1. I sistemi giudiziari tra disciplina interna e principi sovranazionali
La sentenza del 26 Settembre 2024, pronunciata in un caso rumeno (MG, C-792/2022), prosegue la lunga catena narrativa della Corte di giustizia che, dopo aver attratto il tema dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici nazionali nell’ambito della sua competenza giurisdizionale, ha progressivamente precisato i termini delle guarentigie offerte alla luce del diritto dell’Unione ai magistrati comuni anche nei rapporti con le Corti supreme dei paesi aderenti[1]. Si tratta di una giurisprudenza di altissimo valore costituzionale la cui finalità ultima consiste, come affermato esplicitamente in alcune decisioni, nella protezione del “valore” primario dello stato di diritto di cui all’art. 2 del TUE. La sentenza che ha impostato questo lungo cammino del 27 febbraio 2018 (24 febbraio, C-64/2016, Associação Sindical dos Juízes Portugueses) ha ritenuto che i sistemi giudiziari nazionali, in quanto deputati ad applicare il diritto dell’Unione (ex art. 19.2 del TUE norma in genere trascurata e sottovalutata prima della decisione del 2018), siano suscettibili di una verifica sul rispetto dell’art. 47 della Carta dei diritti[2] che garantisce la tutela effettiva dei diritti fondamentali ed al tempo stesso l’esistenza di meccanismi istituzionali adeguati a presidio dell’autonomia ed indipendenza della magistratura. Tuttavia l’organizzazione della giustizia è rimasta pacificamente oggetto di competenza nazionale e pertanto non sono mancate reazioni anche vivaci e talvolta aggressive di molti governi, e persino di vertici giurisdizionali interni, al potere di controllo che, da quel momento, la Corte esercita sull’esercizio della funzione giudiziaria nei singoli stati in termini di effettività nella rivendicazione dei diritti, in ordine alle guarentigie che i sistemi interni offrono ai loro giudici, ed infine sulla possibilità per i giudicanti di disporre liberamente dello strumento del rinvio pregiudiziale, vero motore dinamico dello stesso processo di integrazione. Particolarmente aggressiva è stata la reazione di alcuni paesi dell’Est europeo come la Polonia, l’Ungheria (più noti) ma anche la Romania non solo nel rivendicare ai propri Parlamenti il potere di organizzazione giudiziaria (soprattutto per gli aspetti disciplinari) ma anche nel cercare di limitare la possibilità per i giudici di rivolgersi alla Corte di giustizia e di disapplicare il diritto interno se confermato dalle Corti costituzionali, disattendendo così il principio del “primato” del diritto UE, costitutivo dell’ordine costituzionale dell’Unione.
La Corte di giustizia (Grande sezione) con sentenza del 22 febbraio 2022 C-430/2021, RS, ha già stabilito che la Romania ha violato l’art. 2 TUE e l’art. 19.2 TUE nel non uniformarsi ad una precedente decisione della Corte di giustizia che aveva ritenuto la contrarietà al diritto dell’Unione del sistema vigente in Romania che preclude il rinvio pregiudiziale su di una norma nazionale già dichiarata legittima dalla Corte costituzionale. La Polonia, dopo una serie di decisioni della Corte di giustizia che hanno ritenuto che la riforma giudiziaria di quel paese violasse gravemente il diritto dell’Unione arrivando anche a comminare energiche misure economiche “provvisorie”, è sembrata (dopo la sconfitta elettorale dello schieramento sovranista) voler tornare indietro. Accogliendo alcuni rilievi della Corte del Lussemburgo una sorta di “ controriforma” in senso garantista del sistema giudiziario polacco (contestata però, nella sua effettività, da alcune, autorevoli, associazioni giudiziarie) ha determinato il ritiro della richiesta di applicazione dell’art. 7 TUE avanzato dalla Commissione ed anche lo scongelamento dei fondi europei: i giudici di quel paese hanno coraggiosamente utilizzato lo strumento del rinvio pregiudiziale per far rientrare la Polonia nella legalità “europea” così come il giudice del rinvio nel caso rumeno di cui ci occupiamo dopo l’avvenuta contestazione interna del principio del primato del diritto dell’Unione. Non sempre, però, è facile tracciare in modo persuasivo la linea di confine tra il legittimo esercizio del potere che gli stati ancora detengono nel definire i modi di funzionamento per assicurare “giustizia” a coloro che si rivolgono ai Tribunali dei 27 paesi aderenti (anche per pretese sancite dal diritto dell’Unione) e la violazione (di un certo significato) di valori e principi essenziali per l’ordinamento sovranazionale che riguardano lo ius dicere. Non solo le realtà nazionali sono rimaste le più varie e sembrano piuttosto refrattarie ad una convergenza anche solo tendenziale, ma l’attuale crisi del processo di integrazione finisce con il drammatizzare la questione delle competenze rendendo, per talune polemiche posizioni, le interpretazioni “difficili” (in quanto connesse a questioni di principio e di valutazione del significato di norme dei Trattati molto indeterminate) della Corte di giustizia simili ad atti di sfida per le identità nazionali. Ne rimane indebolito lo stesso principio del primato come ordinario criterio regolativo per l’attività complessiva dell’Unione, anche nei settori pacificamente sotto dominio sovranazionale[3].
