Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Dublino, Lussemburgo, Bruxelles. Le Corti italiane interrogano la CGUE sui criteri di determinazione dello Stato UE competente all’esame delle domande di protezione internazionale

di Gualtiero Michelini
consigliere della Corte di cassazione

L’interpretazione e l’applicazione concreta da parte dei  tribunali italiani di uno dei più controversi strumenti legislativi della Politica Europea Comune di Asilo e Immigrazione – il Regolamento c.d. Dublino III – sono portate all’attenzione della Corte di Giustizia UE con quattro ordinanze di rinvio pregiudiziale sollevate in rapida successione dalla Corte di Cassazione e dalle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE dei Tribunali di Roma, Firenze e Trieste.

1. Quattro rinvii pregiudiziali

L’interpretazione e l’applicazione concreta da parte dei  tribunali italiani di uno dei più controversi strumenti legislativi della Politica Europea Comune di Asilo e Immigrazione – il Regolamento c.d. Dublino III – sono portate all’attenzione della Corte di Giustizia UE con quattro ordinanze di rinvio pregiudiziale sollevate in rapida successione dalla Corte di Cassazione e dalle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE dei Tribunali di Roma, Firenze e Trieste. 

I casi di fronte alle corti italiane riguardano cittadini non europei (nella specie afgani e iracheni) che hanno presentato domanda di protezione internazionale in Italia (nel cui territorio attualmente si trovano) dopo che una loro precedente analoga domanda non è stata accolta in un altro paese UE (in questi casi Slovenia, Germania, Svezia, Finlandia). A norma del Regolamento Dublino III[1] (di seguito Regolamento), il cui scopo è appunto quello di determinare lo Stato UE competente all’esame di una domanda di protezione internazionale, verificata l’avvenuta presentazione di una precedente domanda, i casi sono stati “presi in carico” dall’Unità Dublino del Ministro dell’Interno[2]. L’Unità Dublino, a norma del Regolamento Dublino III e dell’art. 3 D. Lgs. 25/2008 (la normativa italiana di attuazione della c.d. Direttiva Procedure[3]), ha chiesto alle autorità omologhe del primo stato di presentazione della domanda di protezione internazionale la “ripresa in carico” dei richiedenti e, ottenuta l’accettazione, ha disposto il (ri-)trasferimento dei richiedenti stessi presso lo Stato UE di presentazione della prima domanda. 

I richiedenti protezione internazionale hanno quindi presentato ricorso ai tribunali ordinari; chiesto la sospensiva dei rispettivi decreti di trasferimento (adottati dall’Unità Dublino) presso lo Stati UE di presentazione della precedente domanda; chiesto l’annullamento dei trasferimenti medesimi, nonché, implicitamente o esplicitamente, l’esame in Italia delle rispettive domande di protezione internazionale; prospettato, in caso di esecuzione del trasferimento presso lo Stato UE che ha respinto la prima domanda, un successivo rimpatrio nel paese di origine (c.d. rimpatrio a catena) in violazione del divieto di sottoposizione a tortura o pene o trattamenti inumani e degradanti  (art. 4 Carta dei Dritti Fondamentali dell’Unione Europea) o delle garanzie del diritto di asilo (art. 18) o del principio di non respingimento (art. 19) o del diritto ad un rimedio effettivo dinanzi a un giudice imparziale (art. 47). 

 

2. Due ordini di questioni 

Nelle ordinanze di rinvio pregiudiziale non si pongono questioni di giurisdizione (devoluta al giudice ordinario[4]) o di competenza per territorio (del tribunale «prossimo» al domicilio di accoglienza del ricorrente[5]), e neppure vengono rilevate problematiche di carenze sistemiche delle procedure di asilo e dei sistemi di accoglienza degli Stati UE di prima domanda (questioni oggetto della norma di cui all’art. 3.2 del Regolamento, inserita a seguito di specifici arresti giurisprudenziali della Corte EDU e della CGUE), se non in ottica di non respingimento a fonte di prospettato rimpatrio a catena.

