Le attuali distanze tra i sistemi attraverso i quali si regola, nei Paesi della UE, il risarcimento dei danni alla persona, patrimoniali e non, impone che, a partire dai principi comuni fissati dalle fonti e dalle corti europee, si coltivi il percorso verso una tendenziale unificazione delle soluzioni, che non può prescindere dalla fondamentale considerazione del riconoscimento della dignità della persona. In questo, la giurisprudenza italiana, ed il suo elevatissimo livello di elaborazione, sapranno essere capofila di un’evoluzione necessaria.
1. Premessa
Parlare dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, a livello interno e comunitario, del risarcimento del danno alla persona negli ultimi 15 anni è un compito difficile: le regole attualmente riscontrabili nei diversi stati membri della UE risultano essere molto diverse fra loro ove si operi un raffronto fra le fattispecie sostanziali che trovano un positivo riconoscimento nei vari sistemi e fra i vari criteri usati per la quantificazione.
Ciò non significa che non vi siano alcuni punti in comune fra i diversi Stati: certamente, anche grazie all’intervento incisivo e progressivamente unificante delle istituzioni europee (fra i primi interventi si segnala la Risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa n. 7-75 sul danno alla persona), si è venuta ad affermare una serie di principi generali sostanzialmente sovrapponibili, anche se questi trovano applicazione in modo assai variegato all’interno dei vari stati membri.
Basterebbe richiamare, al proposito, le modalità di quantificazione dei danni non patrimoniali e la loro stessa riconoscibilità; oppure i diversissimi approcci che si hanno nella valutazione medica delle lesioni.
Un confronto fra i diversi paesi, infatti, consente di constatare che in alcuni la sofferenza ed il pregiudizio derivante dalla violazione del corpo è riconosciuta in modo talmente riduttivo da tradursi in una totale assenza di tutela.
Il livello di protezione interno dei singoli stati membri presenta contrasti stridenti: se da una parte, infatti, è stato chiaramente affermato dalla “nostra” Corte di Cassazione (Cass., sent. n. 19405/2013) che per “ordine pubblico” deve intendersi “l’ordine pubblico internazionale” costituito da tutte le norme che tutelano i diritti fondamentali della persona (con un esplicito richiamo, rispetto al caso affrontato, all’art.8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che tutela la intangibilità delle relazioni familiari ed all’art. 7 della Carta di Nizza per la quale il risarcimento rappresenta la forma minima ed imprescindibile di tutela), dall’altra si constata, attraverso l’esame delle legislazioni dei ventotto paesi della UE, ma anche solo di quelli a noi più vicini e cioè Spagna, Francia e Portogallo, che esiste una totale disomogeneità della normativa dei singoli stati sia nella individuazione delle categorie da tutelare, sia nella quantificazione del danno da riconoscere.
Se poi si esamina la legislazione di alcuni paesi del nord Europa (Svezia, Germania, Austria ed Olanda) si constatano profonde diversità e sensibilità di approccio al problema: ad esempio, non è affatto riconosciuto il danno morale per perdita parentale, ragione per la quale con la pronuncia sopra richiamata, sul presupposto che ogni qualvolta si parli di ordine pubblico si debba prendere a riferimento l’ordine pubblico internazionale, è stato ritenuto ostativo all’applicazione, nell’ordinamento italiano, dell’art. 1327 ABGB (codice civile austriaco) che limita il risarcimento al solo danno patrimoniale escludendo, ad esempio, il riconoscimento del c.d. danno per perdita parentale.
2. Le fonti comunitarie
Lo sviluppo dell’analisi prende le mosse dalle due norme fondamentali sopra richiamate (art 8 CEDU ed art. 7 Carta di Nizza) alle quali devono certamente associarsi gli artt. 1, 2 e 3 della Carta di Nizza che prevedono che debbano essere tutelate la dignità umana, il diritto alla vita e l’integrità fisica e psichica della persona: i diritti fondamentali dunque, anche nella materia in esame, rappresentano la cornice all’interno della quale si deve sviluppare l’attività ermeneutica, al fine di creare un sistema complessivamente armonico.
