Il vorticoso accumularsi delle notizie, gestite talora superficialmente dai media, ha come conseguenza un rapido oblio di ciascuna di esse. Non ha fatto eccezione quella riguardante l'affidamento in prova ai servizi sociali per Silvio Berlusconi. La decisione del Tribunale di Sorveglianza di Milano, pur lungamente attesa, non ha potuto evitare di fare la fine delle altre notizie: qualche commento più o meno caustico sui giornali, qualche ironia dei comici in TV e poi più nulla, si passa ad altro.
Tuttavia ci sono notizie che, pur superate dalla cronaca quotidiana, vengono per così dire interiorizzate dall'opinione pubblica e sono destinate a durare nel tempo diventando il paradigma cui far riferimento per diverse situazioni. In questo caso le ragioni per le quali il provvedimento del Tribunale continuerà carsicamente a produrre conseguenze e discussioni sono più d'una. Si tratta di una delle pochissime volte in cui un cittadino potente, condannato per un grave reato, viene affidato ai servizi sociali, anziché scontare la pena inflittagli; inoltre, per la prima volta un provvedimento del genere tocca un ex presidente del Consiglio.
Sono ragioni che giustificano l'attenzione per le motivazioni sulle quali i giudici hanno fondato una pronuncia che molti hanno giudicato nella sostanza assai mite. Proprio le motivazioni dell'ordinanza sono destinate a far discutere e si può star certi che diventeranno per molto tempo la pietra di paragone per valutare provvedimenti consimili adottati sia nei confronti dei cittadini comuni come di quelli eccellenti. Il provvedimento del Tribunale può essere valutato sotto molto aspetti; quello che più attira il nostro interesse è il profilo che si può definire 'giuridico-sociale'.
La motivazione inizia con la rigorosa ricostruzione dei fatti, elencati con molta precisione. Si comincia con il ricordare che la pena inflitta (senza attenuanti generiche) è stata quantificata “in ragione del suo (di Berlusconi) ruolo di direzione e di ideatore fin dai primordi del gruppo, di un'attività delittuosa tesa ad una scientifica e sistematica evasione di portata eccezionale”; si ricorda ancora che i giudici hanno posto in evidenza “la particolare capacità a delinquere dimostrata nell'esecuzione del disegno, consistito nell'architettare un complesso di meccanismi fraudolenti.....anche coinvolgendo nell'attività criminosa quasi tutti i suoi più stretti collaboratori”.
Subito dopo il Tribunale affronta il tema più impegnativo, cioè quello dell'applicabilità delle misure alternative “a soggetti normo-inseriti, addirittura iper-integrati socialmente, appartenenti a contesti sociali medio-alti o molto elevati come nel caso di specie”. E qui viene da domandarsi se si parla dello stesso 'soggetto'. Che Berlusconi possa essere definito 'normo-inserito' è pacificamente contraddetto dall'opinione comune, convinta piuttosto che il condannato fosse incline ad aggirare la legge tutte le volte che poteva, anche cambiandola, quando non vi fosse altra strada per guadagnarsi l'impunità. Del resto il Tribunale non poteva ignorare i trascorsi giudiziari di Silvio Berlusconi, né ignorava i procedimenti penali in corso (che anzi vengono puntualmente citati nell'ordinanza). Invece il Tribunale, forse involontariamente, non sbaglia quando giudica Berlusconi ‘iperintegrato’ socialmente. Anche troppo, semmai.
Il Tribunale, comunque, si pone seriamente il problema: che tipo di misure alternative si possono adottare di fronte ai “colletti bianchi”, cioè a soggetti che nonostante il loro status sociale e la fitta rete di relazioni sociali e professionali, hanno così gravemente infranto la legge? Ed è ben consapevole del compito di dover adattare per questa tipologia di autori di reato misure alternative pensate originariamente dal legislatore per soggetti disadattati socialmente.
Infine il Tribunale aggiunge che, come che sia, occorre ricordare che colui che viene affidato in prova ai servizi sociali, come ha sottolineato la Corte di cassazione, “è ancora una persona socialmente pericolosa”, da rieducare attraverso “un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali…….”, dal momento che ha dimostrato un’insofferenza alle regole poste dallo Stato.
Dopo questo impeccabile ragionamento ci si aspetterebbe una misura idonea all’ardua impresa di recuperare alle regole della vita civile una persona che, nonostante le posizioni personali di partenza estremamente vantaggiose, ha posto in essere reati d’inaudita gravità. E invece no, secondo il Tribunale. Non si tratta di un caso grave, anzi: Berlusconi ha risarcito la parte civile, segno indubbio di “riconoscimento della sentenza di condanna”. E poi si è detto disposto ad assistere persone anziane e in malferma salute presso la Fondazione Sacra Famiglia. Che si vuole di più? “Tali elementi – sostiene il Tribunale – evidenziano la scemata pericolosità sociale del prevenuto e appaiono quanto meno indici di volontà di recupero dei valori morali…”.
Chi scrive, com’è noto, non si intende di morale. Si può invece dire, con qualche fondamento, che dal punto di vista giuridico siamo di fronte ad un equivoco: si è ritenuto, allineandosi ad evidenti luoghi comuni, che si trattasse di un soggetto perfettamente inserito nella legalità e iper-integrato nella società e si è concluso che, dunque, un simile soggetto presentasse scarsissima pericolosità. Perché poi il soggetto abbia commesso reati di riconosciuta gravità, resta un mistero che non necessita di chiarimenti, né è dato capire cosa quel soggetto riserverà per il futuro.
