Magistratura democratica
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Quale discrezionalità per il CSM ? Il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti del CSM *

di Giuseppina Guglielmi
giudice del tribunale di Roma, già addetta all’ufficio studi e documentazione del CSM

1. Premessa 

Il titolo della sessione ha opportunamente anteposto all’esame della questione più specifica, concernente il controllo giurisdizionale sugli atti del Consiglio Superiore della Magistratura, la riflessione, sollecitata nell’incipit (Quale discrezionalità per il CSM?), sul tema generale relativo alla discrezionalità consiliare.

Il rapporto con il giudice amministrativo, sempre centrale nel dibattito sull’ampiezza della discrezionalità consiliare, è tornato a essere attualissimo dopo le note vicende emerse dall’indagine perugina per la diffusa convinzione che gli esiti del contenzioso amministrativo siano il sintomo di oggettive criticità afferenti alle concrete modalità con le quali l’Organo esercita la propria discrezionalità, soprattutto nella selezione della dirigenza giudiziaria.

Un tale approccio alla questione della discrezionalità consiliare, e al connesso tema del sindacato del giudice amministrativo sugli atti che ne sono espressione, non solo muove da un dato di fatto -vale a dire l’incremento, nel periodo più recente, delle pronunce di annullamento delle delibere consiliari- che non trova riscontro nei dati statistici nella disponibilità del Consiglio[1], ma condurrebbe a focalizzare l’attenzione su vicende singole, oggetto di specifici contenziosi, e a ridurre all’esame dei loro esiti la questione, più complessa, relativa all’oggettiva difficoltà di individuare il giusto punto di equilibrio tra l’indiscusso principio di giustiziabilità degli atti consiliari da parte del giudice amministrativo, e l’esigenza, di pari rilievo, di preservare in capo al Consiglio le prerogative di discrezionalità necessarie per un effettivo esercizio delle sue attribuzioni costituzionali.

In sostanza, se le criticità che si manifestano nell’attività del Consiglio non possono essere ignorate, occorre nondimeno rifuggire dalla semplificazione secondo cui gli esiti del contenzioso amministrativo costituiscono il parametro sulla base del quale valutare se, e in che misura, occorra ridisegnare il perimetro della discrezionalità consiliare.

La riflessione su questo tema deve, infatti, essere svolta con la consapevolezza delle ricadute che la drastica limitazione degli spazi di discrezionalità avrebbe sull’effettività delle funzioni di governo autonomo della magistratura rimesse al Consiglio e sul ruolo di equilibrio che esso riveste nell’assetto tra i diversi poteri dello Stato.

 

2. La discrezionalità quale connotato essenziale dell’attività consiliare

Nell’ambito dell’annosa discussione relativa alla natura giuridica del Consiglio Superiore, è stato evidenziato come, rispetto a teorici criteri per individuare gli organi costituzionali e distinguerli da quelli che tali non sono, occorra piuttosto considerare l’indiscusso ruolo di garante dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario dagli altri poteri dello Stato che il Costituente ha attribuito all’Organo, nonché la sua speciale composizione.

Tali elementi - è stato osservato - indicano, infatti, che il Consiglio Superiore, nel disegno del Costituente, è stato ritenuto un organo “essenziale” agli equilibri necessari per rendere operante la separazione dei poteri e che la reale consistenza e ampiezza delle sue competenze, elencate in forma piuttosto burocratica dagli artt. 105, 106 e 107 Cost., deve essere definita in modo da preservare l’effettività della sua funzione di presidio del principio supremo dell’ordinamento costituzionale sancito dall’art. 104, co.1, Cost.[2].

Aderendo a tale impostazione, secondo una parte autorevole della dottrina, la circostanza che i Costituenti abbiano inteso fissare, in «quattro chiodi, i punti essenziali su cui è competente il Consiglio[3]» dimostra che «tanto vitale è stata considerata la riserva al CSM di quelle espresse, delicatissime attribuzioni da rendere illegittima non solo una ingerenza dell’Esecutivo, ma pure un intervento del Parlamento che riducesse i provvedimenti di “autogoverno” ad atti dall’esito obbligato o del tutto vincolati alla meccanica applicazione di norme di legge. Così facendo si svilirebbero, prima ancora che un non ben definito ruolo del CSM - quale esso sia - direttamente le disposizioni sopraccitate [...]. L’art. 105 non basta a tracciare da solo la misura del potere discrezionale del CSM, ma da tale disposizione deriva che un potere discrezionale del CSM deve pur esserci[4]». 

E’ stato ancora affermato che la «esistenza stessa di un organo costituzionale quale è il CSM presuppone [...] che esso possieda, in linea di principio, una certa discrezionalità[5]», ovvero che «l'esistenza di un organo quale il C.S.M. rischierebbe di non avere senso se i provvedimenti ad esso spettanti fossero del tutto vincolati alla necessaria e meccanica applicazione di previe norme di legge[6]».

Sotto altro profilo, è stato evidenziato che «il Consiglio superiore della magistratura, nell’ambito delle attribuzioni previste dall’art. 105 Cost., esprime orientamenti destinati ad incidere sulla qualità della giurisdizione ordinaria intesa come servizio ai cittadini, condizione indispensabile perché l’indipendenza dell’ordine giudiziario e dei singoli magistrati non rimanga un insieme di prerogative personali e corporative, ma sia garanzia di una retta amministrazione della giustizia in tutte le pieghe di una società complessa, ovunque emerga la necessità della tutela dei diritti e l’adempimento dei doveri stabiliti dalla Costituzione e dalle leggi….. La definizione di «organo tecnico titolare dei soli poteri di alta amministrazione che la Costituzione o la legge gli attribuiscono» non vale ad escludere un indirizzo politico del Csm, giacché tutti i suoi poteri, considerati nel loro insieme, non sono la sommatoria di competenze frazionate, generatrici di atti isolati, privi di criteri ordinatori, ma si inseriscono in una policy di settore, i cui confini sono tracciabili a partire dal dettato costituzionale e dalle leggi attuative… Immaginare il Csm come centro produttore di singoli provvedimenti librati nel vuoto significherebbe darne una immagine del tutto corporativa, di organo attento soltanto alle guarentigie dei magistrati, coltivate e protette in un universo separato dai problemi e dalle contraddizioni della società[7]».

Dunque, secondo alcuni studiosi della materia, l’effettivo esercizio delle attribuzioni del Consiglio presuppone non solo l’assenza di ingerenze, negli ambiti indicati dagli artt. 105/107 Cost., da parte del potere esecutivo, ma anche che l’Organo di governo autonomo disponga di margini di discrezionalità rispetto al potere legislativo, riducendosi altrimenti il suo ruolo a quello di mero esecutore di precetti di legge. 

Nel senso della necessità che il legislatore riconosca agli organi di governo autonomo della magistratura margini di discrezionalità perché possa risultare effettiva la loro funzione, volta a realizzare la separazione dei poteri, principio cardine di ogni ordinamento democratico, si sono espressi anche organismi e istituzioni sovranazionali. 

Nel parere n. 10 (2007), e in quello più recente n. 24(2021), il Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE)[8] ha riaffermato la necessità che ciascuno Stato membro istituisca un organo con il compito di proteggere l’indipendenza dei giudici, che tale organo sia concretamente protetto dal rischio di vedere la sua autonomia limitata a favore del potere legislativo o esecutivo, che l’istituzione sia prevista in un testo costituzionale o equivalente, e che siano previsti rimedi legali idonei a consentire di ricorrere ad un’autorità giudiziaria per il caso in cui uno degli altri poteri dello Stato violasse le sue attribuzioni.

