Magistratura democratica

I migranti: una freccia nell’arco della specie umana

di Mariarosaria Guglielmi

1. L’immigrazione: una sfida decisiva per l’Europa, per la democrazia / 2. Cosa resta oggi delle nostre promesse? / 3. Le politiche della Fortezza Europa / 4. Un nuovo cambio di paradigma: la violenza “legale” / 5. Le politiche di esternalizzazione delle frontiere / 6. La criminalizzazione del sostegno e dell’assistenza umanitaria ai migranti: un fenomeno globale / 7. Il ruolo dei giudici / 8. Il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo 

 

1. L’immigrazione: una sfida decisiva per l’Europa, per la democrazia

MEDEL (Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés) ha tra i suoi obiettivi la tutela dei valori democratici dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali delle persone. 

E sin dalla sua fondazione, avvenuta quando l’Europa era ancora divisa dal Muro di Berlino, con lo sguardo rivolto alla promozione dell’integrazione europea basata su questi valori comuni, MEDEL ha sancito nella sua carta costitutiva l’obiettivo di promuovere e di difendere i diritti fondamentali delle minoranze, dei migranti e delle persone più svantaggiate, in una prospettiva di emancipazione sociale dei più vulnerabili

L’immigrazione si presentava già allora come il banco di prova per il progetto di una Europa unita non solo dal mercato, ma da quei valori universali e indivisibili richiamati nel preambolo della sua Carta dei diritti fondamentali: «una Unione sempre più stretta nella quale i popoli europei hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni; una Unione che – consapevole del suo patrimonio spirituale e morale – pone a suo fondamento i valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, e i principi di democrazia e dello Stato di diritto; una Unione che mette la persona al centro della sua azione e che si impegna a garantire il godimento dei diritti fondamentali assumendo per questo responsabilità e doveri nei confronti della comunità umana e delle generazioni future».

 

2. Cosa resta oggi delle nostre promesse?

Nella sezione dedicata al Missing migrants project dell’International Organization for Migration, che dal 2014 raccoglie dati e informazioni sui migranti morti e dispersi, leggiamo che, con l’ultimo incidente registrato il 29 aprile – al quale va aggiunto il tragico bilancio dei recentissimi naufragi a largo di Roccella Ionica e di Lampedusa[1] –, nel 2024 sono stati 734 i morti e i dispersi solo nella rotta del Mediterraneo centrale (3105 lo scorso anno). È in Europa, nel Mediterraneo centrale, la rotta migratoria più mortale al mondo: dal 2014 sono 29.588 persone, morte e disperse. 

Questi numeri danno conto di quanto pesante sia l’eredità che ci portiamo dietro e che grava sul futuro dell’Europa e della sua democrazia: la sopravvivenza stessa del progetto di Unione europea, come comunità che mette al centro la persona e i suoi valori, è oggi legata alla nostra capacità di comprendere e di confrontarci con il fenomeno migratorio. 

Un fenomeno – come ha scritto Luigi Ferrajoli – costitutivo di un nuovo ordine mondiale, destinato – quale istanza e veicolo dell’uguaglianza – a rivoluzionare i rapporti tra gli uomini. 

Un fenomeno che richiede un cambiamento radicale anche della narrazione di tutto ciò che esso rappresenta: non una minaccia, ma una opportunità.

 

3. Le politiche della Fortezza Europa

Oggi siamo al pericoloso bivio dove ci hanno portato negli anni politiche, nazionali ed europee, non all’altezza della sfida

Politiche con le quali abbiamo tradito quelle promesse scritte nelle Carte, dando forza a progetti di disgregazione dell’Unione. Progetti che hanno riscoperto e si appellano all’inviolabilità dei confini e dell’identità nazionale. E che in nome di questi riportano in vita spettri e demoni del passato, e tutti i loro simboli: muri e fili spinati. 