La salvaguardia dello stato di diritto è stata dal 2020 connessa anche all’erogazione di risorse dei Fondi europei o del Recovery attraverso nuove forme di condizionalità per gli stati[4] il che ha alimentato nuovi terreni di contesa con l’Unione, in particolare con la Commissione europea. Mentre anche l’Ungheria, dopo la Polonia, ha dichiarato di voler rimettere in discussione alcune scelte liberticide ottenendo dalla Commissione (nonostante la protesta del Parlamento europeo) lo scongelamento di una parte dei fondi europei in precedenza bloccati un nuovo fronte sembra nascere, ad esempio, con la Slovacchia per l’avvenuta soppressione del Procuratore generale per la lotta alla corruzione (che potrebbe determinare il fermo delle risorse europee), scelta che lo stato membro rivendica come rientranti nei propri poteri secondo i Trattati. Nel momento in cui si scrive la Commissione europea ha annunciato di aver adito la Corte di giustizia nei confronti dell’Ungheria per la cosiddetta legge ungherese «per la difesa della sovranità nazionale», lesiva, soprattutto nei confronti delle ONG, di plurimi diritti protetti dalla Carta di Nizza[5]. Peraltro la Corte di giustizia ha anche affermato che l’art. 47 della Carta va comunque, nelle sue linee direttive, rispettato oltre la sfera di ripartizione di competenza tra Stati ed Unione in quanto tali linee direttive riguardano condizioni “minime” di ordine sistemico riguardanti il buon funzionamento del “ pianeta giustizia” nel suo insieme non frazionabile in ambiti di competenza: l’azione di controllo della Corte di giustizia sembra in effetti travolgere le barriere nazionali in senso universalistico e si esercita su input pregiudiziale dei giudici nazionali che possono così poter rimettere in discussione decisioni interne già consolidate. Pertanto non deve più di tanto stupire la particolare cautela della decisione che qui esaminiamo che evita di evocare l’art. 2 del TUE ed usa toni piuttosto pacati nel sottolineare i rischi per l’indipendenza dei giudici rumeni nella possibile valutazione disciplinare del rinvio pregiudiziale, forse anche in considerazione del carattere piuttosto complesso del caso.
