1. L’ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile in tema di solidarietà alimentare e l’intervento dell’Unar
Con l’ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile n. 658 del 29 marzo 2020, recante “Ulteriori interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, è stato disposto l’incremento del “fondo di solidarietà comunale” destinando 400 milioni di euro al finanziamento delle misure urgenti in tema di “solidarietà alimentare”[1].
In particolare è stato previsto che tali risorse siano ripartite tra i Comuni in proporzione alla popolazione residente e in base alla differenza tra il valore del reddito pro capite di ciascun Comune e il valore medio nazionale, ponderata per la rispettiva popolazione. Sulla base di quanto assegnato ai sensi di tale ordinanza, nonché di eventuali donazioni ricevute, ciascun Comune è autorizzato all’acquisizione di «buoni spesa utilizzabili per l’acquisto di generi alimentari presso gli esercizi commerciali contenuti nell’elenco pubblicato da ciascun comune nel proprio sito istituzionale» e direttamente di «generi alimentari o prodotti di prima necessità»[2]. Ciascun Comune è poi chiamato – tramite il proprio Ufficio dei servizi sociali – ad individuare la platea dei beneficiari ed il relativo contributo «tra i nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza epidemiologica da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno, per soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico»[3].
Proprio con riferimento alle modalità di determinazione dei beneficiari di dette prestazioni, l’ordinanza in questione ha sollevato da subito una certa attenzione, considerata l’ampia discrezionalità lasciata ai Comuni e, nello specifico, ai suoi Uffici amministrativi.
Da subito è intervenuta l’Unar, prima con una lettera indirizzata al Presidente dell’Anci[4], e poi formalizzando le “Linee guida in materia di interventi di solidarietà alimentare in esecuzione dell’ordinanza n. 658 del 29.03.2020 della protezione civile”[5], ove – proprio in riferimento alle condizioni di accesso alla prestazione – si evidenzia il profilo potenzialmente discriminatorio di criteri quali la cittadinanza italiana ovvero la cittadinanza dell’UE, il possesso del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo o la carta di soggiorno per il familiare del cittadino dell’UE. Secondo l’Unar, questi criteri «potrebbero infatti generare una discriminazione verso chi non possiede tali requisiti e tuttavia versa nella condizione “stato di bisogno” per richiedere i buoni alimentari». Stessa cosa varrebbe qualora fosse chiesta la residenza sul territorio comunale, presentando questo requisito «l’effetto di discriminare i potenziali beneficiari (senza fissa dimora) individuabili senza dubbio come soggetti in evidente stato di altissima fragilità sociale». Nelle linee guida viene dunque suggerito di estendere tali prestazioni a tutti i cittadini stranieri indipendentemente dal tipo di permesso di soggiorno posseduto, includendo altresì gli stranieri che sono privi di permesso di soggiorno e coloro che non sono iscritti all’anagrafe, perché domiciliati di fatto nel Comune, anche temporaneamente a causa del blocco della mobilità imposto dall’emergenza Coronavirus.
2. Le scelte di alcuni Comuni italiani e i ricorsi promossi dinanzi ai Tribunali di Roma, Ferrara e Brescia
Nell’ambito del margine di discrezionalità lasciato dall’ordinanza in questione, varie sono state le scelte dei Comuni italiani.