Politiche di contenimento e riduzione del danno, come quelle che propongono la distinzione di status e di diritti fra profughi e i cd. migranti economici, sull’assunto che i primi sono forzati, “spinti” (pushed) e perciò “obbligati” a lasciare i loro Paesi, gli altri volontari e perciò liberi di scegliere (pulled). Schemi classificatori, come si è detto, usati per porre limiti al nostro dovere di accoglienza e che, di fronte alla complessità e alla concretezza del reale, si sono dimostrati per quello che sono: del tutto inadeguati e arbitrari. 

L’esperienza del nostro Paese offre l’esempio dell’approccio da Fortezza Europa, che ha affrontato sempre il fenomeno dell’immigrazione in termini di sicurezza e di ordine pubblico, con un ampio uso di tecniche di “criminalizzazione legale” dei migranti, introducendo reati specifici legati all’“ingresso” o “soggiorno illegale”: è la logica emergenziale che ha prodotto e produce un diritto “speciale” per lo straniero e punisce per quello che si è e non per quello che si fa; che ha introdotto, come strumento di governo del fenomeno, alla detenzione amministrativa, con gravissimi problemi di rispetto dei diritti umani e di compatibilità con il nostro sistema di rigide e inderogabili garanzie previste per la legittima privazione della libertà personale. 

E oggi ci troviamo di fronte a ciò che è stato definito un modello emergente di declino degli ordinamenti costituzionali liberaldemocratici consolidati nel loro impegno verso i diritti umani quando si tratta di regolare l’immigrazione: il Governo britannico, sfidando il sistema di tutela dei diritti fondato sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e le pronunce della Corte, crea per legge, con il Safety of Rwanda Bill, un Paese “terzo sicuro”; il Governo belga, nonostante le pronunce dei tribunali per il mancato rispetto della legge sui richiedenti asilo e le misure ad interim adottate dalla Corte di Strasburgo, persiste nella sistematica mancata esecuzione delle decisioni giudiziarie che riconoscono il diritto all’accoglienza dei richiedenti asilo[2]; in Francia è stata di recente approvata una nuova legge sull’immigrazione, definita la più regressiva dal 1945. 

Siamo al bivio dove ci hanno portato scelte che hanno segnato quella che è stata definita una “regressione morale ed etica” dell’Europa nel campo della gestione delle frontiere: la fine dell’operazione “Mare Nostrum”; l’accordo del 2016 con la Turchia, con il quale l’Europa ha venduto la sua anima, come ha scritto il Financial Times, affidandosi al Presidente di quel Paese e delegandogli di fatto il controllo della rotta balcanica con la finzione di considerare la Turchia Paese terzo sicuro

 

4. Un nuovo cambio di paradigma: la violenza “legale”

Ma ciò che sta accadendo oggi – e da tempo in diverse parti d’Europa – ha dimostrato che ci troviamo di fronte a un ulteriore cambio di paradigma, e che un’altra soglia è stata superata con il ricorso alla violenza per il controllo e la sorveglianza delle frontiere esterne e interne dell’Europa. Mi limito qui a richiamare la dichiarazione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che nel febbraio 2022 denunciava il fenomeno crescente della violazione dei diritti umani ai confini dell’Europa: le informazioni raccolte con interviste dell’UNHCR da migliaia di persone respinte che avevano confermato violenze, maltrattamenti, respingimenti, molti dei quali hanno provocato tragiche perdite di vite umane; episodi subiti e segnalati in molteplici punti di ingresso alle frontiere terrestri e marittime, all’esterno e all’interno dell’Unione europea. Con poche eccezioni, affermava l’Alto commissario, gli Stati europei non hanno indagato su queste segnalazioni, nonostante le prove crescenti e credibili. «Sono stati invece alzati muri e recinzioni alle varie frontiere»[3].