Piuttosto, la Corte di Cassazione ed il Tribunale di Trieste si interrogano ed interrogano la Corte di Giustizia UE sulla questione (apparentemente) procedurale della portata degli obblighi dello Stato/diritti del richiedente/garanzie di natura informativa e partecipativa in sede di domanda di protezione internazionale in Italia, quindi sull’interpretazione delle norme del Regolamento (artt. 4 e 5) che disciplinano i diritti di informazione ed il colloquio personale. 

I Tribunali di Roma e Firenze chiamano invece in causa la CGUE sulla questione dell’applicabilità/applicazione della clausola discrezionale (o di sovranità) di cui all’art. 17.1 del Regolamento, in base alla quale ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel regolamento stesso.

E’ interessante rilevare come in tutte le ordinanze si faccia riferimento alla necessità di interpretare le norme oggetto delle questioni pregiudiziali alla luce dei considerando del Regolamento, ossia cercando di individuarne la ratio e lo scopo. Nelle ordinanze vengono, infatti, variamente richiamati i considerando 3 (principio di non respingimento - non-refoulement), 4 (esigenza di chiarezza e praticità del meccanismo per determinare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo), 5 (esigenza di oggettività, equità, rapidità del meccanismo di determinazione), 17 (principio di rilevanza dei motivi umanitari e di ricongiungimento familiare ai fini dell’esame di una domanda di protezione internazionale anche in deroga ai criteri stabiliti dal Regolamento), 18 (principio del colloquio personale), 19 (diritto ad un ricorso effettivo avverso le decisioni di trasferimento intra-UE tanto sull’esame dell’applicazione del Regolamento quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito), 32 (rispetto degli obblighi derivanti dagli strumenti giuridici internazionali e dalla pertinente giurisprudenza della Corte EDU), 39 (rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali UE, in particolare del diritto d’asilo garantito dall’articolo 18 della Carta).

Il richiamo ai considerando della normativa europea, e, ancora più a monte, all’art. 78 TFUE, che - nell’ambito del Titolo V sullo Spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, Capo 2 sulle politiche relative ai controlli alle frontiere, all'asilo e all'immigrazione - stabilisce la competenza dell'Unione allo sviluppo di una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea (CEAS) «volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento», è necessario alle corti remittenti a seguito dell’emersione nella giurisprudenza italiana di merito e di legittimità di orientamenti compositi  e talora apertamente contrastanti su entrambi gli ordini di questioni sopra (sinteticamente  e schematicamente) delineati. 

Più precisamente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 8668/2021 del 29 marzo 2021, dà atto della formazione, nella giurisprudenza nazionale, di due diversi orientamenti interpretativi sulla rilevanza e sulle conseguenze della violazione delle garanzie informative: un orientamento[6] secondo il quale la norma ha carattere essenziale, la cui violazione comporta l’illegittimità della decisione di trasferimento; ed un orientamento[7] secondo il quale la violazione dell'obbligo informativo previsto dall’art. 4 del Regolamento può essere fatta valere solo a condizione che il richiedente asilo indichi quali informazioni avrebbe fornito per applicare correttamente i criteri di competenza e in che modo queste informazioni sarebbero state determinanti per l'adozione di una decisione di trasferimento di diverso contenuto o per la non adozione da parte dell'autorità amministrativa.

Il Collegio di legittimità rileva, inoltre, che il Regolamento non offre indicazioni sulle conseguenze che, in caso di violazione dell'art. 4 o dell'art. 5, derivano sulla decisione di trasferimento.