Vogliamo anche noi per un attimo sposare i luoghi comuni e condividere il pensiero del Tribunale. Quest’uomo –si saranno detti i giudici - è sempre stato provvisto di denaro, ha sempre guadagnato bene, vive in una bella casa, frequenta persone altolocate (ma Previti, Dell’Utri e le ‘olgettine’ come vanno considerati?): dunque di che recupero può avere bisogno? Facciamo quattro ore a settimana, con l’impegno di ‘animare’ i vecchietti deboli e svantaggiati della Sacra Famiglia.
Mi sembra evidente che il Tribunale avrebbe dovuto valutare non in astratto il generale adattamento sociale dei cosiddetti colletti bianchi, ma in concreto la pericolosità e le condizioni per un proficuo inserimento di questo condannato, che ha infranto gravemente la legge nonostante le sue condizioni economiche e sociali, mentre rappresentava il popolo italiano in Parlamento e ricopriva prestigiose cariche pubbliche. Nei pochi passi dell’ordinanza in cui il Tribunale si prova ad esaminare quale sia il senso del comportamento di Berlusconi, durante e dopo la condanna, afferma cose in aperto contrasto con fatti notori. Il condannato non ha mai riconosciuto la propria colpevolezza: va bene, osserva il Tribunale, è un suo diritto quello di protestarsi innocente anche dopo la condanna definitiva. Il condannato non si limita a dirsi innocente, si dice anche vittima di un diffuso complotto dei giudici e dei PM. Sì, è vero, osserva il Tribunale, ma questa è la politica.
Queste dichiarazioni vanno inquadrate “nell’ambito della strategia politica di un uomo che di tali esternazioni ha sempre fatto uno dei suoi cavalli di battaglia….”. E non sarebbe ora di finirla, dopo vent’anni? Ma no, Berlusconi dice così per dire. Lo assicurano anche i suoi avvocati nella memoria al Tribunale: “le valutazioni della personalità dell’istante non dovrà essere influenzata dalle dichiarazioni riportate dai media, estrapolate dai contesti in cui furono rese e spesso frutto di ‘botta e risposta’, più che di riflessioni personali..”. Ce lo ricordiamo tutti Berlusconi che, senza riflettere, rispondeva a botta calda alle provocazioni dei magistrati…….
Ma come si fa a credere che i giudici milanesi in tanti anni non abbiano aperto un giornale, non abbiano mai sentito Berlusconi che aggrediva i giudici, forte della sua posizione di Presidente del Consiglio; oppure che non abbiano mai sentito il condannato rinnovare le sue aggressioni prendendo a pretesto proprio la condanna per la quale è stato ora disposto l’affidamento in prova.? E non bastava tutto questo per capire che si trattava di persona grandemente bisognosa di un serio programma di riadattamento sociale?
Credo che oggi siano chiari i sentimenti che animano gran parte dei cittadini. Si aspettavano che venisse ribadita l’importanza di rispettare le regole e le leggi dello Stato. Si aspettavano che una grave condanna non finisse miseramente nel nulla e soprattutto non finisse con quella che sembra una presa di giro, con quelle quattro ore settimanali ad intrattenere i vecchini. Aggiungo che i giuristi si aspettavano anche che il Tribunale cogliesse l’occasione per affrontare il tema delle misure alternative nei confronti di un uomo ricco, fortunato, con immensa disponibilità economica in Italia e all’estero, titolare di incarichi politici prestigiosi, il quale ha dato prova di speciale inclinazione a delinquere, commettendo un odioso reato fiscale, ha prodotto gravi danni allo Stato, compromesso l’immagine della nazione all’estero; e per di più ha mostrato una tale disprezzo della legalità e delle virtù civiche da coinvolgere quasi tutti i suoi più stretti collaboratori nelle attività criminose.
Ci sarebbe piaciuto che il Tribunale fosse stato animato dal proposito di individuare il percorso rieducativo (non semplice, non facile da seguire) per un uomo che, come tutte le persone pubbliche dotate di qualche carisma, ha seminato pessimi esempi destinati, purtroppo, a far scuola. Sarebbe stato bello che i giudici sapessero interpretare il profondo sentimento popolare secondo cui la legalità sarebbe stata ripristinata solo con una decisione ferma e solenne, distante dalle polemiche contingenti, capace di riaffermare il primato del diritto e, nello stesso tempo, di recuperare una personalità con forti venature di ribellione alle regole e di preoccupante disinvoltura antisociale.
I giudici hanno sottovalutato la difficoltà del loro compito. Se ne sono liberati con questa uscita un po’ curiosa delle quattro ore settimanali di impegno sociale, senza chiedersi che cosa il condannato avrebbe fatto nelle restanti cento sessantaquattro ore della settimana. E in passato Berlusconi ha già mostrato di non sapere sempre impiegare il suo tempo in opere edificanti.
Diciamo che i giudici si sono mostrati ottimisti e fiduciosi del fatto che basti poco per recuperare anche i casi più gravi. Vogliamo essere ottimisti anche noi e sperare che lo stesso trattamento verrà usato anche nel caso dei poveri cristi, drogati impenitenti o ladruncoli per bisogno, che si ostinano a voler mangiare anche quando non hanno i soldi necessari.