Con determinazione dirigenziale del 31 marzo 2020, il Comune di Roma ha approvato l’avviso pubblico recante “Assegnazione del contributo economico a favore di persone e/o famiglie in condizione di disagio economico e sociale causato dalla situazione emergenziale in atto, provocata dalla diffusione di agenti virali trasmissibili (COVID-19)”[6], regolando i criteri e le modalità per la concessione dei buoni spesa. Tale provvedimento indica come destinatari del contributo economico «le persone e le famiglie in condizione di assoluto e/o momentaneo disagio, privi della possibilità di approvvigionarsi dei generi di prima necessità». Possono inoltre beneficiare del contributo «anche i cittadini non residenti impossibilitati a raggiungere il proprio luogo di residenza». Sia che la persona risieda nel Comune di Roma, sia che si trovi nel Comune perché impossibilitata a raggiungere il proprio luogo di residenza, la domanda di contributo presuppone sempre la residenza sul territorio nazionale, la quale costituisce dunque un elemento di discrimine nell’accesso al beneficio, in danno di chi tale condizione non può formalmente vantare, ad esempio perché straniero privo di permesso di soggiorno. In relazione a tale provvedimento è stato presentato al Tribunale di Roma un ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere, in via di urgenza, l’ammissione di un cittadino filippino e del suo nucleo familiare al beneficio del buono spesa per famiglie in difficoltà pur in assenza di permesso di soggiorno e di residenza anagrafica nel Comune. La situazione del ricorrente appare peraltro indicativa di un consolidato radicamento sul territorio nazionale, avendovi questi fatto ingresso nel 2016 insieme alla compagna e ai figli di lei. Sul territorio nazionale la coppia ha avuto anche un altro figlio e il ricorrente vi ha regolarmente lavorato fino alla scadenza del permesso di soggiorno, per cui – da ultimo – era in corso di attivazione innanzi al Tribunale per i Minorenni di Roma un ricorso ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.lgs. 286/1998 (T.U. Imm.)[7].
In termini più restrittivi rispetto al Comune di Roma, il Comune di Ferrara, con le linee di indirizzo dell’1 aprile 2020, ha condizionato la fruizione dei buoni spesa alla residenza nel Comune e al possesso, da parte degli stranieri, del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, escludendo dunque gli stranieri regolarmente presenti sul territorio ma in possesso di un permesso di soggiorno di altro tipo. Alcuni cittadini stranieri ed ASGI hanno promosso ricorso ex art. 700 c.p.c. dinanzi al Tribunale di Ferrara per l’accertamento della natura discriminatoria di tale criterio di accesso, anche in relazione all’ordine di priorità a favore dei cittadini italiani e dell’UE, con condanna del Comune alla riformulazione delle condizioni di accesso e riapertura dei termini di presentazione delle domande[8].
In senso analogo a quanto previsto dal Comune di Ferrara, nel Comune di Bonate Sopra è stata espressamente prevista l’esclusione dall’inserimento nella graduatoria di fruizione dei buoni spesa i cittadini stranieri residenti privi di permesso di soggiorno UE per soggiornati di lungo periodo[9]. Anche avverso questo provvedimento viene presentato un ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c., che viene presentato dinanzi al Tribunale di Brescia da parte di ASGI e della Fondazione Guido Puccini Onlus[10], con il quale è richiesta l’adozione, anche con decreto inaudita altera parte, stante l’estrema urgenza di provvedere, del provvedimento cautelare ritenuto più idoneo a rimuovere gli effetti, «tale da porre i soggetti discriminati nella condizione in cui si sarebbero trovati in assenza della discriminazione».
Con il decreto del Tribunale di Roma del 22 aprile 2020[11], con il decreto del Tribunale di Brescia del 28 aprile 2020[12] e con l’ordinanza del Tribunale di Ferrara del 30 aprile 2020 sono stati decisi i ricorsi cautelari sopra richiamati. I tre provvedimenti offrono l’occasione per analizzare i principi di riferimento che dovrebbero guidare le amministrazioni locali nella definizione dei criteri di accesso al buono spesa[13], in un contesto nel quale i diritti dei singoli risultano (purtroppo) fortemente influenzati dal contesto locale di riferimento.
3. Le finalità del buono spesa alimentare come misura emergenziale
Preliminare ad ogni valutazione circa la legittimità dei requisiti di fruizione del buono spesa alimentare è l’analisi delle finalità di tale prestazione e, più specificamente, della sua natura nel contesto delle prestazioni di natura sociale.