Al riguardo va detto che, ad esempio, non è più in discussione a livello interpretativo che debba essere risarcito oltre al danno patrimoniale - costituito dal pregiudizio economico che abbia un riscontro con il lucro cessante o le spese sostenute per il ripristino della condizione personale precedente all’evento - anche quello non patrimoniale che è costituito da tutti gli aspetti che possono essere oggetto di personalizzazione: del resto, la materia in esame è caratterizzata sia dal variegato atteggiarsi degli eventi dannosi, sia dalle sfaccettate ripercussioni che essi hanno sulla persona nella sua interezza, con la conseguenza che una quantificazione rigida non rispetterebbe i diritti fondamentali sopra richiamati, primo fra tutti la dignità della persona.
All’interno di questa cornice si collocano le fonti successive, emanate nella prospettiva di una progressiva estensione della risarcibilità del danno alla persona a tutti i suoi possibili aspetti.
Il Regolamento Roma II (864/2007) dell’11.7.2007, ad esempio, ha sancito alcuni fondamentali principi per stabilire quale sia la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, soprattutto nei casi di sinistri transfrontalieri, prevedendo, ad esempio, per le ipotesi di danno ambientale (art. 7) un foro alternativo costituito dalla legge del luogo del danno o dalla legge del luogo del fatto con ciò creando una forte spinta verso gli standard di sicurezza più elevati nello svolgimento dell’attività imprenditoriale.
Nel preambolo, il regolamento richiama l’esigenza di uniformità al fine di favorire la prevedibilità dell’esito delle controversie giudiziarie, la certezza circa la legge applicabile e la libera circolazione delle sentenze.
Fissa, inoltre, come regola generale in materia di obbligazioni extracontrattuali il principio della “lex loci delicti commissi”, accompagnata da una clausola di salvaguardia dalla quale è immediatamente desumibile la rilevanza, universalmente attribuita nella materia, al caso concreto e quindi alla dignità della persona .
La Direttiva 2005/14/CE, poi abrogata dalla Direttiva 2009/103, ha allargato il varco in favore di maggiori tutele per il danneggiato: ha rimarcato che l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione degli autoveicoli riveste una particolare importanza per i cittadini europei, sia in quanto contraenti sia come parti lese di un sinistro e ribadisce che l’obbligatorietà è di fondamentale importanza per le compagnie di assicurazione, in quanto rappresenta una parte consistente dell'attività assicurativa, ramo non vita, nella Comunità, oltre ad avere un impatto sulla libera circolazione di persone e veicoli. La Direttiva, nell’indicare la necessità che il sistema comunitario dell’assicurazione degli autoveicoli debba essere aggiornato e migliorato, “raccomanda” che la tutela dei cittadini sia realizzata attraverso l’azione diretta nei confronti delle compagnie di assicurazioni.
La Direttiva 2009/103, disciplinante la RCA per sinistri stradale, ha abrogato la Direttiva 2005/14/CE assorbendone il contenuto ma imponendo un aumento dei massimali assicurativi minimi con previsione, nel caso di danni alle persone, di un importo minimo di copertura pari a 1.000.000 di euro per vittima o a 5.000.000 di euro per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime; nel caso di danni alle cose, 1.000.000,00 di euro per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime
3. La giurisprudenza
Ma l’opera più rilevante è stata svolta dalla giurisprudenza delle Corti nazionali ed europee.