2. Tutela della sicurezza nel lavoro e norme sovranazionali
Cercando di semplificare al massimo la fattispecie, si tratta di un rinvio pregiudiziale disposto da un giudice penale rumeno che chiede se le norme interne in materia di salute e sicurezza sociale siano idonee a garantire l’effettività dei diritti fatti valere dagli assicurati alla luce della direttiva 89/391/CEE (direttiva “madre” in questa materia) e dell’art. 31 della Carta dei diritti. Per un grave infortunio mortale sul lavoro risultano promossi due giudizi; il primo a carattere amministrativo contro la società per l’annullamento di un verbale dell’Ispettorato del lavoro, il secondo a carattere penale contro il responsabile dell’organizzazione del lavoro e della connessa protezione antinfortunistica, nel quale veniva incardinata la causa civilistica di risarcimento del danno promossa dagli eredi del lavoratore deceduto. Il primo giudizio si concludeva con l’annullamento del verbale e con l’esclusione del carattere di infortunio sul lavoro dell’evento. La Corte di appello nel secondo giudizio (dopo l’appello della Procura e degli eredi del lavoro contro una prima assoluzione del responsabile della società) rilevava che per l’ordinamento interno la decisione del giudice amministrativo si impone al giudice penale se passata in giudicato come ritenuto anche dalla Corte costituzionale rumena. Pertanto il giudice rimettente dubita che i diritti all’accertamento dell’esistenza di un infortunio sul lavoro ed al risarcimento del danno degli eredi (per violazione degli obblighi di sicurezza stabiliti dalla direttiva ed anche dall’art. 31 della Carta dei diritti) siano pienamente garantiti in sede penale (ove è incardinata la domanda di risarcimento delle parti civili) per via del previo accertamento in sede amministrativa, una sede però nella quale gli eredi non sono stati ascoltati e non erano rappresentati. Né il giudice penale potrebbe con facilità disapplicare la norma interna perché questa è stata esaminata ed interpretata dalla Corte costituzionale e la violazione della giurisprudenza di questa Corte può costituire un illecito disciplinare nel sistema interno rumeno (nel secondo quesito alla Corte di giustizia si chiede al Giudice UE come dovrebbe comportarsi il giudice comune in un caso come questo). Ora la Corte prudentemente rammenta che «la direttiva 89/391, pur facendo riferimento al principio della responsabilità del datore di lavoro, e pur stabilendo obblighi generali relativi alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi al lavoro, non contiene alcuna disposizione specifica relativa alle modalità procedurali dei ricorsi diretti a far sorgere la responsabilità del datore di lavoro che non abbia rispettato tali obblighi. Analogamente, sebbene l’articolo 31 della Carta, al quale fa riferimento il giudice del rinvio nella sua prima questione pregiudiziale, preveda, al paragrafo 1, che “[o]gni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose”, neppure esso contiene precisazioni quanto alle modalità procedurali dei ricorsi destinati ad essere proposti qualora non sia stata garantita la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori. Poiché il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili al sorgere della responsabilità del datore di lavoro in caso di inosservanza delle condizioni stabilite dall’articolo 4, paragrafo 1, e dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/391, tali procedure rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in forza del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, a condizione, tuttavia, che non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) Inoltre, la Corte ha altresì dichiarato che, in assenza di una normativa dell’Unione in materia, anche le modalità di attuazione del principio dell’intangibilità del giudicato rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, ai sensi del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, nel rispetto, tuttavia, dei principi di equivalenza e di effettività» (punti 48-52).
Sembrerebbe, quindi, non esserci spazio per i dubbi e le inquietudini del giudice rumeno, ma la Corte fa entrare nella scena giudiziaria d’ufficio (come è sempre possibile per la Corte) l’art. 47 della Carta (nella sua duplice natura di promessa ai cittadini di una tutela effettiva e di protezione ordinamentale dei giudicanti da interferenze di terzi), il volano del garantismo di stampo europeo[6] anche a carattere sociale: pertanto si ricorda che «quando gli Stati membri definiscono le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali destinati ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dalla direttiva 89/391, essi devono garantire il rispetto del diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, sancito dall’articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva. Così, gli Stati membri devono assicurarsi che le modalità concrete di esperimento dei mezzi di ricorso a causa di una violazione degli obblighi previsti da tale direttiva non pregiudichino in modo sproporzionato il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, sancito dall’articolo 47 della Carta Tale diritto è composto da vari elementi, tra cui in particolare il diritto di essere ascoltato. A questo proposito, la Corte ha già statuito che sarebbe incompatibile con il diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva che si ponessero alla base di una decisione giudiziaria circostanze e documenti di cui le parti stesse, o una di esse, non abbiano avuto conoscenza e sui quali non abbiano, conseguentemente, potuto esprimersi Orbene, qualora un giudice penale è chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità civile generata a causa dei fatti che sono addebitati all’accusato, il diritto di essere ascoltate delle parti che perseguono l’accertamento di questa responsabilità sarebbe leso se per loro risultasse impossibile prendere posizione in merito ad una condizione necessaria per il sorgere di detta responsabilità prima che l’esistenza di tale condizione sia decisa in modo definitivo dal giudice adito. Infatti, in questo caso, la circostanza che tali parti possano prendere posizione dinanzi a un giudice in merito alla responsabilità del datore di lavoro sarebbe privata di qualsiasi effetto utile» (punti 51-55).