Anche l’European Network of Councils for the Judiciary (ENCJ), organismo deputato all’interno dell’Unione europea a rappresentare i Consigli di Giustizia degli Stati membri, dopo avere deliberato il 28.10.2021 l’espulsione dalla Rete del Consiglio di giustizia polacco (KRS) - non più organo garante dell’indipendenza della magistratura a seguito delle riforme governative[9] -, il 29.10.21 ha adottato un Compendium sui Consigli della magistratura, riepilogativo dei principi cardine cui la loro istituzione deve ispirarsi. 

In tale documento, l’ENCJ indica come principi cardine di ogni società democratica la separazione tra i poteri dello Stato e l’esistenza di una magistratura indipendente, e riafferma la necessità che le nomine dei magistrati, la definizione dei loro percorsi professionali, l’adozione di decisioni disciplinari, l’organizzazione degli uffici, siano rimesse a un organo di governo autonomo, trattandosi di vicende afferenti allo status dei magistrati, la cui autonoma gestione pone le condizioni per l’esercizio indipendente delle funzioni giudiziarie. 

A conferma ulteriore che, nel disegno del Costituente, il Consiglio fosse destinato ad essere un luogo di elaborazione di idee, di prospettive, di orientamenti in ordine allo status del magistrato, ai principi e ai valori da perseguire nelle scelte relative all’amministrazione della giurisdizione, civile e penale, e al modo stesso in cui effettuare il governo autonomo della magistratura vale poi la prevista composizione dell’Organo con magistrati appartenenti a categorie diverse e laici eletti dal Parlamento. 

Proprio la consapevolezza del carattere non neutrale di tali scelte, che richiedono a monte opzioni di valore e, quindi, discrezionali, ha indotto il Costituente a ritenere necessaria la compresenza all’interno del Consiglio di rappresentati di tutte le componenti dell’ordine giudiziario e di figure professionali qualificate ad esso estranee, sul presupposto che il confronto e la fisiologica dialettica tra la componente laica e quella togata possano costituire un argine al rischio di spinte corporative e, al contempo, favorire un esercizio della funzione di governo autonomo della magistratura più rispondente alle aspettative della società civile. 

Nel quadro descritto, risulta evidente come un’attività consiliare che si esaurisse nella mera attuazione di dettagliati e stringenti precetti di legge non sarebbe rispondente alla fisionomia del Consiglio, quale emerge dalla Carta Costituzionale, privandolo dei caratteri di un’istituzione dinamica e attenta alle mutevoli e sempre più complesse istanze di tutela avanzate dalla società nel governo dello status dei magistrati e nell’organizzazione della giurisdizione civile e penale, proiettata nella dimensione della vita democratica del paese con il ruolo di interlocutore istituzionale nelle materie ordinamentali e afferenti all’amministrazione della giustizia, secondo quanto previsto dall’art. 10 della L. n. 195/1958[10].

 

3. La discrezionalità del Consiglio nell’esercizio della cd. potestà paranormativa

Se, come premesso, un’attività consiliare meramente attuativa di norme primarie implicherebbe un depotenziamento del ruolo costituzionale del Consiglio rispetto alla pienezza e all’effettività delle funzioni di governo autonomo, si comprende allora la ragione per cui la discrezionalità consiliare trova espressione innanzitutto nella regolamentazione, con atti generali, dello status dei magistrati, delle procedure concorsuali e dell’organizzazione degli uffici.

 L’omessa adozione di una nuova legge sull’ordinamento giudiziario, prevista nella VII Disposizione Transitoria e Finale della Costituzione, e la stratificazione nel tempo di interventi normativi non coordinati hanno indotto il Consiglio, sin nell’immediatezza della sua istituzione, ad ovviare alle conseguenze di un assetto legislativo lacunoso e disorganico attraverso l’adozione, in funzione interpretativa e integrativa delle fonti primarie, di circolari, di risoluzioni, di direttive e di risposte ai quesiti, atti costituenti una parte rilevante della produzione in materia ordinamentale.

Tale attività consiliare, denominata “paranomativa”, non è mai stata posta in discussione fino all’istituzione, nel 1990, della già citata Commissione Paladin[11], cui venne affidato il compito di verificare la natura e i limiti degli atti del Consiglio, delle funzioni dell'organo di governo autonomo della magistratura e dei rapporti con gli altri poteri dello Stato.

Nell’articolata relazione conclusiva, la Commissione ha dato ampio risalto al tema della produzione consiliare nel settore ordinamentale e, pur ricordando che questo è coperto da riserva di legge, ha ritenuto che, in un sistema normativo come quello allora vigente, caratterizzato da vuoti di disciplina, effettivi e non apparenti, tale attività consiliare fosse da ritenere giustificata in considerazione dell’obiettivo, perseguito dall’organo di governo autonomo, «di precostituire un sistema di regole che assicurasse l’uniforme esercizio del potere discrezionale, al riparo da immotivati e contingenti vagli soggettivi dai quali può scaturire l’arbitrio, pur senza cancellare quel minimo di elasticità decisionale indispensabile perché l’azione del Consiglio possa adeguarsi all’infinita varietà dei casi concreti». 

Al contempo, la Commissione ha precisato che le deliberazioni consiliari recanti tale disciplina, pur quando contenenti un apparato precettivo generale e astratto, «nel dubbio ed in linea di massima», dovessero essere qualificate come atti non normativi. 

Pressoché coeva è la sentenza n. 72/1991[12], con la quale la Corte Costituzionale ha affermato che «la necessità che sia la fonte primaria a stabilire i criteri generali di valutazione e di selezione degli aspiranti e le conseguenti modalità di nomina» non comporta che «tali criteri debbano essere predeterminati dal legislatore in termini così analitici e dettagliati da rendere strettamente esecutive e vincolate le scelte relative alle persone cui affidare la direzione degli stessi uffici, annullando di conseguenza ogni margine di apprezzamento e di valutazione discrezionale, assoluta o comparativa, dei requisiti dei diversi candidati», ritenendo sufficiente, in una logica di bilanciamento tra esercizio della funzione del CSM e parametri di riferimento, l’enunciazione di «criteri sufficientemente precisi in grado di orientare la discrezionalità dell’organo decidente verso la scelta della persona più idonea».

Pur a fronte del consolidamento nel tempo di tale attività consiliare, nei momenti di maggiore tensione istituzionale nei confronti della magistratura, i poteri paranomativi tornano in discussione sul presupposto che, attraverso il loro esercizio, il Consiglio ambisce a svolgere un improprio ruolo di ‘indirizzo’ politico, riconoscendosi ampi spazi di discrezionalità in materia coperte da riserva di legge. 

Non è senza significato, pertanto, che, in concomitanza con i fatti svelati dall’indagine perugina, al grave discredito che ha investito l’istituzione consiliare è seguita l’adozione del disegno di legge n. AC 2681[13], il cui intento, secondo quanto esplicitato nella relazione illustrativa, era quello di ridimensionare fortemente la discrezionalità del Consiglio e, con essa, la cd. politicità della sua azione, frutto della pervasività delle correnti nella vita interna dell’Organo.

In quest’ottica, l’intervento normativo prevedeva, oltre che il sorteggio, quale criterio per la composizione delle varie articolazioni interne del Consiglio, anche una drastica riduzione degli spazi di normazione secondaria ad esso tradizionalmente riservati, con attrazione, a livello di normativa primaria, della disciplina di dettaglio, soprattutto in tema di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, accesso alle funzioni di legittimità, valutazioni di professionalità, mobilità dei magistrati, mutuando i principi e i criteri direttivi dell’intervento delegato dalle circolari allora vigenti. 