I Tribunali investiti della questione affrontano tale profilo collegando il buono al soddisfacimento di esigenze primarie della persona umana. A tal proposito vengono in primo luogo individuate le ragioni che hanno determinato l’istituzione di questa misura nell’emergenza sanitaria in atto «per garantire alle persone più vulnerabili la possibilità di soddisfare un bisogno primario e un diritto fondamentale quale il diritto all’alimentazione»[14] e, in particolare, che «la ratio normativa che si evince dalla Ordinanza della Protezione Civile n. 658/2020 è quella di soddisfare le esigenze primarie – inerenti la salute psico-fisica e la dignità della persona – dei beneficiari»[15]. In questo contesto, il soddisfacimento del diritto all’alimentazione, come bisogno primario della persona, costituisce il presupposto per poter condurre un’esistenza dignitosa, nonché una condizione di garanzia per la vita e la salute della persona. Si tratta dunque di una prestazione che attiene a quel «nucleo insopprimibile di diritti fondamentali» che deve essere riconosciuto a tutte le persone in quanto tali[16].
Si ricorda a tal proposito che l’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo prevede che ogni individuo abbia diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia «con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà». E all’art. 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, si prevede che gli Stati parti riconoscano «il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario, ed un alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita».
Benché il diritto all’alimentazione non trovi un espresso riconoscimento nella Costituzione italiana, esso è nondimeno ricavabile da una serie di altre previsioni, tra cui in primo luogo il principio personalista di cui all’art. 2 Cost., il principio di uguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3, comma 2, Cost., le previsioni in tema di salute e assistenza sociale (artt. 32 e 38 Cost.). Sul punto si può richiamare anche la decisione della Corte costituzionale n. 10/2010, relativa alla c.d. social card, destinata al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche e sanitarie dei cittadini meno abbienti. Sebbene la questione sottoposta alla Corte attenesse al riparto di competenze tra Stato e Regioni, particolarmente rilevanti ai nostri fini sono le considerazioni che la Corte svolge in merito alla prestazione in questione, destinata – come oggi certamente sono i buoni spesa alimentari – «ad alleviare una situazione di estremo bisogno e di difficoltà nella quale versano talune persone, mediante l’erogazione di una prestazione che non è compresa tra quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, ma costituisce un intervento di politica sociale attinente all’ambito materiale dell’assistenza e dei servizi sociali». E a tal proposito la Corte riconduce tra i diritti sociali di cui deve farsi carico il legislatore nazionale «il diritto a conseguire le prestazioni imprescindibili per alleviare situazioni di estremo bisogno – in particolare, alimentare»[17].
Peraltro i buoni spesa alimentari non possono neppure ritenersi una prestazione “ordinaria”, costituendo essi una misura per far fronte alla situazione di grave indigenza nella quale si sono trovati i soggetti più vulnerabili a causa dell’emergenza Covid-19. È infatti evidente che la situazione venutasi a creare in Italia, così come nel resto del mondo, con la chiusura di molteplici attività e le limitazioni alla libertà di spostamento, ha aggravato la vulnerabilità di quelle persone che già vivevano in condizioni precarie.
4. L’illegittimità dei requisiti diversi dalla condizione economica e dal domicilio sul territorio
Una volta individuate la natura e le finalità del buono spesa alimentare, i Tribunali investiti della questione entrano nel merito delle condizioni fissate dai Comuni per il relativo godimento, e in particolare della legittimità della richiesta del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo e della residenza nel Comune o comunque sul territorio nazionale (che presuppone anche il possesso di un permesso di soggiorno).
Il primo profilo, relativo al permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, è centrale nelle decisioni dei Tribunali di Brescia e Ferrara, mentre i profili attinenti alla residenza e al possesso di un permesso di soggiorno sono trattati prevalentemente dal Tribunale di Roma. Tutte e tre le decisioni si caratterizzano per un’ampia analisi della giurisprudenza costituzionale di riferimento, sia attinente alla non discriminazione dei cittadini stranieri nell’accesso a prestazioni di natura, che relativa ai diritti fondamentali dello straniero, anche non regolarmente presente sul territorio nazionale.
