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Udienza cartolare e D.Lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Nuove questioni e vecchi problemi in attesa delle Sezioni Unite

di Amato Carbone
giudice del lavoro presso il Tribunale di Lecce

1. Premessa

Tra le modifiche introdotte dal decreto correttivo D.Lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 vi sono quelle che hanno inciso sul testo degli artt. 127 ter e 128 del Codice di procedura civile.

Come già rappresentato da molti commentatori subito dopo l’entrata in vigore della c.d. Riforma Cartabia, uno dei problemi più rilevanti rispetto all’art. 127 ter cpc era ed è rappresentato dalla valutazione di compatibilità tra il rito lavoristico e i sopra riportati articoli del codice. Ad aumentare la complessità della fattispecie sono intervenuti – nel tempo – alcuni arresti di legittimità e, in ultimo, l’Ordinanza interlocutoria della Corte di cassazione n.11898/2024 che ha chiesto la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla compatibilità tra processo del lavoro (nel caso di specie, invero, rito c.d. Fornero) e trattazione cartolare[1].

Vi sono quindi due prospettive di analisi che si ritiene possano sovrapporsi e integrarsi. 

Da un lato, vi è quella relativa alla valutazione e agli impatti delle modifiche nel rito del lavoro; dall’altro, il rilievo che tali modifiche potrebbero avere sulla decisione delle Sezioni Unite e, specularmente, vi è anche da analizzare l’incidenza che tale decisione potrebbe avere sull’interpretazione delle modifiche apportate.

Ma, invero, il punto di partenza fondamentale rimane sempre uno: valutare se sin dall’origine lo strumento ex art. 127 ter cpc sia – o meno – compatibile col rito del lavoro. Da questo punto di partenza si dipanano poi una serie di bivi interpretativi che si proverà qui a illustrare.

 

2. Le modifiche apportate

Prima delle norme modificate appare utile anche riportare l’art. 127 c. 2 cpc, che non risulta inciso dal decreto correttivo: «Il giudice può disporre, nei casi e secondo le disposizioni di cui agli articoli 127-bis e 127-ter, che l'udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza o sia sostituita dal deposito di note scritte».

In prospettiva analitica appare ora utile riportare un quadro sinottico delle modifiche normative apportate[2].

 

 

3. La modifica dell’art. 127 ter c. 1 (o comma 22?!?) cpc

L’art. 3 del decreto correttivo testualmente recita «al primo comma è aggiunto, in fine, il seguente periodo». Segue il periodo aggiunto, ossia: «L'udienza non può essere sostituita quando la presenza personale delle parti è prescritta dalla legge o disposta dal giudice».

Una prima indicazione di carattere interpretativo, che sembrerebbe a prima vista banale (ma non lo è per chi scrive), è che l’aggiunta al testo già in vigore del primo comma non denota una volontà abrogativa, tanto più che aggiunge al testo in essere un ulteriore periodo (e non “sostituisce”).

Il perché di questa precisazione (e il richiamo al titolo del capolavoro di Joseph Heller[3]) trova(no) spiegazione nella comparazione tra i due periodi del primo comma.

Infatti:

a) L'udienza […] può essere sostituita […] se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice…

b) L'udienza non può essere sostituita quando la presenza personale delle parti è prescritta dalla legge o disposta dal giudice.

Premesso che il termine udienza è giuridicamente polisemico, in ogni caso è intuitivo che la prescrizione sub a) faccia necessariamente riferimento alla presenza personale delle parti e la forma verbale «non richiede» vada intesa nel senso di “non necessita”/“non prevede necessariamente”. Ma chi può imporre la presenza delle parti personalmente? La risposta appare solo una (anzi due): la legge o il giudice.

Qui nasce un primo problema, il periodo aggiunto si premura di qualificare la presenza delle parti come “personale”. Ma è una ridondanza lessicale/superfetazione o indica un qualcosa che si differenza dalla mera presenza della parte?

Appare strano che si sia introdotta una categoria di atti processuali personalissimi, in deroga agli artt. 185 e 420 cpc in tema di procuratore speciale, in modo così surrettizio.

E’ più logico ritenere che si stia parlando della stessa cosa; ossia, entrambi i periodi fanno riferimento alla comparizione personale (o a mezzo procuratore speciale, ove previsto) delle parti.

Esiste poi una reale differenza nella scelta del verbo utilizzato dalla norma? Il primo periodo recita: «se [l’udienza] non richiede». Tale frase non può che intendersi come “l’udienza [rectius, la norma disciplinante l’udienza o i poteri del giudice rispetto all’udienza] non prevede necessariamente (o non necessita del-) la presenza dei soggetti ivi indicati”.

In questa formulazione l’attenzione è focalizzata sul termine «udienza».

Il periodo aggiunto invece vira la propria attenzione su «la presenza personale delle parti», laddove prescritta dalla legge o dal giudice.

Ma, come visto, non si ritiene che la presenza personale delle parti possa essere pretesa da altri che dalla legge o dal giudice.

