villa Maria del Triunfo che si è fatto interprete dell’ingiustizia subita dai suoi abitanti costretti, per lo più, a vivere in baracche di legno e lamiera, senza elettricità e acqua corrente, isolati dall’edificazione di un muro che limita l’accesso agli altri quartieri della città.
2. Il contesto
Quartieri come quello di Villa Maria del Triunfo si sono sviluppati in conseguenza della massiccia immigrazione dalle campagne nelle città del Perù nel corso degli anni ‘80 del secolo scorso. I nuovi arrivati spesso fuggivano non solo per ragioni economiche ma anche a causa della violenza diffusa e si sistemavano precariamente nella speranza di ottenere dal Comune la regolarizzazione degli insediamenti. Intervistata dal magazine online The Atlantic, Susana Galinas Tacuri, i cui genitori erano letteralmente scappati da una delle zone più violente del paese, ha dichiarato che la guerriglia aveva violentate le donne della famiglia, ucciso i suoi zii e nipoti, rubato soldi e lana.
Rapidamente i neo-immigrati divennero la manodopera per molte attività dei quartieri ricchi ma, più si espandeva la baraccopoli, più aumentava la denigrazione verso i suoi abitanti. «Ci guardano come se fossimo dei ladri – ha detto Susana Galinas Tacuri – come se lo fossero anche i nostri figli e come se volessimo entrare nelle loro case[2]».
Nel 1985 venne eretto un primo muro di cinta a difesa di un edificio privato. Fu l’inizio dell’edificazione di un muro che oggi si estende per più di 10 chilometri e costituisce il più lungo muro urbano del mondo. Le municipalità delle zone benestanti hanno sostenuto il prolungamento della barriera divisoria e inviato spesso le forze dell’ordine per controllare i rari varchi e garantire la sicurezza. In questo modo il transito da un’area all’altra per la gente di Villa Maria del Triunfo è diventato proibitivo: un tempo bastava un quarto d’ora, ora ci vogliono due ore per raggiungere e superare il checkpoint. In mancanza di una rete idrica pubblica, paradossalmente, nei quartieri più poveri l’acqua costa di più perché il sistema di distribuzione è privato. «Il Servicio de agua potable y alcantarillado de Lima – ha precisato un immigrato colombiano – invia una cisterna una volta alla settimana. Non possono lavarsi, si limitano a bagnarsi testa e viso[3]».
3. Il processo
Con l’istanza di habeas corpus Carlos Francisco Hinostroza Rodriguez ha sostenuto che il muro con il filo spinato (la parte prospiciente Villa Maria del Triunfo è lunga 4,5 km) impedisce agli abitanti di muoversi liberamente e che il sindaco di La Molina, autorizzandolo, ha violato la dignità dei suoi concittadini che consiste anche nel vivere «in un ambiente di uguale rispetto». Il sindaco – secondo il ricorrente – avrebbe abusato dei suoi poteri perché la Costituzione impedisce all’autorità di adottare provvedimenti che discriminano le persone su base economica.
Il Comune convenuto si è difeso sostenendo che il ricorrente non aveva indicato alcun atto dannoso e che il muro era stato edificato in area demaniale in previsione della realizzazione di nuove unità abitative e a tutela dell’area destinata a Parco Ecologico. Inoltre la presenza di quattro accessi lungo il muro non limiterebbe il transito delle persone: circostanza contestata dal ricorrente secondo cui il muro disporrebbe di un unico punto d’accesso sorvegliato da una torre di guardia con controllo delle persone.
In prima istanza il Tribunale Superiore di Giustizia di Lima Sud ha dichiarato l’infondatezza della denuncia perché il muro favorirebbe la conservazione delle aree interessate, impedirebbe lo sconfinamento sulla zona destinata a Parco Ecologico e la difficoltà nel transito sarebbe giustificata proprio dalla protezione di quelle esigenze. In sostanza: le limitazioni al transito non perseguirebbero l’obbiettivo di una discriminazione sociale ma la legittima tutela dello sviluppo urbano e dell’area verde. Ogni altra misura sarebbe stata insostenibile.
