Il Consiglio Consultivo dei Pubblici Ministeri Europei (CCPE) ha approvato un importante parere sulle relazioni tra i procuratori e i media, Opinion (2013) (INGLESE - FRANCESE) nr. 8 of the Consultative Council of European Prosecutors, adottato a Yerevan 8-9 Ottobre 2013; le citazioni che seguono sono tradotte dal redattore.
Il CCPE è organismo consultivo del Consiglio d’Europa, il cui Comitato dei Ministri ne deliberò la costituzione nel luglio 2005, al fine di rafforzare il ruolo dei procuratori nel sistema dello Stato di diritto.
Esso è organo parallelo al Consiglio Consultivo dei Giudici (CCJE), con il quale redasse la Dichiarazione di Bordeaux, su Giudici e magistrati del pubblico ministero in una società democratica, adottata ufficialmente a Brdo (Slovenia) il 18 novembre 2009.
Il Consiglio è costituito dai rappresentanti degli Stati membri ed opera raccogliendo ed elaborando le informazioni provenienti da contesti istituzionali e culturali radicalmente differenti tra loro.
Non è infatti facile individuare le costanti che tratteggiano le linee di fondo di un pubblico ministero europeo, traendole da esperienze storiche e radici culturali così profondamente diversificate e che pure costituiscono la grande ricchezza dell’Europa.
Lo sforzo del CCPE è dunque innanzitutto quello di far maturare il terreno per la realizzazione di un vero pubblico ministero europeo, ormai previsto dagli stessi Trattati dell’Unione.
Del CCPE ha fatto parte in passato, quale rappresentante italiano, Vito Monetti ed ora ne è presidente Antonello Mura.
Merito del CCPE è quello di aver sempre, con chiarezza e fermezza, richiamato la necessità dei requisiti di indipendenza, autonomia ed imparzialità quali caratteristiche fondanti il p.m. in uno Stato di diritto, legando tale affermazione al valore dell’indipendenza e della terzietà del giudice.
Il CCPE opera a partire dalla fondamentale Raccomandazione nr. 19 del 2000 del Comitato dei Ministri sul Ruolo del Pubblico Ministero nell’Ordinamento Penale, nella quale iniziò a porsi il tema della rilevanza della corretta informazione sia nel rapporto tra p.m. e giudice, sia nel rapporto col pubblico.
Sin da quel momento si delinearono i due corni del problema: informazione come dovere d’ufficio del p.m. e riservatezza come obbligo di condotta, permeante l’intera azione del p.m..
Porre in risalto contemporaneamente i due aspetti è molto importante.
Troppo spesso polemiche nazionali offuscano la rilevanza dell’informazione come componente dell’attività del p.m., dovuta alle parti, al pubblico e alle istituzioni coinvolte, sia sulle linee di fondo dell’impegno dell’ufficio, sia sulle singole vicende procedimentali, quando la loro rilevanza pubblica lo richiede: “Queste condizioni vanno di pari passo con una esigenza di trasparenza. Al di là delle singole decisioni che sono soggetto di particolari raccomandazioni, ogni Pubblico ministero in quanto agisce a nome della società, deve rendere conto delle sue attività a livello locale, regionale ovvero centrale, se è organizzato a quest’ultimo livello. ……. Spesso già messo in opera negli ordinamenti in cui il Pubblico ministero beneficia di una vasta indipendenza, tale resoconto pubblico presenta vantaggi anche negli altri ordinamenti, permettendo una migliore percezione dell’azione del Pubblico ministero” (parte motiva del punto 11 della Racc. 19/2000).
Più di recente il CCPE, nel parere (2012) n. 7, ha correlato doveri di informazione alla trasparenza necessaria nell’azione dei pubblici poteri e dunque anche del pubblico ministero nell’uso delle risorse finanziarie.
Si afferma in particolare che “l’indipendenza finanziaria delle attività volta all’azione penale è finalizzata a garantire la correttezza dell’azione stessa, la protezione effettiva dei diritti umani e le libertà fondamentali nei procedimenti penali in generale e, in sostanza, una corretta amministrazione della giustizia penale”; cosicché l’ufficio di procura deve mantenere un livello appropriato di trasparenza e di informazione pubblica sul proprio lavoro.
D’altra parte le garanzie di imparzialità e indipendenza del p.m. e il loro collegamento con la realizzazione di un’effettiva autorità del giudice, quale soggetto terzo amministrante lo ius dicere, impongono al p.m. come istituzione, e al singolo magistrato che ne faccia parte, doveri di correttezza nella gestione dell’informazione che siano riflesso e manifestazione dell’imparzialità e dell’indipendenza.
La Dichiarazione di Bordeaux, dopo aver ricordato al paragrafo 6, che “i magistrati del pubblico ministero debbono essere indipendenti ed autonomi nell’assunzione delle loro decisioni e debbono esercitare le loro funzioni in modo equo, obiettivo e imparziale”, sottolineava che “è altresì interesse della società che i mezzi di comunicazione possano informare il pubblico sul funzionamento del sistema giudiziario. Le autorità competenti dovranno fornire tali informazioni, rispettando in particolare la presunzione di innocenza degli accusati, il diritto ad un giusto processo ed il diritto alla vita privata e familiare di tutti i soggetti del processo. I giudici ed i magistrati del pubblico ministero debbono redigere, per ciascuna professione, un codice di buone prassi o delle linee-guida in ordine ai loro rapporti con i mezzi di comunicazione” (par. 10).