Cosa emerge da tutto ciò? Emerge come la norma abbia quindi – partendo certo da un intento non abrogativo stante il tenore della modifica di cui al decreto correttivo – disciplinato la medesima fattispecie in due modi opposti. Ossia, l’udienza, ove è prevista la presenza delle parti, è – per il primo comma dell’art. 127 ter cpc – contemporaneamente sostituibile e non sostituibile. Il comma 22 ha introdotto l’udienza di Schrödinger[4]?

Prima di dare una risposta, appare utile confrontarsi con la Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo correttivo.

 

4. La Relazione illustrativa

Nella Relazione si legge: «L’intervento correttivo si propone di risolvere le questioni sorte in ordine alla possibilità di sostituire l’udienza di discussione della causa con il deposito di note scritte e, più in generale, alla sua compatibilità con il rito del lavoro e con le udienze che, anche nel rito ordinario, richiedono la comparizione personale delle parti ai fini di un’interlocuzione col giudice. La scelta è caduta su una soluzione mediana che, per un verso, valorizza l’impiego virtuoso della disposizione di cui all’art. 127-ter c.p.c. tutte le volte in cui la trattazione della causa in udienza appesantisce senza una concreta utilità la singola vicenda processuale e, più in generale, la gestione delle udienze e del ruolo del giudice; per altro verso, è chiarito che la trattazione in udienza è obbligatoria e, dunque, insostituibile, nei casi in cui l’effettiva interlocuzione tra le parti e delle parti col giudice risulta necessaria – specialmente in presenza di un’espressa previsione di legge (artt. 117, 185 e 185-bis) – alla formazione del libero convincimento dell’organo giudicante, al pieno esercizio del diritto di difesa oppure alla definizione per via conciliativa della lite. Il fatto che, ai sensi delle disposizioni ora indicate, il giudice possa disporre in ogni momento la presenza personale delle parti costituisce peraltro una delle principali espressioni del potere generale del giudice di direzione del processo, previsto in via generale dall’articolo 175 del codice di procedura civile. In questa ottica, si è ritenuto opportuno ribadire tale facoltà che non è superata dai principi di delega della legge n. 206 del 2021, che con essa devono essere armonizzati. Si è poi voluto dare prevalenza, in nome delle garanzie e del diritto di difesa, all’interesse alla base della previsione di cui all’articolo 128 secondo cui l’udienza in cui si discute la causa è pubblica a pena di nullità, prevedendo esplicitamente la possibilità della sua sostituzione con la trattazione scritta (di grande utilità nei casi, ricorrenti nella pratica, in cui le parti non hanno interesse ad una effettiva illustrazione orale delle questioni controverse) ma disponendo che in questo caso sia sufficiente l’opposizione anche di una sola delle parti perché il giudice revochi il provvedimento e disponga la celebrazione della pubblica udienza (nel regime ordinario, viceversa, il giudice è vincolato alle indicazioni delle parti solo in caso di loro istanza congiunta). Per quanto concerne, più nel dettaglio, il rito del lavoro, per il quale una lettura rigorosa del combinato disposto degli artt. 420 e 128 osterebbe alla sostituzione dell’udienza con la trattazione scritta ai sensi dell’art. 127-ter, si è scelto di considerare, in senso contrario, il dato esperienziale in base al quale l’udienza di cui all’art. 420, che in virtù dei principi di immediatezza, oralità e concentrazione dovrebbe condensare in una sola udienza l’intera vicenda processuale, si snoda invece in una fase introduttiva, nella quale si esperisce il tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi del primo comma, una fase istruttoria e una fase decisoria, alle quali sono destinate due o più udienze. Le disposizioni di cui si è detto troveranno quindi applicazione in relazione al segmento decisorio. Infine, si è risolta l’inconciliabilità pratica della sostituzione ex art. 127-ter c.p.c. dell’udienza di discussione, nei casi in cui questa richiede la lettura del dispositivo in udienza, con la possibilità delle parti di depositare note scritte fino al termine di quello stesso giorno: è stato perciò aggiunto un periodo all’ultimo comma dell’art. 127-ter c.p.c., in virtù del quale il provvedimento depositato entro il giorno successivo alla scadenza del termine si considera letto in udienza. […] La modifica dell’articolo 128, infine, si rende necessaria per assicurare la coerenza e sistematicità dell’intervento correttivo appena esposto, prevedendo che il giudice può disporre la sostituzione dell’udienza pubblica, salvo che una delle parti si opponga. Tale intervento è del resto rispettoso della delega conferita dall’articolo 1, comma 17, lettera m) della legge 26 novembre 2021, n. 206. La possibilità di sostituire le udienze con il deposito telematico di note scritte va necessariamente coordinata con i principi generali che governano il processo civile proprio al fine di evitare le incertezze applicative sorte nell’applicazione della disciplina emergenziale, prima, e della disciplina di cui alla riforma del 2022, poi».

Orbene, va certamente premesso che la giurisprudenza costituzionale, e valga C. Cost. 7/2024 per tutte, ha rimarcato quale sia il valore dei lavori preparatori nell’ambito dell’attività interpretativa.

