Il Testo unico sul conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi nella magistratura italiana costituisce il tassello mancante di una mosaico che si è andato componendo faticosamente dal momento in cui il legislatore ha messo mano all’ordinamento giudiziario dopo decenni di congelamento dell’assetto delle norme primarie. Fra il 2006 e il 2007 il testo di legge che ha attraversato un cambio di governo vedendo riflesse nel merito della riforma (passata poi con il nome di riforma Castelli-Mastella) le modifiche che erano in re ipsa dovute ad una diversa interpretazione del ruolo della magistratura in un assetto democratico così come di diversi equilibri di forze all’interno dello stesso esecutivo.
Da allora, l’intervento sul nuovo ordinamento è avvenuto in via di normazione primaria – andando a toccare alcuni aspetti del disegno complessivo – e in via di normazione consigliare – attraverso un frammentato, difficile, non privo di conflitti processo di aggiustamento al margine che ha significato in taluni casi interventi profondi, basti pensare alle norme che riguardano la interpretazione del rapporto che intercorre fra il procuratore della Repubblica e i sostituti, norme che sono state anche di recente al centro di una querelle di momento istituzionale significativo e portato non di rado alla attenzione dei media, come quella di Milano.
Eppure, nonostante la laboriosità normativa, la assenza di una sistematica e sinottica visione dell’intervento che avrebbe dovuto contemperare al suo interno sin dall’inizio il bilanciamento di tutte le istanze e la composizione di tutte le modifiche funzionali e strutturali – basti qui pensare alla creazione della Scuola superiore della magistratura – dando poi ad un organismo ad hoc il timone della attuazione della riforma, ha fatto sì che mancasse un tassello fondamentale.
D’altronde, in qualsiasi contesto istituzionale la definizione dei criteri con cui sono nominati coloro che svolgono funzioni di carattere direttivo costituisce una dimensione particolarmente significativa, ancorché difficilmente scevra da elementi di dissenso quando non di conflitto, di governance, di politica istituzionale. In tal senso, va compresa anche la analisi che qui si propone, ovvero l’insieme delle considerazioni che possono essere elaborate a distanza di qualche mese dalla adozione del Testo Unico e che devono richiamare ad una necessaria osservazione degli effetti di medio termine derivati dalla attuazione dello stesso.
Dalla entrata in vigore della riforma dell’ordinamento giudiziario – cosiddetta Castelli-Mastella – gli incarichi direttivi e semi direttivi divengono temporanei e soprattutto sotto il profilo dei criteri di nomina non più direttamente collegati allo scorrere della anzianità di servizio. È questo passaggio che fa della valutazione un processo decisionale di fondamentale importanza sia per il buon funzionamento del sistema giustizia sia per la legittimazione esterna ed interna dell’operato dell’organo di auto governo e della magistratura in senso lato.
Lo snodo che raccoglie in sé individuazione di quale o quali tipi o ideal tipi debbano essere premiati, quali siano le ragioni che l’organo di auto governo può addurre non per limitare la sua discrezionalità ex ante ma per renderne leggibile l’esercizio ex post, quali siano i criteri rispetto a cui le diverse componenti della professionalità giudiziaria vanno commisurate ed infine di quali componenti si voglia tenere conto è snodo di portata sistemica. Il riverbero della assenza di una chiara, prevedibile, stabile, leggibile anche al cittadino politica di valutazione e conferimento degli incarichi sta anche nella effettiva – e non insignificante – frammentazione del servizio giustizia reso nei distretti giudiziari italiani. Un testo unico dunque quanto mai necessario.
Quali sono i punti di rilievo nel testo stesso?
Il testo unico introduce tre ordini di innovazioni.
A) Prevede la distinzione fra tipologie di uffici giudiziari, sulla base della griglia che segue. La distinzione fra tipi di uffici si articola all’interno di un ragionamento che poggia su ragioni di fatto – la osservazione dell’effettivo diverso funzionamento organizzativo degli uffici giudiziari italiani – e si lega a ragioni di carattere prescrittivo – se gli uffici sono diversi fra loro per qualità di funzionamento allora anche le capacità che i magistrati cui verrà conferito un incarico direttivo o semi direttivo devono essere differenziate.
B) Prevede conseguentemente una trattazione del merito del candidato in una chiave modulare e tipizzata. Vediamo cosa si intende. Modulare: la professionalità si compone secondo quanto prevede il testo unico di parti generali e di parti specifiche. Le parti generali sono quelle che attengono a tutti i magistrati, sono il core della professionalità giudiziaria, quelle specifiche invece possono assumere peso maggiore o minore a seconda che si concorra per un tipo di ufficio o per un altro. Anche all’interno delle parti generali abbiamo una modularizzazione. Infatti si prevede che siano sette le dimensioni da considerare (e potrebbero avere al loro interno un peso diverso componendo un diverso insieme caso per caso) per valutare la professionalità generale (si veda tabella 1).
C) Prevede che nella applicazione degli indicatori generali e degli indicatori specifici vi sia una razionalità ordinatrice in modo lessicografico, ossia prima sono sempre considerati gli indicatori generali, a cui sono accostati per tipi di uffici specifici gli indicatori specifici.