Pertanto, concludono i Giudici della Corte dell’Unione, laddove il giudice nazionale verifichi che gli eredi del lavoratore non avevano alcun diritto di essere ascoltati nella sede amministrativa che ha escluso la natura di infortunio sul lavoro del tragico evento di cui è processo la normativa interna rumena (così come interpretata dalla Corte costituzionale) sarebbe in contrasto con il diritto dell’Unione. Si cita come precedente proprio quella decisione che abbiamo già ricordato contro la Romania del 22 febbraio 2022, RS, C‑430/21. Analogamente cauta è la risposta al quesito del rinvio pregiudiziale sul “che fare?” Ricorda la Corte di giustizia che «occorre rilevare che il giudice nazionale che abbia esercitato la facoltà ad esso attribuita dall’articolo 267, secondo comma, TFUE deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni di un organo giurisdizionale nazionale di grado superiore qualora esso ritenga, in considerazione dell’interpretazione fornita dalla Corte, che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione, disapplicando all’occorrenza la norma nazionale che gli impone di rispettare le decisioni di tale organo giurisdizionale di grado superiore A questo proposito, tale orientamento trova applicazione in particolare nel caso in cui un giudice di diritto comune sia vincolato da una decisione di una corte costituzionale nazionale che esso ritenga in contrasto con il diritto dell’Unione» (punti 63-65).
Sulle possibili conseguenze disciplinari la Corte del Lussemburgo, pur ammettendo che i sistemi giudiziari interni possano prevedere sanzioni disciplinari in caso di inosservanza delle decisioni delle Corti costituzionali, afferma nettamente che «per quanto riguarda la responsabilità disciplinare in cui possono incorrere i giudici di diritto comune in caso di inosservanza delle decisioni di una corte costituzionale nazionale, la tutela dell’indipendenza dei giudici non può, in particolare, avere la conseguenza di escludere totalmente che la responsabilità disciplinare di tali giudici possa, in taluni casi del tutto eccezionali, sussistere a causa di decisioni giudiziarie adottate da questi ultimi, come condotte gravi e totalmente inescusabili imputabili ai giudici Ciononostante, appare essenziale, al fine di preservare tale indipendenza, non esporre i giudici di diritto comune a procedimenti o sanzioni disciplinari per aver esercitato la facoltà di adire la Corte ai sensi dell’articolo 267 del TFUE, la quale rientra nella loro competenza esclusiva Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione che il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro in base alla quale gli organi giurisdizionali nazionali di diritto comune non possono, a pena di procedimenti disciplinari a carico dei loro membri, disapplicare d’ufficio decisioni della corte costituzionale di tale Stato membro, sebbene ritengano, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte, che tali decisioni violino i diritti che i singoli traggono dalla direttiva 89/391» (punti 65-67).
E’ evidente che tale ultimo principio per cui le decisioni di una Corte costituzionale non possono impedire, a pena di procedimenti disciplinari, una interpretazione conforme diversa da parte dei giudici comuni vale per tutti i diritti coperti dal diritto dell’Unione, non solo quelli derivanti dalla direttiva 89/391.