In tutte le pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – emesse in materia di risarcimento del danno per espropriazioni illegittime, collocazione dell’identità di genere, danno da sovraffollamento carcerario, diritto al nome, etc. - viene richiamato sempre il principio secondo cui il ristoro deve consistere in una compensazione piena e giusta,con esplicito riferimento agli artt. 6 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Anche la Corte di Giustizia, nel ribadire tale principio, ha sottolineato l’esigenza di vietare discriminazioni di genere nella determinazione dei premi assicurativi (sentenza 1.3.2011, caso Test – Achats C-236/2009): il caso è stato proposto in relazione alla legislazione belga che aveva recepito la direttiva 2004/113 infrangendo il principio di parità di trattamento, ma presenta ricadute generali sull’intero sistema. La materia assicurativa, infatti, risulta indissolubilmente collegata a quella risarcitoria, tenuto conto della progressiva diffusione delle polizze sulla vita e contro i danni e, in materia di responsabilità extracontrattuale per sinistri stradali, della obbligatorietà di esse. Al riguardo, deve sottolinearsi che, nell’ambito dei sinistri stradali, la valorizzazione dell’azione diretta nei confronti delle compagnie di assicurazione era stata ribadita già dalla direttiva 2005/14/CE che aveva sottolineato la necessità di garantire al danneggiato l’azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione del responsabile civile.
Nella comparazione dei vari sistemi risarcitori esistenti nei paesi della UE, peraltro, gli enunciati sopra richiamati sono spesso contraddetti dalla diversità delle soluzioni.
E’ evidente una netta spaccatura tra due sottogruppi di sistemi: vi sono infatti, da un lato, Italia e Spagna nei quali la posta principale di danno (volendo seguire una concezione di distinzione “bipolare” in danni “patrimoniali” e “non patrimoniali”) è rappresentata da “danni non patrimoniali” (ovvero non legati da alcuna relazione con il reddito della vittima) mentre nell’altro gruppo questa tipologia di danno è del tutto residuale (Francia) o addirittura assente (Germania).
Bisogna in ogni caso considerare che in Spagna gli aventi diritto “a carico” della vittima (ove dal sinistro sia derivata la morte) ricevono una pensione statale che non è inclusa nel conteggio del danno patrimoniale e per la quale non c’è diritto di rivalsa nei confronti del civilmente responsabile o del suo assicuratore.
Per quanto riguarda i danni alla persona, in tutti i sistemi giuridici , eccezion fatta per la Spagna dove esiste da diversi anni una tabella di legge (Baremo) che prevede voci risarcitorie unitarie, il conteggio viene effettuato con tecniche piuttosto simili. Ma la divergenza più accentuata, quella che rende i sistemi risarcitori completamente diversi fra loro, riguarda i c.d. “danni non patrimoniali”.
Solo per fare alcuni esempi, nel Regno Unito l’importo previsto a titolo di “danno non patrimoniale” è pari a quello fisso di € 13.686,00 (corrispondenti a £ 11.800) che è la somma, soggetta a rivalutazione, attualmente riconosciuta per il “danno da lutto” (bereavement damage).
Tale importo è unico e viene suddiviso fra tutti gli aventi diritto che sono espressamente previsti dalla legge: i soli genitori, nel caso di decesso di un ragazzo di età inferiore ai 18 anni; e il solo coniuge nel caso di decesso del partner.
Tutti gli altri familiari (compresi i figli nel caso del decesso di un genitore) non sono considerati dalla legge come “aventi diritto”.
Questo sistema, soprattutto se calato in un contesto di confronto con gli altri paesi europei, desta molte perplessità e ha ovviamente suscitato un acceso dibattito interno. Alcune associazioni britanniche di consumatori e di legali hanno perfino proposto l’abolizione dei “bereavement damages” ritenendo le somme “offensive” nella loro esiguità.
La ripercussione politica del dibattito riguardante l’insufficienza delle somme liquidate ha portato alla creazione di una commissione governativa che ha studiato la tematica ponendo al vaglio del governo alcune proposte volte ad allargare il novero degli aventi diritto (si è proposto di includere quantomeno figli, fratelli e genitori anche nel caso di decesso di soggetti di età superiore ai 18 anni) e rendere più flessibile la somma complessiva oggetto del risarcimento (la somma massima proposta arriva comunque di poco al di sotto di £ 30.000).
Ma allo stato nessun cambiamento risulta ancora introdotto.
