La sentenza del 4 ottobre 2024 della Grande sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C‑406/22 afferma alcuni principi fondamentali del diritto dell’Unione in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine designati come sicuri, destinati ad avere effetti particolarmente importanti nel nostro paese, soprattutto in relazione alla più volte annunciata partenza delle procedure in frontiera in Albania.
La designazione come sicuro di un paese di origine del richiedente asilo comporta conseguenze procedurali particolarmente significative: si applica una procedura accelerata con termini ristretti per la decisione e per l’impugnazione, si inverte l’onere della prova, per cui spetta al richiedente confutare la presunzione di sicurezza del paese, non si applica la norma generale della sospensione automatica del provvedimento di rigetto in caso di impugnazione posta a garanzia del diritto del diritto del richiedente – previsto in via generale – a rimanere sul territorio in attesa della decisione. Se, poi, la domanda viene proposta nelle zone di frontiera o di transito (individuate con decreto ministeriale) si applica la cd. “procedura accelerata di frontiera” con termini ancora più ristretti per la decisione e l’impugnazione del provvedimento di rigetto. I territori dell’Albania individuati nel protocollo sono a tali fini parificati alle zone di frontiera.
La legge italiana rinvia a un decreto interministeriale per la designazione dei paesi di origine sicuri, il quale a sua volta fa riferimento alle schede trasmesse dal Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale relative a ogni paese contenuto nell’elenco. Dall’esame delle schede si evince che per moltissimi paesi (tutti quelli di provenienza dei principali flussi migratori, soprattutto sulla rotta del mediterraneo) la designazione del paese come sicuro viene fatta con esclusione di determinate categorie di persone e/o parti di territorio.
La giurisprudenza di merito si è domandata se il giudice doveva - o comunque poteva - sindacare l’inserimento di un paese nella lista, se era una questione rilevabile d’ufficio e se l’esclusione di parti di territorio e/o categorie di persone potesse valere ad escludere la designazione del paese come sicuro.
Si trattava di questioni particolarmente dibattute tra i giudici di merito in relazione ai quali c’erano stati due rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia da parte del Tribunale di Firenze e una questione pregiudiziale sottoposta alla Corte di Cassazione da parte del Tribunale di Roma.
La soluzione indicata dalla Corte avrà conseguenze particolarmente rilevanti per le procedure in frontiera - da poco riattivate e di cui si sono recentemente occupati i Tribunali di Palermo e Catania in sede di convalida dei trattenimenti - e rischia di porre nel nulla la possibilità stessa di dare esecuzione al protocollo Albania, dove dovrebbero essere portati i richiedenti soccorsi in acque internazionali.
La CGUE si è pronunciata su rinvio pregiudiziale effettuato da un giudice del Tribunale regionale di Brno (Repubblica Ceca) su tre questioni che riguardano la nozione stessa di paese di origine sicuro, la legittimità di tale designazione, in particolare nel caso fosse stata effettuata con esclusione di parti di territorio, e la possibilità per il giudice di rilevare d’ufficio la legittimità di tale designazione.
La Corte afferma: «la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende, come ricordato al punto 52 della presente sentenza, dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all'articolo 9 della direttiva2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno». (punto 68), «Le condizioni stabilite in tale allegato devono essere rispettate in tutto il territorio del paese terzo interessato affinché quest'ultimo sia designato come paese di origine sicuro» (punto 69).
Inoltre: «interpretare l'articolo 37 della direttiva 2013/32 nel senso che esso consente ai paesi terzi di essere designati come paesi di origine sicuri, ad eccezione di talune parti del loro territorio, avrebbe l'effetto di estendere l'ambito di applicazione di tale particolare regime di esame. Poiché una siffatta interpretazione non trova alcun sostegno nel tenore letterale di tale articolo 37 o, più in generale, in tale direttiva, il riconoscimento di una siffatta facoltà violerebbe l'interpretazione restrittiva cui devono essere subordinate le disposizioni derogatorie (v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 2015, Commissione/Lussemburgo, C-502/13, EU:C:2015:143, punto 61, e dell'8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ricevibilità di un ricorso reiterato), C-216/22, EU:C:2024:122, punto 35 e giurisprudenza ivi citata)» (punto 71).
La Corte rileva poi che la precedente direttiva consentiva l’esclusione di parti di territorio (e di categorie di persone n.d.r.), ma tale possibilità è stata abrogata dalla direttiva attualmente in vigore e l’espressa intenzione di abrogare tale possibilità è confermata dalla spiegazione dettagliata di tale proposta elaborata dalla Commissione e fornita al Consiglio dell’Unione Europea (punto 76).
Sulla necessaria verifica d’ufficio da parte del giudice della legittimità della designazione di un paese come sicuro, sottolinea che il mancato rispetto dei criteri previsti dalla direttiva per la designazione, implicando anche gli aspetti procedurali della domanda, deve essere oggetto di un esame completo ed ex nunc da parte del giudice, che vi deve provvedere anche d’ufficio (punti 90 e 91 in particolare). Si tratta di un dovere che val al di là del semplice esame delle schede paese allegate al decreto interministeriale e comprende la necessità di esaminare tutte le risultanze del fascicolo e le COI più recenti.
Sulla questione relativa alla possibilità di designare un paese sicuro con esclusione di parti di territorio la risposta della Corte non lascia adito a dubbi: «L’ Articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che: essa osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, enunciate nell'allegato I di tale direttiva».
E’ chiaro che gli stessi principi valgono a maggior ragione per la possibilità di designare un paese sicuro con esclusione di categorie di persone che sarebbero comunque a rischio persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti, laddove in particolare si afferma al punto 68 che «la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende, … , dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all'articolo 9 della direttiva2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti», e si chiarisce che tali possibilità di esclusione (per parti di territorio o categorie di persone) previste dal vecchio testo della direttiva sono state abrogate dal nuovo testo della direttiva procedure per cui non è ammissibile una lettura dell’art 37 della direttiva che riproponga le norme abrogate, mentre le eccezioni alla procedura ordinaria devono essere interpretata restrittivamente (punto 71).
Non è inutile ribadire che anche i giudici italiani, dovendo applicare in questa materia norme di diretta derivazione unionale, saranno vincolati da questa sentenza nella loro interpretazione.