Sotto il profilo normativo, le condizioni in questione risultano in contrasto con la legislazione di riferimento in tema di condizione giuridica dello straniero. Si ricorda a tal proposto che, ai sensi dell’art. 2 T.U. Imm., allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. In ogni caso, ai sensi dell’art. 41 T.U. Imm., gli stranieri titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale. Pertanto, in base a tali previsioni di carattere generale, tutti gli stranieri che hanno un permesso di durata almeno pari ad un anno dovrebbero poter accedere al buono spesa alimentare in condizione di parità con i cittadini italiani. A ciò si aggiunga che i titolari di protezione internazionale (rifugiati e titolari di protezione sussidiaria) hanno diritto alla parità di trattamento con i cittadini italiani nell’accesso alle prestazioni sociali anche ai sensi dell’art. 27 d.lgs. n. 251/2007. E anche i richiedenti asilo, seppure non iscritti all’anagrafe, hanno diritto, ai sensi dell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 142/2015, ai servizi comunque erogati sul territorio, nel luogo di domicilio come risultante dal permesso di soggiorno, dalla eventuale successiva comunicazione alla Questura o dall’accoglienza in una struttura. Quindi anche ad essi deve essere riconosciuta tale misura. Inoltre, va anche sottolineato come i requisiti fissati dai Comuni siano anche in contrasto con la stessa ordinanza della Protezione Civile n. 658/2020, che prevede il solo criterio della condizione economica ovvero dello stato di bisogno per soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali (con priorità per i nuclei familiari non già assegnatari di sostegno pubblico).
Per quanto riguarda, nello specifico, la richiesta della residenza nel Comune, o più in generale sul territorio nazionale, sì da escludere gli stranieri privi di permesso di soggiorno, ma anche in generale tutti i senza fissa dimora dalla misura in questione, è decisivo il richiamo alla giurisprudenza della Corte costituzionale. In più occasioni la Corte ha, infatti, chiarito che i diritti che la Costituzione proclama inviolabili spettano ai singoli «non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»[18] e che lo straniero è «titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona»[19]. Con specifico riferimento al diritto alla salute, la Corte ha inoltre chiarito che esiste un “nucleo irriducibile” protetto dalla Costituzione come «ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto», e questo nucleo irriducibile «deve perciò essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso».
Sul punto il Tribunale di Roma richiama anche la posizione del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, nel “Human Rights Comment” del 2015, per il quale «[i]l fatto che i migranti irregolari siano sprovvisti di documenti non significa che non debbano avere dei diritti. Ogni persona è titolare di diritti umani, indipendentemente dal suo status. È facile comprendere che il divieto di tortura si applica a tutti, ma dobbiamo anche essere coscienti dell’universalità dei diritti sociali minimi, poiché il godimento di questi ultimi è un prerequisito essenziale per la dignità umana»[20].
Per quanto riguarda invece la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di criteri di accesso alle prestazioni di natura sociale, occorre ricordare come la Corte abbia affermato sin dalla sentenza n. 432/2005, che «le scelte connesse alla individuazione delle categorie dei beneficiari – necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie – debbano essere operate, sempre e comunque, in ossequio al principio di ragionevolezza», e che al legislatore è consentito «introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una “causa” normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria». Numerose sono le pronunce che sono seguite, sia relative all’accesso a prestazioni sociali istituite a livello statale, che in relazione a misure introdotte a livello regionale. Tra le varie decisioni possono essere menzionate le sentenze n. 40 e 187/2010, richiamate anche dal Tribunale di Roma, ove si «approfondisce la connessione tra criteri di riconoscimento di un beneficio e condizioni strettamente attinenti alla persona». In particolare, a parere della Corte, tali tipologie di provvidenze, per la loro stessa natura, «non tollerano distinzioni basate né sulla cittadinanza, né su particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale». Infatti, ciò che assume valore dirimente, ai fini della possibile differenziazione tra cittadini e stranieri è il “concreto atteggiarsi delle prestazioni”, così da verificarne la relativa “essenzialità” agli effetti della tutela dei valori coinvolti. Se cioè la prestazione «integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei bisogni primari inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto»[21]. Ancora più chiaramente, nella recente sent. 44/2020, la Corte ha affermato che «i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione del servizio»[22] e il «giudizio sulla sussistenza e sull’adeguatezza di tale collegamento – fra finalità del servizio da erogare e caratteristiche soggettive richieste ai suoi potenziali beneficiari – è operato [dalla] Corte secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., che muove dall’identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto».