Prospetta perciò la questione pregiudiziale in termini alternativi (assai simili ad una rimessione alle sezioni unite) di conformità al diritto UE di una interpretazione che consenta la possibilità di far valere, nei confronti di una decisione di trasferimento adottata da uno Stato membro secondo il meccanismo “Dublino” dell'obbligo di ripresa in carico, violazioni definite di natura formale, con conseguente decisione giudiziale di annullamento della decisione di trasferimento, ovvero della diversa interpretazione nel senso che il rimedio effettivo in caso di accertata violazione degli obblighi informativi imponga di verificarne la rilevanza alla luce delle circostanze allegate dal ricorrente, con conferma della decisione di trasferimento tutte le volte che non emergano ragioni per l'adozione di una decisione di trasferimento di contenuto diverso.

Anche il Tribunale di Trieste, con ordinanza 2 aprile 2021, sottolinea la formazione di due diversi orientamenti interpretativi in materia, come osservati dalla Corte di Cassazione, e rileva che né nel Regolamento Dublino né nel Regolamento Eurodac è reperibile una norma che disciplini le conseguenze che derivano dalla violazione degli obblighi informativi e partecipativi. 

Spiega le ragioni per cui non è persuaso dalla soluzione che ricollega all’omissione delle garanzie l’invalidità del provvedimento di trasferimento e la sua preferenza per la soluzione che, nell’ambito del processo, consente al ricorrente di venire comunque pienamente informato dei suoi diritti con possibilità di difesa tecnica e di fornire ogni informazione utile. Chiede, dunque, alla CGUE di chiarire quali siano le conseguenze giuridiche imposte dal diritto UE in ordine ai provvedimenti di trasferimento per ripresa in carico (sia in caso di presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale, sia in caso di non presentazione), in particolare se l’omessa consegna dell’opuscolo informativo previsto dall’art. 4 del Regolamento determini di per sé l’insanabile nullità del provvedimento di trasferimento (ed eventualmente anche la competenza a conoscere della domanda di protezione internazionale da parte dello Stato membro al quale la persona ha proposto la nuova domanda, oppure l’offerta della possibilità di presentare una nuova domanda), ovvero se la normativa europea debba essere interpretata nel senso che è onere del ricorrente dimostrare in giudizio che, se gli fosse stato consegnato l’opuscolo, il procedimento avrebbe avuto un esito diverso.

Da una diversa angolazione, il Tribunale di Roma, con ordinanza 12 aprile 2021, evidenzia che l’adozione del Regolamento Dublino si basa sul principio di reciproca fiducia tra gli Stati membri, al fine, tra l’altro, di razionalizzare il trattamento delle domande d’asilo, di trattare domande multiple del medesimo richiedente, di evitare il forum shopping. Di fronte ad una domanda, in sede di ricorso avverso un trasferimento “Dublino” tra Stati dell’Unione, con la quale si chiede di valutare il rischio di refoulement indiretto (tutela ricompresa tra gli obblighi degli Stati membri e tra gli obiettivi della normativa UE), il Tribunale si domanda se, escluse carenze sistemiche e condizioni individuali di particolare vulnerabilità, rientri nelle prerogative del tribunale italiano compiere una valutazione del rischio presente nel Paese di origine del richiedente. Prefigura, cioè, un rischio di sovrapposizione tra il rimedio del ricorso contro il trasferimento intra-UE con un nuovo esame della prima domanda di protezione internazionale, già svolto dallo Stato membro competente che ha applicato i proprî criteri interpretativi delle COI e/o gli accordi di rimpatrio.

Chiede dunque alla CGUE di rispondere ad una serie di questioni pregiudiziali secondo la ricostruzione del sistema così operata: se il diritto ad un ricorso effettivo offra protezione anche contro il rischio di refoulement indiretto in sede di trasferimento verso uno Stato UE che non ha carenze sistemiche e che ha già esaminato e respinto la prima domanda di protezione internazionale; se il giudice del Paese membro dove è stata presentata la seconda domanda di protezione internazionale, competente a valutare il trasferimento all’interno dell’Unione ma non a decidere la domanda di protezione, debba valutare il rischio di refoulement indiretto verso un paese terzo; se la possibile rivalutazione del refoulement indiretto, a seguito di diversa interpretazione del bisogno di protezione all’interno del paese di origine tra due Stati membri, sia compatibile con il divieto per i cittadini di un paese terzo di decidere il Paese dell’Unione dove presentare la domanda di protezione internazionale; in caso di risposta affermativa, se la valutazione dell’esistenza di refoulement indiretto, obblighi all’applicazione della clausola discrezionale di (ri-)esame della domanda di protezione internazionale, e sulla base di quali criteri. 