Se nel Regno Unito il danno “non patrimoniale” da lutto è risarcito con una somma fissa ed esigua, in Germania nulla è previsto a tale titolo: infatti , in tale paese si può corrispondere un risarcimento a titolo di danno “non patrimoniale” quale conseguenza di un decesso, solo qualora la morte del congiunto sia avvenuta con modalità o in circostanze del tutto particolari (ad es. decesso avvenuto in presenza di uno o più congiunti aventi diritto, circostanza questa che costituirebbe il presupposto per il risarcimento di una sorta di “danno da shock“) e nei casi in cui la reazione al lutto ecceda il “normale” dolore, causando un danno da “stress post-traumatico”.
Tranne che nelle ipotesi eccezionali sopra menzionate, il danno “non patrimoniale” per lesione del rapporto parentale non trova in Germania alcun ristoro.
4. Il sistema italiano
Dall’esame dei vari sistemi dei paesi della UE emerge che l’Italia si pone in posizione di eccellenza – rispetto alle garanzie di tutela del danneggiato – ove la legislazione interna e l’opera della giurisprudenza venga confrontata con i principi richiamati nelle Carte e dalle Corti europee.
Nel sistema italiano, infatti, la fattispecie danno non patrimoniale si è sviluppata ed evoluta con modalità del tutto originali rispetto al resto d’Europa, soprattutto per quanto riguarda l’accurata elaborazione contenuta nel sistema tabellare: gli importi previsti dai range risarcitori per il danno biologico e per gli aspetti “morali” del danno, annualmente rivalutati, tengono conto dell’età del danneggiato e della speranza di vita media della persona, al fine di garantire uniformità nelle decisioni; il danno non patrimoniale riconoscibile in favore dei parenti della vittima deceduta viene determinato (v. la tabella del Tribunale di Roma per la previsione di una larga varietà di indici personalizzanti) sia in riferimento ad un grado di parentela più o meno stretto, sia in relazione all’età della vittima e del congiunto deceduto, sia infine alla sussistenza o meno della pregressa convivenza.
Tutta questa elaborazione garantisce al danneggiato una valutazione del pregiudizio subito che tende a non sacrificare la tutela della sua dignità.
Deve al riguardo segnalarsi il valore unificante dell’attività ermeneutica dei giudici costituzionali, di legittimità e di merito.
Si segnalano solo alcune pronunce particolarmente significative.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 180/2009 ha chiarito che l’azione diretta del danneggiato contro il proprio assicuratore introdotta dall’art. 149 C.d.A. (D.l.vo 7 settembre 2005 n. 209, come integrato dalla L. 21 febbraio 2006 n. 102) non rappresenta una diminuzione di tutela, ma un ulteriore rimedio a sua disposizione, dal momento che il Codice delle Assicurazioni si è limitato a rafforzare la posizione dell’assicurato rimasto danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia di assicurazione, senza peraltro togliergli la possibilità di far valere i suoi diritti secondo i principi della responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso.
La Corte precisa che il sistema di liquidazione del danno introdotto è volto ad assicurare un rafforzamento della protezione dei consumatori e dei contraenti deboli attraverso il riconoscimento di una ulteriore modalità di tutela; e che l’aver ammesso accanto all’azione diretta introdotta dalla norma censurata la persistenza della tradizionale azione di responsabilità civile toglie fondamento a qualsiasi sospetto legato a profili di lesione del diritto di azione, del principio del giusto processo ed alla disparità di trattamento riguardo ad altre categorie di danneggiati.
La Corte ha sottolineato di essere consapevole dei non pochi problemi di coordinamento fra la fase stragiudiziale e quella giudiziale successiva, ma ha rimesso espressamente la loro soluzione all’attività dei giudici di merito.