Carlos Francisco Hinostroza Rodriguez non si è dato per vinto e il 25 gennaio 2018 ha presentato reclamo al Tribunale costituzionale al fine di ottenere la demolizione del muro, quantomeno per il segmento che fronteggia il territorio del comune di residenza. Solo nel dicembre 2020 è iniziata da parte della Corte una vera e propria istruttoria circa, innanzitutto, la regolarità delle abitazioni lungo il confine perimetrale su entrambi i lati e l’esistenza di progetti di sviluppo urbano. È stata disposta un’ispezione tecnica della recinzione sotto il profilo della sicurezza e della prevenzione di fenomeni criminali. È stato acquisito un rapporto dell’Ordine regionale degli architetti di Lima per le necessarie valutazioni sull’impatto urbanistico e sociale del muro.
4. La sentenza del Tribunale costituzionale
Queste le argomentazioni del Tribunale costituzionale.
4.1. Il test di proporzionalità
Innanzitutto ha affermato che nel caso in questione il ricorso era certamente legittimo poiché la violazione della libertà di transito, se accertata nel caso concreto, era connessa ad un atto di divisione della popolazione sulla base del loro diverso status sociale ed economico, con una «potenziale violazione del diritto alla parità di trattamento e alla non discriminazione degli abitanti del distretto di Villa Maria del Triunfo» (§ 4). Sul punto il collegio costituzionale ha ritenuto di rivedere il tradizionale orientamento secondo cui la libera circolazione delle persone presuppone l’esistenza di una strada, pubblica o privata, come prerequisito per l’esercizio del diritto. Infatti, hanno argomentato i giudici, la libertà di transito non può essere limitata a percorsi prestabiliti. La libera circolazione riguarda anche gli spazi naturali e rurali, le foreste, i fiumi e le spiagge contro ogni interferenza arbitraria o misura che limiti «in modo irragionevole o sproporzionato la possibilità di entrare o uscire dal territorio nazionale e la possibilità di muoversi al suo interno» (§ 10).
Accertata la legittimità del ricorso e constatata l’esistenza indiscussa di una barriera divisoria tra i due insediamenti urbani, il Tribunale costituzionale ha dovuto prendere in considerazione la fondatezza costituzionale dello scopo perseguito dal comune di La Molina mediante l’erezione del muro. L’accusato ha fatto riferimento alla sicurezza dei cittadini, alla prevenzione di sconfinamenti, alla tutela dell’ambiente e alla “conservazione della residenza”. Poiché il comune di La Molina non aveva fornito alcuna prova in ordine all’esistenza di piani di lottizzazione, di pratiche per licenze edilizie nell’area adiacente il muro, né di aree verdi, foreste o risorse naturali (né la “conservazione della residenza” riceve tutela costituzionale), l’unico valore costituzionale confrontabile a quello della libera circolazione era quello della sicurezza pubblica.
In base a questa impostazione la Corte, nel comparare il diritto fondamentale alla libera circolazione con quello della sicurezza pubblica, ha utilizzato il test di proporzionalità articolato su tre livelli: idoneità, necessità e proporzionalità in senso stretto.
Il profilo dell’idoneità è stato ritenuto soddisfatto perché il muro è certamente idoneo a limitare e/o impedire l’accesso nel quartiere di La Molina e tale impedimento è certamente idoneo a tutelare, sia pure in misura contenuta, la sicurezza dei suoi abitanti. Infatti, le caratteristiche fisiche del muro, per quanto sormontato anche da filo spinato, non lo rendono completamente invalicabile da bande armate dotate di mezzi adatti allo scopo. Per contro, le stesse caratteristiche sono in grado di dissuadere pericoli alla sicurezza di grado medio (§ 27).