Va sottolineato come questa misuratissima[7] decisione affronti solo l’aspetto procedurale della vicenda e cioè la privazione del diritto ad essere ascoltato (basilare non solo in campo penale ma anche civile) nella sede ove di fatto si era la decisa la controversia e cioè nella sede amministrativa; non c’è alcuna valutazione sull’ efficacia diretta della “direttiva madre” su salute e sicurezza ed in particolare dell’invocato art. 5 della direttiva dai contenuti piuttosto generici né sull’art. 31 della Carta (già ritenuto direttamente applicabile dalla Corte di giustizia ma in ordine al diritto alle ferie) che vengono fatti valere solo sul lato- potremmo dire“ processuale” in relazione all’art. 47 della Carta. Per la Corte di giustizia il giudice avrebbe dovuto disattendere il giudicato amministrativo non già disapplicando la normativa interna ma disattendendo l’interpretazione della Corte costituzionale rumena utilizzando il potere del magistrato comune di interpretazione conforme della norma interna e non già il terribile potere di disapplicazione di questa. In sostanza ci dice la Corte di giustizia che quello che conta è che la decisione possa essere interpretata (perché questo è consentito dal suo tenore letterale) in modo conforme al diritto dell’Unione in virtù del principio del primato, poco importa se la Corte costituzionale del paese interessato abbia offerto una soluzione diversa. Il giudice interno che è ricorso alla Corte dell’Unione gode della tutela della sua indipendenza ed autonomia nel recepire quanto deciso da quest’ultima Corte ed ancor prima nell’aver potuto senza conseguenze disporre un rinvio pregiudiziale.
Non so se questa soluzione sia più lineare rispetto a quella della disapplicazione tout court della norma interna (forse possibile anche se in una controversia tra privati ex art. 47 della Carta, il dubbio rimane), ma si è seguito letteralmente l’impostazione dei quesiti del rinvio. Utilizzare prima gli strumenti del rinvio pregiudiziale e poi quelli (estremi) della disapplicazione rientra tradizionalmente nel decalogo della CDG, anche se in questo caso la prima opzione viene in rotta di collisione con una decisione dell’organo di vertice costituzionale interno. In ogni caso l’impatto nel diritto interno dei valori e dei principi europei sulle guarentigie dei giudici interni e della “direttiva madre” antinfortunistica risulta, alla stregua di questa pur misurata decisione, enorme. Resta il fatto che la soluzione dell’interpretazione conforme attua il principio del primato attraverso le norme interne privilegiandone interpretazioni coerenti con il diritto dell’Unione: nel caso in cui l’interpretazione accolta sia stata esclusa da una Corte costituzionale ma rimessa in gioco dalla Corte di giustizia quest’atto d’imperio decisionale può certamente turbare opinioni pubbliche eccitate e fuorviate dalla retorica nazionalista per essere stato smentito il vertice costituzionale interno. Come diremo nel successivo paragrafo, trattandosi di snodi molto delicati, la Corte di giustizia non può essere lasciata sola nella costruzione degli elementi fondanti lo spazio giudiziario europeo e nella difesa delle sue “scelte difficili”. La sfera pubblica continentale dovrebbe riflessivamente valutare e discutere, in idonei spazi istituzionali, quanto avviene nel chiuso, anche se ormai multilivello, mondo giudiziario.
3. Lo stato di diritto e la sua multiforme protezione
Come emerge anche da questa sentenza la giurisprudenza delle Corte di giustizia è molto complessa e densa di tecnicismi giuridico- costituzionali talvolta poco comprensibili dall’opinione pubblica. Sul campo di battaglia giudiziaria si scatenano i particolarismi nazionali e le idiosincrasie delle tradizioni costituzionali interne etnocentriche; c’è una costante tensione tra diritto degli stati ad organizzarsi nel modo ritenuto più opportuno e principi e valori sovranazionali europei (desumibili anche dalla Cedu) per cui un equilibrio tra i due momenti appare sempre molto incerto. La scelta che da qualche anno ha compiuto l’Europa è stata quella di accompagnare la verifica giurisprudenziale con meccanismi di sorveglianza multilaterale tra organi dell’Unione come il