La Corte di Cassazione, dopo le notissime sentenze di “San Martino” (Cass., nn. 26972-26973-26974-26975/2008) che hanno valorizzato il carattere unitario del danno, ha richiamato l’esigenza di evitare vuoti risarcitori (Cass., n. 19402/2013); ha valorizzato il criterio tabellare e l’uniformità che ad esso deve ispirarsi (Cass., n. 12408/2011); ha escluso la possibilità di liquidazioni traducibili in “gabbie risarcitorie” (Cass., n. 7932/2012, n. 24201/2014) ritenendo che il luogo in cui il danneggiato abitualmente vive è un elemento estraneo e successivo alla fattispecie dell’illecito che non può interferire sulla misura del risarcimento del danno; ha riaffermato la tutela imprescindibile del terzo trasportato (Cass., n. 19963/2013); ed infine (SS.UU., n. 15350/2015), con una raffinata quanto discussa soluzione resa al fine di comporre un contrasto interpretativo creatosi fra le sezioni semplici, ha escluso la possibilità di riconoscere il danno tanatologico iure haereditatis ai parenti della vittima di un sinistro, in tutti i casi in cui il fine vita non è stato percepito dal de cuius per un tempo apprezzabile, tale da aver potuto configurare in capo allo stesso un danno biologico trasmissibile, con ciò uniformandosi agli orientamenti di quasi tutti i paesi della UE (con l’unica eccezione rappresentata dalla giurisprudenza portoghese).
5. Il collegamento con il sistema assicurativo e la sostenibilità della giurisprudenza sul danno: i valori in gioco
La materia risarcitoria è strettamente collegata a quella assicurativa: oltre alle controversie che hanno per oggetto la responsabilità civile per sinistro stradale in cui la compagnia di assicurazione è litisconsorte necessario, in tutti i casi in cui viene dedotta la responsabilità extracontrattuale di un soggetto assicurato a copertura dei danni verso terzi (responsabilità per colpa professionale , insidie stradali derivanti da omessa manutenzione in cui gli enti locali hanno contratto una polizza assicurativa per danni a terzi, responsabilità delle scuole per eventi dannosi ascrivibili agli alunni, responsabilità per aggressione di animali, responsabilità per svolgimento di attività pericolose, etc.), la chiamata in garanzia della compagnia di assicurazione sfocia, in caso di accoglimento della domanda, nella condanna a manlevare il soggetto tenuto a soddisfare le pretese derivanti dalla pronuncia giudiziaria.
Il sistema sul quale è basato il meccanismo assicurativo si avvale di un calcolo probabilistico in cui da una parte esiste l’ammontare dei premi pagati e dall’altra l’erogazione degli indennizzi cui il danneggiato ha diritto a seguito dell’accertamento delle proprie ragioni: affinché l’equilibrio economico si mantenga in attivo, anche al fine di consentire alle compagnie di assicurazione di realizzare lo scopo di lucro che costituisce l’oggetto sociale di tutte le imprese commerciali, l’ammontare degli indennizzi non può superare quello dei premi pagati e rivalutati.
Necessariamente, quindi, si sono creati due livelli di tutela: quello legato al rispetto dei diritti fondamentali , sopra (sia pur sinteticamente) descritto, e quello fondato sulla valutazione di rischi, sul sistema card e sulle stanze di compensazione dove “devono tornare i conti”.
La compatibilità fra i due livelli è spesso messa in crisi e, sempre più frequentemente, viene invocato il c.d. principio di sostenibilità delle decisioni giudiziarie.
La scala di valori imposta dalle fonti europee e dalla giurisprudenza delle Corti può essere sovvertita in ragione di una valutazione del danno alla persona misurato sul parametro della sostenibilità?
Ritengo che la risposta debba essere negativa.
La soluzione, dunque, necessita di un intervento di tipo economico da parte delle istituzioni europee che si prefigga lo scopo di abbattere le frontiere ancora esistenti nei diversi paesi della UE introducendo una comunitarizzazione del principio di solidarietà che consenta di uniformare fra i 28 Stati il valore della dignità della persona.
Si tratta di un obiettivo da realizzare valorizzando la giurisprudenza di merito dei paesi che hanno mostrato maggiore sensibilità in punto di tutela dei diritti fondamentali e che, anche attraverso il fermo disconoscimento di ingiuste forme di duplicazioni risarcitorie contrastanti con il principio indennitario, hanno dato una formidabile spinta verso l’abbattimento di una impostazione individualistica e restrittiva delle garanzie.
Sarà quindi importante continuare a non recedere dall’eccellente livello al quale sono arrivati i giudici italiani ed a diffondere le loro consapevoli pronunce in tutta Europa.