Il Consiglio, nell’ambito delle funzioni consultive assegnategli dal già citato art. 10, co. 2, della L. n. 195/1958, con delibera del 29 aprile 2021, ha espresso un parere critico in ordine a tali previsioni del DDL, evidenziando che «L’art.105 Cost. attribuisce al Consiglio “secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”. Proprio il rilievo costituzionale che assumono le competenze consiliari nel governo autonomo della magistratura induce ad escludere che il Costituente abbia inteso assegnare al Consiglio attribuzioni solo di carattere formale e che il ruolo di quest’ultimo si esaurisca nel dare attuazione a dettagliati precetti del legislatore». 

Nella delibera è stato ancora rilevato che «l’art. 105 Cost. disegna un organo con proprie attribuzioni sostanziali, che implicano l’esercizio di una discrezionalità amministrativa e non meramente tecnica, senza che l’attività del Consiglio possa sostanziarsi nello svolgimento di un’attività fortemente vincolata[14]».

Il legislatore, recependo in parte le sollecitazioni del Consiglio, ha apportato emendamenti al testo originario del ddl e i principi di delega di cui alla L. n. 71/2022 restituiscono al Consiglio spazi di integrazione della normativa primaria, in specie nel settore relativo al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi.

 

4. La giustiziabilità degli atti consiliari e la competenza del giudice amministrativo 

A fronte della necessità di preservare le prerogative discrezionali necessarie a garantire effettività alla funzione di governo autonomo della magistratura del Consiglio, si è posta la questione della compatibilità con i principi costituzionali di cui agli artt. 104 e 105 Cost. di un controllo giurisdizionale sui suoi atti, rimesso al giudice amministrativo.

La questione è stata vagliata dalla Corte Costituzionale, che ne è stata investita dalle Sezioni Unite della Cassazione con ordinanza del 10 marzo 1966.

Nell’ambito di tre distinti ricorsi per regolamento di giurisdizione proposti dal Ministero della Giustizia per contestare la competenza del Consiglio di Stato a conoscere dell’impugnazione degli atti consiliari, le Sezioni Unite hanno sollevato questione di legittimità costituzionalità con riferimento all’art. 17 della L. 195/1958 in relazione agli artt. 104, 105, 24, co.1, 103 e 102, co. 2, prima parte Cost., sul presupposto che gli atti consiliari, pur aventi natura amministrativa, non potessero ritenersi provenienti da una pubblica amministrazione, tale non essendo il Consiglio superiore, organo supremo dello Stato, autonomo e indipendente da ogni altro potere.

Ammettere quindi la sindacabilità di tali atti da parte del giudice amministrativo, secondo la prospettazione delle Sezioni Unite, avrebbe significato istituire una giurisdizione speciale in violazione dell’art. 102, co.2, Cost.[15]

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 44/1968 (Giudice relatore, prof. Costantino Mortati, Presidente, prof. Aldo Sandulli), ha ritenuto infondata la questione.

Nella sentenza si premette che dall’art. 104 Cost. «risulta che l'istituzione del Consiglio superiore della magistratura ha corrisposto all'intento di rendere effettiva, fornendola di apposita garanzia costituzionale, l'autonomia della magistratura, così da collocarla nella posizione di ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere , e conseguentemente sottrarla ad interventi suscettibili di turbarne comunque l'imparzialità e di compromettere l'applicazione del principio consacrato nell'art. 101, secondo cui i giudici sono soggetti solo alla legge. Si è così provveduto (ad integrazione e rafforzamento delle altre garanzie costituzionali di indipendenza, quali risultano dalla riserva di legge (art. 108), dall'assunzione dei magistrati, in via normale, mediante pubblico concorso (art. 106), dall'inamovibilità (art. 107) a concentrare ogni provvedimento relativo al reclutamento e allo stato degli appartenenti all'ordine nella competenza assoluta ed esclusiva di un organo che, mentre realizza una particolare forma di autonomia, pel fatto di essere espresso in prevalenza dallo stesso corpo giudiziario, è poi presieduto dal Capo dello Stato, in considerazione della qualità che questi riveste di potere neutro e di garante della Costituzione, ed è altresì fornito di una serie di guarentigie corrispondenti al rango spettantegli, nella misura necessaria a preservarlo da influenze che, incidendo direttamente sulla propria autonomia, potrebbero indirettamente ripercuotersi sull'altra affidata alla sua tutela».

Così delineato il ruolo del Consiglio, la Corte ha valutato «se (in assenza di specifiche statuizioni al riguardo) il buon adempimento della funzione strumentale affidata al Consiglio superiore della magistratura esiga la sua sottrazione ad ogni interferenza, non solo dei poteri attivi (ed in ispecie di quello esecutivo, cui in passato la magistratura era stata collegata, ed a volte anche gerarchicamente subordinata, e rispetto al quale quindi l'esigenza di autonomia si era tradizionalmente fatta valere) ma anche del potere giurisdizionale, in quanto dovesse risultare che, se pure limitata all'esercizio del solo controllo di legittimità, sia tale, da potere, indirettamente, pregiudicare l'esercizio imparziale dell'amministrazione della giustizia».

La Corte ha escluso la compatibilità costituzionale di soluzioni volte ad attribuire al Consiglio stesso il sindacato sui propri atti ovvero a negare rispetto a essi ogni forma di tutela giurisdizionale poiché ciò avrebbe significato lasciare tutti gli appartenenti alla magistratura «indifesi di fronte a possibili (se pure, è da presumere, eccezionali) violazioni di legge da parte del Consiglio superiore della magistratura, lesive dei propri diritti o interessi legittimi».

Muovendo da tali considerazioni, la Corte è pervenuta ad affermare che la sottoposizione delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura ad un controllo di stretta legittimità da parte di un organo appartenente al potere giurisdizionale non fosse, «di per sé, tale da condurre necessariamente a vanificare o comunque ad attenuare l'efficacia della funzione garantista cui esse adempiono».

Se a far data da detta pronuncia la questione della sottoposizione degli atti consiliari al controllo giurisdizionale del giudice amministrativo è stata definitivamente risolta, nondimeno, a fronte della difficoltà di tracciare una netta linea di demarcazione tra il sindacato di legittimità - ammissibile - e quello di merito - precluso -, da più parti è stata evidenziata la necessità di ricercare soluzioni più idonee a meglio bilanciare la tutela giurisdizionale dei singoli rispetto ad atti illegittimi del Consiglio superiore e il rispetto delle prerogative discrezionali spettanti a quest’ultimo[16].

 

5. Le linee della giurisprudenza amministrativa in materia di sindacato degli atti consiliari

Il giudice amministrativo aderisce all’impostazione che fa discendere dal ruolo di organo di rilievo costituzionale del Consiglio superiore e dalla natura delle attribuzioni ad esso conferite dal Costituente la titolarità sia di un’ampia discrezionalità nell’adozione degli atti amministrativi particolari, sia di poteri di “specificazione”, in funzione integrativa ed anche suppletiva delle disposizioni primarie in materia di ordinamento giudiziario, attraverso l’adozione di atti di regolamentazione generale.

 

5.1. Gli atti consiliari generali

Con riferimento agli atti generali, in particolare, alle circolari, è consolidato l’orientamento del giudice amministrativo secondo cui è consentito al Consiglio, laddove la legge lo permetta, adottare una disciplina, cd. secondaria, per predeterminare, in via generale e astratta, i criteri di esercizio della propria discrezionalità nelle procedure relative allo status e alla carriera dei magistrati, nonché all’organizzazione degli uffici. Nondimeno, in virtù del centrale principio di legalità, detta potestà deve essere esercitata in attuazione e in conformità della legge e, ove emerga un contrasto con quest’ultima, la regolamentazione consiliare va disapplicata, quand’anche non espressamente impugnata (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 21 maggio 2020, n. 3213).

