Magistratura democratica
cinema e letteratura

Una semplicità niente affatto banale

di Luigi Marini
Legal adviser alla Rappresentanza permanente d’Italia presso le Nazioni Unite
Recensione a Michela Murgia, “Futuro interiore”, Einaudi, Torino 2016

Nei pochi giorni di ferie della fine di agosto ho cercato di concentrare molte letture e non avrei potuto trovarmi a metterne insieme due così diverse come il corposo e bellissimo inserto del NYT dedicato al Medio Oriente “fratturato” e il piccolo, intenso volume di Michela Murgia intitolato al Futuro interiore

È, questo, un volume composto da tre saggi brevi, sintetici e ricchi di spunti. Dovessi riassumerne il senso nella forma più concisa possibile direi che si tratta di un inno non convenzionale alla democrazia. Dove la “democrazia dal basso” costituisce il punto di vista e dove, fortunatamente, difettano rivendicazioni stereotipe e ragionamenti troppo facili.

Non si incontrano chiavi di lettura sorprendenti, ma un percorso coerente che guarda ad alcuni dei temi correnti del dibattito pubblico mettendo definitivamente al centro i luoghi e le persone che possiamo definire “periferia di un mondo democratico”. Niente a che vedere nelle sue premesse con l’assenza in ogni caso radicale di democrazia narrata dal NYT.

Un esempio per tutti. Parlando della struttura delle città e della loro organizzazione architettonica-urbanistica, Murgia afferma che «... Chi progetta spazi non può affrontare la questione della bellezza senza essere consapevole del suo diretto rapporto con la giustizia» (pag.61). Se è vero che l’armonia delle città medievali e rinascimentali non esprimeva affatto una società armonica ed era figlia di rapporti sociali violenti e di diseguaglianze drammatiche, e se è vero che lo squilibrio moderno fra centro città e periferie invivibili dimostra che «non siamo riusciti a far evolvere il concetto urbano di bellezza dai tempi dell’ingiustizia a quelli dell’uguaglianza», non resta che concludere che «reiterare quel tipo di bellezza significa progettare ancora le premesse perché sorgano ulteriori luoghi di emarginazione».

Altrettanto significativo il ruolo centrale e terapeutico che l’autrice assegna al dissenso e al disordine.

Quanto al primo, si tratta di una manifestazione indispensabile della necessità di rompere un sistema di poteri gerarchici che, con la democrazia, hanno preso il posto dell’unica gerarchia regale o dittatoriale. Senza questa rottura non è possibile superare la «visione maschile del potere» (pag.69), che ha natura «sottrattiva» e tende a fagocitare i diritti che i deboli non sono in grado di difendere.

Quanto al secondo, siamo in presenza di una forza connaturata a qualsiasi aggregazione ed è insensato pensare di eliminarlo tanto quanto cercare di formalizzarlo dentro spazi urbani codificati. Solo i regimi illiberali possono temere il disordine fino al punto di criminalizzarlo, negarlo o racchiuderlo. Non così dovrebbero fare le nostre città, i nostri urbanisti e i nostri sindaci: le forme nuove di bellezza sanno sorprenderci se consentiamo loro di manifestarsi e di costruire un futuro diverso.

Di qui l’importanza dei luoghi polisemantici, privi di destinazioni rigide e capaci di moltiplicare le relazioni (come l’Istituto del mondo arabo a Parigi o la biblioteca Salaborsa di Bologna): luoghi dove bellezza e democrazia convivono. Ma anche l’importanza di un’idea e di una pratica di cittadinanza che rompa il legame fra appartenenza (necessariamente unica) e identità (in sé molteplice) e si fondi sullo «ius voluntatis» (pag.30).

Non tutti i passaggi dell’argomentare dell’autrice sono convincenti e solidi; ad esempio, non mi pare del tutto vero che le marginalità tendano sempre a solidarizzare fra loro (pag.71). Tuttavia, l’insieme dei tre saggi mette a disposizione del lettore strumenti critici interessanti sia per chi ha compiti di responsabilità, ed è chiamato ad esercitarli andando oltre le prassi e le idee correnti, sia per chi ha il compito di esprimere la propria vocazione personale e la propria funzionale sociale anche mediante un approccio critico non stereotipato alle diverse forme di gerarchia e di potere (per quanto da lui/lei delegato in modo più o meno consapevole).

Il che fa del volume uno strumento particolarmente utile per chi deve ancora formarsi e si sta interrogando sul proprio futuro di cittadino e di persona.

 

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* I contenuti del presente intervento esprimono esclusivamente le posizioni personali dell’Autore.

24/09/2016
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