 

5. Le politiche di esternalizzazione delle frontiere

Con la politica di sostegno ai Paesi terzi per garantire il controllo delle frontiere e la riammissione dei migranti, l’Europa ha di fatto ridisegnato la politica degli aiuti sulla base della posizione geografica dei Paesi terzi e della loro capacità di fermare i flussi in uscita, piuttosto che sulla base di quello che dovrebbe essere l’obiettivo primario della cooperazione internazionale allo sviluppo e dell’aiuto umanitario: la riduzione e, a lungo termine, l’eliminazione della povertà, come previsto dall’articolo 208 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. 

Come illustrato nel rapporto EU external migration policy and the protection of Human rights, richiesto nel 2020 dalla Sottocommissione per i Diritti dell’uomo del Parlamento europeo[4], l’analisi della politica migratoria esterna dell’Ue e degli Stati membri dimostra la mancanza di apprezzamento per la piena portata e l’importanza dell’acquis sui diritti fondamentali, soprattutto quando si intraprende un’attività extraterritoriale e quando si collabora con Paesi terzi attraverso strumenti formali o informali. Il diritto primario dell’Ue richiede il rispetto dei diritti fondamentali, compresi quelli dei cittadini di Paesi terzi, in tutte le azioni interne ed esterne dell’Ue (artt. 2, 6 e 21 del TUE) da parte di tutte le istituzioni, organi e agenzie dell’Ue, nonché da parte degli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Ue (art. 51 della Carta diritti fondamentali). Questa politica ha invece prodotto memorandum e accordi con Paesi dove non esistono democrazia, Stato di diritto, garanzie minime di tutela dei diritti fondamentali: per restare al nostro Paese, questa politica ha prodotto il memorandum dell’Italia nel 2016 con il Presidente del Sudan al-Bashir condannato dalla Corte penale internazionale, che ha emesso nei suoi confronti un mandato di cattura per genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità; gli accordi con la Libia, dove i migranti sono privati della loro libertà e soggetti a tortura nei campi di detenzione gestiti dai trafficanti di esseri umani. Oggi abbiamo gli accordi con la Tunisia e il Memorandum of Understanding tra Italia e Albania che, come ha ricordato la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, genera molte preoccupazioni per il rispetto dei diritti umani di rifugiati, richiedenti asilo e migranti e si aggiunge a una preoccupante tendenza europea verso l’esternalizzazione delle responsabilità in materia di asilo, aumentando notevolmente il rischio di esporre i migranti a violazioni dei diritti umani[5].

E l’informalizzazione delle relazioni con i Paesi terzi sotto forma di Frontex Working Arrangement, Statements, Good Practices documents, bilateral Memoranda of Understanding o multilateral Protocols, che ricevono il sostegno finanziario dell’Ue (cito ancora il rapporto del 2020 per il Parlamento europeo), ha messo in secondo piano la responsabilità democratica, non rispettando le disposizioni contenute nei Trattati dell’Ue riguardanti la piena portata del ruolo del Parlamento europeo nelle relazioni esterne dell’Unione (come l’articolo 218 del TFUE). Norme non vincolanti che evitano anche la giurisdizione della Corte di giustizia dell’Unione europea, e di conseguenza il controllo di legalità che normalmente viene attribuito agli atti dell’Ue.

 

6. La criminalizzazione del sostegno e dell’assistenza umanitaria ai migranti: un fenomeno globale

La criminalizzazione del sostegno e dell’assistenza umanitaria e di altro tipo ai rifugiati e ai migranti può essere considerata un “fenomeno globale”, ben radicato nell’Ue[6]. E attori di questo fenomeno sono anche gli Stati membri: piuttosto che riconoscere alle Ong il ruolo di partner chiave, gli Stati hanno continuato nell’approccio ostile e nel preoccupante trend di criminalizzazione di coloro che salvano vite in mare[7]

Con i decreti sicurezza del 2018-2019, l’Italia ha inaugurato la cd. “politica dei porti chiusi”, sostenuta da un’aggressiva campagna mediatica di criminalizzazione delle Ong. Una politica non solo in conflitto con le convenzioni internazionali e i diritti fondamentali, ma contraria a principi elementari di umanità.