Il giudice amministrativo, inoltre, sul presupposto che le circolari non recano disposizioni normative, ma criteri di regolamentazione propedeutici ad assicurare un futuro e coerente esercizio della discrezionalità valutativa consiliare, ha chiarito che la loro inosservanza, da parte dello stesso Organo di governo autonomo, può tradursi solo in un indice sintomatico di uso distorto di quel potere valutativo, con conseguente integrazione del vizio di eccesso di potere e non di violazione di legge.

Tale assunto è ricorrente nelle numerose decisioni riguardanti il Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria, nelle quali si afferma che «la circolare del CSM è un atto normativo di natura non regolamentare, in quanto non contraddistinto da un’espressa legittimazione legislativa a disciplinare la materia anche in quanto incidente su questioni comunque rientranti in una materia sottoposta alla riserva di legge (art. 108, primo comma, Cost.); essa costituisce, piuttosto, un atto amministrativo generale di autovincolo, del quale il CSM ha avvertito l’esigenza in funzione integrativa o suppletiva dei principi specifici espressi dalla legge al fine di meglio indirizzare la propria attività discrezionale (Cons. Stato, sez. VII, 7 febbraio 2023, n. 1350; sez. V, 21 maggio 2020, n. 3213; id. 19 maggio 2020, n. 3171; Tar Lazio, sez. I, 16 gennaio 2023, n. 673, quest’ultima proprio con riferimento alla circolare n. 13778/2014). Pertanto, la circolare contiene criteri di regolamentazione propedeutici ad assicurare un futuro e coerente esercizio della discrezionalità valutativa dell'organo di autogoverno, nella consapevolezza che un’eventuale inosservanza degli stessi può tradursi soltanto in un indice sintomatico di uso distorto di quel potere valutativo. Qualora, poi, si rilevi che una previsione di tale tipo si ponga in contrasto con la legge, va senz'altro disapplicata, quand’anche non espressamente impugnata» (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 maggio 2020, n. 3213).

In sostanza, non recando la circolare «norme, cioè regole di diritto», ma ponendo «solo criteri per un futuro e coerente esercizio della discrezionalità valutativa dell'organo di governo autonomo», «un successivo contrasto con le sue previsioni non concretizza una violazione di precetti, ma un discostamento da quei criteri che, per la pari ordinazione dell'atto e il carattere astratto del primo, va di volta in volta giustificato e seriamente motivato. Ove ciò non avvenga, si manifesta un uso indebito e distorto di quel potere valutativo, vale a dire ricorre un eventuale vizio di eccesso di potere, non già di violazione di legge» (v., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 3047/2020).

Dunque, gli atti generali del Consiglio, in quanto aventi natura amministrativa e non normativa, al pari di quelli particolari, sono soggetti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, che, in alcune pronunce riguardanti casi in cui sono state censurate le previsioni di circolare in applicazione delle quali il Consiglio ha adottato delibere impugnate dagli aspiranti risultati soccombenti in alcune procedure concorsuali, ne ha disposto l’annullamento.

Con una prima, e più risalente, decisione (Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 4220/2017) è stato dichiarato illegittimo, per violazione di legge ed eccesso di potere, l’art. 21, lett. b), del T.U. sulla Dirigenza Giudiziaria che, ai fini del conferimento delle funzioni direttive giudicanti di legittimità, attribuisce il valore di indicatore attitudinale di particolare rilievo alla sola partecipazione, da parte dei magistrati giudicanti, al collegio delle Sezioni Unite, e non anche alla partecipazione, da parte dei magistrati con funzioni requirenti, alle udienze tenute dalle Sezioni Unite. 

I giudici amministrativi hanno rilevato che, a fronte dei riferimenti contenuti nella legge (art. 12, co. 11, d.lgs. n. 160/2006) circa le capacità professionali richieste per assumere gli incarichi direttivi giudicanti di legittimità, al Consiglio era precluso, con la propria circolare, modulare in modo selettivo l’attività di partecipazione alle Sezione Unite, con effetti irragionevolmente discriminatori in danno dei magistrati della Procura Generale. Su tale presupposto, la previsione di circolare censurata è stata ritenuta illegittimità per violazione della riserva di legge stabilita dall’art. 108, co. 1, Cost. e delle norme sull’Ordinamento Giudiziario, nonché per eccesso di potere[17].

Di recente il TAR Lazio, Sez. I, con le sentenze n. 4457/2023, n. 4458/2023 e n.4460/2023, ha annullato alcune disposizioni della Circolare n. 13778/2014, (artt. 25, 65, 66, 67, 68, 84, come modificati con delibera del CSM del 9.9.2020), nella parte in cui, con riferimento alle procedure concorsuali per il conferimento delle funzioni di legittimità e per l’assegnazione all’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, escludono l’attribuzione del punteggio per il merito in relazione alle attività svolte fuori ruolo dal magistrato.

In questo caso è stato ravvisato il vizio di eccesso di potere: si è ritenuto, infatti, che, pur essendo compatibile con le disposizioni primarie una diversa valutazione, ai fini del parametro del merito, delle attività in ruolo e di quelle fuori ruolo, un totale azzeramento del punteggio per questi ultimi incarichi risultasse irragionevole e sproporzionata, anche in considerazione dell’assenza, nella delibera del 9.9.2020, introduttiva della modifica, di una motivazione idonea a giustificare una tale scelta.

 

5.2. Gli ulteriori atti consiliari 

Ampio è altresì, sul piano delle e nunciazioni, l’ambito della discrezionalità riconosciuta dal giudice amministrativo al Consiglio nell’adozione degli atti particolari.

Tutte le decisioni del TAR e del Consiglio di Stato, in apertura, danno atto che il Consiglio è un organo di rilievo costituzionale e che è titolare di un’ampia discrezionalità.

In ordine al perimetro del sindacato giurisdizionale consentito al giudice amministrativo, costante è l’affermazione che, con riferimento ai provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura, è precluso al giudice amministrativo operare direttamente una valutazione di merito del contenuto della delibera stessa, sconfinare in apprezzamenti di opportunità, convenienza o condivisibilità della scelta operata dal Consiglio, e che il vaglio di legittimità deve essere circoscritto al vizio di eccesso di potere, di cui sono indice l’irragionevolezza, l’omissione, l’arbitrarietà della motivazione o il travisamento dei fatti[18]

Per rimarcare l’invalicabilità del limite costituito dal sindacato di legittimità, sono richiamati i principi enunciati della Sezioni Unite Civili nella sentenza n. 19787/2015, secondo cui «le decisioni del giudice amministrativo sono viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sono sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, laddove detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, riservato alla P.A., compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell'atto. In tale evenienza il superamento dei limiti esterni della giurisdizione è censurabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 8, e art. 362 c.p.c., comma 1».

Tali coordinate, nella loro corretta declinazione, implicano che la verifica del giudice amministrativo deve arrestarsi a un riscontro estrinseco della legittimità delibera, da condursi sulla base della motivazione per verificare la rispondenza degli elementi considerati ai dati istruttori, la coerenza delle valutazioni con i parametri predeterminati dal Consiglio, la completezza, logicità e ragionevolezza dell’iter argomentativo che sorregge la decisione.

Le linee di tendenza della giurisprudenza amministrativa, nelle procedure concorsuali di tipo comparativo e, più di recente, anche in quelle cd. selettive[19], sono poi nel senso di richiedere una preliminare valutazione dei profili professionali di tutti gli aspiranti, quantomeno con riferimento alle esperienze rilevanti ai fini dell’integrazione delle specifiche attitudini richieste per il conferimento dell’incarico, nonché una comparazione tra gli stessi, volta a indicare il percorso logico-motivazionale che ha condotto ad attribuire la prevalenza o a riconoscere la maggiore idoneità ai prescelti.