Il Tribunale di Firenze, con ordinanza 29 aprile 2021, sottopone alla CGUE la questione dell’oggetto e dell’estensione del sindacato del giudice nazionale in sede di impugnazione del decreto di trasferimento emesso dalla competente Unità Dublino, questa volta dalla prospettiva della tutela multi-livello del diritto di asilo.

Dà atto che (anche) sulla problematica della valutazione del rischio di violazione del principio di non-refoulement, per respingimento a catena del richiedente verso il proprio paese di origine, si sono formati nella giurisprudenza nazionale due diversi orientamenti interpretativi. 

Per un primo orientamento, il giudice, in sede di ricorso avverso una decisione di trasferimento “Dublino”, deve, eventualmente anche attraverso l’esercizio della clausola discrezionale, garantire il rispetto dei diritti assoluti sanciti nell’art. 3 CEDU e nell’art. 4 CDFUE anche con riferimento alle condotte espulsive dello Stato intermedio, se del caso annullando il trasferimento qualora accerti il pericolo di violazione del principio di non-refoulement nello Stato membro competente, sulla base  di fonti attualizzate circa la situazione di rischio nel paese di origine. Ciò attraverso l’applicazione della clausola discrezionale, oppure attraverso l’interpretazione evolutiva/estensiva dell’art. 3.2 del Regolamento, che svincola il giudizio sul rischio di violazione del principio di non respingimento dall’accertamento di carenze sistemiche nel Paese UE di destinazione[8]

Il secondo orientamento sostiene invece che l’esercizio della clausola discrezionale spetta all’autorità amministrativa e che il decreto di trasferimento adottato dall’Unità Dublino è sindacabile solo limitatamente alla procedura di determinazione dello Stato competente, stante il principio di reciproca fiducia che conforma l’architettura del Regolamento Dublino[9]

In tale contesto interpretativo, il Tribunale di Firenze osserva che dalla giurisprudenza CGUE[10] si ricava una nozione inderogabile del divieto di respingimento secondo le disposizioni della CDFUE; che, sul piano del diritto interno, il diritto di asilo può essere soggetto a bilanciamento solo con altri diritti di pari rango e può resistere ai limiti eventualmente rinvenibili nel diritto sovranazionale anche attraverso l’attivazione di contro-limiti; che le norme UE in materia di asilo non ostacolano l’adozione o la conservazione di norme nazionali più favorevoli, posto che l’armonizzazione a livello UE del diritto di asilo rappresenta la soglia minima di tutela richiesta dall’Unione, e conseguentemente lascia spazio agli Stati membri per più ampie tutele nazionali.

La stretta correlazione degli strumenti di tutela del principio di non respingimento con l’attuazione del diritto costituzionale di asilo, attraverso il sistema italiano pluralistico della protezione internazionale, non limitato alle protezioni maggiori ma esteso alle ragioni di carattere umanitario[11], porta ad una interpretazione del diritto del richiedente asilo ad un rimedio effettivo nel senso di un riesame della situazione fattuale e giuridica della decisione di trasferimento. Si deve così affermare, in sintonia con l’art. 10, co. 3, e con l’art. 24 Cost. italiana, il principio secondo cui il giudice italiano, investito del riesame di una decisione di trasferimento adottata dall’Unità Dublino, verificato ed accertato il pericolo concreto di violazione del principio di non-refoulement indiretto, possa dichiarare la competenza dello Stato italiano in attuazione della clausola discrezionale, quale facoltà prevista dal Regolamento, in sede giurisdizionale, all’interno del sistema interno di garanzie volte ad assicurare la  tutela ai diritti fondamentali della persona. Tale opzione ermeneutica tiene anche conto della differenza esistente nei singoli Stati Membri in merito al concreto apprezzamento, da parte del giudice nazionale, della sicurezza del Paese di origine del richiedente asilo, in particolare delle divergenze sulla nozione di alternativa di ricollocamento interno. 

