Giurista "totale" - tra le prime donne ammesse ad Harvard poi docente, negli anni ’70, di studi di genere, avvocata di diritto antidiscriminatorio e infine Giudice della Corte suprema americana – è stata una lungimirante e precoce interprete, nel Foro e nell’ordine giudiziario, del "giusfemminismo" post moderno.
Ne ha fatto proprio, redendolo law in action, quell’approccio alternativo e dissidente, sia nel diritto che nella filosofia politica, che è l’"approccio del dominio".
Il cui perno è il riconoscimento - seguendo il principio walzeriano che le società sono atavicamente fondate su beni e valori fondamentali a ognuno dei quali è attribuita una sfera di potere variamente distribuita a livello sociale - che le donne sono state e sono tuttora largamente escluse da questa distribuzione.
Il processo di esclusione delle donne comprende un primo momento (pre)storico di soggezione con la forza (che si rintraccia negli studi antropologici classici, ad esempio in L.H. Morgan, sullo scambio delle donne tra villaggi come “passaggio evolutivo” dal lignaggio matrilineare al lignaggio patriarcale e poi alla famiglia nucleare); una seconda fase di consolidamento degli equilibri raggiunti con questo soggiogamento e una terza fase di costruzione di una narrazione sociale (attraverso il significante di "genere" e il "ruolo di genere") finalizzata a giustificare quest’asimmetria del potere e a cristallizzarla per perpetrarla nel tempo.
L’approccio del dominio non vuole cedere alla tentazione di ritagliare un ruolo alle donne all’interno di questi equilibri consolidati mediante una forzata assimilazione agli uomini (il c.d. standard unico), con la conseguenza di rimuoverne la differenza e il suo potenziale.
Né, però, vuole cedere alla tentazione opposta (il c.d. standard doppio) di eccedere nella valorizzazione di questa differenza, esasperando la sfera dei significanti correlati alla maternità, alla protezione della vita e alla cura degli equilibri, il che potrebbe portare - come avvertiva Catharine McKinnon già negli anni ’80 (Feminism Unmodified) - alla paradossale conseguenza di una (auto)rivendicazione di quello stesso ruolo, di madre e angelo del focolare, che gli uomini hanno assegnato alle donne proprio per escluderle dalla gestione del potere.
L’approccio del dominio pretende invece di ridiscutere, a monte, quegli equilibri e di decostruirli attraverso il lavoro sul ruolo di genere.
RBG ha iniziato questo lavoro, costante e indefesso, negli anni ’70 come avvocata.
In Charles E. Moritz v. Commissioner of Internal Revenue, nel 1972, ha difeso un uomo, Charles Moritz, che aveva chiesto una detrazione fiscale per il costo di una badante per sua madre invalida, che aveva scelto di tenere in casa con sé.
L'Internal Revenue Service aveva negato la detrazione eccependo che la legge che la prevedeva ne limitava la fruibilità alle donne e gli uomini precedentemente sposati, mentre Moritz non lo era mai stato.
Il punto – su cui RBG incentrò la difesa - non era quindi che a essere discriminato, in quel frangente, fosse un uomo; ma che l’origine di quella discriminazione derivasse da una precisa assegnazione sociale dei ruoli di genere in base alla quale il caregiver all’interno di una famiglia non poteva che essere la donna: è sulla donna che ricade il peso della cura del congiunto vulnerabile ed è quindi la donna che, se deve dividersi tra i compiti di cura e il lavoro, ha diritto a una detrazione fiscale per l’aiuto domestico a cui deve ricorrere.
Un uomo potrebbe trovarsi in questa situazione solo a seguito di un divorzio, restando cioè improvvisamente privo della figura, la moglie, onerata dai compiti di cura.
Un uomo che invece non sia mai stato sposato, un uomo single, non potrebbe trovarsi in questa situazione, perché è impossibile che scelga autonomamente di assumersi un ruolo di cura domestica di quel tipo anziché ricoverare il congiunto vulnerabile in una struttura: semplicemente non è una scelta "da uomo".