In questo contesto anche la richiesta di un certo radicamento sul territorio – del quale il permesso UE per soggiornanti di lungo periodo ovvero la residenza può essere indice – non potrebbe comunque assumere importanza tale da escludere qualsiasi rilievo del bisogno. Sul punto, come chiarito dal Tribunale di Roma, «se senz’altro è possibile individuare un necessario legame con il territorio del comune tenuto all’erogazione, esso può e deve essere limitato alla abituale dimora dell’avente diritto», poiché – occorre ribadire – «alla condizione della mera presenza sul territorio dello stato consegue il riconoscimento di un novero di prestazioni strettamente connesse alla tutela della vita umana»[23].
Peraltro proprio nell’ambito del caso romano emerge l’ulteriore e grave ripercussione che il diniego del buono spesa alimentare può avere sul nucleo familiare del quale facciano parte minori, anch’essi coinvolti nella descritta situazione di disagio economico e sociale e dunque esposti ad un «serio e concreto pericolo legato alla sfera del loro diritto alla vita, all’integrità personale, all’alimentazione e al sano e completo sviluppo psicofisico». Viene dunque ancora una volta confermata l’esigenza di valutare lo stato di bisogno effettivo dei richiedenti e la sua situazione personale, al fine di offrire una risposta a bisogni primari della persona e dell’intero suo nucleo familiare[24].
In conclusione, tutti e tre i ricorsi vengono accolti, con eventuale seguito processuale in relazione ai provvedimenti di Roma e Brescia[25].
5. Rilievi conclusivi. La solidarietà alimentare e i bisogni primari della persona
Le decisioni dei Tribunali di Roma, Brescia e Ferrara sulle condizioni di accesso ai buoni spesa alimentari offrono chiare indicazioni in merito ai principi che dovrebbero orientare gli enti locali nella ripartizione delle risorse ricevute per far fronte alla situazione emergenziale.
In particolare, in ossequio al principio di non discriminazione e alla tutela di diritti umani fondamentali, gli enti locali dovrebbero fissare condizioni di accesso basate esclusivamente sulla condizione di disagio economico e sul domicilio (e non residenza) nel territorio comunale. In tal modo potrebbe essere offerta una risposta non solo a coloro che si trovano temporaneamente nel Comune (perché in ragione delle limitazioni agli spostamenti non sono potuti rientrare nel luogo di residenza), ma anche a chi non ha una residenza, perché senza fissa dimora o perché privo di permesso di soggiorno.
Sebbene l’Unar abbia elaborato alcune linee guida sul tema, le scelte degli enti locali si sono caratterizzate per una estrema varietà, con riflessi negativi sulle categorie più vulnerabili, le quali assai difficilmente saranno in grado di tutelare i propri diritti nelle sedi giurisdizionali, se non – come abbiamo visto – supportate anche da associazioni legittimate a promuovere azioni antidiscriminazione. Peraltro, l’informalità con la quale sono stati adottati i criteri di accesso al buono spesa – questi ultimi introdotti talvolta direttamente nel modello di domanda delle prestazioni (ove viene richiesto di inserire il luogo di residenza nel Comune oppure il possesso del permesso di soggiorno in corso di validità) – rende ancora più articolata sul territorio la variabilità delle condizioni di accesso e la loro conoscibilità.
Sul punto è intervenuto anche il Tar per l’Abruzzo[26], il quale, richiamando le suddette linee guida Unar, ha accolto l’istanza di sospensione promossa avverso la deliberazione della Giunta del Comune dell’Aquila n. 211/2020 (e i successivi atti adottati per l’assegnazione dei buoni spesa per generi alimentari)[27], affermando in particolare che il provvedimento impugnato non appare prima facie legittimo «nella parte in cui riserva l’accesso alla misura di sostegno ai nuclei in stato di bisogno, solo ai “residenti nel Comune dell’Aquila”». Analogamente, con decreto cautelare ante causam, il Tar per la Basilicata[28] ha sospeso la delibera della Giunta del Comune di Matera 31.3.2020, n. 74, nella parte in cui limita l’accesso ai buoni spesa ai nuclei familiari titolari di permesso di soggiorno e residenti nel Comune ammettendo con riserva il ricorrente al beneficio.