Non è stato, invece, soddisfatto il criterio della necessità della barriera divisoria. La necessità del muro è stata valutata alla luce di alternative meno onerose per la libertà di transito: sotto questo aspetto il muro non forniva garanzie forti per contrastare aggressioni criminali mentre la libertà di movimento era drammaticamente penalizzata dalla presenza di un unico accesso concretamente praticabile mentre esistevano misure alternative (piani di sicurezza, illuminazione) altrettanto efficaci e non punitive per la popolazione di Villa Maria del Triunfo (§37).
Non essendo stato soddisfatto il profilo della necessità, non poteva considerarsi superato il test di proporzionalità: la Corte ha pertanto deciso di ordinare la demolizione del muro.
4.2. Diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione
Non vi sono dubbi che la popolazione del ricco quartiere di La Molina si è sentita e si sente esposta a progressivi insediamenti illegali con proprietà immobiliari acquisite attraverso un vero e proprio traffico criminale di terreni. Tuttavia: come riporta il § 48 della sentenza, con le parole dell’urbanista Pablo Vega Centeno, «la costruzione di muri come questo avviene per la necessità di marcare le differenze sociali con elementi fisici. È una paura della vicinanza sociale. Per affermare la sicurezza interna, si segue una logica di paura del mondo esterno, di esclusione in quasi tutta l’America Latina».
Il Tribunale costituzionale fa, dunque, suo il pensiero dal Collegio degli architetti di Lima secondo cui il muro non è altro che un atto di segregazione sociale che aggrava ulteriormente la segregazione spazio-sociale dovuta alla mancanza di infrastrutture e servizi, spazi pubblici minimi e aree verdi, mancanza di opportunità di mobilitazione sociale e di cambiamento di status sociale (§53).
Così, mentre per gli abitanti di La Molina il muro costituisce un mezzo per la sicurezza delle loro proprietà, per quelli di Villa Maria del Triunfo è un atto degradante per la loro dignità personale, in quanto incide sul loro diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione (§57).
L’uguaglianza è principio e diritto fondamentale: è componente assiologica del fondamento dell’ordinamento costituzionale e si proietta sull’intero sistema giuridico; al tempo stesso è diritto fondamentale in quanto vero e proprio diritto soggettivo, in questo caso, a non essere discriminati ancorché per motivi giuridicamente rilevanti.
4.3. Il diritto alla pace sociale
La sentenza si chiude con un paragrafo di alto valore etico e giuridico dedicato al diritto alla pace sociale come diritto fondamentale. Alla Corte costituzionale spetta il compito di contribuire alla pace sociale utilizzando il dialogo, il negoziato e il consenso per affrontare il conflitto, la violenza e il rancore. Merita a questo punto riportare integralmente il testo dell’ultimo paragrafo.
«Non bisogna perdere di vita il fatto che il terrore di ieri e di domani sarà alimentato dalla povertà e dall’emarginazione. È quindi indispensabile che il governo e il legislatore sviluppino politiche complementari per costruire la pace sociale per tutti i peruviani. Le politiche di riconciliazione sono quindi necessarie in un modello costituzionale in cui il perdono, la tolleranza e la comprensione lascino il posto a tempi nuovi in cui l’inclusione, la messa al bando delle discriminazioni e la ricerca del benessere permettano l’adozione di nuove misure che non stigmatizzino radicalmente nessun cittadino, ma al contrario realizzino la pace sociale, un nuovo diritto implicito che emerge dal quadro di principi e valori della nostra Costituzione».
Il diritto alla pace sociale si presta a ricostruzioni piuttosto ambivalenti. Un conto è il diritto alla pace, il diritto a vivere in pace iscritto nelle fonti internazionali[4], ricavabile anche dalla nostra Costituzione nella forma del ripudio della guerra come metodo di risoluzione delle controversie internazionali. Altro è la pretesa della pace sociale come mezzo di limitazione della naturale conflittualità cui ricorrono, soprattutto di fronte a condizioni o trattamenti ingiusti, le parti sociali svantaggiate o con scarso o nullo potere contrattuale[5].