Dietro la discriminazione subita da Moritz si celava la spietata architettura della società americana, estremamente competitiva e rigidamente frammentata secondo linee di razza, proprietà e genere, con al vertice l’uomo bianco, eterosessuale e benestante.
La difesa di RBG ha portato la United States Court of Appeals for the Tenth Circuit a riconoscere che la classificazione in base al sesso fosse una discriminazione intollerabile in base ai principi del giusto processo e a estendere la copertura delle disposizioni in materia di detrazione fiscale rimuovendo la distinzione di genere.
Moritz v. Commissioner è stata la chiave di volta con la quale sono state successivamente poste sotto attacco le moltissime norme costruite sugli stereotipi di genere, perché già conteneva mirabilmente la ratio di mettere in scacco non solo le singole (molte) barriere frapposte tra le donne e l’eguaglianza sociale ed economica, ma soprattutto l’origine socio-politica sulla quale queste barriere erano state costruite e accettate: i ruoli di genere e i relativi stereotipi.
Stereotipi usati per creare, quella americana, una società profondamente ingiusta, ineguale, discriminatoria e violenta, soprattutto ma non solo nei confronti delle donne, bensì anche nei confronti di tutti gli esseri umani esclusi dalla piramide alfa del w.a.s.p. (white anglo saxon protestant), tra i quali i cittadini afroamericani, le donne afroamericane in particolare, e le persone l.g.b.t.q.i.a. (lesbiche, gay, bisessuali transgender, queer, intersessuali e agender).
La linea seguita da RBG è stata portata avanti, filosoficamente, da Iris Marion Young che, dal riconoscimento che l’architettura dello Stato moderno, compresi i suoi significanti più evocativi come tutto il discorso dei diritti umani, derivi da esperienze specificamente maschili e sia costruita sul modello di vita degli uomini, ha tratto però un approccio di apertura alle rivendicazioni differenziate dei vari gruppi sociali (Polity and group difference: a critique of the ideal of universal citizenship).
A cominciare dal il movimento delle donne, il movimento l.g.b.t.q.i.a. e il movimento per i diritti civili delle persone afroamericane: insieme con l’obiettivo di neutralizzare la comune origine sessista e patriarcale di tutte le forme di violenza, fra le quali la violenza razziale, la violenza di genere, la violenza domestica e l’omolesbobitransfobia.
Il diritto smette di essere lingua e strumento di dominio per diventare spazio giuridico di attivazione democratica all’interno di narrazioni più circoscritte, concretamente afferrabili, nelle quali la vita attiva del diritto diventa argine alla vulnerabilità e alla marginalizzazione.
Partendo dal basso, dalle persone che si riappropriano di uno spazio in cui sono state oppresse e lo trasformano, via diritto, in un’occasione di revisione democratica dei processi decisionali (le democratic iterations di cui parla, seguendo questa linea, Seyla Benhabib in The Rights of Others: Aliens, Residents, and Citizens).
E, quindi, in un’occasione di ridistribuzione di sfere di dominio e di potere sociale cristallizzato, e di fondazione di una nuova cittadinanza, politica e universale.
Tanti sono i settori in cui oggi possiamo portare avanti questa linea di intervento giuridico, accettando il testimone di RBG: il diritto dell’Unione e la cittadinanza europea, il diritto dell’immigrazione e il diritto antidiscriminatorio e, ovviamente, il diritto di genere, di cui dobbiamo favorire il progresso nel suo sviluppo normativo e giurisprudenziale fino a renderlo strumento completo ed efficace contro tutte le forme di violenza personale e sociale che originino dalla cultura sessista e patriarcale.
Una sfida giuridica che forse non cesserà mai di essere combattuta ma che dovrà esserlo sempre, con lo strumento del diritto; anche, quando occorra, con il diritto dissenziente e non conforme, quello che RBG amava evocare con la sua espressione più nota e iconica: «I dissent».