A fronte di un impianto motivazionale così strutturato, nella gran parte dei casi, il giudice amministrativo limita il proprio sindacato a un riscontro esterno della congruità della motivazione, giungendo a escludere il vizio di eccesso di potere persino quando la scelta consiliare, pur «opinabile», non sia «implausibile», così distinguendo il profilo del merito da quello della legittimità.

Non sono però mancate, anche di recente, sentenze di annullamento di delibere consiliari (in prevalenza riguardanti il settore della dirigenza giudiziaria) tendenti a una valutazione più orientata al merito, in quanto recanti una stringente indicazione della corretta lettura da attribuire alle previsioni di circolare in materia di indicatori, del valore da assegnare, con riferimento a questi, alle esperienze vantate dagli aspiranti, il riesame del materiale istruttorio acquisito, e l’indicazione molto conformativa dei principi da osservare in sede di riedizione del potere valutativo.

Potendo lo sconfinamento nel merito costituire un possibile epilogo del controllo giurisdizionale sugli atti consiliari, appare, dunque, necessario disporre di rimedi efficaci per dedurre un tale vizio della sentenza allo scopo di evitare che il giudice amministrativo si sostituisca al Consiglio nelle scelte discrezionali che gli sono rimesse.

Nel quadro vigente, lo strumento per denunciare il vizio di sconfinamento nel merito da parte del giudice amministrativo è costituito dal ricorso per eccesso di giurisdizione alle Sezioni Unite (artt. 111, co. 8, Cost., 110 c.p.a. e 362, co. 1, c.p.c.).

Dall’esame delle decisioni relative a ricorsi avverso sentenze del Consiglio di Stato di annullamento di delibere consiliari si coglie una tendenza ad una interpretazione rigorosa dell’istituto.

Le linee dell’elaborazione delle Sezioni Unite Civili sul tema si rinvengono, più di recente, nella sentenza n. 39784 del 14/12/2021.

In detta pronuncia, è stato ribadito che «un error in iudicando (sia pure de iure procedendi) non è sindacabile dalle sezioni unite della Corte di Cassazione in sede di controllo di giurisdizione, in quanto il controllo in questione è circoscritto all'osservanza dei meri limiti esterni della giurisdizione, senza estendersi ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale -l'accertamento delle quali rientra nell'ambito dei limiti interni della giurisdizione- concernenti il modo d'esercizio della giurisdizione speciale (Cass., sez. un., 6 marzo 2020, n. 6460)».

E’ stato ancora affermato che «Fuor di dubbio è che le decisioni del giudice amministrativo siano sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione quando detto giudice sconfini nella sfera del merito riservato all'amministrazione, anche quando la decisione finale pur sempre esprima la volontà del giudice di sostituirsi a questa, pur nel rispetto della formula dell'annullamento (tra le ultime, Cass., sez. un., 3 novembre 2021, n. 31311). E questo principio acquista particolare pregnanza proprio con riguardo al Consiglio superiore della magistratura, il quale, in ragione delle proprie competenze di rilievo costituzionale, gode di un tasso di discrezionalità particolarmente elevato. 7.- Altrettanto indubbio ed evidente è però che, per valutare i sintomi dell'eccesso di potere dai quali un atto amministrativo impugnato potrebbe essere affetto, il giudice amministrativo non si può esimere dal prendere in considerazione la congruità e la logicità del modo in cui l'amministrazione ha motivato l'adozione di quell'atto, anche quando sia al cospetto di atti contrassegnati da contenuti marcatamente valutativi, come appunto quelli adottati dal Consiglio superiore della magistratura, soprattutto per il conferimento di uffici direttivi: altrimenti si perverrebbe all'inammissibile risultato di rendere di fatto insindacabili quelle valutazioni (così Cass., sez. un., 8 marzo 2012, n. 3622)».

Le Sezioni Unite, passando poi a valutare la fondatezza della censura di sconfinamento nel merito per aver il Consiglio di Stato assegnato preminente valore, nell’ambito dell’indicatore di cui all’art. 18, lett. a) del Testo Unico sulla Dirigenza giudiziaria, allo svolgimento delle funzioni direttive rispetto allo svolgimento di quelle funzioni semidirettive, ha escluso la ricorrenza del vizio dedotto, sul rilievo che il giudice amministrativo, al cospetto di un compendio normativo primario in base al quale il raggiungimento e l'esercizio di un livello funzionale più avanzato esprime una professionalità corrispondente già selezionata e sperimentata, si era limitato a rimarcare «la manifesta irrazionalità e, quindi, la palese illegittimità dei criteri di scelta adottati dal Consiglio superiore della magistratura in base al mero tenore testuale dell'art. 18 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria» e che ciò aveva fatto «nell'esercizio del proprio potere-dovere di valutazione, perché, di questo potere-dovere, l'individuazione dell'ambito di operatività della circolare P 14858 dei 28 luglio 2015, qual è quella nota come testo unico della dirigenza giudiziaria, è chiara espressione».

In tal modo il Consiglio di Stato si era limitato a svolgere - secondo la Corte di Cassazione - l'attività d'interpretazione dei parametri normativi che è propria della sua funzione (sulla medesima falsariga, Cass., sez. un., 5 ottobre 2015, n. 19787), senza nessuna invasione della sfera del merito amministrativo.

La tendenza a un’applicazione rigorosa dell’istituto è oggi avallata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 6/2018, che, intervenuta per chiarire i rapporti tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, ha tracciato in modo netto i confini del sindacato della Corte di Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato, limitandolo alle sole ipotesi di difetto assoluto o relativo di giurisdizione[20].

La scarsa incisività del rimedio costituito dal ricorso per eccesso di potere giurisdizionale costituisce un indubbio limite dell’attuale assetto del sistema di controllo sugli atti consiliari, potendo solo il self-restraint del giudice amministrativo scongiurare il rischio di una erosione degli spazi di discrezionalità del Consiglio a vantaggio della giurisdizione amministrativa. 

In tal senso si sono espresse anche le Sezioni Unite che, nella succitata pronuncia, hanno raccomandato che «in rapporto al Consiglio superiore della magistratura, e alle ricordate attribuzioni ad esso costituzionalmente assegnate, il potere-dovere del giudice» sia «esercitato con estrema cautela, al fine di scongiurare il rischio che tale esercizio configuri, in realtà, un giudizio di non condivisione della scelta compiuta. Occorre quindi che il giudice si limiti, con rigore, alla valutazione della legittimità dei criteri adottati a fondamento della scelta, e si esima dal vagliarne l'applicazione in concreto».

Non sembra, invece, che sia risultata idonea a ristabilire il giusto punto di equilibrio tra l’ambito delle attribuzioni discrezionali del CSM e il controllo di legittimità sui suoi atti la maggiore tipizzazione, a livello di normativa secondaria, dei criteri e dei parametri valutativi da osservare nelle diverse procedure concorsuali.

La sempre più dettagliata regolamentazione adottata dal Consiglio ha finito, infatti, col rendere ancor più stringente il sindacato del giudice amministrativo, che, in special modo nel settore del conferimento degli uffici direttivi e semidirettivi, sollecitato dai ricorrenti a verificare l’oggettiva e rigorosa applicazione dei criteri predeterminati nel Testo Unico, nel corso degli anni, ha fornito la propria interpretazione delle previsioni in tema di indicatori in rapporto alle specifiche esperienze professionali in essi sussumibili.

Il quadro complessivo che si delinea per effetto dell’interazione tra le disposizioni del Testo Unico sulla Dirigenza, l’interpretazione del Consiglio e l’elaborazione, non sempre univoca, del giudice amministrativo, risulta, ad oggi, piuttosto incerto, il che da un canto accresce il grado di difficoltà delle decisioni consiliari, dall’altro rende più imprevedibile la loro tenuta all’esito del vaglio giurisdizionale.