Tab. 1. Indicatori generali e specifici
Indicatori |
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Generali |
Attitudini Funzioni direttive e semidirettive in atto o pregresse Esperienze maturate nel lavoro giudiziario Esperienze di collaborazione nella gestione degli uffici Proposte organizzative Esperienze ordinamentali e organizzative Formazione specifica in materie organizzative Altre esperienze organizzative e ordinamentali maturate al di fuori dell’attività giudiziaria |
Specifici |
Elementi specifici di valutazione dell’attitudine direttiva per tipologia di ufficio |
In sintesi, il testo unico recepisce l’esistenza di una diversificazione delle capacità – ma non dello status – dei magistrati (in una chiave diagnostica, magistrati che hanno svolto funzioni direttive in uffici grandi hanno acquisito capacità diverse da magistrati che hanno svolto funzioni direttive in uffici piccoli). La diversità non implica tuttavia disgiunzione. Le capacità generali sono comuni ai magistrati degli uffici grandi e degli uffici piccoli, degli uffici specializzati e degli uffici generalisti. In una chiave prognostica tuttavia si rileva che un magistrato che voglia coprire un posto direttivo in un grande ufficio debba avere già sviluppato le capacità generali e specifiche (insieme, quindi il criterio composito diviene qui più esigente).
Cosa implica tutto questo sul piano della mise en oeuvre?
Questi i flussi informativi e decisionali che il testo unico richiede.
a) La valutazione di professionalità da parte dei capi ufficio
b) La valutazione dei consigli giudiziari
c) La auto relazione
d) La analisi delle candidature
e) La istruzione dei dossier individuali
f) La comparazione
g) La decisione
Rispetto ai punti a e b è di fondamentale importanza che le valutazioni siano fatte seguendo griglie standard che riflettono in modo preciso la articolazione del testo unico. Non avrebbe alcun senso avere un testo che dà indicazioni precise su quali siano le componenti della professionalità giudiziaria e le funzioni in cui questa è chiamata ad essere esercitata se poi le informazioni che sono necessarie per la valutazione del quanto le componenti in questione siano state sviluppate da uno specifico candidato arrivano in modo ordinato secondo una razionalità diversa da quella del testo unico. Il sistema dovrebbe lavorare due o tre volte, a livello di capo ufficio, a livello di consiglio giudiziario, a livello di CSM.
Rispetto al punto c è assolutamente cruciale che i magistrati possano interfacciarsi con un testo unico stabile nel tempo che crei un alto grado di prevedibilità e dunque anche di pianificazione dello sviluppo della professionalità. Qui il punto non è la carriera, ma la professionalità.
Rispetto ai punti d, e, e f è il CSM che è chiamato a svolgere il compito più oneroso ma anche quello più significativo. Ma per fare questo occorre che gli indicatori siano opportunamente governati. Occorre dunque stabilire – trattasi di materia di discrezionalità consigliare – quale o quali sono i core degli indicatori, quali sono le attività che sono considerate esemplificative in modo paradigmatico di quell’indicatore specifico. In tal senso la valutazione comparata non sarà di graduatoria, ma di avvicinamento o allontanamento del candidato rispetto ai core dei singoli indicatori. Starà al CSM, assumendosene la responsabilità istituzionale ma avendo la possibilità di rendere a posteriori intelligibile la scelta, decidere i core seminatici degli indicatori, il peso relativo dei core gli uni rispetto agli altri – ricordiamo che per gli indicatori generali siamo dinnanzi a 7 core – e il peso del core degli indicatori specifici.
Innanzitutto, va detto che l’esercizio di valutazione è in sé un esercizio che ha a che vedere con la raccolta di informazioni, dati, evidenza empirica, in un formato e secondo criteri che siano funzionali all’utilizzo di tali conoscenze per decidere in materia di nomina. In altri termini, il raccordo fra il momento della valutazione e quello della nomina passa – nella sua funzionalità – attraverso una ragionata, standardizzata, leggibile e soprattutto sostenibile gestione della conoscenza che ne è alla base. Su cosa deve vertere questa conoscenza? Il “cosa” ce lo dice il Testo Unico. In che modo deve esservi formulata? Qui interviene la politica di attuazione del Testo Unico e quindi la capacità di governarne la mise en oeuvre. Vi è infatti necessità di dati e di informazioni attinenti alla professionalità dei candidati ai posti direttivi e semi direttivi così come di informazioni attinenti allo stato funzionale degli uffici giudiziari, essendo il Testo Unico posto ad aprire un legame fra nomina e tipo di ufficio.
La formulazione della conoscenza empirica è una frontiera nell’esperienza italiana. Lungi dal servire la esaustività è invece necessaria una massimizzazione della significatività di quanto portato alla attenzione del CSM. Standardizzazione e effettivo utilizzo da parte del capo ufficio dei dati di contesto che possono essere valorizzati nei pareri sono condizioni quanto mai necessarie. Ma vi è di più. Anche la possibilità di conservare una memoria organizzata e facilmente fruibile di tutto lo stock di dati, informazioni e conoscenze che un simile processo produce rappresenta una delicata leva di diminuzione della complessità e, nel medio periodo, di riduzione dei tempi e degli oneri decisionali che il CSM dovrà affrontare nella attuazione del Testo Unico.