Essa ha infatti ribadito: «Quanto, poi, ai lavori parlamentari, più volte questa Corte, pur evidenziandone l’utilizzabilità come dati ermeneutici orientativi per ricostruire il dibattito che ha condotto all’approvazione della legge delega e, quindi, quali elementi che contribuiscono alla corretta esegesi di quest’ultima (sentenze n. 170 e n. 79 del 2019), ha comunque escluso che essi possano prevalere sul tenore testuale della legge, quale emerge dal dato letterale e logico (sentenza n. 223 del 2019), o esprimere interpretazioni autentiche della legge delega (sentenze n. 96 del 2020, n. 127 del 2017, n. 250 del 2016 e n. 47 del 2014).
Quindi i lavori parlamentari […] hanno una funzione solo complementare nel ricostruire la voluntas legis».

Ciò precisato, nondimeno appare utile segnalare alcune indicazioni rinvenienti dalla Relazione.

Sotto un primo profilo, essa parte dal presupposto dell’incompatibilità della versione originaria dell’art. 127 ter cpc rispetto al rito del lavoro e “legge” quindi la novella correttiva come parziale ampliamento di tale possibilità ma con riferimento alla sola fase decisoria. Ossia, a testo invariato della disposizione di cui all’art. 420 cpc, sulla base del dato esperienziale si ricava una duplice disciplina per la medesima udienza, disciplina basata – presumibilmente – sulla causale del rinvio.

Si tratta di una interpretazione praeter legem che non trova il proprio aggancio nel dettato normativo bensì in mere circostanze esperienziali.

In secondo luogo, ma si veda più ampiamente oltre, la Relazione appare voler evidenziare la ratio di tutela del libero convincimento del giudice e del contraddittorio. Ed invero, così come il dato esperienziale ha messo in luce la scissione tra fasi anche nel rito del lavoro, la stessa esperienza dovrebbe evidenziare che numerosi tipi di controversie (con incidenza numerica variabile sul ruolo del giudice in base al contesto geografico) vedono relegata la fase dell’interrogatorio libero o del tentativo di conciliazione ad ipotesi meramente teoriche.

 

5. Una possibile interpretazione della novella del primo comma dell’art. 127 ter cpc

Collegandosi a quanto sopra esposto, prima di tirare le fila sul primo comma, appare utile indicare quale fosse l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di mancato esperimento dell’interrogatorio libero e del tentativo di conciliazione prima che sorgesse l’affaire 127 ter cpc.

La giurisprudenza – sostanzialmente monolitica – della Cassazione[5] sostiene che: «Nel rito del lavoro l'espletamento del libero interrogatorio delle parti, pur configurando un adempimento obbligatorio, non è previsto a pena di nullità, essendo attribuito al potere discrezionale del giudice del merito di valutarne la indispensabilità e la sua potenziale utilità al fine di acquisire elementi di convincimento per la decisione (Nella specie, il giudice del merito aveva ritenuto la inutilità del libero interrogatorio, in quanto la controversia concerneva esclusivamente questioni di diritto)».

La massima riportata consente tuttavia un interessante confronto tra quello che può ragionevolmente definirsi – per conformità e stabilità nel tempo – il diritto vivente in materia[6] e la ratio indicata dalla Relazione sopra riportata alla base delle modifiche al testo dell’art. 127 ter e dell’art. 128 cpc.

Infatti, la base dell’orientamento di legittimità sopra richiamato risiede nella circostanza secondo cui è «attribuito al potere discrezionale del giudice del merito di valutarne la indispensabilità e la sua potenziale utilità al fine di acquisire elementi di convincimento per la decisione».

Di conto, la citata Relazione valorizza i casi in cui «l’effettiva interlocuzione tra le parti e delle parti col giudice risulta necessaria – specialmente in presenza di un’espressa previsione di legge (artt. 117, 185 e 185-bis) – alla formazione del libero convincimento dell’organo giudicante».

Appare tuttavia difficile conciliare l’ipotesi secondo cui ciò che “in presenza” è discrezionale diventi ostativo alla trattazione cartolare.

Sia la norma delegata sia la norma delegante non contengono infatti l’introduzione di alcun regime di nullità espressa per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione o dell’interrogatorio libero. 

E la stessa legge delega delineava il seguente criterio (art. 1, comma 17, lett. m), l. n. 206 del 2021): «…prevedere che, fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, il giudice può, o deve in caso di richiesta congiunta delle parti, disporre che  le  udienze  civili  che  non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni da effettuare entro il termine perentorio stabilito dal giudice…».

Inoltre, la soluzione scelta appare non pienamente in linea col “criterio” prospettato nella Relazione:

«…La scelta è caduta su una soluzione mediana che, per un verso, valorizza l’impiego virtuoso della disposizione di cui all’art. 127-ter c.p.c. tutte le volte in cui la trattazione della causa in udienza appesantisce senza una concreta utilità la singola vicenda processuale e, più in generale, la gestione delle udienze e del ruolo del giudice…».