In questo tempo di grande difficoltà per tutta la popolazione, si è chiamati ad una reale solidarietà, e cioè a contribuire ad un bene comune in ossequio a quando previsto dall’art. 2 della Costituzione, laddove si richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale: una solidarietà che, come evidenziato in dottrina[29], è la ratio giustificatrice dei doveri imposti dalla Costituzione ed è inscindibilmente connessa al principio personalista, costituendo la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente. Tale principio si collega inoltre al divieto di discriminazione e quindi al principio di uguaglianza, in senso formale e sostanziale, presupponendo al contempo l’impegno della Repubblica a rimuovere quegli ostacoli che di fatto impediscono la piena libertà e l’uguaglianza tra le persone[30], di qui l’intervento dello Stato nel supportare i Comuni interessati dall’emergenza epidemiologica mediante un primo incremento del fondo di solidarietà comunale. Questa solidarietà, in tempo di emergenza, trova un’ulteriore declinazione come “solidarietà alimentare”: termine forse ambiguo ma certamente suggestivo, in grado di richiamare il ruolo degli enti territoriali e della società civile verso l’obiettivo comune di assicurare a tutti, cittadini e stranieri, il soddisfacimento di bisogni primari, strettamente connessi alla tutela della vita e della dignità della persona. Non è forse questa la radice della solidarietà e il fine ultimo delle istituzioni?
[1] Si segnala che con il Dpcm del 28 marzo 2020 è stata rideterminata, incrementandola, la dotazione del Fondo di solidarietà comunale 2020.
[2] Cfr. art. 2 OCDPC 29 marzo 2020, relativo al riparto delle risorse per la solidarietà alimentare.
[3] Si veda in part. art. 2, comma 6, OCDPC 29 marzo 2020 cit.
[4] Si veda il comunicato del 6 aprile 2020 (www.unar.it/emergenza-covid-19-lunar-scrive-allanci-no-a-ordinanze-comunali-discriminatorie-sugli-aiuti-alimentari/), e la successiva lettera del 16.4.2020, disponibile al sito: http://www.unar.it/wp-content/uploads/2020/04/lettera-Anci.pdf.
[5] Si vedano le linee guida del 16 aprile 2020, disponibili al sito:http://www.unar.it/wp-content/uploads/2020/04/linee-guida-UNAR.pdf.
[6] Cfr. determinazione dirigenziale del 31 marzo 2020, n. 913 (Dipartimento delle Politiche Sociali), poi successivamente modificata con determinazione dirigenziale n. 940 del 2 aprile 2020.
[7] Si ricorda che ai sensi di tale previsione, il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge.
[8] Nel corso del giudizio intervengono anche altri cittadini stranieri, sempre titolari di permessi di soggiorno diversi da quello per soggiornanti di lungo periodo, ed enti e associazioni ai sensi dell’art. 5 nell’art. 5 del d.lgs. n. 215/2003. Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’art. 5 del d.lgs n. 215/2003 sono legittimate ad agire nei giudizi per il riconoscimento della sussistenza delle discriminazioni in tema di razza e origine etnica (si veda l’art. 2 del suddetto decreto) anche gli enti inseriti in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità (da ultimo adottato con Dm 13 marzo 2013). Nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione. Le associazioni e gli enti inseriti nell'elenco sono altresì legittimati ad agire ai sensi nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione.
[9] Cfr. delibera di Giunta comunale del 6 aprile 2020, con la quale sono state approvate le modalità per l’erogazione delle somme assegnate nell’ambito delle risorse da destinare a misure urgenti di solidarietà alimentare, prevedendo che sia formata una graduatoria stilata sulla base di specifici criteri individuati in un apposito disciplinare. Per quanto qui interessa, all’art. 4 di detto disciplinare si prevede che i beneficiari siano individuati mediante la stesura di apposita graduatoria stilata dal servizio sociale sulla base di alcuni criteri generali: «a. residenza nel Comune di Bonate Sopra, ivi compresi cittadini stranieri con premesso di soggiorno illimitato o di lungo periodo; b. contributi pubblici percepiti; c. reddito familiare; d. giacenza conto corrente e. attuale situazione lavorativa; f. presenza di minori; g. abitazione».