Con il parere dell’Ottobre 2013 il CCPE fornisce ora le linee guida essenziali per “un corretto bilanciamento tra i diritti di libertà di espressione e di informazione come garantiti dall’art. 10 della CEDU e il diritto e dovere dei mezzi di informazione di informare il pubblico circa i procedimenti legali, e i diritti alla presunzione di innocenza, a un processo giusto e al rispetto della vita privata e familiare come garantiti dagli artt. 6 e 8 della CEDU” e sulla base della giurisprudenza della Corte.
A tal fine il CCPE enuclea tre gruppi di principi basici che richiedono un corretto bilanciamento:
1) Quelli finalizzati a garantire un appropriato bilanciamento tra le necessità di assicurare una giustizia (e non dunque soltanto l’azione del p.m.) “indipendente, imparziale e trasparente” e la libertà di espressione e di stampa, che peraltro possono anch’esse esser soggette a limitazioni di vario genere.
2) La protezione dei diritti individuali, in particolari degli accusati e delle vittime, tra cui – oltre la presunzione di innocenza - anche la dignità e la riservatezza della vita privata.
3) Diritti procedurali, in particolare quando il p.m. agisce come parte in un contraddittorio.
Il punto di partenza è l’affermazione che l’informazione, osservata dal punto di vista del p.m., non è solo un diritto, ma innanzitutto un dovere: “Il diritto del pubblico a ricevere informazioni deve essere assicurato” (punto 22). Nel far ciò, però, il p.m. “deve far sì che l’informazione fornita ai media non mini l’integrità delle investigazioni o l’esercizio dell’azione o le loro finalità. Neppure essa può danneggiare i diritti di terzi o influenzare quelli coinvolti nelle indagini o nel processo. Essa non deve influenzare gli esiti dei procedimenti legali”.
Il diritto alla dignità e alla riservatezza della vita privata permea ogni fase della procedura.
Soprattutto nel corso delle indagini, il sacrificio della riservatezza delle parti deve corrispondere a un’effettiva esigenza di pari livello.
Questo è dunque un principio cardine del modo di informare, che non può esser travalicato dagli organi pubblici.
La presunzione di innocenza è fondamentale anche ai fini della correttezza dell’informazione.
Il p.m. deve dunque operare per ridurre al minimo l’impatto negativo che sull’opinione pubblica può determinarsi, circa la convinzione di colpevolezza, a causa della presentazione dei fatti e dello stato del procedimento da parte dell’organo pubblico.
Particolare cura deve essere prestata per evitare che questo impatto provenga dalla presentazione delle persone in stato di detenzione.
Analoga attenzione deve essere prestata alla tutela della vittima, che non deve essere esposta senza necessità alla curiosità del pubblico.
Con queste premesse (doverosità e limiti) la CCPE pone alcune fondamentali affermazioni, che è opportuno tradurre per intero: “La trasparenza nell’esercizio delle funzioni del p.m. è una componente essenziale dello Stato di diritto (rule of law) e al tempo stesso una delle importanti garanzie di un processo giusto (fair trail). Giustizia deve esser fatta e deve apparire che essa è stata fatta. Per assicurare che ciò avvenga, i media devono esser posti in grado di informare sulle procedure, criminali e di altro genere” (punto 30)
“L’applicazione del principio di trasparenza al lavoro del p.m. è un modo per assicurare la fiducia e l’affidamento del pubblico, con la diffusione delle informazioni sui loro poteri e funzioni. Così, l’immagine dell’attività svolta dalla procura costituisce un importante elemento della fiducia nel corretto funzionamento del sistema giudiziario. Il più ampio accesso possibile dei media all’informazione sulle attività del p.m. serve anche a rafforzare la democrazie e a sviluppare un’interazione aperta con il pubblico” (31)
A queste funzioni essenziali dell’informazione, strategiche per una società aperta, si accompagnano quelle più strettamente concernenti l’efficacia delle investigazioni o dell’azione del p.m., quando dalla disseminazione di informazioni sul procedimento o sulle modalità di azione della procura possono derivare benefici diretti per l’accertamento o la prevenzione dei reati.
Le modalità con le quali il p.m. svolge queste funzioni varia a seconda dei diversi sistemi ordinamentali e spazia dall’attribuzione ai singoli magistrati di tale compito fino ad organi specializzati oppure ai capi degli uffici.
Quale che sia la modalità prescelta, le relazioni con i media “devono essere costruite sulla base del reciproco rispetto, dell’affidamento, dell’eguale trattamento e della responsabilità e devono essere rispettose delle decisioni del giudice".
Questo punto era stato evidenziato anche dalla Raccomandazione n. 19/2000 al punto 19: “I membri dell’ufficio del Pubblico ministero devono rispettare l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici; in particolare essi non possono esprimere dubbi sulle decisioni giudiziali o ostacolare la loro esecuzione, salvo quando esercitano i loro diritti di appello o invocano altre procedure declaratorie".