Si riscontra, per chi scrive, un disallineamento; da un lato, il criterio descritto nella Relazione per le scelte del decreto correttivo si basa su una fittizia scissione dell’art. 420 cpc in fasi desunte dalla prassi; dall’altro, la novella sembra voler imporre un divieto di “prima udienza cartolare” al fine di agevolare la formazione del libero convincimento del giudice, senza tuttavia tenere conto di una realtà processuale in base alla quale i predetti incombenti non sono funzionali rispetto a certe tipologie di contenzioso.

Basti pensare alle controversie previdenziali e assistenziali o a tutto il contenzioso seriale in materia scolastica ove difficilmente risulta predicabile un impiego virtuoso dell’udienza “in presenza” o una migliore formazione del libero convincimento del giudice vietando l’utilizzo dell’art. 127 ter cpc sin da subito (e spesso, p.es. nel contenzioso in materia di carta docente, la controversia è definita in un’unica udienza). 

Appare quindi come nella Relazione la “prassi” processuale sia valorizzata in senso solo parziale e non tenga conto anche della variabile legata alla natura di una parte importante del contenzioso che il giudice del lavoro è chiamato ad affrontare.

Il modello idealtipico preso a riferimento dalla Relazione appare quindi non attagliarsi pienamente rispetto alla variegata realtà del contenzioso iscritto a ruolo, che – inoltre – è connotato da differenti composizioni quali-quantitative anche su base geografica.

Per chi scrive quindi i temi esposti nella Relazione sono afflitti da una intrinseca contraddittorietà che non consente di valorizzarne utilmente il testo in sede interpretativa.

Fatta questa precisazione, viene da chiedersi cosa resti di questa prima parte della norma. Scartata la via dell’interpretatio abrogans (o almeno parzialmente tale), si potrebbe optare per una interpretazione che salvi la norma nel senso di ritenere non sostituibile l’udienza laddove la presenza delle parti sia prevista dalla legge a pena di nullità. L’ipotesi, quindi, consentirebbe ancora la trasformazione – anche della prima udienza in senso cronologico – non essendo interrogatorio libero e tentativo di conciliazione adempimenti previsti a pena di nullità e al contempo eviterebbe il contrasto sopra evidenziato all’interno del primo comma dell’art. 127 ter.

Si potrebbe obiettare che tale categoria – all’interno del rito del lavoro – si ridurrebbe ad un insieme vuoto e, tuttavia, si può rispondere a tale obiezione come, in primo luogo, un’opzione che dia sviluppo alla norma sia maggiormente coerente di una che faccia entrare la norma in una contraddizione intrinseca; in secondo luogo, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto ben possibile la presenza di categorie normative da riempirsi successivamente ad opera del legislatore[7]

Sulla seconda opzione, ossia che la presenza sia stata disposta dal giudice la questione è da un verso più semplice e dall’altro più complessa. O si ritiene che il legislatore delegato abbia voluto creare una nuova tipologia di ordinanza non modificabile e non revocabile dal giudice, nel senso che il giudice una volta disposta la comparizione personale delle parti non potrebbe cambiare idea per qualsivoglia ragione o si ritiene questa porzione di norma una ridondanza anche perché la prima parte del comma 1 prevede espressamente che l’udienza sia trasformabile anche se precedentemente fissata (senza specificare da chi). Nel rito del lavoro la prima udienza in senso cronologico la fissa il giudice con decreto ed è l’art. 415 cpc a prevedere la convocazione personale delle parti per le attività indicate dall’art. 420 cpc. 

Non si coglie invero pienamente l’ambito applicativo di questa parte della norma ma si scorge una ulteriore distonia tra il testo originario della norma e la novella correttiva.

 

6. La modifica del comma 2 dell’art. 127 ter cpc. I commi 3 e 4

Invero la modifica dell’art. 127 ter, comma 2, cpc non determina alcuna problematica interpretativa. Essa sì, invero, risolve una problematica legata alla originaria formulazione dell’articolo. Infatti, l’assenza di un automatismo che determinasse l’obbligo di fissazione in presenza della controversia in presenza della richiesta di una sola delle parti rischiava di porsi in contrasto con la Convenzione EDU e l’interpretazione da essa fornita dalla stessa Corte EDU[8].

Con la modifica apportata viene superato questo potenziale fattore di “crisi” poiché «Nel caso previsto dall'articolo 128, se una delle parti si oppone il giudice revoca il provvedimento e fissa l'udienza pubblica». 

I commi 3 e 4 non hanno subito modifiche e pertanto ci si si può riportare alle analisi degli scritti indicati alla nota 1 di questo contributo.

 

7. La modifica dell’art. 127 ter u.c. 

La modifica aggiunge il presente periodo: «Il provvedimento depositato entro il giorno successivo alla scadenza del termine si considera letto in udienza».

E’ evidente che chi parte dal presupposto della ontologica incompatibilità tra rito del lavoro e trattazione cartolare, intenda con questa norma ricondurre a unità trattazione cartolare e rito lavoro valorizzando l’introduzione di una fictio iuris che vorrebbe assimilare il deposito cartolare alla lettura ex art. 429 cpc.