Il Tribunale di Firenze si pone anche la questione se il rimedio possa eventualmente individuarsi (qualora dovesse escludersi il potere dell’autorità giurisdizionale in sede di procedimento contro una decisione di trasferimento di esercitare la clausola discrezionale) nella diretta valutazione del rischio di respingimento a catena svincolato dall’accertamento di carenze sistemiche nel paese di destinazione, atteso il carattere assoluto del divieto di trattamenti inumani o degradanti.

Chiede, quindi, alla CGUE di pronunciarsi in via principale sulla questione se l’art. 17.1. del Regolamento UE 604/2013 debba essere interpretato nel senso che al giudice dello Stato membro, investito dell’impugnazione del provvedimento dell’Unità Dublino, sia consentito affermare la competenza dello Stato nazionale che dovrebbe eseguire il trasferimento, qualora accerti la sussistenza, nello Stato membro competente, del rischio di violazione del principio di non refoulement per respingimento del richiedente verso il proprio paese di origine, dove il richiedente sarebbe esposto a pericolo di morte o di trattamenti inumani e degradanti, ed, in via subordinata, se l’art. 3.2 del Regolamento debba essere interpretato nel senso che sia consentito al giudice di affermare la competenza dello Stato tenuto ad eseguire il trasferimento qualora risulti accertata comunque  la sussistenza nello Stato membro competente del rischio di violazione del principio di non refoulement e l’impossibilità di eseguire il trasferimento verso altro Stato designato in base ai criteri del Regolamento. 

 

3. Molte soluzioni possibili

E’ ovviamente difficile fare pronostici sulle soluzioni che adotterà la Corte di Giustizia UE sulle questioni prospettatele – con richiesta di procedura accelerata - dalle corti italiane sull’interpretazione delle garanzie informative e partecipative e della clausola discrezionale disciplinate dal Regolamento Dublino III, a cominciare dalla possibile scelta di riunire o meno per la trattazione congiunta i doversi ordini di questioni.

La Corte potrebbe valorizzare una nozione europea di non respingimento, statica o dinamica, ovvero porsi nell’ottica della protezione multi-level dei diritti fondamentali, oppure fornire elementi utili ai giudici nazionali per un apprezzamento caso per caso, tramite la tecnica dell’interpretazione conforme; potrebbe chiarire i limiti del sindacato giurisdizionale sulle procedure di trasferimento “Dublino” e le possibilità di ricorso contro, o  riesame di, una decisione già adottata da altra autorità giurisdizionale UE; potrebbe “aprire” o “chiudere” ad una valutazione di elementi diversi o nuovi o successivi, ed illustrare  le relative conseguenze giuridiche. 

Certamente rimane la difficoltà di attuazione, ed ancor prima di ricostruzione teorica in conformità con i principi di tutela dei diritti fondamentali, di un sistema, quello c.d. Dublino, di determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale del cittadino proveniente da paesi terzi, definito dalla dottrina «tanto inutile quanto divisivo»[12] ed unanimemente ritenuto da riformare, ma senza che sia stato sinora trovato a livello UE un accordo sulla riforma possibile. 

Il criterio dello Stato di primo ingresso per la competenza a decidere sulla domanda di protezione internazionale (residuale sul piano teorico e prevalente su quello pratico) si è infatti rivelato inadeguato se le disposizioni atte a prevenire i movimenti secondari non sono accompagnate da misure di bilanciamento. Ma allo stato la normativa rimane concentrata sul contrasto all’immigrazione irregolare anziché alla regolazione della migrazione legale, anche economica[13], in cui potrebbe davvero esprimersi il valore aggiunto di una politica europea uniforme ed inclusiva.