 
[1] L’elaborazione dell’Ufficio Statistico del Consiglio circa la percentuale, per ogni anno, dei ricorsi accolti e di quelli rigettati non tiene conto, in quanto non rilevabile dal sistema informatico, della data di adozione delle delibere impugnate. Dai dati sviluppati emerge, comunque, che il trend degli annullamenti negli ultimi anni (2017-2022) è stato variabile, con oscillazioni non dissimili da quelle che si sono registrate negli anni precedenti (2010-2016).

[2] Gaetano Silvestri, Consiglio superiore della magistratura e sistema costituzionale, in Questione Giustizia, fasc. 4/2017, pp. 21 e ss.

[3] M. Ruini, in Assemblea Costituente, seduta 25 novembre 1947.

[4] S. Franzoni, Chi abusa dell’autonomia rischia di perdere l’autogoverno?, in Forum di Quaderni Costituzionali, 4, 2020. 

[5] F. Biondi, Relazione tenuta in occasione del Seminario annuale di Quaderni costituzionali su Sessant’anni ed oltre di governo autonomo della magistratura: un bilancio e una riflessione sul futuro del CSM", 1 ottobre 2020.

[6] Così a pag. 122 della relazione finale depositata della Commissione “Paladin”, istituita con decreto del Presidente della Repubblica del 26 luglio del 1990 con il compito di verificare la natura e i limiti degli atti del Consiglio, delle funzioni dell'organo di governo autonomo della magistratura e dei rapporti con gli altri poteri dello Stato.

[7] Gaetano Silvestri, cit., pp. 19 e ss.

[8] Tale organo, istituito nel 2000 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e composto esclusivamente da giudici, è competente in materia di indipendenza, imparzialità e ruolo della magistratura negli Stati membri.

[9] https://www.csm.it/documents/21768/861295/delibera+situazione+polonia+21+ottobre+2021/07e7e9a2-7cbd-2e34-f0b3-d0c4e019fc34

[10] L’art. 10, co. 2, della L. n. 195/1958 riconosce al Consiglio un ruolo consultivo sui disegni di legge concernenti l'ordinamento giudiziario, l'amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie, nonché il potere di formulare proposte al Ministro della giustizia sulle modificazioni delle circoscrizioni giudiziarie e su tutte le materie riguardanti l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.

[11] V. nota 6.

[12] La decisione trae origine da una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la normativa sul conferimento degli incarichi direttivi.

[13] DDL AC 2681, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 7 agosto 2020, avente ad oggetto «Deleghe al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario e per l'adeguamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura. - Disposizioni in materia di illeciti disciplinari e riabilitazione, nonché sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura, sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari».

[14] Si trascrivono di seguito i passaggi più significativi sul tema della discrezionalità consiliare della delibera plenaria del 29 aprile 2021: «L'intervento determina una complessiva limitazione del potere discrezionale del Consiglio superiore della magistratura, che viene in grande misura trasformato in potere amministrativo vincolato attraverso l’attrazione, a livello normativo primario, della disciplina, anche di dettaglio, fin ora prevista in sede di autovincolo dalle circolari consiliari, peraltro, mutuando proprio da quelle vigenti, i principi e i criteri direttivi formulati con riferimento ai vari settori di intervento. La scelta legislativa, finisce per irrigidire nella tendenziale stabilità della norma primaria regole fin qui affidate alla più agile flessibilità della disciplina secondaria (certamente più rapidamente adattabile a possibili esigenze emergenti dalle dinamiche di settore, come d’altra parte testimoniato dall'evoluzione delle circolari consiliari sul tema) […] L’azione di governo autonomo, del resto, in ossequio ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, deve essere capace di un immediato adeguamento all’evoluzione dei tempi e alle cangianti necessità della giurisdizione, a loro volta continuamente sollecitate dalle mutevoli necessità sociali e dalle specifiche esigenze dei diversi territori. Un irrigidimento dei parametri valutativi e degli indicatori, attraverso la loro sussunzione a livello normativo primario, e un eccessivo dettaglio nella loro formulazione, privano l’azione consiliare della duttilità necessaria per un intervento tempestivo ed efficace nel settore dell’organizzazione della giurisdizione civile e penale, in tutte le declinazioni in cui tale intervento si attua (dall’organizzazione degli uffici alla carriera dei magistrati). La giurisprudenza costituzionale è costantemente orientata nel senso che la riserva di legge costituzionalmente prevista in materia di ordinamento giudiziario non impone certo al legislatore di regolare dettagliatamente e minuziosamente ogni aspetto della materia e che è pienamente compatibile con tale principio l’esercizio, da parte del Consiglio, di un potere di integrazione ed attuazione della norma primaria […] Anche la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta di quanto autorevolmente chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 72 del 1991, afferma che in capo al Consiglio deve riconoscersi il “potere” ma anche il “dovere” di integrare il sistema normativo positivo attraverso il suo potere amministrativo discrezionale: un potere che corrisponde alla prerogativa costituzionale di tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura; un dovere che risponde all’esigenza di autovincolo della propria discrezionalità amministrativa in funzione della trasparenza e della omogeneità dell’esercizio della stessa».

[15] La questione di legittimità costituzionale è stata così sintetizzata nella sentenza della Corte Costituzionale n. 44/1968: «Le sezioni unite della Cassazione, con sentenza parziale del 10 marzo 1966 statuivano che l'art. 17 doveva interpretarsi nel senso di consentire il ricorso al Consiglio di Stato non solo per i vizi propri dei decreti presidenziali o ministeriali, ma anche per quelli delle deliberazioni stesse respingendo conseguenzialmente il motivo del ricorso relativo all'interpretazione dell'articolo predetto. Con ordinanza in pari data le stesse sezioni unite ritenevano rilevante per la decisione della causa la questione relativa alla costituzionalità della competenza attribuita al Consiglio di Stato dall'articolo citato, con riferimento agli artt. 100, primo comma, 104, 105, 24, primo comma, 103 e 102, secondo comma, prima parte, della Costituzione, e la consideravano non manifestamente infondata sulla base delle seguenti considerazioni. In primo luogo, se appare pacifica la natura oggettivamente amministrativa del provvedimenti del Consiglio superiore (affermata anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 168 del 1963), tutt'altro che certo appare invece che essi provengano da un organo della pubblica amministrazione, e che quindi sussista in confronto ai provvedimenti stessi il requisito dell'atto anche soggettivamente amministrativo, richiesto per la loro assoggettabilità al sindacato del Consiglio di Stato. Muovendo critiche alla giurisprudenza di tale consesso, quale risulta dalle decisioni in materia del 1962 e del 1965, rileva che, se non mancano esempi nei quali un organo di un potere dello Stato assume, per determinate funzioni, la qualità di organo di un altro potere, ciò non può ritenersi per il Consiglio superiore, rispetto al quale la volontà del costituente fu indubbiamente di creare un organo supremo dello Stato, autonomo ed indipendente da ogni altro potere (art. 104, primo comma, della Costituzione). Ciò premesso, l'ordinanza contesta che le deliberazioni del Consiglio superiore siano qualificabili come atti preparatori del decreto presidenziale o ministeriale, dato che la relativa competenza spetta esclusivamente al Consiglio superiore ai sensi dell'art. 105 della Costituzione, sicché l'elemento sostanziale è dato unicamente dalla deliberazione del Consiglio superiore, la quale costituisce un atto dotato di una propria autonomia, necessariamente rilevante anche ai fini dell'impugnazione, mentre il decreto dell'esecutivo integra soltanto il requisito formale del provvedimento. Esaminando poi problematicamente l'assoggettabilità delle deliberazioni del Consiglio superiore alla disciplina generale degli atti amministrativi, la Corte osserva che l'eventuale soluzione negativa di questo problema importerebbe la necessità di affrontare quello relativo all'ammissibilità di una tutela giurisdizionale, ai sensi dell'art. 24, primo comma, della Costituzione, rispetto agli atti oggettivamente amministrativi, posti in essere dai supremi organi dello Stato, ed in particolare dal Consiglio superiore della magistratura. Ma, d'altra parte, ove dovesse ammettersi la sindacabilità delle deliberazioni del Consiglio superiore al di fuori della normale disciplina degli atti amministrativi, e indipendentemente da essa, sorgerebbe l'ulteriore problema di stabilire se sia costituzionalmente legittimo che l'art. 17 in esame, attribuendo tale sindacato alla competenza del Consiglio di Stato - laddove l'art. 103, primo comma, circoscrive questa forma di tutela giurisdizionale soltanto nei confronti della pubblica amministrazione - non comporti l'istituzione di una giurisdizione speciale, in violazione dell'art. 102, secondo comma, prima parte, della Costituzione. In conseguenza di tali considerazioni le sezioni unite hanno disposto la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale».