Tuttavia, il termine «provvedimento letto in udienza» non si riferisce solo alla sentenza ben potendo riferirsi anche a provvedimenti ordinatori[9].

La lettura in udienza peraltro esonera – ex art. 176 cpc – dalla comunicazione alle parti del provvedimento stesso[10].

Anche qui la norma è interpretabile in duplice senso. Per chi ritiene, come lo scrivente, che la norma fosse ab origine compatibile col rito del lavoro, la modifica incide al più sulle modalità di comunicazione con esclusione, ex art. 176, comma 2, cpc, della comunicazione dei provvedimenti pronunciati avvalendosi della fictio iuris e contestuale ossequio formale all’art. 429 cpc sulla lettura del provvedimento in udienza (con i correlativi riflessi in termine di decorrenza del termine lungo di impugnazione in caso di sentenze). Di contro, i provvedimenti pronunciati dopo tale data determineranno l’onere di comunicazione al fine della loro conoscenza legale[11].

Chi invece valuta che sia stata proprio la novella a consentire l’applicabilità della norma al rito del lavoro non può che considerare che la “lettura in udienza”, anche se per mezzo della introdotta fictio iuris, sia l’unico modo per evitare la nullità della sentenza pronunciata all’esito di udienza cartolare.

Pertanto, il termine di 30 giorni potrebbe essere utilizzato al più le altre tipologie di provvedimenti.

 

8. La modifica all’art. 128 cpc

Il periodo aggiunto così recita: «Il giudice può altresì disporre la sostituzione dell'udienza ai sensi dell'articolo 127-ter, salvo che una delle parti si opponga».

Per chi aderisce alla tesi dell’incompatibilità è questo un argomento in favore della tesi della pregressa incompatibilità, rimossa solo con l’intervento del decreto correttivo (e solo in parte, stando alla Relazione illustrativa).

Tuttavia, appare che tale introduzione non sia dirimente sol guardando che già l’art. 127 cpc era stato modificato dal d.lgs. 149/2022 e prevede che: «Il giudice può disporre, nei casi e secondo le disposizioni di cui agli articoli 127 bis e 127 ter, che l'udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza o sia sostituita dal deposito di note scritte».

Sia l’art. 127 cpc sia l’art. 127 ter cpc non hanno mai distinto tra udienze pubbliche e udienze “altre”. L’art. 128 cpc regolava l’udienza di discussione pubblica e in presenza (ossia non sostituita) ma non vieta né vietava che anche essa possa trasformarsi ex art. 127 ter cpc in udienza cartolare. La prova dell’irrilevanza della modifica risiede, a contrario, nel fatto che anche i sostenitori della teoria dell’incompatibilità ritengono sostanzialmente possibile lo svolgimento dell’udienza ex art. 127 bis cpc. E tuttavia tale possibilità è dovuta in virtù del richiamo che l’art. 127 cpc fa all’art. 127 bis cpc. L’art. 128 cpc non contiene e non ha mai contenuto un riferimento all’art. 127 bis cpc; eppure, non risultano posizioni contrarie all’applicabilità della norma al rito del lavoro né sono note a chi scrive interpretazioni che fanno derivare dalla novella dell’art. 128 cpc, ossia dalla espressa menzione dell’art. 127 ter cpc, la sopravvenuta incompatibilità dell’art. 127 bis cpc con l’udienza di discussione.

Non si vede perché la medesima sequenza normativa non potesse – prima – produrre i medesimi effetti (compatibilità di entrambi gli schemi) e ancor meno si coglie quindi l’esigenza della novella dell’art. 128 cpc parzialmente replicante quanto già l’art. 127 cpc affermava in via generalissima. L’udienza è pubblica laddove essa sia una udienza di discussione. Se l’udienza di discussione è stata sostituita l’esigenza di pubblicità viene meno.

Emerge quindi come la questione compatibilità/incompatibilità si sposti dalla mera esegesi delle norme – rispetto alle quali appare per chi scrive difficile trovare una incompatibilità effettiva – a quella dell’ontologia e il discorso, volenti o nolenti, vira su percorsi più impervi.

 

9. Un passo indietro (o, forse, di lato): l’ordinanza interlocutoria n. 11898/2024

Ogni discorso fatto non può prescindere dalla circostanza che sulla compatibilità tra rito lavoro e udienza cartolare è stata rimessa la questione alle Sezioni Unite[12].

Due osservazioni: la prima, scontata, è che la novella qui analizzata non è oggetto di valutazione nell’ordinanza interlocutoria in quanto elemento normativo formalmente sopravvenuto.

La seconda, meno scontata ma interessante, è che l’ordinanza interlocutoria nasce da un ricorso per cassazione avverso un reclamo ex rito Fornero nel quale – per legge – alla pubblica udienza non seguiva la lettura del dispositivo ma il deposito della sentenza entro 10 giorni.