All’indomani dell’introduzione, nel gennaio 2023, del nuovo codice per le operazioni di salvataggio in mare, le Ong e le voci indipendenti nel dibattito pubblico hanno sottolineato i profili di palese violazione delle convenzioni internazionali e denunciato il rischio delle nuove regole di impedire alle organizzazioni umanitarie di operare in mare per sottrarre i migranti ai gravissimi rischi a cui sono esposti. 

Un allarme che, ancora una volta, è stato raccolto dal Consiglio d’Europa, per gli ostacoli posti alle attività di soccorso e le implicazioni sulla tutela dei diritti di persone particolarmente vulnerabili come i migranti soccorsi in mare, con l’espresso invito al Governo italiano a prendere in considerazione il ritiro del decreto legge, o ad apportare tutte le modifiche necessarie per garantirne la piena conformità agli obblighi dell’Italia in materia di diritti umani e di diritto internazionale[8]. Un allarme amplificato dalle ricadute sui diritti della società civile a operare per difendere i diritti e la libertà di associarsi garantita dall’art. 11 della Cedu[9].

 

7. Il ruolo dei giudici

In questo difficile contesto si inserisce il lavoro del giudice, chiamato a garantire la tutela dei diritti fondamentali dei migranti, ad applicare le norme primarie e i principi inderogabili delle Carte, delle Convenzioni, del diritto dell’Unione, e delle Costituzioni. In questi mesi, con gli attacchi della politica e le campagne mediatiche contro i giudici della protezione internazionale, abbiamo sperimentato nel nostro Paese quanto forte sia la diffidenza verso il ruolo di garanzia della giurisdizione e il ruolo che i giudici nazionali svolgono in quanto giudici europei. E, in tutta Europa, sono evidenti i rischi per la tenuta del sistema di tutela sovranazionale fondato sulla Cedu e sulla Corte di Strasburgo (e, ancora una volta, la sfida più esplicita al sistema viene dalle posizioni del Governo britannico sulle nuove politiche migratorie). È su questo campo che si è aperta una nuova fase della difficile e lunga stagione dell’attacco populista alla giurisdizione e ai giudici per le decisioni che non sono considerate in linea con le scelte del governo e degli elettori. È su questo campo che la nuova campagna di attacco vuole additare all’opinione pubblica i giudici come responsabili dell’insuccesso delle strategie di governo nel fenomeno migratorio. Ed è su questo campo che si rimette oggi in discussione la liberà di parola ai magistrati e alle loro associazioni: non è un caso che in Francia, come in Italia, è con l’accusa di parzialità rispetto alle posizioni sui migranti che si vuole rimettere in discussione la legittimazione delle decisioni giudiziarie e il diritto dei giudici di partecipare al dibattito pubblico. 

 

8. Il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo

Il quadro normativo di riferimento è stato radicalmente innovato dalla recente approvazione del nuovo Patto europeo sulla migrazione e sull’asilo. Un patto che, si è osservato, è sì atto complesso, ma quasi totalmente concentrato sul sistema europeo di asilo, «con l’obiettivo non tanto di migliorare il sistema per far sì che a ciascuno sia attribuito lo status appropriato alla propria situazione, come prevede l’art. 78 TFUE, quanto per rendere più efficaci le misure di rimpatrio di coloro che entrano irregolarmente o che si vedono negare il diritto alla protezione internazionale»[10].  