Ancor più, nell’esercizio delle loro funzioni, i p.m. devono operare in uno "spirito di imparzialità e di uguaglianza nei confronti degli operatori dei media” (punto 36 del parere in commento).
Il p.m. deve anche assicurarsi che analoghe modalità vengano seguite dalla polizia giudiziaria, quando è questa a rilasciare le informazioni.
La CCPE considera quindi implicitamente con particolare severità quelle modalità di rapporto con i media che, in violazione del principio di fondo della trasparenza, si basano sulla tessitura di rapporti personali, quando non di veri e propri baratti, volti nel migliore dei casi ad assicurare un maggior risalto all’azione dell’ufficio e nel peggiore a costruire carriere personali, interne ed esterne alla magistratura.
Come possa esser realizzato l’obiettivo di una informazione correttamente ed equanimemente disseminata non è indicato in maniera vincolante: si potrà ricorrere a qualunque mezzo, comprese le conferenze stampa o il web, purchè l’obiettivo sia raggiunto (punto 42).
In questo contesto, particolare attenzione deve esser posta dal p.m. nell’evitare di esprimere opinioni personali o giudizi di valore; ciò fa parte di una comunicazione che risponda a principi di obiettività e di indipendenza, resistendo alle pressioni che possono venire invece in tal senso.
Dunque, anche quando al singolo del magistrato del p.m. è consentito di disseminare informazioni sulle indagini o sul processo, deve sempre tenersi fermo il punto di partenza: ciò è fatto non nell’interesse del magistrato e tanto meno al fine di valorizzarne la figura pubblica; al contrario, anche in questo caso l’unica finalità ammessa è quella della corretta, oggettiva, imparziale e indipendente informazione, in adempimento di un dovere di ufficio, cui corrisponde il diritto della collettività ad essere informata nei termini sopra ricordati.
Il magistrato del p.m. ha peraltro integri i suoi diritti a manifestare il proprio pensiero, come riconosciuto dalla Rec. 19/2000 e dalla Dichiarazione di Bordeaux.
Tuttavia la funzione pubblica che egli esercita ne condiziona modalità e limiti, nei sensi sopra indicati.
Il parere in esame interviene espressamente sul tema della tutela del magistrato del p.m. rispetto ad attacchi, anche individuali, che abbiano origine nelle funzioni svolte.
Egli, afferma il parere, può certamente tutelarsi direttamente, fornendo le informazioni corrette e rettificando quelle false.
Tuttavia sarebbe preferibile che il magistrato venisse sollevato da questo compito, che lo vedrebbe personalmente esposto, e si raccomanda quindi che siano i vertici delle organizzazioni del p.m., a seconda dei diversi assetti ordinamentali, a tutelare l’immagine del p.m. attaccato, con la forza necessaria in considerazione della qualità e delle caratteristiche di queste critiche. I
l CCPE è organismo che raccoglie i rappresentanti dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa.
Essi hanno ordinamenti e situazioni politiche interne molto differenziate.
Sarebbe dunque errato leggere con l’ottica nazionale le diverse proposizioni in cui il parere si articola. Non vi è dubbio, peraltro, che in molti passi risuonano le polemiche italiane sul ruolo del p.m., la sua esposizione mediatica, gli attacchi ad esso portati da politici di primo piano. Sarebbe vano cercare una risposta del tutto appagante nel parere.
Esso però costituisce un importante punto di riferimento, soprattutto laddove lega indissolubilmente le modalità dell’informazione con il ruolo del p.m. in una società democratica e dinanzi a un giudice terzo.
La riaffermazione dei valori di indipendenza e imparzialità non è senza ricadute sugli obblighi che incombono sul magistrato: tanto più autonomo e indipendente, tanto più gravato da doveri di imparzialità, anche nella gestione dell’informazione.
Ancora più in profondità: l’informazione non è un diritto di libertà del magistrato del p.m.; essa è un dovere, corrispondente al diritto della collettività ad essere informata.
La collettività ha quindi il diritto a un’informazione completa, corretta, obiettiva e non personalizzata.
La personalizzazione non può che essere una componente dell’informazione e solo nel caso e nei limiti per cui essa – e cioè la conoscenza della riferibilità al magistrato come persona – costituisca elemento significativo dell’informazione stessa; ma in tali casi anche questa informazione non può che essere gestita con le medesime modalità e dunque in maniera impersonale.
Qualche riflessione ulteriore sulla disciplina nazionale, rispetto a quelle ovvie e di cui si è già detto, è costituita dal valore attribuito dal CCPE all’informazione come diritto della collettività.
Informare è difficile e richiede una specifica competenza.
La creazione di fiducia tra il p.m. e i membri della collettività dei media, cui tante volte fa riferimento il parere, non può prescindere dalla consuetudine lavorativa.
E' dunque ora di cessare di guardare al rapporto tra p.m. e media come patologia ma di comprendere che anche questo costituisce parte importante del lavoro di un buon pubblico ministero.