[16] V. Luca Geninatti Satè, Il sindacato giurisdizionale sugli atti del Csm: una questione politico-istituzionale, in Questione Giustizia, fasc. 4/17, pp. 49 e ss. L’autore sostiene che la configurazione delle funzioni del CSM come attribuzioni costituzionali implica che la natura dei suoi atti non sia ascrivibile alla categoria dei provvedimenti amministrativi, dovendo piuttosto ritenersi atti costituenti immediato esercizio delle attribuzioni costituzionali. Su tale presupposto, è stato affermato che se la questione della loro sottoposizione a controllo giudiziario va risolta in senso positivo, essendo tale controllo imposto dall’art. 24 Cost., e coerente con la tendenza dei modelli costituzionali contemporanei a dissolvere gli ordinamenti particolari in quelli generali, l’ampiezza del sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo può però includere solo l’apprezzamento della violazione di legge. La legge, infatti, costituisce, secondo le previsioni costituzionali, il limite entro il quale il Consiglio deve esercitare la propria discrezionalità. Al contrario, il sindacato giurisdizionale non può estendersi al vizio di eccesso di potere, configurabile solo rispetto all’esercizio di funzioni amministrative, e non rispetto ad attribuzioni costituzionali. Pertanto, in caso di incorretto esercizio, da parte del Consiglio, delle proprie attribuzioni costituzionali, il magistrato dovrebbe sollevare conflitto di attribuzione dinanzi al Corte Costituzionale «sostenendo che l’incorretto esercizio delle proprie funzioni da parte del Consiglio superiore incide sull’adeguato esercizio della funzione giurisdizionale, di cui egli è costituzionalmente titolare». Il superamento dell’assetto vigente era oggetto anche del ddl costituzionale n. 2436 del 28 ottobre 2021, recante modifiche al titolo IV, parte II della Costituzione, nel quale era stata prevista l’introduzione nella Costituzione dell’art. 105 bis per istituire un’Alta Corte, competente a giudicare sulle impugnazioni dei provvedimenti disciplinari e di ogni altro provvedimento riguardante anche i magistrati ordinari.

[17] Nella sentenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 4220/2017), si afferma: «14. Deve poi considerarsi che al Consiglio superiore della magistratura possono essere riconosciuti, dove la legge lo preveda, poteri di specificazione generale di fattispecie di legge in tema di ordinamento giudiziario: nel caso, qui in discussione, delle attitudini per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, la base di siffatta potestà si fonda, seppur in via indiretta e per rinvio, sull’attuazione dell’art. 11 (Valutazione della professionalità), comma 3, lett. d), secondo periodo, d.lgs. n. 160 del 2006, a tenore del quale “Il Consiglio superiore della magistratura […] disciplina con propria delibera gli elementi in base ai quali devono essere espresse le valutazioni dei consigli giudiziari, i parametri per consentire l'omogeneità delle valutazioni, la documentazione che i capi degli uffici devono trasmettere ai consigli giudiziari entro il mese di febbraio di ciascun anno. In particolare disciplina: […] d) gli indicatori oggettivi per l'acquisizione degli elementi di cui al comma 2; per l'attitudine direttiva gli indicatori da prendere in esame sono individuati d'intesa con il Ministro della giustizia” (cfr. art. 3, comma 1, del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria, che per le attitudini dice espressamente: “Le attitudini per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi vanno verificate con riguardo agli indicatori dell’attitudine direttiva e semidirettiva, individuati di intesa con il Ministro della Giustizia ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera d), decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, esplicitati come di seguito”).
Tuttavia, conformemente alle doglianze del presente appello, in virtù del centrale principio di legalità, per questa funzione amministrativa di specificazione generale di fattispecie (in funzione di integrazione o anche suppletiva dei principi specifici espressi dalla legge: es. Cons. Stato, IV, 14 luglio 2008, n. 3513; 28 novembre 2012, n. 6035; 6 dicembre 2016, n. 5152) la legge medesima costituisce un limite insuperabile. Del resto, a garanzia del singolo magistrato non meno che il principio di autogoverno per la magistratura, sta la riserva di legge dell’art. 108, primo comma, della Costituzione (“Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge”) che governa la materia dell’ordinamento giudiziario.
Pertanto, se nei detti termini è in astratto consentito al Consiglio superiore della magistratura di auto-vincolare in via generale la propria discrezionalità in tema di provvedimenti riguardanti lo status dei magistrati e la loro carriera attraverso la fissazione in via preventiva di criteri di valutazione da utilizzare per i provvedimenti da assumere poi in questa materia - come sottolineano il Ministero della giustizia e il Consiglio superiore della magistratura nelle difese -, nondimeno questa potestà non può che essere esercitata in attuazione e in conformità alla legge.
Del resto, la stessa “circolare” recante il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria, nel definire, all’art. 26, le modalità attraverso cui va svolto il giudizio comparativo sotto il profilo dell’attitudine a ricoprire un incarico direttivo, sottolinea che gli indicatori previsti dal testo medesimo sono “attuativi ed esplicativi delle disposizioni di cui all’art. 12, commi 10, 11 e 12 D.Lgs. 160/2006” (comma 1).
15. Applicato il principio al caso di specie, come si va a vedere deve affermarsi che per il conferimento in questione non possono essere introdotti, in modo selettivo, elementi di valutazione che risultano non coerenti e non conformi a quelli che le norme di legge di ordinamento giudiziario hanno previsto e tanto meno elementi che abbiano comunque l’effetto di irrazionalmente superare e deprivare di effetti pratici questi ultimi o di ridisegnare al di là della legge il rapporto tra le carriere dei magistrati ordinari. In altri termini, sono da ritenersi illegittime anzitutto per violazione di legge e poi per irragionevolezza le previsioni di indicatori attitudinali che, esorbitando dai limiti dell’attuazione ed esplicazione delle sovraordinate norme di legge di ordinamento giudiziario, portino a indirizzare la valutazione concreta dell’organo di autogoverno verso contenuti estranei, disapplicativi o deformativi – anche con effetti di sistema - rispetto a quelli prefigurati dalla legge.
16. Ebbene, questo è proprio il caso che, sotto un altro profilo, risulta essersi verificato con l’ipotesi introdotta dalla lettera b) del citato art. 21 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria».
[Omissis]
18. Sia dal punto di vista della violazione dell’art. 12, commi 11 e 12, d.lgs. n. 160 del 2006 (che non distingue tra magistrati della Corte di Cassazione e magistrati di quella Procura generale) che dell’eccesso di potere, è illegittimo l’uso discriminatorio che è stato fatto del potere di specificazione dell’indicatore attitudinale specifico di cui si verte».