 

photo credits: Corte di Giustizia dell'Unione Europea


 
[1] REGOLAMENTO (UE) N. 604/2013 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 26 giugno 2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione).

[2] Si tratta della struttura incardinata nel Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno e nell’ambito della Direzione Centrale dei Servizi Civili per l’Immigrazione e l’Asilo,  preposta a determinare lo Stato membro UE competente dell’esame della domanda d’asilo presentata in uno degli altri Stati membri ed a svolgere tutte le relative attività strumentali e relative al contenzioso - http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/unita-dublino

[3] DECRETO LEGISLATIVO 28 gennaio 2008, n. 25 - Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

[4] Cass. SS.UU. 8044/2018: «La controversia avente ad oggetto la procedura di determinazione dello Stato europeo competente sulla domanda dello straniero richiedente protezione internazionale e sul conseguente, eventuale, provvedimento di trasferimento emesso dalla P.A., ai sensi dell'art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008 – anche prima della previsione espressa contenuta nell'art. 3, comma 3 bis, del d.lgs. cit., come introdotto dal d.l. n. 13 del 2017 conv. con modif. dalla l. n. 46 del 2017 –, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la situazione giuridica soggettiva dello straniero che chiede protezione internazionale ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali la cui giurisdizione spetta, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, all'autorità giurisdizionale ordinaria». (Nella specie la S.C. ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario sul ricorso proposto da un cittadino straniero avverso la decisione della cd. Unità Dublino, operante presso il Ministero dell'Interno, con cui era stata dichiarata l'incompetenza dell'Italia all'esame della domanda di protezione internazionale presentata dal medesimo e contestualmente disposto il trasferimento a Malta).

[5] Cass. 31127/2018: «In tema di protezione internazionale, l'interpretazione costituzionalmente orientata del comma 3, coordinato con il comma 1, dell'art. 4 del d.l. n. 13 del 2007, conv. nella l. n. 46 del 2017, deve tener conto della posizione strutturalmente svantaggiata del cittadino straniero in relazione all'esercizio del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost., nonché dell'obbligo, imposto dall'art. 13 CEDU e dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., di garantire un ricorso effettivo "ad ogni persona", e ciò anche in relazione al quadro normativo innovato dal d.l. n. 113 del 2018, conv. nella l. n. 132 del 2018, sicché la competenza territoriale a decidere sulle impugnazioni dei provvedimenti emessi dalla cd. Unità Dublino, o dalle sue articolazioni territoriali, si radica, secondo un criterio "di prossimità", nella sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede la struttura di accoglienza o il centro che ospita il ricorrente, anche nell'ipotesi in cui questi sia trattenuto in un centro di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998».

[6] Cass. 17963/2020: «Le garanzie informative e partecipative di cui agli artt. 4 e 5 del Reg. UE n. 604 del 2013 (cd. nuovo regolamento di Dublino o Dublino III), che vanno assicurate allo straniero sottoposto a procedimento di trasferimento presso altro Stato dell'Unione Europea, che sia competente ad esaminare la sua domanda di protezione internazionale, sono finalizzate a garantire l'effettività ed uniformità dell'informazione, nonché del trattamento del procedimento di trasferimento, in tutto il territorio dell'Unione. Ne consegue che la loro inosservanza determina la nullità del provvedimento di trasferimento, senza che rilevi, in senso contrario, l'eventuale loro conoscenza acquisita "aliunde" da parte dello straniero, né la mancata allegazione o dimostrazione, da parte dell'interessato, di uno specifico "vulnus" al suo diritto di azione e difesa, giacché il rispetto della della citata normativa eurounitaria, finalizzata ad assicurare il trattamento uniforme della procedura di trasferimento in tutto il territorio dell'Unione, non può essere condizionata dalle modalità con cui, in concreto, i singoli interessati reagiscono alla sua eventuale violazione».