L’ordinanza interlocutoria – volendola schematizzare - riporta le argomentazioni a favore della compatibilità (punto 4 della motivazione), dell’incompatibilità (punto 5) e lo stato della giurisprudenza (punto 6)[13]

E’ ovvio che le soluzioni in questo scritto ipotizzate rispetto alle modifiche del correttivo presuppongono la dichiarazione di compatibilità tra modello cartolare e rito del lavoro.

In caso contrario, l’udienza cartolare avrebbe spazio nei termini – ridotti – sostanzialmente espressi dalla Relazione.

Senza appesantire troppo la riflessione si ritiene – data la posizione di chi scrive – di formulare alcuni appunti alle argomentazioni che l’ordinanza illustra in merito alla tesi negativa.

In primo luogo, i 5 giorni per l’opposizione presuppongono pur sempre la conoscenza del provvedimento. Il termine di 15 gg previsto dalla norma non appare previsto a pena di nullità e nulla impedisce che la fissazione in modalità cartolare sia prevista direttamente nel decreto di fissazione udienza. Ritenere che i termini dell’art. 127 ter cpc rendano impossibile la compatibilità col rito del lavoro (sia in primo grado sia in appello) appare argomento che prova troppo ed anzi la stessa possibilità di fissare la trattazione cartolare col decreto di fissazione (niente lo impedisce) appare indice del fatto che questa sia argomentazione legata a mere contingenze di fatto e non ad impedimenti in diritto.

Ulteriormente, la limitazione alle «sole istanze e conclusioni» non è un limite alla possibilità di conversione. Di contro, dovrebbe parimenti ritenersi non corretta la scelta dei difensori, in sede di discussione orale, di meramente «riportarsi agli scritti».

Così come è una libera scelta tale condotta nell’udienza pubblica, così è una scelta riportarsi per iscritto e non chiedere la conversione dell’udienza da cartolare a pubblica discussione. Esiste tale diritto e, in questo, il decreto correttivo è stato preclaro nel valorizzare il ruolo di diritto potestativo processuale allo svolgimento della pubblica udienza.

Non esiste alcuna incompatibilità con l’art. 127 ter cpc in quanto non esiste un contenuto minimo obbligatorio della discussione orale fissato dal legislatore.

Come altro argomento utilizzato si dice che la pubblicità dell’udienza sarebbe indisponibile dalle parti e dallo stesso giudice.

Qui appare facile replicare che in materia processuale, salva l’irragionevolezza della norma, il legislatore può regolare la disciplina del processo contemperando i vari interessi con discrezionalità[14]. Non a caso, la stessa ordinanza interlocutoria richiama giurisprudenza nazionale e sovranazionale che riconosce la possibilità di prevedere regimi anche non pubblici di udienza, pur sempre garantendo il diritto della parte alla udienza pubblica.

La norma garantisce pienamente tale diritto, ancor meglio dopo il decreto correttivo.

Sull’argomento dell’assenza di cesure tra la discussione della causa e la deliberazione della decisione, basta richiamare il fatto che il legislatore ha adottato espressamente questo modulo con il c.d. rito Fornero rendendo non necessario il deposito immediato della sentenza, tanto da far decorrere anche in caso di sentenza pronunciata ex art. 429 cpc il termine di impugnazione dalla comunicazione di cancelleria (o dalla notificazione, se anteriore), ritenendo irrilevante la pubblica lettura alla luce delle scelte del legislatore per quello specifico rito[15].

Un ulteriore argomento in favore della tesi restrittiva sarebbe dato dalla Relazione illustrativa (in GU Serie Generale n. 245 del 2022, Suppl. straordinario n. 5) laddove indicherebbe l’assenza di volontà modificativa rispetto a modifiche al rito del lavoro (salvo l’allineamento del testo dell’art. 430 cpc).

Si ritiene che il richiamo sopra effettuato a Corte cost., n. 7/2024 sia più che adeguato a ritenere assolutamente non vincolante il dato testuale della Relazione, soprattutto a fronte di indici sistematici e letterali di ben diverso tenore.

Anche il tema dei principi di immediatezza oralità e concentrazione appare affrontato, da chi sostiene la tesi dell’assoluta incompatibilità, in termini assolutistici. Ciò senza considerare che – sotto il versante assiologico – se il legislatore ha rinunciato alla fase della pubblica lettura della sentenza nel rito Fornero (ossia in materia delicatissima) non appare assurdo ipotizzare una struttura processuale modulare flessibile nella quale purtuttavia rimane in mano alle parti il diritto all’udienza pubblica.

L’ultimo argomento speso dall’ordinanza interlocutoria nell’illustrare la tesi negativa è il seguente: «…orbene, se certamente non può dirsi inibito al legislatore il potere di intervenire sul processo del lavoro per introdurre disposizioni non collimanti con i richiamati princìpi, salvo il limite della legittimità costituzionale, pur tuttavia si dubita che ciò possa essere fatto in via interpretativa, cogliendo l’occasione di una norma non perspicua, perché la forza dei princìpi processuali caratterizzanti il rito speciale - nella soluzione del dubbio ermeneutico - vince sulla eventuale applicazione di una regola di parte generale che confligga con essi…».