Negli ultimi mesi che hanno segnato un’accelerazione per la sua approvazione formale, arrivata in tempo prima delle elezioni europee, abbiamo già ascoltato le voci del mondo accademico e dei giuristi, della società civile e delle istituzioni esprimere un forte allarme per alcune delle principali modifiche regressive attuate in materia di diritti fondamentali: la finzione giuridica del “non ingresso” che considera le persone “non autorizzate a entrare nel territorio” degli Stati membri dell’Ue nonostante in esso siano fisicamente presenti, e il tentativo di negare così la presenza fisica dei migranti e dei richiedenti asilo nel territorio degli Stati membri dell’Ue e nelle zone di frontiera, che rischia di mettere il diritto dell’Ue in contrasto con le leggi internazionali sui diritti umani e sui rifugiati, poiché gli Stati non possono revocare i loro obblighi nei confronti delle persone sotto la loro giurisdizione, tra cui il giusto processo, l’obbligo di non respingimento, la tutela dell’interesse superiore del minore e la protezione contro la privazione arbitraria della libertà; la procedura di screening pre-ingresso e detenzione automatica di tutti i migranti e i richiedenti asilo, compresi in alcuni casi anche i minori, che non possono entrare nel territorio degli Stati e devono essere tenuti in luoghi situati alla frontiera esterna o in prossimità di essa o in zone di transito; l’assenza di rimedi sufficienti contro le ordinanze in materia di immigrazione, tra cui l’effetto sospensivo automatico dei ricorsi, il che significa che le persone possono essere espulse prima che venga presa una decisione sul loro ricorso; le procedure di rimpatrio in assenza di adeguate garanzie procedurali[11].

Viene recepito anche il nuovo paradigma della cd. “strumentalizzazione dei migranti”, ossia il loro uso da parte di Paesi terzi o attori non statali ostili con l’obiettivo di destabilizzare l’Ue: un nuovo concetto giuridico concepito su una base del tutto vaga, che dovrebbe permetterebbe agli Stati membri di adottare misure di deroga alle procedure standard per l’asilo.

Come si è osservato, proprio invocando il pericolo delle pratiche di “strumentalizzazione” dei migranti da parte della Bielorussia, Paesi come la Polonia, la Lituania e la Lettonia hanno adottato misure legislative nazionali a lungo termine, di ampia portata e generalizzate, per rimpatriare (forzatamente) le persone in un Paese terzo senza procedure formali di rimpatrio e senza una valutazione individuale delle loro richieste di asilo[12]

Molti sono gli interrogativi e le problematiche sollevati dal nuovo Patto alla luce del sistema di tutela dei diritti sanciti nella Cedu, negli altri strumenti internazionali rilevanti e nelle Costituzioni con i quali i giuristi e i giudici, utilizzando gli strumenti del diritto, dovranno confrontarsi.

Mentre restano sul terreno tutte le sfide per la politica europea di creare un sistema di accoglienza all’altezza delle emergenze create da tragici scenari di guerra, di mettere in campo piani globali di cooperazione, ad esempio con i Paesi africani, di rafforzare il legame fra integrazione e diritto al lavoro per tutti, e di incentivare meccanismi finalizzati a favorire l’ingresso per lavoro e per la ricerca del lavoro.

Se non saremo capaci di dare risposte all’altezza delle istanze di eguaglianza e di diritti di cui il popolo dei migranti è portatore, è un futuro di regressione globale, di disuguaglianze, e di paure quello che si prospetta per l’Europa e per tutti noi.

Come hanno scritto Emiliana Baldoni e Gianpiero Dalla Zuanna, le migrazioni sono «una freccia nell’arco della specie umana», «non sono una sciagura». E «nello squilibrato mondo di oggi possono essere la soluzione piuttosto che il problema»[13].

 

 

1. www.rainews.it/articoli/2024/06/almeno-50-migranti-dispersi-a-100-miglia-dalla-costa-della-calabria-1a9dd3c6-4188-49bc-96aa-85e14932c294.html.