[18] V., ex multis, tra le più recenti, T.A.R. Roma, (Lazio) sez. I, n.3460/2023; Consiglio di Stato, Sez. VII, n.1847/ 2023; Cons. Stato, Sez. V, n. 5828/2017; Id., V, n. 4786/2017; Id., V, n. 5933/2017.

[19] In tal senso, v., Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n.330/2021, con la quale è stato rigettato l’appello proposto dal Consiglio superiore avverso la sentenza del TAR che aveva accolto il ricorso di un aspirante al posto di componente del Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura e che aveva lamentato la mancata comparazione del suo profilo con quello degli agli aspiranti nominati. Il Consiglio di Stato, nel ritenere infondato il motivo di impugnazione con il quale il Consiglio aveva dedotto il carattere non comparativo della selezione a proposito della procedura di nomina prevista art. 6, comma 1 del d.lgs. n. 26 del 2006 dei "componenti" del Comitato direttivo della Scuola per la Magistratura, ha affermato che, mentre relativamente «alla competenza del Ministro, la discrezionalità selettiva che la connota può arrivare ad assumere, per la natura strettamente amministrativa dell'organo e la responsabilità politica del Ministro, il tratto di una individuazione intuitu personae (cioè di una nomina “a scelta”, dove l'apprezzamento del merito professionale e della capacità rispetto all'ufficio ad quem sono rimessi all'autonomo apprezzamento discrezionale ministeriale), nel caso del Consiglio Superiore della Magistratura (che non è organo politico ma organo di alta amministrazione di rilievo costituzionale; cfr. ex multis Cons. Stato, V, 7 gennaio 2021, n. 215), la scelta va connessa non solo all'ufficio di destinazione, ma prima ancora alla particolare natura a struttura del CSM. E proprio in ragione del suo carattere di organo di governo autonomo a base composta ed essenzialmente elettiva, la valutazione tecnico-discrezionale orientata ad una tale selezione va condotta secondo canoni di trasparenza, di verificabilità, di idoneità e di razionalità che accentuino - rapportandoli alle caratteristiche di questo particolare organo di rilievo costituzionale - i connotati già propri di ogni attività amministrativa (cfr. art. 97 Cost. e 1 l. n. 241 del 1990), emancipandoli dai caratteri di una ripartita nomina 'a scelta'. Sicché, nel rispetto dell'alta funzione propria dell'organo di governo autonomo, costituzionalmente ben distinta da quella ministeriale, e anche ad evitare che l'occasionale formula di rappresentatività del selettore prevalga sull'obiettiva valutazione comparata delle attitudini dei selezionandi, il vaglio della professionalità - in termini di merito e di attitudini - va svolto e congruamente motivato secondo rigorosi ed obiettivi parametri, strettamente professionali e non mai di altra natura o ordine».In linea con tale indirizzo si pone anche la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VII, n. 7692/2023, con la quale è stata annullata la delibera di nomina di un magistrato quale componente dell’Ufficio Studi e Documentazione del Consiglio Superiore della Magistratura.

[20] In particolare la Corte, pronunciandosi in merito alla compatibilità costituzionale dell’art. 69, co. 7, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in relazione all’art. 117, co. 1, Cost., con specifico riguardo ai principi di diritto enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle sentenze Mottola e Staibano, ha stabilito che «L'“eccesso di potere giudiziario», denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l'avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici. 16. - Il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri, non ammette soluzioni intermedie, come quella pure proposta nell'ordinanza di rimessione, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze "abnormi" o "anomale" ovvero di uno "stravolgimento", a volte definito radicale, delle "norme di riferimento". Attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive. Alla stregua del così precisato ambito di controllo sui "limiti esterni" alla giurisdizione non è consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti una interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda».

[*]

Relazione tenuta presso la Scuola Superiore della Magistratura al corso n. T23006-D23167 - "La discrezionalità della P.A. e la responsabilità dei pubblici dipendenti" 

16/01/2024
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02/09/2024
Il sorteggio per i due CSM e per l’Alta Corte disciplinare. Così rinascono corporazione e gerarchia

Nella scelta del sorteggio per la provvista dei membri togati dei due CSM separati e dell’Alta Corte disciplinare c’è qualcosa che va oltre il proposito di infliggere una umiliazione alla magistratura. E’ il tentativo di far rivivere una concezione della magistratura come “corporazione” indifferenziata, nella quale non sono ravvisabili - e comunque non sono legittime - diverse idealità e diverse interpretazioni degli interessi professionali. E’ solo in quest’ottica infatti che si può ritenere che ciascuno degli appartenenti al “corpo”, anche se scelto a caso, possa rappresentarlo nella sua interezza e decidere in suo nome. In questa visione della magistratura si esprime una logica di “restaurazione” che mira a cancellare e a smentire il percorso culturale, ideale ed istituzionale compiuto dalla magistratura negli ultimi cinquanta anni, appiattendola sull’unica dimensione di un corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative. 

30/05/2024
La proporzionalità della pena: tra scelte del legislatore e discrezionalità giudiziale. Note a margine della sentenza Corte costituzionale n. 197 del 2023

Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 577, comma 3, c.p., nella parte in cui condizionava – con previsione generale e astratta – l’esito del giudizio di bilanciamento tra alcune aggravanti e alcune attenuanti, la Corte costituzionale ha sviluppato interessanti notazioni sul tema della discrezionalità giudiziale e sul suo responsabile esercizio.

29/11/2023
Questioni di giurisdizione e diritti fondamentali

La devoluzione dei diritti fondamentali in via esclusiva al giudice ordinario è ormai una stagione del passato alla luce della nuova concezione del giudizio amministrativo e dell’introduzione nella giurisprudenza costituzionale della tecnica del bilanciamento. Anche l’interesse legittimo, se vi è una norma che attribuisce il potere alla pubblica amministrazione, è uno strumento di tutela dei diritti fondamentali. E’ necessaria una nuova visione del giudizio sul riparto di giurisdizione nel quale la Corte di Cassazione non sia più il giudice ordinario che decide dei limiti della propria giurisdizione, ma sia un giudice terzo rispetto al giudice ordinario ed al giudice speciale.

11/10/2023
Un tutore della verità per il CSM?

Riflessioni su fake news e libertà di informazione

18/09/2023
E' esigibile un onere di cautela verbale dei magistrati nelle comunicazioni private? Una triste lezione consiliare

Malgrado i ripetuti interventi chiarificatori della Corte Costituzionale circa la riconducibilità del diritto alla libera manifestazione del pensiero e, soprattutto, della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, rispettivamente tutelati dagli articoli 21 e 15 della Costituzione, alla categoria dei diritti inviolabili previsti dall'art.2 della stessa, appaiono sempre più frequenti ed invasivi i casi in cui il vaglio del tenore letterale e logico degli scambi comunicativi privati, comunque acquisiti in sede penale,  diviene parametro di determinante giudizio nell'ambito di procedimenti amministrativi relativi all'assegnazione o alla conferma di delicate funzioni giurisdizionali. Questa circostanza, oltre a far emergere il problema generale dei limiti della trasmigrazione in ambito amministrativo di materiale proveniente da indagini penali, sembra incoraggiare un atteggiamento di prudente circospezione in ogni comunicazione privata non costituente reato che dovrebbe per definizione costituzionale rimanere libera sia nell'espressione sia nell'utilizzazione in contesti diversi. Resta da vedere se un simile atteggiamento di cautela giovi alla piena esplicazione di libertà fondamentali e se un eventuale difetto  di prudenziale avvedutezza possa legittimare l'autorità amministrativa ad invadere con finalità critiche un'area che andrebbe preservata da contaminazioni esterne.

24/07/2023