Neppure questo argomento si condivide. In fin dei conti, l’art. 420 cpc non definisce espressamente l’udienza da esso disciplinata come pubblica. Ciò si ricava – per l’appunto – in via interpretativa e con il seguente sillogismo: l’udienza di discussione è pubblica (art. 128 cpc) à l’art. 420 cpc regola l’udienza di discussione à l’udienza ex art. 420 cpc è pubblica (art. 128 cpc + art. 420 cpc).

Con analogo ragionamento si può giungere a ritenere la compatibilità tra rito lavoro e udienza cartolare pre-correttivo: qualsiasi tipo di udienza è sostituibile ex art. 127 ter cpc se non è prevista la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice (art. 127 c. 2 cpc che richiama l’art. 127 ter cpc) à l’udienza ex art. 420 cpc è un’udienza (pubblica) à l’udienza ex art. 420 cpc è sostituibile se non è prevista la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice.

In questo caso i limiti di sostituibilità sono (erano) quelli interni all’art. 127 ter cpc (rappresentati dai soggetti la cui partecipazione è necessaria).

Non diverso il percorso logico che porta ritenere la compatibilità tra rito lavoro e udienza cartolare anche post correttivo: l’udienza di pubblica di discussione è trasformabile nei limiti dell’art. 127 ter cpc (art. 128 cpc) à l’udienza ex art. 420 cpc è udienza di pubblica di discussione à l’udienza ex art. 420 cpc è trasformabile nei limiti dell’art. 127 ter cpc (art. 128 cpc + art. 420 cpc).

A livello “esterno” non esiste neppure post correttivo alcun problema interpretativo e la sequenza normativa è chiarissima. Il problema resta sempre interno all’art. 127 ter cpc e si è vista la contraddittorietà della norma di cui al primo comma, post correttivo, nella parte in cui al contempo sembra fornire due precetti inconciliabili sulla possibilità di sostituzione. 

Non si ritiene che vi sia alcun problema di norme non perspicue, al più di un testo dell’art. 127 ter cpc reso di difficile lettura dalla novella correttiva ma rispetto al quale, almeno in questa sede, si è sommessamente provato a dare una interpretazione coerente.

In ultimo, non appare che le norme del correttivo possano influenzare in maniera determinante gli esiti delle Sezioni Unite. Per chi scrive le argomentazioni rilevanti sono già state esposte e discusse e le innovazioni non potranno che svolgere il ruolo di argomentazione “rafforzativa”.

 

10. Conclusioni

Quanto qui affermato non appaia uno sminuire le legittime preoccupazioni di chi teme un depotenziamento del rito del lavoro che, in tutta onestà, ha dato e continua a dare buona prova di sé.

E, tuttavia, non va sottaciuto come l’attività giurisdizionale abbia visto grossi mutamenti nella composizione quali-quantitativa dei ruoli con una distribuzione geografica non omogenea di alcuni tipi di contenzioso o, per altro verso, con una proliferazione di contenziosi standardizzati in punto di mero diritto.

Chi scrive ritiene che il Codice offra un importante strumento di semplificazione per le controversie di minor complessità e maggior serialità. Uno strumento che non sacrifica i diritti delle parti che rimangono titolari di un potere di scelta rispetto al modulo processuale pubblico. 

Nondimeno, non si può che attendere la decisione delle Sezioni Unite dal cui esito dipenderà lo scioglimento dei nodi interpretativi che si è provato ad esporre.


 
[1] Si utilizza questa denominazione, pur avendo presente che sono invalsi anche i termini trattazione scritta e udienza fittizia. Trattasi di mera questione terminologica. Parla di schema camerale, la recente Cass., n. 17587/2024. Chi scrive ha già avuto modo di esprimersi nel senso della compatibilità tra norma e rito del lavoro. Sia permesso, in tal senso, il richiamo a A. Carbone, In difesa dell’udienza cartolare. Compatibilità tra la norma dell’art. 127-ter cpc e il rito del lavoro, in Questione Giustizia, Rivista Trimestrale, n. 1/2023, pg. 109 ss. Tra i tanti altri scritti in materia, inoltre, si segnalano, P. Sordi, In difesa del processo del lavoro: perché la trattazione scritta è incompatibile con il rito lavoro, in Giustizia civile, 17 gennaio 2023; R. Ionta e F. Caroleo, La trattazione scritta. La codificazione (art. 127-ter c.p.c.), in Giustizia insieme, 5 dicembre 2022; G. Cataldi, Contro la trattazione scritta delle cause civili! (Qualche principio bisogna pur averlo), in Questione Giustizia, Rivista Trimestrale, n. 1/2023; G. Allieri, Le  nuove  disposizioni  in  materia  di  processo  del  lavoro,  in www.giustiziainsieme.it.; L. De Angelis, Il processo del lavoro: un tragitto di mezzo secolo tra difesa del rito differenziato e frenesia di cambiamento, in Argomenti di Diritto del Lavoro, n. 4/2023, pg 691 ss.; C. Romeo, Il discutibile rinvio della trattazione cartolare al rito lavoro, in Il Lavoro nella giurisprudenza, n. 5/2023, pg. 445 ss.; D. Longo, La cedevolezza della cd. trattazione cartolare (quantomeno) alle prerogative difensive delle parti, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, n. 4/2023, pg. 583 ss.. S.L. Gentile, L. Ariola, Il Processo previdenziale, Milano, 2024, pg 754 ss. Per una prima analisi sul decreto correttivo, G. Ammassari, Focus sul correttivo della riforma della giustizia civile: le novità in tema di udienze atti e processo telematico, in Questione giustizia, https://www.questionegiustizia.it/articolo/focus-sul-decreto-legislativo-31-ottobre-2024-n-164-c-d-correttivo-della-riforma-cartabia-del-processo-civile 