Parlamento e la Commissione, gli stati, gli stakeholders, le organizzazioni dei giuristi, degli avvocati e dei magistrati, le organizzazioni internazionali dei diritti umani, meccanismi che si sostanziano nei Report annuali della Commissione e nelle Risoluzioni del Parlamento UE sulla Rule of the law, nonché nelle Relazioni dei due organi sovranazionali sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali: si tratta di un completamento necessario del primo fronte giurisdizionale. Offre una ricostruzione pubblica, oggetto di lunga e complessa discussione con tutti i gruppi interessati e gli stessi stati, che si nutre della saggezza del cosiddetto dialogo tra le Corti pur affrontando la questione dei valori, dei principi e dei diritti sanciti dall’Unione in un contesto più politico e dinamico (e talvolta meno formalistico), cui si aggiunge l’attività di divulgazione e formazione giurisprudenziale ed amministrativa dell’Agenzia per i diritti (che andrebbe comunque dotata anche di poteri ispettivi). Il gretto dibattito che è seguito in Italia alla pubblicazione (il 24 luglio) dell’ultimo Report della Commissione sulla Rule of the law[8] e le aggressive critiche di “invasione di campo” mosse alla Commissione per avere individuato la criticità di alcune proposte di revisione costituzionale in Italia (peraltro semplicemente segnalate con rinvio a Documenti di Associazioni professionali di giuristi) sembrano volere banalizzare e ridimensionare con troppo facilità questi importanti momenti di condivisione a livello europeo sulla centralità del principio dello stato di diritto e sulle responsabilità di tutti gli attori del sistema giuridico europeo nel rispettarlo. Per quanto certi accenni al progetto di riforma costituzionale (e qualche altro apprezzamento non recepito poi nelle conclusioni) possano apparire inopportuni se non altro perché ancora in itinere, nelle specifiche Raccomandazioni all’Italia si rimane saldamente nel solco dei grandi temi di attuazione della legalità sovranazionale come quelli dell’istituzione di una Agenzia per i diritti umani (richiesta dall’ONU), della protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, della trasparenza delle donazioni ai partiti politici; aspetti certamente importanti ma che non configurano certamente di per sé un quadro drammatico di lontananza dall’ethos europeo. Uno sforzo comune, una sorveglianza condivisa (coordinata dagli organi sovranazionali dell’UE) su quanto avviene nei singoli paesi con il diritto di ascolto delle organizzazioni dei cittadini, degli esperti e degli stessi stati rimane essenziale, evitando una controversa delega in toto alla giurisprudenza della Corte di giustizia che finirebbe per sovraesporla istituzionalmente, per cui, anche volendo ammettere che qualche passaggio del Report della Commissione sia opinabile, certamente non è ammissibile l’idea della delegittimazione stessa di un confronto aperto e leale su questi temi, gettando via il bambino con l’acqua (pretesamente) sporca. Emerge peraltro dal Report che circa il 70% delle Raccomandazioni del 2023 sono state seguite dagli stati membri che hanno accettato operativamente i suggerimenti avanzati che del resto implicano in genere un notevole margine di discrezionalità nella compliance interna. Alla fine sembrano avere ragione i cittadini europei quando affermano al 72% (ultima indagine dell’Eurobarometro) che l’Unione europea svolge un ruolo importante nel preservare lo Stato di diritto nel loro paese non solo attraverso il dialogo tra Corti guidato dalla Corte di giustizia, ma certamente valorizzando nella sfera pubblica continentale i meccanismi di partecipazione politica istituzionale paneuropea[9] introdotti negli ultimi anni. Come suggeriva Stefano Rodotà nel rivendicare i propri diritti fondamentali (ed i propri valori) alla luce di un Codice comune e condiviso, la Carta di Nizza, i cittadini europei costruiscono e strutturano sempre più profondamente un legame che trascende ed integra quello nazionale: spiegare e riflettere su questo processo non è compito solo dei Giudici ma del demos europeo nelle sue articolazioni, che lo sta esercitando, sia pure a fatica, contro le spinte disfattiste di molti governi.