[10] A tal proposito si evidenzia che entrambi gli enti sono iscritti nell’elenco previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 215/2003 (D.M. 13.03.2013 cit.).
[11] Si tratta di un decreto fissazione udienza cautelare con provvedimento inaudita altera parte.
[12] Si tratta di un decreto fissazione udienza cautelare con provvedimento inaudita altera parte.
[13] Le decisioni presentano anche altri profili di interesse in tema di giurisdizione e legittimazione ad agire.
[14] Tribunale di Roma, decreto 22 aprile 2020, p. 3; Tribunale di Brescia, decreto 28 aprile 2020, p. 4.
[15] Tribunale di Ferrara, ordinanza 30 aprile 2020, p. 13.
[16] Sul punto Tribunale di Roma, decreto 22 aprile 2020, p. 8; Tribunale di Brescia, decreto 28 aprile 2020, p. 5; Tribunale di Ferrara, ordinanza 30 aprile 2020, p. 12.
[17] Corte cost. sent. 10/2010, §§ 6.3 e 6.4 Cons. in dir. Sul “diritto di togliersi la fame”, cfr. S. Scagliarini, Diritti sociali nuovi e diritti sociali in fieri nella giurisprudenza costituzionale, in www.gruppodipisa.it, 2012, p. 30.
[18] Corte cost. sent. 105/2001.
[19] Corte cost. sent. 148/2008.
[20] Il comunicato del 20.8.2015 è disponibile al sito www.coe.int .
[21] Per un’analisi della giurisprudenza costituzionale di riferimento, cfr. A. Guariso (a cura di), Stranieri e accesso alle prestazioni sociali, 2018, in www.asgi.it .
[22] Si vedano, ex plurimis, Corte cost. sentenze n. 166 e n. 107/2018, n. 168/2014, n. 172 e n. 133/2013 e n. 40/2011.
[23] Tribunale di Roma, decreto 22 aprile 2020, p. 6.
[24] B. Pezzini, Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non cittadino, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, Atti del XXIV Convegno annuale AIC, Cagliari, 16-17 ottobre 2009, Jovene, Napoli, 2010, p. 223, evidenzia come esista un’area di diritti rispetto ai quali non rilevano né il titolo di ingresso e soggiorno né la sua durata: si tratta di «diritti sociali personalissimi», in cui viene in gioco l’esistenza stessa della persona.
[25] Si ricorda a tal proposito che si tratta di decreti inaudita altera parte. In tali occasioni il giudice si riserva di provvedere alla modifica o revoca del provvedimento a seguito dell’instaurazione del contradditorio.
[26] Cfr. Tar per l’Abruzzo, decreto n. 79/2020, pubblicato il 22 aprile 2020.
[27] Si fa riferimento alla successiva determinazione dirigenziale n. 1500/2020 e all’avviso pubblico per l’assegnazione dei buoni spesa per generi alimentari Emergenza Covid.19 - OPC n. 658 del 29 marzo 2020.
[28] Cfr. Tar Basilicata, decreto n. 111/2020, pubblicato il 30 aprile 2020.
[29] Sul punto chiaramente E. Rossi, La doverosità dei diritti: analisi di un ossimoro costituzionale?, in F. Marone (a cura di), La doverosità dei diritti. Analisi di un ossimoro costituzionale. Atti del Seminario di Napoli, 19 ottobre 2018, Editoriale scientifica, Napoli, 2019, p. 12, e A. Ruggeri, Il principio personalista e le sue proiezioni, in Federalismi.it, 17, 2013, p. 12.
[30] Sulla distinzione tra la solidarietà fraterna, operante sul piano orizzontale del rapporto tra cittadini, e solidarietà paterna o istituzionale, operante sul piano verticale del rapporto tra Stato e cittadini, cfr. E. Rossi, Art. 2, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, p. 57-58.