[2] Fonte www.normattiva.it.

[3] Il paradosso del Comma 22: Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.

[4] Il paradosso del gatto di Schrödinger riguarda la meccanica quantistica ma ha assunto diffusione, pur se in forma aneddotica/retorica, anche tra il pubblico non addetto ai lavori.

[5] Sia permesso il richiamo a Cass., nn 6815/2003; 4947/19; 23261/2017; n. 8310/2002; 10958/1995; 10963/2013; 9054/2007; 16141/2004; 9054/2007; 16141/2004; 319/2004; 12002/2022.

[6] Si veda per la definizione di diritto vivente, tra le molte, Corte costituzionale n. 38/2024: «la configurabilità di un diritto vivente è condizionata dalla reiterazione e conseguente stabilità dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità: solo il consolidamento della ricostruzione offerta da quest’ultima permette, infatti, di ritenere certo che la norma desunta da una determinata disposizione, per l’uso ripetuto nel tempo e il grado di consenso raccolto, sia qualificabile ormai come tale (sentenza n. 54 del 2023)».

[7] E’ il caso affrontato, in materia di prescrizione penale, da Corte cost., n. 2/2008 (conf. Corte cost., n. 226/2016). Le decisioni citate hanno affrontato il caso della applicabilità o meno della norma, ratione temporis vigente, in tema di prescrizione triennale delle sanzioni penali diverse da quelle detentive o pecuniarie alle ipotesi di reati di competenza del giudice di pace cui sono applicabili in via alternativa sanzioni para-detentive. La Corte nel dissipare il dubbio di costituzionalità ha fatto affermato che: «Si deve ritenere, in definitiva, che il novellato quinto comma dell'art. 157 cod. pen. abbia inteso porre le premesse per un futuro sistema sanzionatorio». Sebbene relativo ad un contesto normativo completamente estraneo, quello che si vuole evidenziare è che non è ipotesi irragionevole creare categorie che potranno successivamente essere “riempite” dal legislatore in futuro.

[8] Si permetta il rinvio a quanto già affermato da chi scrive nel contributo citato alla nota di 1 di questo articolo.

[9] In tal senso, si abbia riguardo, p.es., a Cass. 10539/2007.

[10] Trattandosi di atto da compiere in udienza, sebbene con la sopra menzionata fictio iuris, si deve altresì ritenere che non operi il differimento previsto dall’art. 157, comma 5, cpc per i termini che scadono nella giornata di sabato. La proroga, infatti, si riferisce agli atti processuali da svolgersi fuori udienza. Tale non può ritenersi – proprio per il tenore della norma – il provvedimento da emettersi all’esito di udienza cartolare i cui termini per note scadano di venerdì. In questa ipotesi, il provvedimento per considerarsi letto in udienza dovrà essere depositato il sabato.

[11] In tal senso può mutuarsi per le sentenze la giurisprudenza relativa all’art. 430 cpc ante riforma secondo cui: «…nella residuale ipotesi di particolare complessità della controversia, in cui il giudice fissi un termine non superiore a sessanta giorni per il deposito della sentenza, ai sensi dell'art. 430 c.p.c., il termine decorrerà dalla comunicazione alle parti dell'avvenuto deposito da parte del cancelliere» (Cass., n. 3394/2021).

[12] L’udienza dovrebbe svolgersi il 15.4.2025 (dato liberamente accessibile attraverso la funzione di consultazione pubblica dei registri di Cassazione).

[13] Con riferimento a questo ultimo punto essa si dà cura di evidenziare la distinzione, formulata anche in talune decisioni precedenti, tra i due regimi emergenziali (ex art. 83 dl 18/2020 ed ex art. 221 dl 34/2020) e quello dell’art. 127 ter cpc.

[14] Sia sufficiente il richiamo a Corte cost., n. 67/2023: «Peraltro, venendo in rilievo istituti processuali, il legislatore ordinario gode di ampia discrezionalità nella conformazione degli stessi (ex multis, sentenze n. 128 e n. 87 del 2021, n. 271 del 2019, n. 225 del 2018, n. 44 del 2016, n. 10 del 2013, n. 221 del 2008 e n. 335 del 2004)».

[15] In tal senso, Cass., n. 19862/2018.

28/01/2025
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