[1] Cfr. G. Bronzini La giurisprudenza della Corte di giustizia e la protezione “anticipata” dello stato di diritto. Il ruolo delle norme dei Trattati e della Carta dei diritti, in La cittadinanza europea, n. 1/2022; R. Rinoldi, Rule of the law, Stati Uniti d’Europa, sister states, in Studium Iuris n. 1/2024; G. Pitruzzella, La costruzione dello spazio costituzionale europeo nel “dialogo” tra Corte di giustizia e Corti costituzionali, scaricabile dal sito della Corte costituzionale; L.S. Rossi, Il valore giuridico dei valori. L’art. 2 TUE: relazioni con altre disposizioni del diritto primario dell’Unione e rimedi giurisdizionali, in Federalismi 17 Giugno 2020; L.S. Rossi, Il principio del primato come “regola di coesione” dell’ordinamento dell’Unione europea, in Quaderni AISDUE, 2024 e da ultimo cfr. il numero monografico di Questione giustizia online Democrazia e Rule of the law in Europa: criticità e sfide aperte alla vigilia delle elezioni per il Parlamento europeo, del maggio 2024 (https://www.questionegiustizia.it/speciale/democrazia-e-i-rule-of-law-i-in-europa) .
[2] Articolo 47 «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia». La struttura dell’art. 47 è duplice (in questo richiamando anche l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo): per un verso descrive le caratteristiche essenziali dei procedimenti che assicurano l’accesso dei cittadini alla giustizia (ad es. il diritto ad un esame “ equo” dei ricorsi ed in un periodo di tempo ragionevole, l’ausilio di difensori etc.), dall’altro offre indicazioni stringenti di tipo organizzativo agli stati membri ai quali spetta la definizione in concreto delle regole che garantiscono l’imparzialità e l’indipendenza dei vari corpi giudiziari nazionali.
[3] Nella precedente sentenza contro la Romania già citata va ricordata la replica della Corte del Lussemburgo alla difesa della Romania secondo la quale si sarebbe violato l’art. 4.3 TUE, in quanto non sarebbe stata rispettata l’identità costituzionale di quel paese: la Corte di giustizia avrebbe preteso di etero determinarne le modalità organizzative del sistema giudiziario interferendo con le opzioni nazionali sul rapporto tra rinvio pregiudiziale e ricorsi interni per incostituzionalità. La Corte ha rimarcato che il comma 2 dell’art. 4 certamente è cruciale nel sistema europeo nel quale gli stati conservano le loro costituzioni e i poteri di organizzazione nel determinante settore della giustizia che rimane di competenza nazionale. Ma questa riserva di competenza nazionale deve rispettare a sua volta il terzo comma dell’art. 4 TUE e cioè il principio di leale collaborazione con l’Unione che implica, a sua volta, che vi siano organi giudiziari interni idonei (anche sotto il profilo dell’autonomia e dell’indipendenza) a garantirne l’effettività (interpretata ai sensi dell’art. 47 della Carta dei diritti). Ove però lo stato ritenga che in realtà sia stata violata la garanzia identitaria di cui al comma 2 non può di certo direttamente farla valere disubbidendo (come ha fatto la Corte costituzionale rumena) alle indicazioni della Corte di giustizia trattandosi di una norma del TUE sulla cui interpretazione vige il monopolio della Corte del Lussemburgo. Pertanto la Romania avrebbe dovuto rivolgersi alla Corte di giustizia facendo valere le proprie ragioni mostrando in che modo si sarebbero lesi quei diritti che derivano dagli stessi Trattati.
[4] Cfr. Regolamento 2020/2092.
[5] B. Romano, Ue ricorre a Corte di giustizia contro l’Ungheria sovranista, in IlSole24ore, 4 ottobre 2024.
[6] J. Prassl, Article 47 CFR and the effective Enforcement of EU Labour law: Teeth for the Paper Tigers?, in www.europeanrights.eu, 1 aprile 2019.
[7] Sembra peraltro che la Corte di giustizia condizioni la possibilità di disattendere l’interpretazione della Corte costituzionale alla previa risposta della Corte di giustizia dopo un rinvio pregiudiziale.
[8] https://neighbourhood-enlargement.ec.europa.eu/news/rule-law-report-2024-5th-edition-eu-better-equipped-face-rule-law-challenges-2024-07-24_en
[9] Certamente costituisce una novità positiva che nell’incarico ai nuovi Commissari (ancora da confermare nel voto del PE) da parte del Presidente della Commissione europea si sia precisato l’obbligo per tutti (non solo per coloro con compiti connessi direttamente o indirettamente al tema) di vigilare sul rispetto dello stato di diritto.