2. «Il palese rifiuto delle autorità belghe di ottemperare alle ingiunzioni dei [loro tribunali nazionali] rivela “un’incapacità sistemica (...) di far rispettare le decisioni finali dei tribunali in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”; pur essendo consapevole della difficile situazione che lo Stato belga si è trovato ad affrontare (…), la Corte non può ritenere ragionevole il tempo impiegato nel caso di specie dalle autorità belghe per eseguire una decisione giudiziaria volta a tutelare la dignità umana» (Corte di Strasburgo, Camara c. Belgio, ric. n. 49255/2022, 18 luglio 2023). 

3. www.unhcr.org/news/press/2022/2/62137a284/news-comment-unhcr-warns-increasing-violence-human-rights-violations-european.html.

4. www.europarl.europa.eu/cmsdata/226387/EU_External_Migration_Policy_and_the_Protection_of_Human_Rights.pdf.

5. www.coe.int/be/web/commissioner/-/italy-albania-agreement-adds-to-worrying-european-trend-towards-externalising-asylum-procedures – «The MoU raises a range of important questions on the impact that its implementation would have for the human rights of refugees, asylum seekers and migrants. These relate, among others, to timely disembarkation, impact on search and rescue operations, fairness of asylum procedures, identification of vulnerable persons, the possibility of automatic detention without an adequate judicial review, detention conditions, access to legal aid, and effective remedies. The MoU creates an ad hoc extra-territorial asylum regime characterised by many legal ambiguities. In practice, the lack of legal certainty will likely undermine crucial human rights safeguards and accountability for violations, resulting in differential treatment between those whose asylum applications will be examined in Albania and those for whom this will happen in Italy. The MoU is indicative of a wider drive by Council of Europe member states to pursue various models of externalising asylum as a potential ‘quick fix’ to the complex challenges posed by the arrival of refugees, asylum seekers and migrants. However, externalisation measures significantly increase the risk of exposing refugees, asylum seekers and migrants to human rights violations. The shifting of responsibility across borders by some states also incentivises others to do the same, which risks creating a domino effect that could undermine the European and global system of international protection. Ensuring that asylum can be claimed and assessed on member states’ own territories remains a cornerstone of a well-functioning, human rights compliant system that provides protection to those who need it».

6. www.icj.org/wp-content/uploads/2022/04/Criminalization-paper-22-04-2022.pdf.

7. Follow-up report del 2021 della Commissaria per i diritti umani del Consiglio di Europa, A distress call for human rights – The widening gap in migrant protection in the Mediterranean (https://rm.coe.int/a-distress-call-for-human-rights-the-widening-gap-in-migrant-protectio/1680a1abcd).

8. Lettera del 26 gennaio 23, inviata dalla Commissaria per i diritti umani al Ministro Piantedosi (www.coe.int/en/web/commissioner/-/the-italian-government-should-consider-withdrawing-decree-law-which-could-hamper-ngo-search-and-rescue-operations-at-sea).

9. Parere del Consiglio di esperti sul diritto in materia di Ong della Conferenza delle Oing (organizzazioni internazionali non governative) del Consiglio d’Europa, 30 gennaio 2023 (https://rm.coe.int/expert-council-conf-exp-2023-opinion-italy-30-jan-2023-en/1680a9fe26; https://rm.coe.int/opinion-on-italian-decree-law-on-the-management-of-migratory-flows-202/1680ab55b9).

10. Chiara Favilli, Editoriale, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2024 (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/186-fascicolo-n-1-2024/editoriale/362-editoriale).

11. Si fa qui riferimento alla lettera indirizzata il 15 dicembre 2023 alle Istituzioni europee da esperti indipendenti – special rapporteurs in materia di diritti umani nominati e incaricati dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

12. A. Ancite-Jepifánova, Migrant Instrumentalisation: Facts and Fictions, in Verfassungsblog, 21 settembre 2023 (https://verfassungsblog.de/migrant-instrumentalisation-facts-and-fictions/).

13. Iid., Le migrazioni moderne, fra pregiudizi e demografia, in U. Curi (a cura di), Vergogna ed esclusione. L’Europa di fronte alla sfida dell’emigrazione, Castelvecchi, Roma, 2017.