[7] Cass. 23584/2020: «Nel giudizio di impugnazione di un provvedimento dell'Unità Dublino di trasferimento di un richiedente protezione internazionale in altro Stato - che abbia accettato la domanda proposta dall'Italia di ripresa in carico ex art. 18 reg. Ce n. 604/2013 - il giudice ordinario nazionale non può annullare il provvedimento dell'Amministrazione sulla base della violazione di norme procedurali verificatasi nel corso della procedimento (nella specie, il tribunale aveva riscontrato la dedotta violazione degli artt. 4 e 5 del reg. Dublino III, rispettivamente, relativi alla omessa comunicazione di informazioni sulla procedura ed all'omesso colloquio con il richiedente), atteso che la competenza ad individuare lo Stato competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale, spetta, in base all'art. 3, comma 3 del d. lgs. n. 25 del 2008, all'Unità Dublino e che il sindacato del giudice ordinario deve ritenersi limitato al vaglio della sussistenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti nello Stato membro designato, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell'art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, sempre che tale situazione sia tale da superare l'art. 78 del TFUE».

[8] Tale interpretazione estensiva si fonda sull’esegesi della sentenza CGUE del 6.2.2017, C.K./Slovenia, C-353/16, punti 90-93, riguardante la rilevanza di motivi di salute ostativi al trasferimento, ed è stata seguita dal Tribunale di Milano con ordinanza 14 ottobre 2020.

[9] Cass.23724/2020: «In materia di protezione internazionale, il ricorso alla "clausola discrezionale", prevista dall'art. 17, par. 1, del regolamento (UE) n. 604 del 2013 (cd. regolamento Dublino III), di natura facoltativa, è demandato all'Amministrazione (e segnatamente all'Unità di Dublino operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno), in ragione delle considerazioni di tipo politico, umanitario o pragmatico, che ne determinano l'esercizio, e non può essere operato direttamente dal giudice ordinario, fermo restando che la relativa scelta non rimane al di fuori di ogni controllo, sicché il rifiuto di esercitare tale facoltà, risolvendosi nella decisione di trasferire il cittadino straniero, può essere contestato in sede giurisdizionale, mediante l'impugnazione di tale decisione, al fine di verificare se l'Amministrazione abbia esercitato la propria discrezionalità in violazione dei diritti soggettivi riconosciuti al richiedente asilo dal regolamento menzionato e, più in generale, dall'impianto normativo eurounitario». Cass. 26603/2020: «In tema di protezione internazionale, nella vigenza del regolamento di Dublino III, al giudice investito del ricorso del richiedente asilo avverso il decreto di trasferimento nello Stato membro che lo aveva preso in carico compete unicamente il sindacato di legalità riguardo detto atto, ai fini della verifica del rispetto del procedimento e dei criteri di competenza, mentre è preclusa ogni rivalutazione della domanda di protezione già esaminata dallo Stato di prima accoglienza, sia perché ogni domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro, sia perché l'operatività delle clausole discrezionali di cui all'art. 17 del citato regolamento, che consentono a ciascuno Stato di esaminare comunque una domanda di protezione internazionale, pur non essendo quello di presa in carico del richiedente, ha come destinatari gli Stati e non il giudice».

[10] V. nota 8, e sent. 14 maggio 2019, M, C-391/16, ECLI:EU: C:2019:403

[11] Cass. 29459/2019.

[12] C. Favilli, Il patto europeo sulla migrazione e l’asilo: “c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico”, § 5 - Dublino o non Dublino, in Questione Giustizia 2/10/2020, https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-patto-europeo-sulla-migrazione-e-l-asilo-c-e-qualcosa-di-nuovo-anzi-d-antico 

[13] V. M. Borraccetti, Il nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo: continuità o discontinuità col passato?, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, fasc. 1/2021, Saggi.

11/05/2021
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