Oggi, 6 luglio, si svolgerà a Latina un raduno di ricordo e di protesta per la morte di Satnam Singh.
Alla manifestazione, indetta da Flai Cgil e molte altre associazioni della società civile, ha già aderito Magistratura democratica con un documento del 1 luglio intitolato Per Satnam Singh e tutti gli altri e le altre (qui di seguito riportato).
Anche la Redazione di Questione Giustizia intende unirsi al movimento di denuncia e di condanna per lo sfruttamento del lavoro - gravoso, sottopagato, svolto in nero - dei moltissimi lavoratori migranti che sono costretti alla clandestinità da norme inadeguate ed inique.
Consentiteci di ricordarlo: non abbiamo atteso il dramma, l’orrore, il raccapriccio suscitati dalla vicenda di Satnam Singh per vedere e rappresentare l’illegalità, la disumanità e l’oppressione che sono ormai i tratti tipici delle condizioni di vita e di lavoro dei migranti e per proporre alternative possibili e rimedi praticabili.
Nei limiti delle nostre forze ma con la forza di analisi puntuali - condotte sulle norme, sui meccanismi sociali, sulle prassi economiche - abbiamo instancabilmente contribuito, in questi anni, a mettere in luce dati di realtà che la politica italiana, in special modo quella della destra al governo, si ostina a ignorare.
Il primo e più fondamentale di questi dati è che l’accoglienza di quote ampie e crescenti di migranti non deve essere considerata solo come una manifestazione di apertura, di solidarietà umana e di civiltà ma va vista come una esigenza della nostra economia e della nostra società, investite da fenomeni di invecchiamento della popolazione e di riduzione della natalità.
A questo postulato seguono importanti corollari.
I migranti potranno essere una preziosa risorsa economica e sociale solo a condizione che lo Stato e la collettività offrano loro adeguate vie di accesso alla vita civile ed al lavoro con programmi di insegnamento della lingua e di formazione professionale di base. L’esatto contrario delle politiche attuali che troppo spesso relegano i migranti a permanenti condizioni di clandestinità, marginalità ed ignoranza e li condannano così a vivere sotto ricatto in forme di semi schiavitù.
I migranti potranno efficacemente contribuire agli equilibri economici, fiscali e pensionistici del Paese se verrà posta fine alla piaga del lavoro nero e cesserà la cieca e inammissibile sottovalutazione, da parte del governo e delle autorità pubbliche, dell’evasione degli obblighi contributivi di questi lavoratori che arricchisce a dismisura una fascia ristretta di sfruttatori e scarica sulla collettività i costi attuali e futuri connessi alla presenza sotterranea e nascosta di grandi masse di stranieri nel Paese.
Infine, a fronte di uguale quantità e qualità del lavoro svolto, il compenso dei migranti deve essere lo stesso che spetta ai lavoratori italiani, se si vogliono evitare guerre tra poveri e forme di perniciosa concorrenza a ribasso nell’offerta di lavoro. Una prospettiva, questa, che fa comprendere l’enorme valore della proposta di introdurre con legge un salario minimo.
Senza una politica lungimirante sul fenomeno migratorio che purtroppo non è ancora alle viste; senza severità nei confronti di chi viola le leggi per arricchirsi sulla pelle dei migranti; senza azioni dirette a contrastare la clandestinità e favorire l’integrazione culturale e sociale e la formazione professionale dei nuovi arrivati, il Paese continuerà a dibattersi in insolubili contraddizioni nell’affrontare i nodi delle migrazioni ed a muoversi tra inganni, avventure e astiosa ricerca dei sabotatori delle “salvifiche” politiche governative.
Ieri lo sbandierato blocco navale, rivelatosi arnese utile solo per la campagna elettorale.
Oggi l’avventura della dislocazione dei migranti in Albania, che si preannuncia tanto vacua quanto costosa.
Sempre, infine, la polemica dura e a tratti intimidatoria contro i magistrati che si ostinano a pensare che l’interpretazione e l’applicazione delle norme in materia di immigrazione debbano essere svolte nel contesto dei principi costituzionali e del diritto dell’Unione.
Se per altri la terribile morte di Satnam Singh suona come una intimazione a voltare pagina, per noi è un monito a non abbandonare il campo e ad insistere nella ricerca di soluzioni positive e praticabili a quello che è uno dei più gravi problemi del nostro tempo.
La Redazione di Questione Giustizia.
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Per Satnam Singh e tutti gli altri e le altre
di Esecutivo di Magistratura democratica
Magistratura democratica aderisce alla manifestazione indetta dalla Cgil e da molte associazioni della società civile per il 6 luglio 2024 a Latina, in seguito alla morte di Satnam Singh, una morte terribile e inaccettabile.
Al processo, alle sue regole, spetterà accertare le responsabilità dei singoli in quella vicenda, ma non può negarsi che quella morte, le molte altre morti di lavoro povero e insicuro, le vite precarie di tanti lavoratori e tante lavoratrici rimandano a responsabilità collettive. Non si tratta solo della responsabilità dei governi, di ogni colore, che non hanno assegnato agli ispettorati del lavoro risorse sufficienti per un’attività di controllo minimamente effettiva, ma, più radicalmente, della responsabilità di organizzazioni di impresa (dalle piccole alle grandi, termini finali di lunghe filiere) i cui profitti o la cui stessa esistenza si fondano sulla compressione, anche oltre i livelli di povertà, del costo del lavoro e quindi anche degli strumenti (materiali e immateriali) per renderlo sicuro. Della responsabilità politica di chi ha consentito, in primo luogo con l’abolizione del principio di parità di trattamento retributivo negli appalti, la diffusione dell’appalto come strumento anche parassitario, privo di ragioni produttive diverse dalla sola riduzione del costo e dei rischi derivanti dalla titolarità dei rapporti di lavoro. Della responsabilità di chi, non consentendo, e anzi riducendo, adeguati canali legali di ingresso ai lavoratori stranieri in un paese che del loro lavoro ha un disperato bisogno, abbandona tanti uomini e donne alla tremenda vulnerabilità della condizione di irregolare e quindi allo sfruttamento o alla criminalità.
A queste responsabilità collettive non può che reagirsi collettivamente, insieme, come cittadini e cittadine di questo paese e questo oggi facciamo, aderendo alla manifestazione del 6 luglio 2024. Ma aderiamo anche come magistrati e magistrate che intendono partecipare, con il loro specifico sapere, al discorso pubblico. Un impegno che si affianca a quello, che ben sappiamo essere prioritario, nella giurisdizione, in cui è nostra la specifica responsabilità di tutelare i diritti fondamentali delle persone, con lo studio - delle norme e del modo in cui devono essere applicate – e con l’impegno tenace ad accertare i fatti, che è già un modo per rendere giustizia.