Il metodo di lavoro della quinta commissione in materia di trattazione dei dati di cui sopra – come leggere le informazioni che arrivano, come metterle in relazione con i punti, molto dettagliati e articolati del Testo Unico e come mettere in azione quella che a tutti gli effetti diventa una valutazione di carattere comparato – è un passaggio dirimente nella trasformazione della norma in una prassi istituzionale virtuosa, sostenibile e durevole.
In questo senso l’utilizzo di indicatori in chiave dinamica rappresenta forse il terreno di maggiore significatività dell’azione dell’organo di auto governo nella sua funzione di nomina dei direttivi e dei semi direttivi. Gli indicatori infatti – se presi uno ad uno – non dettano né legittimano alcun automatismo. Nessun indicatore – proprio per la natura logico-analitica di questo strumento – permette di decidere. Ma questa capacità – induzione alla decisione in via automatica – non è data nemmeno da un eventuale algoritmo che faccia la sintesi degli indicatori in macro indici. Se infatti gli indicatori sono delle modalità per indicare un aspetto che si ritiene cruciale, è la interdipendenza dei diversi aspetti che si ritiene siano cruciali nel determinare la professionalità che si esercita quella azione di interpretazione, cognizione, valorizzazione, visione che è propria dell’organo di auto governo. In altri termini, siamo qui dinnanzi ad un momento culturale nel quale alla capacità di gestire indicatori in cluster e in chiave comparata dunque dinamica abbiamo anche necessità di una individuazione di quali sono gli aspetti della professionalità che incidono sugli altri, quali li effetti di interdipendenza, quali i modelli e quali le condizioni necessarie di ciascuno di essi.
Si noti che queste azioni di attuazione de Testo Unico hanno una portata di legittimazione sia interna sia esterna dell’operato del CSM. Interna perché è in relazione ad essere che la leggibilità e quindi la prevedibilità del metodo utilizzato costituisce un tratto imprescindibile della accettazione delle decisioni di una istituzione. Esterna perché è in relazione alla responsiveness, ossia alla rispondenza con la realtà empirica, il reale funzionamento del sistema giustizia che il cittadino e la società possono riconoscere il CSM come una istituzione “in ascolto” di quanto accade nel mondo della giustizia.
In termini sintetici si potrebbe affermare che la mise en oeuvre del Testo Unico è oggi uno dei contesti maggiormente impegnativi, delicati e allo stesso tempo potenzialmente innovativi del governo della magistratura in Italia. Ma la larga parte del lavoro resta da fare. Come farlo? Quali strumenti di governo della attuazione del testo unico si danno?
Innanzitutto:
a) Formazione
b) Informazione. I cittadini devono potere comprendere che nell’arco di cinque anni la magistratura potrebbe avere vissuto una trasformazione radicale
c) Gruppi di lavoro con professionalità esterne esperte di valutazione e metodologie quantitative e qualitative.
Vediamoli con qualche elemento di approfondimento.
La formazione deve toccare sia i capi ufficio, sia i magistrati ordinari, sia i componenti del Consiglio giudiziario, sia i consiglieri del CSM. Tutta la filiera di attori coinvolti nella redazione dei documenti che sono portatori di conoscenza ai fini delle nomine devono arrivare a condividere una cultura della valutazione, la consapevolezza – basata su una grammatica comune – che valutare significa scegliere quali dati e quali informazioni trasmettere, scegliere come analizzarli, scegliere quando e come tenerne memoria, scegliere a quali dare ordine di priorità. Non esiste alcun automatismo nella valutazione. La valutazione è assegnare “valore”. Nulla di più densamente e profondamente istituzionale. È proprio per questo che esiste nel momento in cui il Testo Unico è stato adottato una necessaria agenda che si apre per la attività di formazione, che si deve esplicare sia in una chiave centrale – quindi nello snodo di collaborazione istituzionale fra CSM e SSM – sia in una chiave decentrata – nelle sedi della formazione distrettuale, vicine alla realtà degli uffici.
Va a questa associata anche una azione attenta di comunicazione pubblica ed istituzionale da parte del CSM, che non passi attraverso una enunciazione di principi normativi, ma che dia il segno al cittadino di quali siano le riflessioni in materia – ancora una volta – di valutazione, orientamento empirico, evidence-based policy che il CSM non può non adottare.
Ed infine un supporto al CSM e ai consigli giudiziari per quanto riguarda l’utilizzo a sistema degli indicatori, un utilizzo che si deve avvalere di metodi e tecniche consolidate, quali quelli che la letteratura offre ormai, avvalendosi di esperienze internazionali e comparate e che permetterebbe di consolidare, standardizzare, istituzionalizzare quella che oggi appare come una prima esperienza alla frontiera di un – potenzialmente – nuovo mondo.