Tuttavia, il Tribunale costituzionale peruviano fornisce una definizione interessante di quello che ritiene essere «un nuovo diritto implicito che emerge dal quadro dei principi e valori della nostra Costituzione». La sentenza vuole, infatti, prendere le distanze da concetti inattuali, assimilabili a quello di “pace sociale”, come il perdono, la tolleranza, la comprensione. Per pace sociale, oggi, devono intendersi «politiche di riconciliazione» che mirino all’inclusione, alla messa al bando delle discriminazioni e alla ricerca del benessere.
Queste argomentazioni potrebbero risultare piuttosto sommarie se non si conoscessero i poteri del Tribunale costituzionale e la situazione drammatica in cui versa il Perù.
Infatti, il dispositivo non si limita a dichiarare la fondatezza del ricorso e a ordinare la demolizione totale del muro ma si rivolge tanto al potere esecutivo quanto a quello legislativo per l’approvazione di leggi idonee a combattere l’invasione e il traffico di terre «in modo globale» e ai Comuni affinché evitino di «costruire o mantenere muri e divisioni che compromettano i diritti al libero transito, all’uguaglianza davanti alla legge e alla non discriminazione».
La sentenza s’inserisce in uno dei passaggi più drammatici della storia peruviana. Il 28 luglio 2021 con il motto «non più poveri in un paese ricco» si era insediato come presidente della Repubblica Pedro Castillo, terzo di nove figli di contadini analfabeti, insegnante e attivista sindacale, battendo al ballottaggio Keiko Fujimori, leader della destra peruviana e figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori. Nel dicembre 2022 Pedro Castillo è stato destituito e arrestato con l’accusa di corruzione, dopo aver annunciato lo scioglimento del Congresso con coprifuoco notturno e voto anticipato. Il suo governo si è ribellato con dimissioni in massa dei ministri. A quel punto sono iniziate le mobilitazioni in diverse zone del Perù con proteste, scioperi, blocchi stradali, l’occupazione di diversi aeroporti con una escalation di violenza, soprattutto da parte delle forze dell’ordine, che ha causato oltre 60 morti tra dicembre 2022 e fine febbraio 2023. La Corte interamericana per i diritti umani (Cidh) ha presentato un’informativa al Consiglio permanente dell’Unione degli Stati americani (Osa) e preteso il rispetto degli standard di legalità, necessità e proporzionalità nell’uso della forza. Dal canto suo Amnesty International ha svolto un’approfondita ricerca sul rispetto dei diritti umani in particolare nelle città di Ayacucho, Andahuaylas, Chincheros e nella capitale Lima[6].
In questo momento la demolizione del muro non sarà certo la priorità del paese sudamericano. Restano, tuttavia, l’importanza della pronuncia a tutela dei principi di libertà di circolazione, uguaglianza e non discriminazione, la concretezza delle statuizioni della giurisdizione costituzionale e l’alto valore simbolico del richiamo alla pace sociale in un momento così tragico della vita del Perù.
[1] L’habeas corpus è previsto dall’art. 200 della Costituzione peruviana ed è una garanzia costituzionale contro atti o omissioni dell’autorità, persona fisica o giuridica, che violi o attenti alla libertà individuale o ai diritti costituzionali connessi.
[2] https://www.theatlantic.com/international/archive/2019/09/peru-lima-wall/597085/
[3] https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-09/reportage-caramazza-muro-peru-divisione-missionari.html
[4] L’Assemblea generale dell’ONU con la risoluzione n. 33/73 ha proclamato che «ogni nazione e ogni essere umano, a prescindere da considerazioni di razza, coscienza, lingua e sesso, ha il diritto intrinseco a vivere in pace».
[5] Significativo e paradossale il titolo di Benito Mussolini, La pace sociale e l’avvenire dell’Italia. Discorsi pronunciati dall’ottobre 1923 all’aprile 1924, Giorgio Berlutti Editore, Roma, 1926.
[6] https://www.amnesty.it/peru-repressione-mortale-un-altro-esempio-del-disprezzo-per-i-nativi-e-i-contadini/